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Le patologie degli accordi di ristrutturazione - Judicium

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E

RNESTO

C

APOBIANCO

Le patologie degli accordi di ristrutturazione

*

SOMMARIO: 1. La poliedricità del contenuto degli accordi di ristrutturazione. – 2. I riflessi sulla natura degli accordi: funzioni e strutture dell’accordo. – 3. Patologie nella fase del preaccordo: in particolare i doveri d’informazione e le responsabilità. – 4. Patologie nella fase genetica. La fase della formazione del processo decisionale: ipotesi di annullamento. – 5. Segue: il problema dell’ammissibilità della rescissione. – 6. Patologie che incidono sugli elementi essenziali dell’accordo. – 7. Efficacia e inefficacia dell’accordo: deposito, omologazione e rigetto dell’omologazione. Clausole condizionali. – 8. Inattuazione, caducazione dell’accordo e sopravvenienza del fallimento.

1. In una precedente occasione1 ricordavo come i contenuti degli accordi di ristrutturazione2 possono risultare particolarmente articolati, complessi e variegati. A testimonianza di questa complessità basta confrontare i provvedimenti giurisprudenziali relativi all’omologazione degli accordi per rendersi conto del polimorfismo che può caratterizzarli3. Trionfa, in questa sede, l’autonomia dei privati. Stante l’assenza di particolari previsioni contenutistiche nella disposizione dell’art. 182 bis l. f., negli accordi stragiudiziali possono trovare collocazione le pattuizioni più varie: dilazioni di pagamento, remissioni parziali del debito, variazioni del tasso di interesse, postergazione di crediti, conversione di crediti in capitale, contrattazione di interventi sul piano industriale e finanziario come manovre sul personale, mutamenti nel management,

* Lo scritto riproduce, con l’aggiunta delle essenziali note bibliografiche, il testo della relazione al Convegno di studi su “Le procedure di composizione negoziale delle crisi e del sovraindebitamento”, tenutosi a Lanciano il 25 e 26 gennaio 2013. L’occasione ne spiega il tono discorsivo.

1E. CAPOBIANCO, Gli accordi stragiudiziali per la soluzione della crisi d’impresa. Profili funzionali e strutturali e conseguenze dell’inadempimento del debitore, in Banca, borsa e tit. cred., 2010, I, p. 295 ss., (Relazione tenuta al Convegno Internazionale di Lanciano del 17 e 18 ottobre 2008 su Operazioni bancarie e procedure concorsuali nella nuova legge fallimentare), pubblicata altresì in G. TATARANO e R.

PERCHINUNNO,Studi in memoria di Giuseppe Panza, Napoli, 2010, p. 17 ss. (le citazioni successive saranno tratte dalla rivista).

2 Sugli accordi di ristrutturazione la bibliografia è ormai sterminata. Onde evitare inutili appesantimenti per il lettore, stante la ideale continuità dello scritto con quello menzionato alla nota precedente, sia consentito rinviare a esso per i riferimenti bibliografici. Per un quadro tendenzialmente completo e cronologicamente suddiviso della bibliografia al riguardo può consultarsi il recente studio di P. VALENSISE,Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella legge fallimentare, Torino, 2012, p. 7 ss.

3 Si vedano, ad es., i provvedimenti riportati in appendice al volume di S. AMBROSINI, Accordi di ristrutturazione dei debiti e finanziamenti alle imprese in crisi. Dalla “miniriforma” del 2005 alla l. 7 agosto 2012, n. 134, Bologna, 2012, 159 ss.

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dismissione di partecipazioni, cessione di rami di azienda ed erogazione di nuova finanza.

L’unica indicazione esplicita richiesta dalla legge è la compatibilità di dette pattuizioni con la prospettiva, ora, di assicurare «l’integrale pagamento dei creditori estranei» (art. 182 bis, comma 1, l.f.). Dico ‹‹ora›› perché la disposizione, nella precedente formulazione, richiedeva, diversamente, che il pagamento dovesse essere

‹‹regolare›› e non integrale. Peraltro, nella prospettiva di indagine della patologia degli accordi mi sembra di poter affermare che quella dell’integrale pagamento dei creditori estranei non è né una previsione contenutistica obbligatoria, né tantomeno una condizione di validità dell’accordo. Ma sul punto tornerò successivamente.

2. Il poliedrico e variegato atteggiarsi nella prassi degli accordi di ristrutturazione non agevola la soluzione del problema dell’individuazione della loro natura, problema che costituisce premessa necessaria di ogni discorso sulle possibili patologie. La fattispecie contemplata dall’art. 182-bis l.f. è qualificata dal legislatore come «accordo….stipulato con i creditori» di cui l’imprenditore «può domandare l’omologazione». Sembra quindi si possa convenire con l’opinione che, rilevata la specifica qualificazione dell’accordo in parola tra gli atti di autonomia privata e segnatamente tra i contratti, esclude che l’istituto in discorso possa qualificarsi come una species del genus concordato preventivo4. Non si tratta quindi di una procedura concorsuale. A parte gli ulteriori argomenti invocati a sostegno di questa conclusione, sui quali non è opportuno qui dilungarsi, militano in suo favore: la circostanza che l’accordo si forma qui prima della parentesi giurisdizionale, mentre nel concordato si prescinde da qualsiasi anticipato accordo tra debitore e creditori; che negli accordi la posizione dei creditori estranei resta intangibile mentre nel concordato la maggioranza vincola la minoranza; che negli accordi i creditori non sono organizzati come collettività; che negli accordi manca un controllo sulla gestione del debitore in epoca successiva al deposito o alla sua omologazione; che negli accordi manca la nomina di organi della procedura; che non vi sono, negli accordi, particolari limitazioni alla ‹‹capacità›› dell’impresa. Né sembra che i possibili limitati effetti per i creditori estranei previsti dalla norma di cui all’art. 182 bis l.f. e l’effetto della prededucibilità ora assicurato dall’art. 182 quater l.f. siano significativi per attestare una virata dell’istituto, nel suo più recente restyling, verso la concorsualità5.

Tuttavia la constatazione del carattere negoziale degli accordi non può indurre a trascurare il carattere per cosí dire «bifasico» del procedimento disegnato dall’art. 182- bis l.f. e gli effetti ricollegabili alla fase giurisdizionale. Ad esempio dalla data di deposito dell’accordo, decorre il divieto per i creditori, anche estranei, di iniziare e proseguire azioni cautelari e esecutive sul patrimonio del debitore. Effetto questo necessitato dall’esigenza, da piú parti avvertita, ed infatti recepita solo in sede di seconda

4 Tra i primi a tentare una sistemazione degli accordi V. ROPPO,Profili strutturali e funzionali dei contratti

“di salvataggio”(o di ristrutturazione dei debiti d’impresa), in Dir. fall., 2008, I, 364 ss.

5 Così, tra gli altri, P. VALENSISE,Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella legge fallimentare, cit., p.

109 ss. (ove ampi riferimenti al dibattito). Detta conclusione sarebbe ‹‹francamente eccessiva›› secondo S.

AMBROSINI,Accordi di ristrutturazione dei debiti e finanziamenti alle imprese in crisi, cit., p.110.

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stesura della norma da parte del decreto correttivo, di fornire protezione al patrimonio del debitore in vista della migliore funzionalità dell’accordo. Questo effetto può collegarsi non tanto all’accordo in sé, quanto al rilievo della sua fase procedurale. E si tratta di un effetto che potrebbe definirsi «a danno di terzi» e che parrebbe poco coerente con la qualificazione negoziale degli accordi in discorso, ma che trova la sua giustificazione proprio nel carattere bifasico dell’istituto; anche se potrebbe pure sostenersi, ove lo si volesse ricondurre direttamente all’accordo, che l’effetto non sarebbe del tutto incoerente con la stessa previsione dell’art. 1372 c.c. che, nell’escludere che il contratto produca effetti per i terzi, consente però che essi si possano produrre «nei casi previsti dalla legge» come in questo. Del resto, che si tratti di un effetto propriamente sfavorevole non è detto essendo la moratoria qui stata disciplinata soprattutto in vista del possibile risultato utile dell’accordo per i creditori estranei, impedendo nella fase più delicata, la confusa azione dei free riders che, nell’esperienza dei tentativi di composizione della crisi d’impresa sovente ha rappresentato uno dei maggiori fattori di rischio6. Peraltro ai creditori estranei resta tuttavia la possibilità di non subire inermi la sospensione presentando una tempestiva opposizione che denunci l’inattuabilità o magari l’inammissibilità, per carenza dei suoi presupposti, dell’accordo e quindi l’inutilità della sospensione.

La norma non offre, come si diceva, una compiuta descrizione della fattispecie limitandosi a stabilire: che deve trattarsi di un «accordo»; che tale accordo deve riguardare la «ristrutturazione dei debiti»; che questo deve essere «stipulato con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti»; che dell’accordo si

‹‹può domandare … l’omologazione››. A voler schematizzare si potrebbe dire che rientra sicuramente in questa fattispecie l’ipotesi di un accordo contestuale redatto tra debitore e creditori – occorrendo aperto all’adesione di ulteriori creditori – con lo specifico proposito di perseguire gli obiettivi di cui all’art. 182-bis l.f.; vi rientrano pure quegli accordi che l’imprenditore stipuli separatamente con ciascuno dei creditori in vista dei medesimi obiettivi; potrebbe invece essere dubbio se vi rientrino accordi conclusi separatamente tra debitore e singoli creditori senza che in essi venga dedotta la destinazione al deposito di cui all’art. 182-bis l.f. Tra le ipotesi piú semplici potrebbe esservi quella dell’imprenditore che, raccolto separatamente il consenso alla riscadenziazione del pagamento di singoli creditori rappresentanti nel complesso almeno il sessanta per cento dei crediti, ne curi il deposito assieme ai documenti richiesti e alla relazione dell’esperto. Il dubbio è prospettabile giacché in tal caso non vi sarebbe una totale convergenza di intenti tra le parti: in questo caso i creditori mirano consapevolmente solo all’effetto di modifica delle condizioni del rapporto, mentre il debitore vuole gli effetti di cui all’art. 182 l.f. (ad esempio la temporanea immunità da azioni esecutive): mancherebbe in sostanza il comune intento delle parti finalizzato alla

6 Trib. Bologna, 17 novembre 2011, in Fallimento, 2012, p. 594, con nota di S. BONFATTI,Pluralità di parti ed oggetto dell’accertamento del tribunale nell’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis l.fall. (e nel concordato preventivo).

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soddisfazione della complessiva causa di «ristrutturazione» di cui alla norma in discorso7.

E vengo qui subito a un problema che potremmo definire di patologia. Sarebbe privo di causa un accordo che non deducesse una causa di ristrutturazione? In altri termini l’esistenza di una causa di ristrutturazione è elemento essenziale dell’accordo che viene portato all’attenzione del Tribunale? A mio avviso al quesito va data risposta negativa8. La concreta idoneità al perseguimento della finalità viene infatti verificata dal Tribunale sulla base della relazione dell’esperto e della verifica della documentazione presentata, potendo non risultare rilevante a tal fine la constatazione della sussistenza di un comune intento delle parti. Senza dire peraltro che, per quanto detto in precedenza, pare potersi affermare che il termine ristrutturazione è espressione alquanto fumosa e priva di un significato giuridicamente rilevante e che al più può risolversi in una ‹‹attività negoziale volta a determinare modalità di pagamento dei debiti diverse da quelle originariamente pattuite›› ma anche in una ‹‹modalità di rinvenimento delle risorse e distribuzione di esse tra i creditori›› o, ancora, in una variante ulteriore, in una ‹‹complessiva riorganizzazione dei rapporti obbligatori e contrattuali dell’impresa, non riducibile a singoli rapporti, ma relativa all’intero coacervo di rapporti in corso››9. Ma a soddisfare in fatto tale obiettivo, quantomeno nella sua variante minore, sarebbe sufficiente anche un accordo con un unico creditore, di tipo remissorio, transattivo, novativo, titolare di piú del sessanta per cento dei crediti dell’impresa, senza necessità che la finalità della ristrutturazione sia causalmente dedotta in contratto e indipendentemente dal fatto che l’accordo sia finalizzato agli specifici effetti previsti dalla norma. E un argomento può trarsi anche dalla lettera della legge che facoltizza l’imprenditore al deposito dell’accordo che può essere certamente valido ed efficace a prescindere da esso. Questo non significa svalutare lo specifico rilievo che può avere sugli accordi la esplicita deduzione della funzione di procedere con esso alla ristrutturazione dei debiti per le finalità di cui all’art. 182 bis l.f., quanto piuttosto valorizzare un approccio al tema che, nella valutazione di essi sotto il profilo funzionale, non si esaurisca nella constatazione della loro riferibilità a un tipo contrattuale di nuovo conio, quanto miri valutare la portata che quella determinata operazione negoziale, considerata nel suo concreto atteggiarsi, assume per le parti.

Procedimento questo che porta a privilegiare una considerazione in termini di causa concreta, ormai definitivamente approdata anche in giurisprudenza la quale comincia ad estenderla anche alle procedure negoziali di composizione della crisi d’impresa come testimoniato da una recente decisione a Sezioni Unite della Cassazione in materia di concordato preventivo10.

7 Sul punto E. CAPOBIANCO, Gli accordi stragiudiziali per la soluzione della crisi d’impresa. Profili funzionali e strutturali e conseguenze dell’inadempimento del debitore, cit., p. 309 s.

8 Nel senso che gli accordi sono giustificabili nel contesto di una vera e propria autonoma causa negoziale definita causa di ristrutturazione B. INZITARI,Gli accordi di ristrutturazione ex art. 182 bis, l. fall.: natura, profili funzionali e limiti dell’opposizione degli estranei e dei terzi, in Contr. impr., 2011, p. 1320.

9 Le esemplificazioni sono attinte da B. INZITARI,o.c., p. 1314.

10 Cass, sez. un., 23 gennaio 2013, n. 1521, in www.ilcaso.it

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Bisognerà guardare quale sia, di volta in volta, il regolamento di interessi perseguito nel concreto accordo. E rassegnarsi a prender nota, disattendendo la nostra innata tendenza alla sistemazione, che gli accordi sussumibili nell’àmbito dell’art. 182-bis l.f., possono produrre effetti diversi, e che talvolta gli effetti prodotti possano prescindere dall’intento (di almeno una) delle parti (nessuno più oggi afferma che gli effetti del contratto sono solo quelli “voluti”: v. art. 1374 c.c.)11 ma riconnettersi, come nell’esempio appena fatto, a un rilievo prevalente della fase, per cosí dire, «processuale››.

Non mi sembra, quindi, si possa affermare che la ristrutturazione debba sempre e necessariamente ergersi a ‹‹causa degli spostamenti patrimoniali››12 prodotti dall’accordo.

Questo significa che il differente modo di atteggiarsi degli accordi rende vano ogni tentativo di inquadramento anche dal punto di vista strutturale. In concreto l’accordo potrà articolarsi secondo una struttura bilaterale e ciò nell’ipotesi piú semplice che intervenga con un solo creditore. In questo caso esso può avere una sua specifica connotazione causale (transattiva, novativa, traslativa, remissoria, dilatoria) e, eventualmente, per quanto si è appena detto, arricchirsi della specifica colorazione dovuta all’esplicita rilevanza data all’intento di perseguire gli effetti di cui all’art. 182-bis l.f. Potrebbe poi atteggiarsi come contratto a prestazioni corrispettive o come contratto unilaterale. Potrebbe, in concreto, apparire oneroso o gratuito. L’accordo potrebbe invece articolarsi con l’intervento di piú creditori. In tal caso è piú facile rappresentarsi come normale l’ipotesi che in esso venga dedotto l’intento, comune alle parti, di rimuovere lo stato di crisi tramite la ristrutturazione dei debiti e di perseguire le finalità dell’art. 182- bis l.f. Anzi, a rigore, potrà essere utile chiarire se l’intento comune si indirizzi alla sola rimozione dello stato di crisi o siano voluti anche gli specifici effetti dell’art. 182-bis l.f.

(come ad esempio l’esonero da revocatoria). In dette ipotesi, provando a schematizzare, ma con i limiti che ogni schematizzazione comporta, potrebbe configurarsi sia la fattispecie del contratto plurilaterale con (o senza) comunione di scopo13, sia quella della pluralità di negozi bilaterali che siano tra loro differenti quanto ai singoli contenuti sostanziali ma nello stesso tempo collegati funzionalmente in vista del comune intento perseguito14. Con l’avvertenza che sarà poco significativa per la qualificazione la mera

11 Riferimenti in E. CAPOBIANCO, Il contratto. Dal testo alla regola, Milano, 2006, p. 177 ss.; ID, L’interpretazione, in Trattato del contratto Roppo, II, Il regolamento a cura di G. Vettori, Milano, 2006, p.

389 ss.

12 In questi termini B. INZITARI, Gli accordi di ristrutturazione ex art. 182 bis, l. fall.: natura, profili funzionali e limiti dell’opposizione degli estranei e dei terzi, cit., 1320.

13 Discorre di contratto plurilaterale eventualmente aperto Trib. Roma, 20 aprile 2005, in Fall., 2006, p.

198. Sempre per la configurazione plurilaterale Trib. Milano, 21 dicembre 2005, ivi, 460

14 Trib. Bari, 21 novembre 2005, in Foro it., 2006, I, p. 263, con nota di M. FABIANI, Accordi di ristrutturazione dei debiti: l’incerta via italiana alla reorganization.

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unità documentale dell’accordo15, mentre rilevante sarà la verifica se le parti abbiano inteso concludere una operazione economica sostanzialmente unitaria16.

Non manca pure la prospettazione in termini di contratto bilaterale con l’imprenditore da un lato e l’insieme dei creditori dall’altro17. E può anche configurarsi l’ipotesi di un accordo quadro, seguito da successivi accordi attuativi di esso18.

Per individuare la struttura dell’accordo sarà quindi necessaria una delicata indagine che, partendo dalla funzione, dal regolamento di interessi concretamente perseguito, consenta poi, in relazione alle situazioni sulle quali l’atto incide, di coglierne la configurazione strutturale e ciò secondo l’insegnamento per il quale la struttura segue, non precede, la funzione19.

3. La disciplina degli accordi di ristrutturazione si è arricchita di recente di nuove disposizioni (i commi 6 e 7 dell’art. 182 bis), ora ulteriormente rimaneggiate dalla disciplina di cui alla l. 7 agosto 2012, n. 134, che danno esplicito rilievo alla fase delle trattative. A differenza del passato l’imprenditore può richiedere al Tribunale la pronuncia del divieto per i creditori di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive e il divieto di acquisire titoli di prelazione se non concordati ‹‹anche nel corso delle trattative e prima della formalizzazione dell’accordo››20. L’effetto opera tuttavia a prescindere dalla pronuncia del Tribunale ma sin dal momento della pubblicazione dell’istanza nel registro delle imprese. Con l’istanza va depositata la documentazione di cui all’art. 161, commi 1 e 2 lett. a,b,c,d, e una proposta di accordo corredata da una dichiarazione dell’imprenditore, avente valore di autocertificazione, attestante che su di essa sono in corso trattative con i creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti e da una dichiarazione del professionista, avente i requisiti di cui all’art. 67, comma 3, lett. d, circa l’idoneità della proposta, se accettata, ad assicurare l’integrale pagamento di creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a trattare.

15 In senso contrario L. APPIO e V. DONATIVI, Accordi di ristrutturazione del debito: fattispecie e regime di pubblicità, in AA.Vv., I contratti per il finanziamento dell’impresa, a cura di G. Dinacci e S. Pagliantini, in Tratt. dir. econ. Picozza e Gabrielli, Padova, 2010, p. 186.

16 E. GABRIELLI,Contratto, mercato e procedure concorsuali, Torino, 2006, p. 299.

17 Trib. Milano, 23 gennaio 2007, in Giur. it., 2007, p. 1692, inquadra l’accordo di ristrutturazione nella categoria di un «negozio di diritto privato qualificabile come contratto bilaterale plurisoggettivo a causa unitaria».

18 V. ROPPO,Profili strutturali e funzionali dei contratti “di salvataggio”(o di ristrutturazione dei debiti d’impresa), cit., p. 376 s.

19 P. PERLINGIERI, Remissione del debito e rinunzia al credito, Napoli, 1968, p. 167 ss.; ID,Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, Napoli, 2006, p. 604.

20 Tra gli altri hanno analizzato più da vicino la fattispecie, S. AMBROSINI,Accordi di ristrutturazione dei debiti e finanziamenti alle imprese in crisi, cit., p. 87 s., 116 ss., il quale rileva tuttavia come il procedimento sia destinato a subire una ‹‹dura concorrenza›› ad opera dell’art. 161, comma 6, l.f. giacché il sistema consente ora di ottenere più facilmente la sospensione attraverso la domanda di concordato ‹‹con riserva›› e di passare successivamente al deposito di un accordo di ristrutturazione, e P. VALENSISE,Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella legge fallimentare, cit., p. 199 ss.

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La ratio della disposizione, che anticipa la protezione al momento delle trattative, è quella di ovviamente favorirle consentendo la continuazione dell’impresa in un’ottica di valorizzazione della medesima funzionale alla tutela dei creditori, così come quella di agevolare altresì il perfezionamento degli accordi consentendo un più informato e consapevole svolgimento di esse.

La norma è stata oggetto di approfondimenti riguardanti gli aspetti procedurali e quelli attinenti la completezza documentale dell’istanza21. Su questi profili non mi pare il caso di diffondersi in questa sede.

Rilevante, invece, per eventuali problematiche patologiche legate a questa fase, è stabilire un legame tra il disposto dell’art. 182 bis, comma 6 l.f. e quanto più in generale disposto dall’art. 1337 c.c. in ordine al dovere di buona fede durante le trattative e nella fase di formazione del contratto. Sovente si lamenta un certo ‹‹amorfismo›› della clausola generale della buona fede e la sua incapacità a prescrivere doveri minuziosi di informazione ai contraenti se non attraverso - e con un giudizio da svolgersi a posteriori - la mediazione del giudice22. Ora, pur dovendosi correttamente distinguere i doveri di informazione rilevanti ai sensi degli artt. 1337 e 1338 c.c. nella fase delle trattative e della formazione del contratto, dagli adempimenti necessari a ottenere nel corso delle trattative e della formazione il provvedimento di anticipazione degli effetti della sospensione delle azioni esecutive e cautelari, mi pare che l’entità e la qualità delle informazioni che l’imprenditore deve fornire a questi fini possa costituire una utile falsariga – direi quasi uno standard – di informazioni rilevanti ex art. 1337 c.c. (salvo altre da richiedersi con riguardo alle specifiche vicende precontrattuali rilevanti nel caso concreto). Sì che la mancanza o la non veridicità e correttezza delle informazioni espone l’imprenditore proponente a responsabilità precontrattuale a prescindere dalla mancata conclusione dell’accordo e dalla sua eventuale invalidità. Responsabilità tanto più rilevante quando l’effetto della sospensione sia stato ottenuto per effetto della pubblicazione, ma sia stato poi sconfessato in sede di verifica del Tribunale che non ne abbia ravvisato i presupposti, ma pure riscontrabile, in presenza del decreto autorizzativo del Tribunale (che non ha certo funzione ‹‹immunizzante›› in ordine all’eventuale responsabilità) qualora risulti che esso sia stato emesso alla luce di atteggiamenti reticenti o di informazioni non veritiere. Non può escludersi che nella medesima responsabilità possa incorrere anche il professionista che abbia redatto la dichiarazione di cui all’art.

182 bis comma 6 l.f. che, sebbene terzo rispetto al futuro accordo, interviene nella fase preparatoria rendendosi partecipe dell’illecito precontrattuale. Una responsabilità questa, che per mutuare una formula ormai di moda, potrebbe definirsi da ‹‹contatto sociale››23,

21 Oltre agli scritti citati nella nota precedente cfr. S. BONFATTI, Le misure di incentivazione delle procedure di composizione negoziale delle crisi d’impresa. Gli “accordi di ristrutturazione, in www.ilcaso.it, 22 ss.

22 Sia consentito il richiamo, anche per ulteriori riferimenti a E. CAPOBIANCO, Diritto comunitario e trasformazioni del contratto, Napoli, 2003, p. 23 ss.

23 Nello stesso senso G. VETTORI,Il contratto nella crisi dell’impresa, in Obbligazioni e contratti, 2009, p.

493. Per una fattispecie di responsabilità verso il terzo per una ‹‹certificazione›› non veridica Trib.

Genova, 24 febbraio 2010, in Nuova giur. civ., 2010, I, p. 1040.

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ma che per chi volesse rimanere più saldamente attaccato alla tradizione potrebbe sempre configuarsi quantomeno come aquiliana.

4. Sull’informazione dei creditori, e sulla sua correttezza, si gioca indubbiamente la partita degli accordi in discorso. Ed è innegabile come essa sia rilevante quanto ai possibili riflessi che determina sul procedimento di formazione della volontà negoziale.

Una informazione adeguata per quantità e qualità è condizione per il valido esercizio dell’autonomia privata in quanto il corretto intendere è fondamento per un volere razionale24. Ancor più in questa sede in cui poco spazio ha il principio di autoresponsabilità del creditore visto che il dovere di informare è, dalle disposizioni dell’art. 182 bis l.f., posto rigorosamente a carico dell’imprenditore proponente.

Non può quindi escludersi che una informazione non corretta possa avere una efficienza causale sulla determinazione volitiva del creditore quando abbia ingenerato in lui una rappresentazione alterata della realtà che abbia prodotto un errore da considerarsi essenziale ai sensi dell’art. 1429 c.c. Parimenti è a dirsi quando l’errore sia determinato da artifici o raggiri, o anche semplici menzogne, configurandosi in tal caso la fattispecie del dolo ai sensi dell’art. 1439 c.c. quando i raggiri siano stati tali che senza di essi, l’altra parte non avrebbe prestato il proprio consenso per la conclusione dell’accordo25. In linea di principio non si potrà escludere neppure l’applicazione della normativa in materia di violenza quale causa di annullamento dell’accordo: non del tutto peregrina in tal senso potrebbe essere l’ipotesi della minaccia di presentare una istanza di fallimento.

Quando si parla di annullamento, nell’ambito di un discorso che coinvolge le crisi d’impresa, la tentazione è che si vadano a ricercare nella disciplina delle crisi i referenti normativi della patologia. Mi riferisco all’applicazione agli accordi di ristrutturazione delle disposizioni dettate in materia di annullamento (ma anche di risoluzione) del concordato preventivo, cioè l’art. 186 l.fall e quelle, ivi richiamate, dettate dagli artt. 137 e 138 in materia di concordato fallimentare26. Purtuttavia la mancata possibilità di ascrivere degli accordi di ristrutturazione alla categoria delle procedure concorsuali induce a ritenere preferibile l’opinione che ritiene applicabili i rimedi di diritto comune27. Mi sembra che militi in questa direzione anche la circostanza che il legislatore, più volte

24 Per tutti S. GRUNDMANN, L’autonomia privata nel mercato interno: le regole d’informazione come strumento, in Eur. dir. priv., 2001, 257.

25 M. SCIUTO,Effetti legali e negoziali degli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Riv. dir. civ., 2009, p.

357.

26 Sulla astratta applicabilità di detti rimedi, ma per la loro pratica inutilità, v. E. FRASCAROLI SANTI,Gli accordi di ristrutturazione dei debiti. Un nuovo procedimento concorsuale, Padova, 2009, 174 ss. Per l’applicabilità, altresì, P. VALENSISE,Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella legge fallimentare, cit., p. 482 e ivi ulteriori riferimenti. Pur nella prospettiva ‹‹negoziale›› non manca chi ammette la possibilità per i creditori aderenti in caso di inadempimento che giustifichi un’istanza di fallimento di proporre una domanda contestuale di fallimento previa risoluzione dell’accordo omologato (arg. ex art. 186, 137 e 140 l.f): M. SCIUTO,Effetti legali e negoziali degli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit, p. 359.

27 Opinione questa prevalente. Da ultimo A. NIGRO,La disciplina delle crisi patrimoniali delle imprese.

Lineamenti generali, in Tratt. dir. priv. Bessone, Torino, 2012, p. 89 s.; in giurisprudenza Trib. Milano, 18 luglio 2009, in S. AMBROSINI,Accordi di ristrutturazione dei debiti e finanziamenti alle imprese in crisi, cit., p. 175.

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tornato sul tema degli accordi e, pur conscio del dibattito al riguardo, non sia intervenuto con una esplicita previsione, al contrario di quanto ha fatto per gli accordi di ristrutturazione nella composizione delle crisi da sovraindebitamento (art. 14 l. 27 gennaio 2012, n. 3)28.

5. In dottrina si è posto il problema se tra i rimedi a tutela della corretta formazione del consenso possa annoverarsi la rescissione, quantomeno nella sua variante della rescissione ultra dimidium di cui all’art. 1448 c.c.29 In linea di principio l’applicazione di questo istituto non potrebbe essere esclusa. Il presupposto dello stato di bisogno, inteso quale mancanza di liquidità è astrattamente prospettabile sia – più tipicamente – per l’imprenditore, che per eventuali creditori. Così l’approfittamento. Superabile sarebbe pure l’idea che debba ricorrere la necessaria strutturazione bilaterale del rapporto giacché la dottrina non esclude che il rimedio possa applicarsi addirittura nella fattispecie dei contratti plurilaterali30, oppure anche in fattispecie negoziali autonome tra le quali ricorra però un collegamento che ne denoti la sostanziale bilateralità31. Certamente e salva la necessità di valutare, di volta in volta, nel caso concreto, il tenore della specifica pattuizione e la presenza dei presupposti del rimedio, sarei tentato tuttavia di negarne l’applicazione ai sensi dell’art. 1970 c.c. che esclude l’applicazione della rescissione per lesione alla transazione: l’eventuale sproporzione è, infatti, anche nel caso degli accordi, così come nella transazione, riconducibile al rischio normalmente connesso a un accordo compositivo e all’impossibilità di stabilire esattamente l’entità delle attribuzioni in ragione dell’incertezza sulle pretese dei contraenti in una fase come quella della crisi d’impresa di cui non è agevole pronosticare esiti di sorta32.

6. In una ipotetica sequenza che va dai problemi patologici del preaccordo, ai vizi genetici dell’accordo, per poi passare ai vizi funzionali dello stesso, non può trascurarsi – siamo ancora nella fase genetica – di volgere uno sguardo alle possibili questioni di validità dell’accordo.

28 Non a caso l’accordo di ristrutturazione nelle crisi da sovraindebitamento è invece definito, per il suo diverso atteggiarsi rispetto all’accordo di cui all’art. 182 bis l.f., come “procedura deliberativa concorsuale”

da F. DI MARZIO, Introduzione alle procedure concorsuali in rimedio del sovraindebitamento, in La

“nuova” composizione della crisi da sovra indebitamento, in Il civilista (Speciale Riforma), 2013, p. 11.

29 V. ROPPO,Profili strutturali e funzionali dei contratti “di salvataggio”(o di ristrutturazione dei debiti d’impresa), cit., p. 391 s.; L. BOGGIO,Gli accordi di salvataggio delle imprese in crisi. Ricostruzione di una disciplina, Milano, 2007, p. 200; M. SCIUTO,Effetti legali e negoziali degli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., p. 357.

30 V. ROPPO,Il contratto, in Tratt. dir. priv. Iudica e Zatti, 2^ ed., Milano, 2011, p. 844; P. VITUCCI,La rescissione, in Trattato del contratto Roppo, IV, Rimedi, 1, a cura di A. Gentili, Milano, 2006, p. 442 e ivi, alla nota 20, ulteriori riferimenti.

31 V. ROPPO,o.l.u.c.

32 Per la transazione Cass., 22 aprile 1999, n. 3984, in Rep. foro it., 1999, voce Transazione, n. 17.

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Guardando a quelli che tipicamente sono individuati come elementi essenziali del contratto33, quanto alla causa, si è già detto della non necessità di una esplicita enunciazione della eventuale causa di ristrutturazione che, ove presente, può certo conferire una particolare coloritura in senso funzionale al contratto (per esempio fungere da elemento unificante tra le singole pattuizioni in esso contenute; più tecnicamente:

occasione di rilievo di un collegamento negoziale) e, aggiungerei, incidere anche sulla sua interpretazione34. Né mi sembra che la pretesa causa di ristrutturazione possa ricondursi a quella di rimuovere lo stato di crisi e di evitare il fallimento35 che appare più un semplice motivo dell’accordo, giacché se così fosse dovrebbe configurarsi una nullità dell’accordo per mancanza sopravvenuta della causa qualora sopraggiungesse il fallimento; conclusione questa inaccettabile se si pensa che taluni effetti dell’accordo, come l’esenzione da revocatoria ex art. 67, comma 3, lett. e, la prededucibilità dei crediti di cui all’art. 182 quater l.f. sono dettati proprio in vista dell’eventualità del fallimento.

Ma pur ove si volesse assecondare l’idea dell’emersione, con la comparsa dell’art. 182 bis l.f., nel nostro sistema, di un nuovo tipo contrattuale caratterizzato dalla causa di ristrutturazione, mi sembra che possa sostenersi che né la tipicità, né tantomeno la particolare procedura di controllo della legalità dell’operazione in sede di omologazione, mettano l’accordo – in una prospettiva in cui ritorna il richiamo al concetto di causa concreta - al riparo da eventuali attacchi in termini di nullità per illiceità della causa, illiceità del motivo comune, frode alla legge: significative potrebbero essere le ipotesi in cui l’accordo venga stipulato al solo scopo di consolidare col tempo una garanzia altrimenti revocabile in un fallimento che già risulti inevitabile, quando l’accordo sia stato stipulato per mere finalità di trattamento preferenziale nella consapevolezza della sua insufficienza alla garanzia del pagamento dei creditori estranei, o ancora per approfittare dei benefici di un eventuale accordo in assenza di una vera e propria situazione di crisi36. Di particolare interesse potrebbe essere l’approfondimento, che non

33 Per una recente rivisitazione dei requisiti del contratto cfr. E. DEL PRATO,Requisiti del contratto (art.

1325), in Comm. cod. civ. Schlesinger-Busnelli, Milano, 2013, passim.

34 Sia consentito il richiamo, anche per ulteriori riferimenti a E. CAPOBIANCO,Il contratto. Dal testo alla regola, cit., p. 134; ID,L’interpretazione, in Trattato del contratto Roppo, II, Il regolamento a cura di G.

Vettori, cit., p. 346.

35 Individua la funzione degli accordi nella rimozione della crisi, di recente, L. MARCHEGIANI,Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella legge fallimentare. Contributo allo studio del tipo, Milano, 2012, 179 ss.

In senso critico A. NIGRO,La disciplina delle crisi patrimoniali delle imprese. Lineamenti generali, cit., p.

62 s., 74 s., il quale preferisce ricondurre la rimozione dello stato di crisi all’effetto dell’omologazione dell’accordo (p. 87 s.), effetto che consisterebbe nel formale riconoscimento e attestazione da parte dell’autorità giudiziaria della idoneità dell’accordo a tale rimozione, con la conseguenza che il giudice eventualmente adito per la dichiarazione di fallimento del debitore dovrebbe respingere la domanda, salva la dimostrazione che l’accordo, successivamente all’omologazione, sia rimasto inadempiuto, risolto o annullato.

36 V. ROPPO,Profili strutturali e funzionali dei contratti “di salvataggio”(o di ristrutturazione dei debiti d’impresa), cit., p. 372 s.; M. SCIUTO,Effetti legali e negoziali degli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., p. 357. Più in generale sottolinea la necessità di evitare che l’esaltazione delle potenzialità dell’autonomia privata nel terreno delle procedure concorsuali possa finire per diventare uno schermo protettivo per costruzioni di ingegneria concorsuale che in realtà possono nascondere operazioni illecite o

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può compiersi in questa sede, di quale possa essere, nel nuovo diritto della crisi d’impresa, il nucleo di principi inderogabili ai quali commisurare il giudizio di liceità e meritevolezza della causa degli accordi37.

Quanto all’oggetto dell’accordo ci si potrebbe chiedere se esso implichi necessariamente la presenza di un piano che funga da termine di riferimento oggettivo dell’accordo. La recente modifica dell’art. 161, l. f., (in materia di concordato preventivo) richiamato (per gli accordi) dall’art. 182 bis l.f., con l’aggiunta al comma 2 della lett. e) che richiede, più esplicitamente rispetto al passato, la predisposizione di un piano contenente la descrizione analitica della proposta delle modalità e dei tempi di adempimento di questa, potrebbe indurre a prescegliere la tesi più rigorosa. Ma a me sembra che debbano distinguersi i requisiti dell’accordo, dai requisiti per l’omologazione dell’accordo. Il piano è chiaramente configurato dalla legge come documento a corredo della domanda di omologazione e non come oggetto dell’accordo. Per tornare all’esempio innanzi prospettato, nella semplice ipotesi in cui l’imprenditore negozi, con uno o più creditori, una remissione parziale del debito che assicuri il pagamento dei creditori estranei, nessun piano va sottoposto ai creditori e assoggettato alla loro adesione, potendo esso rivestire una configurazione essenzialmente unilaterale in quanto destinato a supportare documentalmente l’accordo nella fase della sua omologazione. E’

ovvio che nulla esclude che sul piano possano convergere le adesioni dei creditori con la non ininfluente conseguenza che esso possa essere fonte di possibili impegni al risultato da parte di costoro, ma escluderei, per quanto detto, che la mancanza di un piano nell’accordo possa determinare una qualche patologia dello stesso38.

E così non mi sembra neanche si possa sostenere che l’integrale pagamento dei creditori estranei debba essere una ulteriore previsione contenutistica dell’accordo, una condizione di validità di esso39. Dalla lettura della norma, infatti, sembra che possa con certezza desumersi che l’integrale pagamento dei creditori estranei rileva non in quanto requisito dell’atto, ma come condizione esterna ad esso semmai attinente alla fase di attuazione dell’accordo. Sicché, un accordo che non preveda espressamente l’integrale pagamento dei creditori estranei, ma di fatto lo favorisca o lo consenta, secondo gli esiti dell’indagine circa la sua idoneità in tal senso da effettuarsi in sede di omologazione, non mi pare possa dirsi affetto da patologia alcuna. Anzi a ben guardare l’accordo non è, di regola, neanche giuridicamente fonte dell’obbligo di pagamento dei creditori estranei40 fraudolente E. GABRIELLI,Soluzioni negoziali della crisi d’impresa: gli accordi di ristrutturazione ed i piani attestati di risanamento. Una introduzione, in Riv. dir. priv., 2011, p. 559.

37 Per la rilevanza delle clausole generali nella disciplina della crisi d’impresa cfr. E. BERTACCHINI,lausole generali e autonomia negoziale nella crisi d’impresa, in Contr. impr., 2011, p. 687; A. MUNARI,Crisi di impresa e autonomia contrattuale nei piani attestati e negli accordi di ristrutturazione, Milano, 2012, p.

292 ss.

38 Sulla rilevanza del piano nel differente contesto di un accordo che abbia finalità di liquidazione e di un accordo finalizzato alla continuazione dell’attività, cfr. Trib. Roma, 20 maggio 2010, in Dir. fall., 2011, II, p. 352.

39 In questo senso G. VETTORI,Il contratto nella crisi dell’impresa, cit., p. 492. Diversamente, lo considera un requisito per l’omologa A. DIDONE,Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Dir. fall., 2011, p. 33.

40 A. GENTILI, Accordi di ristrutturazione dei debiti e tutela dei terzi, in Dir. fall., 2009, I, p. 651.

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giacché il credito dell’estraneo trova il suo fondamento in fatti causativi preesistenti all’accordo.

In ordine sempre all’oggetto, ma questa volta quanto al requisito della sua

“possibilità” (art. 1346 c.c.), mi sembra che la particolare colorazione che la causa delle singole pattuizioni riceve nella prospettiva della causa concreta dell’intero accordo, induca a valutare peculiarmente questo concetto. Intendo dire che ciò che potrebbe essere giuridicamente possibile nel contesto di una singola pattuizione, non è detto che lo sia nel contesto dell’accordo nella sua globalità. Si faccia l’esempio di una previsione di cessione di un bene di proprietà altrui, pattuizione questa che la legge non esclude sia di per sé lecita (artt. 1381, 1478 c.c.), ma che, ove calata nell’ambito di un accordo di composizione della crisi, ne denota la sostanziale impossibilità dell’oggetto in quanto non in grado di garantire, proprio per la sua incertezza, la fattibilità giuridica nel senso indicato dalla recentissima giurisprudenza di legittimità quanto al concordato preventivo41.

Quanto alla forma sebbene la disposizione dell’art. 182-bis. l.f. nulla precisi al riguardo, non può trovare applicazione il discusso principio della libertà delle forme. Una concezione funzionale della forma impone di individuare come necessaria la forma piú adeguata alla realizzazione dell’atto42. In questa prospettiva non può non evidenziarsi come gli accordi in oggetto debbano essere redatti per iscritto essendo qui la forma funzionale al deposito per l’omologazione e alla pubblicazione nel registro delle imprese.

Mi pare peraltro meramente scolastica l’ipotesi della mancanza di forma scritta dell’atto e della sua conseguente nullità; mentre è più probabile che possa verificarsi l’ipotesi della mancata produzione dell’accordo con sottoscrizione autenticata che tuttavia non determina certo problemi di validità, quanto semmai in ordine all’esigenza della formalità della pubblicazione nel registro delle imprese e dell’ammissibilità dell’omologazione. Ma si tratta di irregolarità sanabile43. E’ ovvio tuttavia che andrà rispettata la forma specificamente richiesta per ogni effetto negoziale prodottosi nell’ambito del più complessivo accordo. Si pensi ad un conferimento di un bene per spirito di liberalità da parte di un terzo: esso richiederà la forma solenne prescritta per le donazioni.

Per rimanere alla forma e documentazione del negozio escluderei che debba reputarsi necessaria, tantomeno ai fini della validità dell’accordo, l’unità documentale di esso44. La possibile separatezza delle negoziazioni non mi sembra, per quanto innanzi detto, ostativa neppure all’omologazione. In realtà per quanto detto, sebbene nella pratica la tendenza sia quella di rappresentare gli accordi in maniera testualmente unitaria, nulla

41 Cass., sez. un., 23 gennaio 2013, n. 152 cit.

42 P. Cfr. PERLINGIERI,Forma dei negozi e formalismo degli interpreti, Napoli, 1987, p. 43 s.; ID.,Il diritto civile nella legalità costituzionale, cit., 422 ss.

43 Trib. Milano, 25 marzo 2010, in S. AMBROSINI,Accordi di ristrutturazione dei debiti e finanziamenti alle imprese in crisi, cit., p. 228.

44 L. APPIO e V. DONATIVI, Accordi di ristrutturazione del debito: fattispecie e regime di pubblicità, cit., p.

186; I.L. NOCERA,Architettura strutturale degli accordi di ristrutturazione: un’analisi di diritto civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2011, p. 1146 s.

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esclude che al medesimo risultato possa pervenirsi mediante operazioni e impegni separati. In tal caso ritengo spetti semmai all’imprenditore e al professionista il compito di conferire unitarietà alle pattuizioni descrivendone, nella documentazione a corredo, la complessiva coerenza e idoneità allo scopo.

7. L’art. 182-bis l.f., al suo secondo comma, prevede che l’accordo debba essere pubblicato nel registro delle imprese e che esso acquisti efficacia dal giorno della sua pubblicazione. Dalla stessa data della pubblicazione decorrono i termini per la proposizione delle eventuali opposizioni (182 bis, comma 4, l.f.).

La disposizione, nello stabilire che oggetto di deposito sia l’accordo e non una proposta d’accordo, evidentemente presuppone che l’accordo sia già perfezionato. Il rinvio della sua efficacia al momento del deposito vuole quindi significare non tanto che il deposito rappresenti elemento formativo dell’atto, quanto, al piú, adempimento necessario per ottenere che esso spieghi compiutamente tutti gli effetti ad esso ex lege riconducibili. In questo senso ritengo si possa affermare che tendenzialmente l’accordo è idoneo di per sé a produrre effetti sin dalla sua stipulazione, mentre sono gli effetti tipicamente collegabili all’omologazione che si produrranno dalla pubblicazione nel registro delle imprese45.

O meglio, riprendendo un discorso fatto in precedenza sulla causa concreta degli accordi, ci sarebbe da distinguere. Da un lato potrebbe trattarsi di accordi non espressamente votati a realizzare gli effetti di cui all’art. 182 bis l.f.: in tal caso è indubitabile che gli effetti normalmente ricollegabili all’accordo saranno i normali effetti ricollegabili allo specifico rapporto contrattuale intercorso tra le parti. All’estremo opposto si potrebbero collocare quegli accordi in cui le parti subordino espressamente l’efficacia dell’accordo alla omologazione. In una zona grigia potrebbero collocarsi quegli accordi nei quali si enuncia (o si desume) una generica finalizzazione della rimozione dello stato di crisi senza precisare l’intento di perseguire gli effetti ricollegabili all’art. 182 bis l.f. In tal caso ritengo che sia questione di interpretazione e qualificazione verificare la sussistenza nell’accordo di una condizione implicita della sua destinazione al deposito e alla successiva omologazione con conseguente applicazione della regola della sospensione dell’efficacia dell’accordo appena esaminata, o se questo, qualificabile come semplice concordato stragiudiziale, debba considerarsi efficace sin dall’inizio quanto alle pattuizioni ivi contenute e produrre gli ulteriori effetti di cui all’art. 182 bis l.f. dalla data del deposito. In ogni caso, il rinvio dell’efficacia dell’atto al deposito, non rende l’accordo del tutto improduttivo di effetti. Esso produce gli effetti prodromici che costituiscono il riflesso dell’irrevocabilità del consenso, della «forza di legge», che l’art. 1372 c.c. prevede. Obbligo delle parti, ad esempio, di comportarsi secondo buona fede e di conservare integre le ragioni altrui come risulta dall’art 1358

45 Sul punto, anche per più ampi riferimenti, E. CAPOBIANCO, Gli accordi stragiudiziali per la soluzione della crisi d’impresa. Profili funzionali e strutturali e conseguenze dell’inadempimento del debitore, cit. p.

314. Nello stesso senso A. NIGRO, La disciplina delle crisi patrimoniali delle imprese, cit., p. 73.

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c.c., con tutte le conseguenze che ne discendono, anche in termini di possibilità di avvalersi dei rimedi per l’inadempimento46.

Nell’ipotesi di rigetto dell’omologazione gli effetti prodottisi cesseranno con efficacia, ritengo, retroattiva. Conseguenza che deriva dalla pacifica qualificazione dell’omologazione quale condizione di efficacia dell’accordo. Anche qui si tratterà di verificare quali effetti saranno travolti in relazione alla causa concreta dell’atto, con la conclusione che non lo saranno gli effetti di un accordo che possa comunque “reggersi”

come semplice concordato stragiudiziale o, nel caso di accordi ad architettura più semplice, per quegli effetti ascrivibili alle concrete pattuizioni (remissioni, dilazioni, transazione, in essi contemplate).

Svariate formule condizionali possono poi arricchire ulteriormente gli accordi determinandone, in caso di mancato avveramento l’inefficacia o la risoluzione. Oltre all’esempio già fatto si potrebbe pensare alle adesioni condizionate a loro volta alla conclusione di ulteriori pattuizioni, al raggiungimento di un certo numero di adesioni.

Tra queste ci potrebbe essere quella tendente a condizionare risolutivamente l’efficacia dell’accordo in caso di successivo fallimento. A tal proposito si deve ritenere che detta clausola sia inammissibile. Viene in rilievo, al riguardo, l’ art. 72 l.f. che, nel riferirsi agli effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti, stabilisce che «sono inefficaci le clausole negoziali che fanno dipendere la risoluzione del contratto dal fallimento»47. Quando si tratti di accordi destinati agli effetti di cui all’art. 182 bis l. f., poi, occorre rilevare l’impossibilità di dedurre in condizione un fatto, la dichiarazione di fallimento, che in tal caso non può essere considerato programmaticamente incerto perché è proprio al verificarsi del fatto fallimento che è ancorato l’effetto (l’esenzione da revocatoria) collegato all’accordo48. Ne consegue che, anche in presenza di siffatte condizioni, i creditori aderenti all’accordo potranno insinuarsi al passivo solo per il credito convenzionalmente da essi riconosciuto ed accettato.

8. Le ipotesi di inesecuzione dell’accordo, riferibili sia all’inadempimento del debitore che agli altri soggetti coinvolti nell’accordo non si prestano ad una facile sistemazione – anche quanto alla specifica disciplina – in difetto di qualsivoglia appiglio normativo nella specifica sedes materiae, in considerazione oltretutto della possibile poliedricità sotto il profilo funzionale e strutturale degli accordi in parola. Sulla inapplicabilità delle norme della risoluzione del concordato preventivo agli accordi in discorso si è già detto. Si può qui solo aggiungere che la differente ratio e quindi l’impossibilità di applicazione della disciplina del concordato preventivo in punto di annullamento e di risoluzione può cogliersi nel fatto che la gestione della crisi, negli accordi, si conduce alla stregua delle pattuizioni dei soggetti che ne sono parti e non in ambito giudiziale e comunque al di fuori di una procedura concorsuale; il controllo omologatorio vale semmai soprattutto a

46 V. ROPPO,Profili strutturali e funzionali dei contratti “di salvataggio”(o di ristrutturazione dei debiti d’impresa), cit., p. 385; E. CAPOBIANCO,o.u.c., p. 315.

47 E. CAPOBIANCO,o.u.c., p. 320;

48 E. CAPOBIANCO,o.u.l.c. Nel medesimo senso A. NIGRO, La disciplina delle crisi patrimoniali delle imprese, cit., p. 69.

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verificare che il tentativo di soluzione della crisi sia seriamente realizzabile senza lesione dei diritti dei soggetti che non vi hanno partecipato49. La loro natura esclusivamente privatistica non è tradita dal controllo successivo: in uno stato di diritto contratto e controllo sono – come si è opportunamente sottolineato – destinati a convivere50.

L’inadempimento può però rilevare anche nei confronti di soggetti che parti dell’accordo decisamente non sono: alludo ovviamente ai creditori estranei. A questo proposito sorge il problema di verificare quando si possa parlare di inadempimento dell’accordo rispetto a costoro. Ritorna qui il quesito di cosa debba intendersi con l’espressione dell’art. 182 bis l.f. che prevede che l’accordo debba consentire l’integrale pagamento dei creditori estranei. Al riguardo, in controtendenza con l’opinione prevalente che interpretava il termine ‹‹pagamento regolare›› nel senso di pagamento

«integrale» ed effettuato «alla scadenza», proponevo qualche temperamento nell’interpretazione della formula in considerazione del diverso tenore della disposizione rispetto alla nozione, propria del diritto delle obbligazioni, di «esatta esecuzione della prestazione dovuta» (art. 1218 c.c.), ipotizzando – ferma la necessaria integralità sotto il profilo qualitativo del pagamento – la omologabilità di accordi nei quali la scadenza del debito fosse già avvenuta all’atto del deposito dell’accordo o del quale, consuetudinariamente, l’imprenditore avesse tollerato il pagamento tardivo, fermo ovviamente restando il diritto di opposizione del terzo interessato51. Ciò naturalmente nella prospettiva, che non mi pareva esclusa proprio dalla formula legislativa, che adottando la tesi piú intransigente sarebbe stato difficile individuare accordi omologabili.

Sembra che la riforma del 2012 abbia dato tendenzialmente ragione all’opinione meno rigorosa escludendo ancora una volta che l’adempimento debba essere necessariamente ‹‹esatto›› ma prevedendo, quantomeno, che debba trattarsi di un pagamento ‹‹integrale››. Nuovamente la legge rinuncia, quindi, alla necessità di considerarlo ‹‹esatto›› quantomeno con riguardo alla sua scadenza. Viene infatti individuato un termine legale di tolleranza di centoventi giorni che decorrono dall’omologazione per i crediti scaduti a tale data, e dalla scadenza, in caso di crediti non ancora scaduti.

Rifuggendo dalla tentazione di guardare con diffidenza alla norma, da taluno sospettata di violare il principio di relatività degli effetti del contratto, o peggio di realizzare, di fatto, un esproprio del credito senza indennizzo con conseguenti sospetti di incostituzionalità52, mi sembra che molto più semplicemente possa discorrersi in tal caso di possibile deroga al principio della relatività degli effetti del contratto pienamente in linea col disposto dell’art. 1372 c.c. (norma che si pretende esser stata violata) nella parte in cui ammette che il contratto possa produrre effetti con riguardo ai terzi ‹‹nei casi previsti dalla legge››. Peraltro un intervento eteronomo sui termini di pagamento non è

49 Trib. Bologna, 17 novembre 2011, cit.

50 P. PERLINGIERI,Il diritto civile nella legalità costituzionale, cit., p. 368 e ivi, alla nota 328, ulteriori riferimenti.

51 E. CAPOBIANCO,Gli accordi stragiudiziali per la soluzione della crisi d’impresa, cit., p. 304 ss.

52 F. LAMANNA, La legge fallimentare dopo il “Decreto sviluppo", in Il civilista (Speciale Riforma), 2012, p. 76.

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più una anomalia del sistema visto che la legge è ormai entrata in maniera invasiva in argomento (d.lg 9 ottobre 2002, n. 231). Proprio però per fugare tali sospetti deve escludersi che la norma abbia previsto una sostituzione ex lege del termine di scadenza originario del credito53, giacché essa, nello stabilire che l’accordo debba essere idoneo ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei nel rispetto dei maggiori termini previsti dalla legge, espressamente prevede che i crediti stessi possano essere già

‹‹scaduti››: ne consegue che i crediti in questione dovranno comunque essere pagati integralmente e in tutte le loro componenti, ivi inclusi, quindi gli interessi prodottisi con la originaria scadenza, ma al contempo se ne deve ammettere una loro temporanea inesigibilità. Non è poi escluso che della norma possa darsi anche una ulteriore lettura che sarebbe questa volta in linea con la regolare applicazione dell’art. 1372 c.c.: e cioè potrebbe ipotizzarsi che la norma non incida minimamente sulla posizione dei terzi creditori estranei, neppure sul fronte della temporanea inesigibilità del credito, ma si limiti a stabilire una condizione di ammissibilità dell’accordo: in questa prospettiva sarebbe tollerabile, e potrebbe quindi omologarsi, un accordo nel quale il debitore dichiari che non ce la farà a pagare i creditori estranei alla scadenza purché però sia assicurato il pagamento tardivo, ma integrale, nei centoventi giorni successivi. In questo caso nulla vieterebbe che, decorso l’originario termine di scadenza, l’estraneo metta in mora il debitore e proponga le azioni a tutela del credito, fermo restando il divieto di intraprendere azioni esecutive e cautelari nel termine di sessanta giorni dalla pubblicazione di cui all’art. 182 bis, comma 3, l.f. In questo caso il terzo sarebbe assolutamente immune da ogni effetto ‹‹in danno›› dell’accordo e in questa prospettiva, più rigorosa, ci si potrebbe addirittura chiedere se costui non sia legittimato ad opporsi ad un accordo che determini l’anzidetto effetto di tolleranza nell’ipotesi in cui l’originario termine di scadenza debba ritenersi per lui un termine essenziale.

In caso di inadempimento il creditore estraneo, in quanto terzo, non potrà chiedere invece la risoluzione dell’accordo. Viceversa potrà chiedere l’adempimento del proprio credito, l’esecuzione in forma specifica, il risarcimento danni, in applicazione delle regole del diritto comune. Potrà invocare – ritengo nonostante l’omologazione dell’accordo - la decadenza del beneficio del termine in caso di crediti non ancora scaduti qualora ne ricorrano i presupposti (art. 1186 c.c.). Potrà, inoltre, chiedere l’adempimento di quegli accordi che prevedano specifici e ulteriori impegni in suo favore secondo le norme sul contratto a favore di terzi (art. 1411 ss. c.c.). Potrà infine, decorso il termine di sessanta giorni dal deposito dell’accordo presso il registro delle imprese, proporre istanza di fallimento dovendosi ritenere ricompreso nel divieto di intraprendere procedure esecutive e cautelari, a maggior ragione, quello di presentare istanze di fallimento. Salvo a vedere se possa incidere su tale facoltà il maggior termine di centoventi giorni dall’omologazione di cui innanzi si è detto.

Con riguardo invece alla situazione dei creditori aderenti, le ipotesi possono essere molteplici. Il caso piú semplice, che l’accordo intercorra con un unico creditore, implica

53 Nello stesso senso S. AMBROSINI,Accordi di ristrutturazione dei debiti e finanziamenti alle imprese in crisi, cit. p. 114 ss.

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