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Finalmente è l’appello il rimedio impugnatorio avverso l’ordinanza che dichiara esecutivo il progetto di divisione nonostante la presenza di contestazioni - Judicium

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OMBARDI

Finalmente è l’appello il rimedio impugnatorio avverso l’ordinanza che dichiara esecutivo il progetto di divisione nonostante la presenza di contestazioni.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite; sentenza 2 ottobre 2012, n. 16727; Pres.VITTORIA; Est.

PETITTI;P.MCENICCOLA (concl. conf.); Balduzzi B. (Avv. Lugano e Fusillo)c. Balduzzi F. e altri (Avv. Alvigni e Codacci-Pisanelli). Cassa ord. Trib. Tortona 14 giugno 2005.

"L'ordinanza che, ai sensi dell'art. 789, terzo comma, cod. proc. civ., dichiara esecutivo il progetto di divisione in presenza di contestazioni ha natura di sentenza ed è quindi impugnabile con l'appello".

SOMMARIO: 1. L'ordinanza di rimessione: lo stato della giurisprudenza prima dell'intervento delle Sezioni Unite. - 2. La soluzione delle Sezioni Unite: l'individuazione dell'appello come mezzo di impugnazione dell'ordinanza emessa ex art. 789, 3°co., c.p.c. in presenza di contestazioni. - 3. Le ragioni del mutamento giurisprudenziale. - 4. (Segue) L' appello quale via da percorrere prima del d. lgs. n. 51/ 1998. - 5. L'appello e la delimitazione dei tempi del giudizio divisorio.

1. - La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, risponde all'ordinanza interlocutoria della seconda sezione civile che aveva considerato di particolare importanza la questione inerente all'individuazione dello strumento di impugnazione dell'ordinanza che approva e dichiara esecutivo il progetto di divisione nonostante la presenza di contestazioni1.

I termini della questione erano stati ben delineati nell'ordinanza di rimessione. Essa, dato atto che l'orientamento maggioritario nella giurisprudenza di legittimità aveva rinvenuto lo strumento di critica avverso l'ordinanza di cui all'art. 789, 3°co., c.p.c. resa in assenza dei suoi presupposti nel ricorso straordinario in cassazione di cui all'art. 111 Cost. - più esattamente assumendo che l'ordinanza così resa ha natura decisoria in quanto incide, sia pure in modo abnorme, sui diritti delle parti, ed è definitiva attesa l'assenza di meccanismi idonei a consentire il riesame del provvedimento2 - , e che a tale orientamento si erano contrapposte alcune pronunce in cui si era affermato che l'ordinanza de qua si configura come provvedimento abnorme non decisorio nei confronti del quale è esperibile l'actio nullitatis, ordinaria azione di accertamento per la declaratoria di inefficacia del provvedimento adottato fuori dalle sue attribuzioni3, rilevava che a partire dalla pronuncia n. 4245 del 2010 - emessa riguardo alla correlata fattispecie dell'ordinanza per la vendita di beni di cui all'art. 788 c.p.c. - si era consolidato un diverso indirizzo giurisprudenziale che, facendo leva sulla devoluzione dei giudizi di divisione alla cognizione del tribunale in composizione monocratica avvenuta con il d.lgs. n. 51/1998, e sulla conseguente impossibilità di ritenere l'ordinanza resa in presenza di contestazioni abnorme, in quanto oramai proveniente da un organo abilitato a decidere, invocando il principio della c.d. della prevalenza

1 Cass. (ord.) 22 giugno 2011, n. 13701, in Foro it., I, 2011, 3020, con nostra nota, Ancora sull'impugnazione dell'ordinanza di approvazione del progetto di divisione.

2 Tra le altre, Cass. 28 settembre 2006, n. 21064, Foro it., 2007, I, 810.

3 Cass. 10 giugno 2004, n. 10995.

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della sostanza sulla forma, aveva ravvisato nell'appello il rimedio da utilizzare nei confronti di detta ordinanza4.

Questa soluzione, però, non era apparsa al Collegio remittente in linea con la valorizzazione del principio c.d. di "apparenza", teso a privilegiare l'affidamento delle parti in ragione della forma data dal giudice, operata dalla stessa Corte in recenti pronunce, rese in altri ambiti5, che, sospinto altresì dall'esigenza di "chiarire" gli effetti del revirement giurisprudenziale sui ricorsi per cassazione pendenti e fondati sul precedente maggioritario orientamento giurisprudenziale, aveva ritenuto opportuna la rimessione alle Sezioni unite.

La pronuncia in esame risponde al "quesito" dando avallo al più recente ed innovativo indirizzo.

2. - Attraverso una serie di passaggi argomentativi - passaggi espressi all'esito di una ricostruzione pur di valenza storica - i giudici di legittimità, nella più autorevole composizione, pervengono alla conclusione per cui è l'appello il rimedio impugnatorio che fin dall'entrata in vigore del codice di rito andava esperito avverso l'ordinanza che ex art. 789, 3°co., c.p.c. dichiara esecutivo il progetto di divisione nonostante la presenza di contestazioni.

Il percorso logico-giuridico seguito dalle Sezioni Unite può essere così sintetizzato: a) la questione va risolta tenendo conto delle peculiarità del giudizio di divisione, quale procedimento speciale contenuto nel libro IV del codice di rito; b) l'art. 789, 3° co., c.p.c. traccia un doppio binario di definizione del processo divisorio: se non sorgono contestazioni sul progetto di divisione il giudice pronuncia un'ordinanza, altrimenti pronuncia una sentenza; pertanto l'ordinanza emessa in presenza di contestazioni "sostituisce la sentenza che dovrebbe essere pronunciata per la risoluzione delle proposte contestazioni" e "in questa funzione oggettivamente sostitutiva della sentenza", va rinvenuta la necessità di adoperare il medesimo controllo che il sistema prevede ove la decisione sia correttamente adottata con sentenza; c) l'orientamento giurisprudenziale maggioritario affermatosi nel passato, configurava l'ordinanza emessa in presenza di contestazioni come un provvedimento abnorme - pertanto ricorribile ai sensi dell'art. 111 Cost. -, perché teneva conto della dualità tra giudice istruttore e collegio, dualità che è venuta meno con la devoluzione del giudizio di divisione alla cognizione del tribunale in composizione monocratica operata dal d.lgs. n. 51del 1998; d) ad ogni modo non è la modifica del quadro di riferimento normativo a giustificare l'individuazione nell'appello come rimedio impugnatorio esperibile avverso l'ordinanza in questione perchè, come affermato in una pronuncia del 1997 dalla stessa Cassazione e da un orientamento dottrinale, l'appello era il mezzo di controllo da adottare anche prima della istituzione del giudice monocratico di tribunale, potendosi anche allora invocare il principio della c.d. prevalenza della sostanza sulla forma; e) alla soluzione prescelta non osta il principio recentemente affermato dalle stesse Sezioni unite6, in tema di opposizione a decreto ingiuntivo per onorari ed altre spettanze dovuti dal cliente al difensore, per il quale il mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale va individuato in base alla forma adottata, ove la stessa sia frutto di una consapevole scelta, anche implicita e desumibile dalle modalità con le quali si è svolto il procedimento, perchè tale principio - pur sorretto da una motivazione estensibile ad ogni ipotesi di scomposizione tra forma e contenuto legale tipico del provvedimento reso - è stato affermato riguardo ad un procedimento la cui disciplina positiva non contiene, come è nel giudizio divisorio, espressamente un'alternativa di pronuncia determinata dalla insorgenza o meno di contestazioni, cosicché la parte è in grado di intendere che il giudice, pronunciando l'ordinanza ha esplicitamente o implicitamente rigettato le contestazioni, e che quindi ha emesso un

4 Cass. 4 aprile 2011, n. 7665; Cass. 8 novembre 2010, n. 22663; Cass. 24 novembre 2010 n. 23840.

5 Cass. 27 dicembre 2011, n. 3712 e Cass. 11 gennaio 2011, n. 390.

6 Cass.11 gennaio 2011, n. 390.

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provvedimento a contenuto decisorio, come tale appellabile; f) a conferma della correttezza di tale ragionamento vi è il principio, affermatosi nell'ambito dell'indirizzo favorevole al ricorso ex art.

111 Cost., per il quale ove l'istruttore dichiari esecutivo il progetto di divisione nonostante le contestazioni, non ha interesse a proporre impugnazione la parte che all'udienza di discussione non (ri)sollevi alcuna contestazione su detto progetto7, da cui ne discende che solo il condividente che ha proposto le contestazioni e che ha la "consapevolezza" della natura decisoria del provvedimento reso e lesivo di un suo diritto, e la "consapevolezza" che quel provvedimento doveva avere la veste di sentenza, ha interesse ad impugnare, e lo strumento "non può essere altro che l'appello".

A conclusione di questo iter argomentativo però la Corte non dichiara l'inammissibilità del ricorso proposto; tenuto conto che la parte aveva uniformato la propria condotta processuale al pregresso prevalente orientamento giurisprudenziale che rinveniva nell'art. 111 Cost. lo strumento di controllo dell'ordinanza ex art. 789, 3° comma, c.p.c., resa malgrado le contestazioni, ritiene di dover esaminare il ricorso nel merito e, verificata la sussistenza di contestazioni incidenti sull'approvazione del progetto di divisione, lo ritiene fondato.

3. - La decisione della Corte segna un importante e, da noi auspicato, traguardo8. L' intervento risolutivo e chiarificatore delle Sezioni Unite sul punto era divenuto indispensabile onde far cessare il perdurante stato di disorientamento in cui era stretto il difensore del condividente parte di un giudizio divisorio che aveva contestato il progetto di divisione; ora smette di peregrinare tra il ricorso ex art. 111 Cost., l’actio nullitatis e l’appello - lunga e costosa trafila che negli ultimi tempi era costretto a percorrere contestualmente per evitare ogni preclusione - e "serenamente"

propone solo l'appello.

Va però evidenziato che sebbene prima facie l'incedere argomentativo della motivazione sembra chiaro e lineare ad una più attenta lettura si intravedono talune lacune.

Due sono le ragioni per le quali ad avviso della Corte occorre adoperare l'appello avverso l'ordinanza de qua: 1) ragioni di ordine sistematico; 2) ragioni di delimitazione dei tempi del processo.

Riguardo al primo profilo evidenziamo subito la correttezza della prospettiva da cui muove la Corte. Essa afferma che la soluzione della questione relativa all'individuazione dell'effettivo regime di impugnabilità dell'ordinanza resa in presenza di contestazioni va ricercata "alla luce delle peculiarità del giudizio di divisione". Invero non da oggi abbiamo segnalato che i profili problematici del giudizio divisorio vanno affrontati tenendo conto della speciale disciplina prevista dal legislatore del '42. Troppo spesso ci è sembrato che le questioni interpretative ed applicative relative a tale giudizio sono state determinate dalla tendenza, radicata soprattutto nell'esperienza pratica, di piegare tale processo su quello di cognizione ordinario, di smussare gli angoli della sua specialità, di non considerare affatto che esso ruota intorno al principio della non contestazione (art.

115 c.p.c.) 9.

7 Cass. 21 luglio 2003, n. 11328.

8 V. il nostro Contributo allo Studio del giudizio divisorio. Provvedimenti e regime di impugnazione, Napoli, 2009, 260 ss., e prima ancora, Sull'impugnazione dell'ordinanza che rende esecutivo il progetto di divisione, in Riv. dir. proc., 2006, 305 ss., Una novità in tema di impugnazione dei provvedimenti resi nel giudizio divisorio, in Foro it., I, 2010, 2796, nonché Ancora sull'impugnazione, cit.

9 V. la problematica relativa alla natura delle sentenze emesse nel corso del giudizio e del loro regime di impugnazione (su cui LOMBARDI, Considerazioni sull' azione di riduzione e sul giudizio divisorio, in Corr.

giur. 2012, 11), quella sulla necessità o meno di comunicare al condividente contumace il decreto di fissazione del dell'udienza di discussione del progetto di divisone (ID.,Progetto di divisione: dubbi sulla necessità della comunicazione al contumace del decreto di fissazione dell'udienza di discussione e possibile interruzione del processo, in Foro it. 2010, I, 1724), nonchè le questioni che sono emerse

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In ragione di tale premessa la Corte delinea la struttura del giudizio di divisione rimarcandone la modularità per fasi; poi, soffermatasi sull'art. 789 c.p.c., riprende il suo precedente indirizzo secondo cui mentre l'ordinanza resa in assenza di contestazioni si limita "a prendere atto dell'esistenza di un accordo delle parti" sul progetto di divisione, ed è quindi priva di contenuto decisorio, quella resa in presenza di contestazioni ha contenuto decisorio perchè contiene una statuizione sulle stesse.

Alle Sezioni Unite il passo successivo appare breve: se il giudice si pronuncia sulle contestazioni con ordinanza il condividente è abilitato ad adoperare l'appello, quale rimedio che avrebbe utilizzato se il giudice avesse reso il provvedimento indicato dalla legge (art. 789, 3°co., c.p.c.), e postasi in tale ottica richiama al c.d. principio della prevalenza della sostanza sulla forma.

Ma il discorso sembra alla Corte così scorrevole che fa un altro e più lungo passo: afferma che il medesimo ragionamento, nei medesimi termini, andava sviluppato anche prima della riforma operata dal d.lgs. n. 51 del 1998. L'opzione dell'appello - segnala la Corte - era già stata espressa in una risalente pronuncia nella quale, con riguardo al solo caso (da tener distinto dagli altri10) in cui l'istruttore in presenza di contestazioni invece di rimettere la causa al collegio, come disposto dall'art. 789 c.p.c., si pronuncia su di esse con ordinanza - così sostituendo un diverso progetto a quello già predisposto -, si era affermato che tale provvedimento "viene ad assumere natura di sentenza ed in quanto tale non può che essere impugnata con i normali mezzi di impugnazione (appello ecc.)"11. Di tal guisa le Sezioni Unite non condividono l'orientamento che, nel periodo in cui le battute procedimentali del giudizio divisorio si distribuivano tra giudice istruttore e collegio, configurava la suddetta ordinanza in termini di abnormità; il principio della prevalenza della sostanza sulla forma andava invocato anche in passato - ritengono - e il provvedimento non rispondente al modello legale - più esattamente anomalo - andava vagliato in virtù del suo contenuto effettivo e in ragione di esso individuato il giudice dell'impugnazione, considerando i requisiti formali del provvedimento "per come adottato e non già a quelli che avrebbe dovuto avere ove, oltre alla sostanza, avesse avuto la forma della sentenza". E concludono affermando che la soluzione ipotizzata nella sentenza del 1997 "avrebbe meritato migliore sorte, come del resto prospettato da parte della dottrina, nel senso di affermare già nel precedente ordinamento processuale la appellabilità dell'ordinanza emessa ai sensi dell'art. 789, terzo comma, pur in presenza di contestazioni".

Probabilmente le Sezioni Unite non si avvedono che così concludendo, pur confermando l'indirizzo innovativo favorevole all'appello, finiscono per svilirne il fulcro argomentativo. Ed è questo è il passaggio della motivazione che va imprescindibilmente rimarcato, questo è l'elemento di novità della pronuncia in esame rispetto a quelle recenti che hanno segnato il mutamento giurisprudenziale.

Non crediamo sfugga all'attento lettore che il passaggio avrebbe meritato una più chiara illustrazione. Ad ogni modo, condivendo la scelta finale del Collegio, senza poter dar conto in questa sede in modo dettagliato dei termini del contrasto giurisprudenziale al riguardo e del correlativo dibattito dottrinale, che poi origina dalla natura del giudizio divisorio nel suo complesso, ci limitiamo a fare qualche breve osservazione.

Premesso che un primo cenno all'appellabilità dell'ordinanza de qua si rinviene in una più risalente pronuncia del 1965 allorché la Cassazione12, concedendo in via di “mera astrazione” un’ampia

nell'espropriazione di beni indivisi (ID., Profili problematici dell'espropriazione di beni indivisi, in Riv. dir.

proc., 2012). Per un'analisi sull'oggetto del giudizio divisorio v. DI COLA, L'oggetto del giudizio di divisione, Milano 2011.

10 Cioè i casi "nei quali le contestazioni non vengono esaminate o nel caso di contumacia dei condividenti ai quali non è stata comunicata l'udienza di discussione" (testualmente in motivazione).

11 Cass. 4 aprile 1997, n. 2913.

12 Cass. 28 luglio 1965, n. 1801, in Giust. civ., 1966, I, 102.

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“latitudine di gravami” contro l’ordinanza viziata, ammetteva, oltre alle normali azioni d’impugnativa dei negozi giuridici e all’impugnativa per cassazione del provvedimento abnorme, trasformatosi in decisorio per avere il giudice istruttore usurpato i poteri del collegio, anche l’appello richiamando l’orientamento giurisprudenziale relativo all’ordinanza per la licenza di sfratto per il quale se il provvedimento è reso nel difetto dei presupposti, benché abbia la forma di ordinanza, acquista l’intrinseco contenuto di sentenza soggetta, in quanto tale, al rimedio dell’appello, va invero evidenziato che "migliore sorte" la pronuncia del 1997 - dove peraltro l'ipotesi al vaglio della Corte era quella dell'ordinanza resa nonostante la mancata comunicazione ai condividenti contumaci della fissazione dell'udienza di discussione del progetto di divisione rispetto alla quale la Corte ritenne che l'ordinanza non avesse contenuto decisorio e andasse proposta l'actio nullitatis - non avrebbe potuto avere giacché la resistenza più forte all'uso dell'appello proveniva proprio dagli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità.

Difatti essa, sia quando si era mostrata propensa dell'uso del ricorso ex art. 111 Cost., sia quando aveva optato per l'uso dell' actio nullitatis, aveva assunto un atteggiamento di radicale chiusura verso l'applicazione del principio della c.d. prevalenza della sostanza sulla forma. Anche la dottrina che aveva denunciato l'incoerenza esistente in giurisprudenza tra natura giuridica e regime di impugnabilità dell'ordinanza dichiarativa dell'esecutività del progetto di divisione pronunciata al di fuori dei presupposti di legge, aveva segnalato che la Corte, sostenendo che il rimedio contro l'ordinanza pronunciata in presenza di contestazioni è impugnabile con il ricorso straordinario in cassazione non intendeva far leva su detto principio ma, al contrario, dava per scontata la non appellabilità del provvedimento, essendo la non impugnabilità con alcun mezzo uno dei requisiti per proporre il menzionato ricorso13.

Al contempo, rendeva l'ordinanza in questione "insuscettibile dei normali mezzi di impugnazione"14 quel radicato orientamento, sostenuto anche dalla dottrina, che si riportava al principio per cui nel giudizio divisorio il giudice istruttore svolge un'attività esclusivamente organizzatoria ed è privo di qualsiasi potere decisorio, potere che l'ordinamento demandava

"espressamente [...] ad un diverso giudice"15.

L'uso scomposto in giurisprudenza di formule stereotipe che orientavano ora verso la decisorietà dell'ordinanza in esame, ora verso la non decisorietà della stessa, ora verso la sua abnormità, ora verso la sua anomalia, e che svilivano la particolare struttura del giudizio divisorio, contribuiva a lasciare in balia delle onde la soluzione della questione in esame.

Invero una riflessione sui poteri del giudice nel procedimento per lo scioglimento di comunione, è divenuta evidentemente necessaria con la c.d. riforma sul giudice unico, cui è seguita un'intensa opera novellatrice all'esito della quale è risultato diversamente connotato il ruolo del giudice di tribunale (istruttore o giudicante) e il tipo di provvedimento che, in base al ruolo, è tenuto a pronunciare (ordinanza o sentenza). Più esattamente rispetto alle cause di competenza del tribunale

13MANDRIOLI, Sui rimedi contro l'ordinanza che approva il progetto divisionale pronunciata senza i presupposti di legge, Giur. it., 1982, 1, I, 1516, il quale più esattamente notava che “nella logica della Cassazione non c’è posto per una configurazione del provvedimento de quo, in quanto abnorme, come

“diverso” da quello “normale”, perché, in questo ordine di idee, la sua sostanza decisoria - anch’essa essenziale per l’impugnabilità col ricorso ex art. 111 - dovrebbe fondarne l’appellabilità”.

14 Così Cass. 4 aprile 1987, n. 3262, in Nuova giur. civ. comm., 1987, I, 691.

15 Tra le più risalenti Cass. 17 giugno 1959, n. 1902, in Foro it. 1960, I, 1384; Cass. 20 luglio 1965, n. 1801, in Foro it., 1966, I, 1380; tra le più recenti invece Cass. 10 giugno n.10995, del 2004; Cass. 5 maggio 2003, n. 6838; Cass. sez. un. 1° marzo 1995, n. 2317. In dottrina v., ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, IV, Napoli, 1964, 614; ACONE, Note sul giudizio di divisione per stralcio di quota, in Riv. dir. proc., 1961, II, 131, 139; PAVANINI, Natura del giudizio divisorio, Padova, 1942,163.

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allo schema processuale "collegio-potere decisorio-sentenza" si è affiancato lo schema "giudice monocratico- potere decisorio- ordinanza"16.

L'attuale impianto normativo non poteva consentire al giudice della nomofilachia di ragionare, come aveva fatto in passato, in termini di “usurpazione” da parte del giudice singolo delle funzioni del collegio17: l'introduzione dell'art. 50 bis, che ha espunto tra le riserve di collegialità le azioni di divisione, aveva fatto evidentemente crollare il muro più alto posto sulla strada dell'appellabilità dell'ordinanza in esame.

Non va poi trascurato che l'esigenza di ragionare sull'effettivo regime di impugnabilità dell'ordinanza emessa ex art. 789, 3 co., c.p.c. malgrado le contestazioni, si è fatta maggiormente pressante allorchè si sono palesati gli esiti del generale abuso del ricorso straordinario in cassazione ex art. 111 Cost., abuso patente anche nella materia in esame ove esso è stato adoperato come risorsa estrema per lamentare ogni vizio (di forma e/o di sostanza) dell'ordinanza ex art. 789, 3°co., c.p.c.18.

Va soggiunto che la dottrina più recente aveva già sollecitato il ricorso al principio della prevalenza della sostanza sulla forma per la soluzione della problematica in esame19. Anche noi in altra sede20, approfondendo il tema, avevamo ritenuto che il menzionato principio21 è idoneo ad essere applicato nel giudizio divisorio allorché il giudice erroneamente emette provvedimenti a contenuto decisorio in forma di ordinanza; tale principio risponde alla garanzia del diritto di difesa delle parti, è teso a neutralizzare l'errore del giudice e ad assicurare alla parte, i cui diritti soggettivi sono stati incisi dal provvedimento del giudice, il regime giuridico proprio del provvedimento che andava emesso secondo la prescrizione normativa. E quello dell'errore del giudice nell'adottare la forma del provvedimento (con ordinanza là dove avrebbe dovuto emanare sentenza e viceversa) è problema che può verificarsi in più occasioni in un processo in cui si pone l'esigenza di chiudere ogni singola battuta con ordinanza o con sentenza in dipendenza dell'atteggiamento che i condividenti assumono al suo interno.

Peraltro la riforma del giudice unico ha consentito di superare le posizioni giurisprudenziali che ne limitavano l’utilità22, non ponendosi più l’ostacolo del requisito formale della sottoscrizione del provvedimento: l’ordinanza e la sentenza provengono dallo stesso giudice ed entrambe sono da lui

16 LOMBARDI, Una novità, cit. par. 3.

17 Cfr. gli artt. 186 bis, ter, quater, 281 sexies, 702 bis ss., 279, 1° co. , c.p.c.

18 Al riguardo v. la casistica riportata da noi riportata nel Commento all'art.789, in Codice di procedura civile commentato, a cura di Comoglio-Vaccarella, Milano, 2010, 3213 s.. Sull'abuso del ricorso straordinario ex art. 111 Cost. v. TISCINI,Il ricorso straordinario in cassazione, Torino, 2005, ma anche CARBONE, E’ ricorribile l’ordinanza che dichiara esecutivo il progetto divisionale? in Corr. giur., 1996, 444.

19TISCINI, op. cit., 230; CRISCUOLO, Il contenzioso in tema di scioglimento delle comunioni: tecniche di conduzione, in Arch. civ., 2000, 946; MORELLI, La comunione e la divisione ereditaria, in Giur. sist. dir.

proc. civ., diretta da Proto Pisani, Torino 1998, 268; IMPAGNATIELLO, oss. a Cass. s.u. 1 marzo 1995, n.

2317, in Foro it., 1996, I, 3462; CARRATTA, Il principio della non contestazione nel processo civile, Milano, 1995, 424.

20Contributo, cit., 270 ss., e prima ancora in Sull’impugnazione dell’ordinanza, cit.,312ss.,ove vengono analizzati e distinti i vari momenti in cui il giudice incorre in errore e la prospettiva di applicazione del menzionato principio.

21Il principio trova applicazione in vari ambiti: così quando dell'ordinanza di convalida di licenza o sfratto viene resa nonostante la comparizione e l'opposizione dell'intimato all'udienza, o nel procedimento per l'esecuzione degli obblighi di fare ove il giudice dell'esecuzione decide le controversie sulla portata sostanziale del titolo e statuisca in modo contrastante con il contenuto del titolo stesso.

22V. CARRATTA, Sul provvedimento giudiziale c.d. abnorme e sui limiti della prevalenza della “sostanza”

sulla “forma”, in Giur. it., 2000, 926, e “Sostanza” del provvedimento abnorme e impugnazioni: le

“sopravvalutazioni formalistiche” della Cassazione, in Corr. giur., 2002, 1595.

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sottoscritte, onde non vi è un vizio del provvedimento che ne impedisce la configurazione come sentenza.

Quanto infine al rapporto tra il c.d. principio della prevalenza della sostanza sulla forma e quello c.d. di "apparenza e affidabilità"23, profilo messo in luce nell'ordinanza di rimessione, le Sezioni Unite, tornando a richiamare la specialità del giudizio divisorio, affermano che in tale giudizio non si pone un problema di tutela dell'affidamento della parte in relazione al rimedio impugnatorio da proporre in base alla forma del provvedimento adoperata dal giudice - ove la stessa sia frutto di una consapevole scelta, anche implicita, desumibile dalle modalità con le quali si è in concreto svolto il procedimento - giacché il condividente che solleva una contestazione sollecita il giudice ad accertare la sussistenza dei propri diritti e dunque è in grado di riconoscere che il provvedimento pronunciato ha contenuto decisorio a prescindere dalla veste adottata.

L'impostazione della questione, che invero meriterebbe un approfondimento maggiore, ci sembra condivisibile. Nel procedimento di scioglimento di comunioni l’iter processuale è obbligato e predeterminato, in termini chiari, dal legislatore; è articolato in due distinte fasi fondamentali, quella tesa ad accertare il diritto alla divisione e quella volta a determinare il contenuto del diritto stesso, alle quali possono aggiungersi altre eventuali fasi (vendita dei beni comuni ed estrazione a sorte dei lotti), tutte caratterizzate dalla provocatio a reagire che si evince dalla diversità di direzione che prende il processo, sotto il profilo della trattazione e della decisione, a seconda del se siano elevate o meno contestazioni.

Così le parti del processo effettuano le proprie scelte sapendo qual è il modo in cui esso si svolge. Ciascun condividente ha piena conoscenza del percorso che va seguito e delle conseguenze del suo contegno processuale e in ragione di queste, consapevolmente, può scegliere di astenersi dal compimento dell’attività di costituzione, senza poi dolersi del normale andamento processuale teso alla redazione e attuazione di un progetto di divisione24, così come, una volta costituitosi, può scegliere nell'ambito di ciascuna fase se elevare o meno contestazioni, ben sapendo che se contesta il giudice dovrà provvedere a mente dell'art. 187, c.p.c., id est emanare un provvedimento che si pronuncia sulla sussistenza o meno dei suoi diritti.

In conclusione, si può osservare che i tempi erano maturi per la svolta giurisprudenziale e che, a nostro avviso, le Sezioni Unite difficilmente sarebbero riuscite ad ancorarsi ai propri precedenti e

"ballerini" orientamenti.

4. - I rilievi che precedono non escludono, tuttavia, che, come ritenuto dalle Sezioni Unite, anche prima della riforma sul c.d. giudice unico si potesse percorrere la via dell'appello.

Ma a tale conclusione, a nostro avviso, si può pervenire solo attraverso una più consapevole riflessione sull'istituto del giudizio divisorio.

Difatti, abbiamo illustrato nell'ambito di una più vasta indagine sul tema che ravvisando la natura decisoria anche nell'ordinanza resa in assenza di contestazioni, e dunque ritenendo che il giudice istruttore nel giudizio divisorio è sempre stato abilitato, sia pur in presenza di determinati presupposti (quale la non contestazione), a rendere provvedimenti a contenuto decisorio25 - e di conseguenza che l'ordinanza pronunciata a mente dell' art. 789 c.p.c. non muta natura in dipendenza della presenza o meno di contestazioni26 -, si potrebbe più agevolmente mettere in discussione il passato27.

23 Su cui, tra gli altri, RUFFINI, Mutamenti di giurisprudenza nell'interpretazione delle riforme processuali, in Riv. dir. proc., 2011, 1390 ss.; COSTANTINO Il principio di affidamento tra fluidità delle regole e certezza del diritto, ivi, 2011, 1073 ss.

24 Al riguardo v. LOMBARDI, Progetto di divisione, cit., 1724.

25 cfr. anche BALENA, Provvedimenti sommari esecutivi e garanzie costituzionali, in Foro it., 1998, I, 1547.

26 Contributo, cit., 235 ss.

27 A tale conclusione siamo giunti soltanto una volta appurato che: a) la non contestazione in tale giudizio svolge una funzione sostitutiva dell’istruzione ordinaria e non incide sulla natura del provvedimento reso; b)

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Ma, come si è visto innanzi, questa non è l'opinione della Cassazione, la quale anche nella pronuncia in esame ribadisce che in mancanza di contestazioni il giudizio divisorio si chiude in forme non contenziose.

5. - E' poi completamente oscuro il secondo motivo che adducono le Sezioni Unite a favore dell'appello: "evidenti ragioni di delimitazione dei tempi del processo". Quale fosse il ragionamento di fondo non è dato di sapere e neppure di intuire, e così non abbiamo tutti gli estremi per condividere o meno questo passaggio.

Possiamo solo rilevare che la crisi delle Corti di appello che negli ultimi anni si è notevolmente accentuata in conseguenza della istituzione del giudice unico e di più recenti innovazioni (come quella che ha reso obbligatorio l'uso del procedimento sommario di cognizione rispetto a determinate materie), che hanno fatto confluire presso questi uffici nuovo contenzioso, è un dato a tutti noto e che non poteva sfuggire alle Sezioni Unite. E così non ci sembra che la giustamente perseguita esigenza accelleratoria del giudizio divisorio possa essere soddisfatta con il mero passaggio della fase di impugnazione dell'ordinanza in esame dalla Corte di cassazione alla Corte di appello (anche perchè all'appello potrebbe seguire il ricorso in cassazione ordinario).

Ad ogni modo prendiamo spunto dalla affermazione della Corte per evidenziare che la pronuncia in esame si trova subito a doversi confrontare con "il nuovo appello", frutto della recente riforma introdotta l'art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazione dalla l. 7 agosto 2012, n. 134, in vigore dall'11 settembre 201228, in particolare con la novità più evidente (e maggiormente criticata anche sotto in profilo costituzionale) della riforma che è l'introduzione del

"filtro" all'appello: allo stato attuale, a mente dell'art. 348 bis, 1° co., c.p.c. il giudice dichiara l'impugnazione inammissibile "quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta".

Appena giunto in Corte di appello l'atto di appello avverso l'ordinanza ex art. 789, 3° co., c.p.c., viene sottoposto alla valutazione "discrezionale" del giudice circa la sua fondatezza o meno e subito potrebbe subire gli esiti di un allungamento del processo di appello determinato dalla previsione di cui all'art. 348 ter c.p.c. il quale sembrerebbe aver reso necessaria la definizione dell'appello in più udienze.

Ma per quanto attiene alla questione sottoposta al vaglio delle Sezioni Unite ci sembra di poter osservare che essa non necessitava di una soluzione che rispondesse ad esigenze di celerità quanto piuttosto di una soluzione che fosse adeguata rispetto a quello che è il valore della tutela effettiva dei diritti.

Da ultimo, va rimarcata la puntualizzazione fatta dalle Sezioni Unite per la quale vi è un evidente analogia tra "il procedimento finalizzato alla vendita di immobili di cui all'art. 788 c.p.c e quello volto all'approvazione del progetto di divisione disciplinato dal successivo art. 789 c.p.c." dal che, (sebbene ci pare più opportuno ragionare in termini di fasi e non di procedimento) ne traiamo la

il giudizio divisorio presenta tutte le caratteristiche e le garanzie del processo di cognizione ordinaria (domanda proposta nella forma della citazione diretta a tutti i condividenti considerati litisconsorzi necessari, costituzione in giudizio dei condividenti convenuti in osservanza delle regole di cui al libro II del codice di rito, con possibilità di conseguire l’ordinaria istruzione e la decisione con sentenza); c) il potere decisorio può essere attribuito, in presenza di determinati presupposti previsti dalla legge, anche al giudice singolo; d) evidenziato che l’attore (ma anche le parti convenute) in mancanza di contestazioni sul progetto di divisione non possono optare espressamente per la sentenza, essendo il giudice vincolato dal dato normativo a rendere l’ordinanza; e) che privare l’ordinanza del carattere decisorio porrebbe un problema di violazione del diritto d’azione (art. 24 Cost.).

28 Su cui , tra gli altri, v. COSTANTINO, Le riforme dell'appello civile e l'introduzione del "filtro", in corso di pubblicazione nel Libro dell'anno del diritto Treccani.

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conclusione che la pronuncia in esame ha inteso fornire la soluzione rispetto a tutte le ordinanze rese nel giudizio divisorio in assenza del requisito della non contestazione.

E per gli altri vizi dell'ordinanza ex art. 789 , 3° co., c.p.c. , quelli per i quali la lontana pronuncia del 1997 escogitava altre soluzioni? La Corte non vi fa alcun riferimento ma non abbiamo motivo di dubitare che, prevalendo la logica e il buon senso, saranno accomunati al caso qui esaminato.

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