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LE LESIONI DEL SISTEMA NERVOSO: ASPETTI CLINICI E POSSIBILITÀ DI RECUPERO di

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LE LESIONI DEL SISTEMA NERVOSO: ASPETTI CLINICI E POSSIBILITÀ DI RECUPERO

di

L. Murri, F. Sartucci, L. Sagliocco*

I meccanismi responsabili del danno e della sua evoluzione, sia per il sistema nervoso centrale (SNC) che periferico (SNP) attualmente sono solo parzialmente conosciuti. Nel SNP, indipendentemente dalla natura dell'insulto, in seguito ad una lesione che ha discontinuato l'assone, si verifica la cosiddetta degenerazione walleriana nelle porzioni di fibra a valle del danno; oltre a questa avviene un insieme di modificazioni nel moncone prossimale della fibra nervosa e nel corpo cellulare (pirenoforo), note come degenerazione retrograda o reazione assonica. Esistono anche processi regressivi cui va incontro l'intera cellula nervosa, il neurone, noti come degenerazione neuronica, o che coinvolgono solo la parte più distale delle fibre nervose, detti degerenazione assonica distale ( o dying back, cioè morte a ritroso). Per i processi di recupero, i fenomeni più rilevanti sono comunque costituiti dalla reazione assonica e dalla rigenerazione.

Dopo una lesione del sistema nervoso (SN), i segmenti a valle delle fibre nervose coinvolte vanno incontro ai fenomeni degenerativi della degenerazione walleriana e vengono rimossi (fagocitati); il moncone prossimale ed il relativo corpo cellulare vanno incontro ad una serie di modificazioni volte alla rigenerazione ed alla ricostruzione delle parti perdute. Queste si verificano poche ore dopo nel moncone prossimale e successivamente , ma comunque entro 48 ore, nel corpo cellulare. Il moncone prossimale degenera fino al primo restringimento mielinico (nodo di Ranvier) a monte ed il tratto terminale dell'assone si rigonfia a clava, preludio alla gemmazione assoplasmatica. Nel pirenoforo si verifica la cosiddetta cromatolisicentrale, che consiste nella frammentazione -polverizzazione-dissoluzione di particolari componenti (zolle di Nissl), prima in sede perinucleare e poi alla periferia, in posizione polarmente opposta al cono di emergenza dell'assone. Dall'assone espanso a clava gemmano numerosi sottili prolungamenti, che attraverso il focolaio di lesione si insinuano in strutture tubulari formate dalle cellule di Schwann, deputate a fornire gli involucri mielinici. Tuttavia solo una fibra persisterà e sarà mielinizzata, mentre le altre andranno incontro a processi regressivi fino alla necrosi.

La rigenerazione delle fibre mieliniche a livello del SNP avviene con una velocità variabile da 0.5 a 2 mm al giorno, ed a mielinizzazione conclusa i segmenti tra i restringimenti mielinici (internodali) risulteranno più brevi di quelli originali, con velocità di conduzione inferiore di almeno il 20%. La realizzazione di tali processi rigenerativi dipende dal tipo di lesione responsabile dell'interruzione, dall'entità del danno, dalla sede della zona interessata, dalla presenza delle cellule di Schwann. L'eccessiva separazione dei monconi o l'interposizione di tessuto connettivo cicatriziale possono rendere impossibili tali eventi. La rigenerazione è alla base dei processi di reinnervazione, sia selettivi che non. Per fenomeni di chiospecificità ogni fibra nervosa verrebbe attirata verso la sua sinapsi; comunque non è provato se il recupero funzionale sia dovuto a fenomeni di reinnervazione selettiva, che avverrebbe con una precisione pari a quella dello sviluppo embrionario, o non selettiva, secondo cui tutti i neuroni avrebbero la stessa possibilità di reinnervare le strutture denervate. Tuttavia se la continuità anatomica è preservata o è stata ristabilita chirurgicamente, sono presenti fenomeni di reinnervervazione che consentono nella maggior parte dei casi ottimi recuperi funzionali, soprattutto nelle lesioni distali dei tronchi nervosi.

*Istituto di Neurologia, Cattedra di Neurofisiopatologia, Università di Pisa

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A tale proposito classicamente vengono riconosciuti tre tipi principali di lesioni dei tronchi nervosi periferici: la neuroprassia, l'assonotmesi e la neurotmesi, facilmente diagnosticabili con le tecniche elettrofisiologiche: l'elettromiografia e la conduzione del nervo (cosiddetta elettroneurografia).

La neuroprassia rappresenta un'alterazione funzionale (blocco) transitoria della conduzione, senza modificaizoni strutturali. La nuerotmesi è invece la sezione completa del tronco nervoso, con o senza diastasi dei monconi. la assonotmesi rappresenta un grado intermedio, ovvero la interruzione degli assoni con risparmio delle strutture connettivali di supporto, e quindi una lesione in continuità.

Dopo una neuroaprassia il recupero è di regola completo come pure nella assonotmesi, anche se in quest'ultima residuano spesso modesti deficit sensitivo-motori. Nella neurotmesi, invece, l'entità del recupero dipende dal tipo e riuscita dell'intervento chirurgico sempre necessario: se di semplice sutura, il recupero sarà parziale ma buono; se di innesto nervoso sarà più o meno completo, a seconda della lunghezza del segmento impiantato

Oltre ad un tempestivo intervento chirurgico, altri fattori possono influenzare in senso favorevole la prognosi: la sede molto distale del trauma, l'assenza di complicanze infettive,di lesioni associate dei vasi ematici e dei tendini, il mantenimento del trofismo della muscolatura target.

Una sequela estremamente invalidante e dolorosa, che può manifestarsi dopo lesioni di nervi ricchi di fibre vegetative simpatiche, quali il n. mediano e lo sciatico, è rappresentata da una sindrome (la causalgia) che si manifesta con dolori urenti nel territorio di distribuzione del nervo leso, cianosi, turbe trofiche cutanee, iperidrosi. Tale sindrome, attribuita a una iperattività delle fibre simpatiche, è estremamente resistente ad ogni forma di terapia invalidante del deficit neurologico primitivo.

Nel SNC, in cui la mielinizzazione è riconducibile alle cellule di oligodendrologia ed i fenomeni cicatriziali alla gliosi, i fenomeni riparativi sono estremamente più complessi e meno conosciuti. Fino a poco tempo fa un danno cerebrale veniva considerato irrecuperabile ed il ripristino funzionale ritenuto possibile soltanto in età evolutiva a causa di connessioni interneuronali estremamente specifiche, sia topograficamente che funzionalmente. Tale rigidità non spiegava tuttavia alcuni processi di recupero di funzioni cerebrali e ciò ha portato all'introduzione del concetto di plasticità, per cui i neuroni possono modificare la loro funzione ed i rapporti di connessione con altre cellule (plasticità morfofunzionale). Essa è dovuta alla capacità delle sinapsi di modificare le loro funzioni, di aumentare o diminuire numericamente, di essere sostituite da altre, con conseguenti variazioni dello schema delle connessioni neuronali. I meccanismi alla base sono in gran parte ancora ignoti. In modelli sperimentali di mammiferi adulti si osserva una rigenerazione degli assoni, anche rapida, ma che abortisce precocemente non superando il livello della cicatrice, e con le tecniche di impianti intracerebrali di tessuti nervosi è stata provata la possibilità di innervazione dei tessuti impiantati (sinaptogenesi). Essa è stata riscontrata in particolari strutture cerebrali (nucleo rosso, ippocampo, corteccia cerebellare), specie sotto l'effetto di fattori di crescita endogeni diversi, di cui il nerve growth facto (NGF) sembra essere il più importante.

A livello centrale la reinnervazione di una struttura deafferentata non dipende solo dalla rigenerazione degli assoni lesi (reinnervazioni omotipica), ma soprattutto dalle ramificazioni di assoni intatti adiacenti (reinnervazione eterotipica). Tale processo di inaptogenesi termina quando tutte le sinapsi sono state occupate. La rigenerazione delle fibre lese è quindi molto scarsa, in quanto è la sinapsi vuota che rappresenta un potente stimolo alla crescita, ma l'occupazione da parte delle fibre diverse intatte vicine (reinnervazione eterotipica) annulla questo stimolo per i nueriti specifici lesionati (reinnervazione omotipica). Dopo un certo periodo parte delle nuove sinapsi degenera, per cui è stato ipotizzato che tali meccanismi non

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siano solo post-lesionali, ma che ciò avvenga continuamente durante tutta la vita, anche se in modo accelerato dopo eventi lesivi, e sia alla base della rioganizzazione sinaptica.

Per quanto concerne il valore funzionale della ristrutturazione post-lesionale sinaptica, si ritiene che questa comporti la perdita della specificità delle connessioni sinaptiche stesse e quindi possa essere anche causa di disorganizzazione; un'altra ipotesi è che i diversi sistemi si riorganizzino autonomamente per il mantenimento della funzione.

Su questi meccanismi neuronali, che sono ritenuti poter sostenere un recupero spontaneo delle funzioni nervose dopo eventi lesivi, sono stato prospettate varie ipotesi (teorie dei processi di restaurazione) per spiegare i fenomeni di recupero funzionale dopo lesione del SNC: la equipotenzialità funzionale del SN, la ristrutturazione anatomo-funzionale dell'architettura sinaptica, l'innescarsi di meccanismi vicarianti, l'utilizzo di elementi ridondanti risparmiati con organizzazione di nuovi circuiti indotti all'apprendimento, lo sviluppo di nuove strategie comportamentali per l'utilizzo delle funzioni residue. Tuttavia tali processi riorganizzativi sembrano indipendenti dalla sede e dalla causa di lesione, verificandosi dopo eventi di varia natura, sia vascolare che post-traumatica.

Per quanto concerne l'aspetto epidemiologico, secondo quanto pubblicato recentemente dal gruppo EBIS (European Brain Injury Society, 1991), nei paesi della CEE si verificano ogni anno, a causa di traumi secondari ad incidenti stradali, 50.000 decessi ed 1 milione di ricoveri ospedalieri: tra i ricoveri, oltre 250.000 sono coloro che riportano lesioni gravi e permanenti altamente invalidanti. In Italia in 1 anno i traumatizzati cranici (per lo più di sesso maschile , tra i 23 e i 26 anni) sono 600.000, con 8.000 decessi e 60.000 invalidi gravi; altri 20.000 riportano lesioni che pur richiedendo degenze brevi, necessitano di cure riabilitative per i periodi di tempo prolungati.

Tali traumi provocano sull'encefalo e sul SNP danni macroscopici e vari quadri anatomo- clinici ben descritti in letteratura.

Nel trauma cranio-cerebrale, sia chiuso che aperto, spesso concomitano fratture anche se il cranio, per quanto rigido, è sufficientemente flessibile da sopportare senza fratture urti sufficienti a provocare danni cospicui al cervello. Le fratture craniche possono essere minime, infrazioni della teca di scarso significato clinico, come le fratture della volta che in poche settimane vengono saldate da un tessuto fibroso che di regola si ossifica. Al contrario le fratture con diastasi e mancata saldatura dei margini costituiscono una reale caduta di quella funzione difensiva che una teca integra rappresenta per l'encefalo. Ben più importanti sono le brecce ossee craniche, specie se di dimensioni tali da lasciare scoperta la superficie encefalica, anche se spesso il riposizionamente in loco dei frammenti ossei o la ricostituzione della parte con materiali diversi (resine acriliche) comporta un sufficiente ripristino delle difese dell'encefalo.

Per quanto concerne le lesioni cerebrali vere e proprie le conseguenze sul parenchima vengono distinte classicamente in danno primario e danno secondario. Il danno primario è rappresentato da alterazioni acute delle cellule nervose, con liberazione di mediatori chimici, o da fenomeni di rottura citoplasmatica con morte cellulare, oppure la lesioni vascolari locali (trombosi, piccoli focolai di emorragia). Il danno secondario è rappresentato dall'edema cerebrale, localizzato o diffuso, da riflessi vascolari che inducono stasi ematica, da ipersecrezione liquorale, alterazioni specifiche del tessuto nervoso con infiltrazione linfocitaria, gliosi e demielinizzazione, reazioni vegetative, endocrine e metaboliche per sofferenza delle strutture diencefalo-ipofisarie e troncoencefaliche, e dai fenomeni di compressione cerebrale, conseguenti all'edema o alla formazione di ematomi.

Il quadro clinico delle sindromi encefaliche post-traumatiche è estremamente eterogeneo e schematizzato in Tab. 1 Per quanto riguarda gli effetti immediati, vengono distinti tre quadri principali: 1) commozione, 2) contusione e lacerazione, 3) compressione cerebrale.

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La commozione cerebrale definisce una sindrome clinica priva di elementi anatomopatologici dimostrabili ed è caratterizzata da perdita di coscienza immediata in forma transitoria e senza esiti permanenti. La perdita di coscienza o un suo interessamento parziale costituiscono il sintomo fondamentale; nella definizione è implicito un giudizio di reversibilità completa, che ovviamente può essere emesso solo a posteriori.

La contusione e la lacerazione cerebrali comportano invece lesioni nel parenchima cerebrale sottostante la zona di impatto (lesione da colpo) o a distanza, in genere dal lato opposto alla zona traumatizzata (lesione da contraccolpo), con un corteo di turbe neurologiche e psichiche.

La maggior gravità del trauma è responsabile di un danno anatomico ben localizzato e di un quadro clinico denominato sindrome a focolaio.

Se esistono fenomeni distruttivi, con spappolamento di aree più o meno vaste, in genere con aspetto a cuneo, fatti emorragici e necrotici cospicui, associati a fratture craniche multiple con infossamento dei frammenti, si ha la cosiddetta lacerazione cerebrale. Possono essere interessate tutte le strutture cerebrali, anche se i lobi temporale e frontale, a causa dei loro rapporti con le strutture ossee, sono i più colpiti. Come fenomeni secondari sono da ricordare l'edema, più o meno localizzato, e successivamente i processi di reazione gliale e demielinizzazione. Per quanto concerne la sintomatologia clinica, vi sono generalmente, ma non sempre, perdita di coscienza e deficit neurologici focali, sia transitori sia permanenti, che possono essere assenti o sfumati per lesioni a carico dei lobi frontale, temporale e parietale (un tempo dette aree mute).

Le compressioni cerebrali sono legate allo sviluppo di una emorragia intracranica, che può dar luogo ad ematomi extradurali, subdurali e intracerebrali, singoli e multipli. L'ematoma extradurale (o epidurale) rappresenta la complicanza della fase più acuta, ed è costituito da una raccolta ematica biconvessa nello spazio virtuale fra teca cranica e dura madre. La genesi più frequente è rappresentata dalla lacerazione dell'arteria meningea media, o di una delle sue branche, di una vena diploica o di un seno venoso, e costantemente si accompagna ad una frattura cranica. Le localizzazioni più frequenti sono frontale, temporo-parietale e occipito- parietale, e sono individuate con precisione dall'esame TC eseguito tempestivamente.

L'ematoma subdurale acuto (entro 24-72ore), subacuto (3 giorni -3 settimane) o cronico (oltre 3 settimane) occupa lo spazio tra dura ed aracnoide, ed è molto più frequente dell'epidurale (3 a 1). Gli ematomi sottodurali acuti e subacuti sono provocati in genere dalla rottura di vene ponte tra la superificie corticale e i seni venosi della dura, e si manifestano sostanzialmente con gli stessi sintomi dell'extradurale. L'ematoma subdurale cronico si verifica in soggetti con atrofia corticale, soprattutto anziani ed etilisti. Un trauma anche di lieve entità può produrre piccole emorragie nello spazio sottodurale, con lenta organizzazione di tali raccolte ematiche e formazione di una capsula fibrosa.

Raccolte ematiche all'interno del parenchima cerebrale seguono traumi di particolare violenza, per contusioni e lacerazioni delle strutture encefaliche. Possono aversi ematomi massivi di grandi dimensioni o piccoli (denominati miliari) singoli o multipli. Quelli a sviluppo tardivo sono verosimilmente secondari a lesioni degenerative nelle pareti vasali, con formazione di aneurismi miliari che andando incontro a rottura producono il cosiddetto ematoma intracerebrale tardivo o cronico.

Nei traumi cranici sono frequenti anche le emorragie meningee; trattasi di sanguinamenti subaracnoidei e sottopiali, definiti più correttamente emorragie corticomeningee, e caratterizzati da segni meningei, oltre ad alterazioni dello stato di coscienza e segni a focolaio.

Inoltre può verificarsi il cosiddetto pneumoencefalo, detto anche pneumocele o aerocele, cioè una raccolta di aria fra dura e parenchima cerebrale, o anche all'interno del parenchima cerebrale stesso oppure un'igroma (o idroma) sottodurale (acuto, subacuto o cronico), che si forma da una raccolta di liquor nello spazio subdurale per un meccanismo a valvola attraverso

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una lacerazione dell'aracnoide o più raramente per sostituzione del sangue di un ematoma sottodurale con il liquor.

Un capitolo importante nella traumatologia cranica è rappresentato dai numerosi esiti tardivi e stabilizzati.

Tra questi l'epilessia post-traumatica, che è un evenienza frequente soprattutto nei traumi cranici con penetrazione dell'encefalo ed in misura minore negli ematomi subdurali, mentre è bassa nei traumi chiusi. Ai fini di un inquadramento prognostico è necessario valutare la presenza, specie in associazione con i seguenti fattori di rischio: ematomi, focolai lacero- contusivi, fratture infossate, crisi epilettiche precoci; il periodo di rischio per lo sviluppo di una sindrome epilettica è di almeno 24 mesi.

Un'altra complicanza non rara è rappresentata dalla liquorrea, caratterizzata dallo scolo di liquor dalle cavità nasali per frattura dell'etmoide, o più frequentemente dal condotto uditivo esterno per fratture dell'osso temporale. La comunicazione degli spazi sub-aracnoidei con l'esterno costituisce una porta di ingresso ai germi e quindi la possibilità di infezioni meningo- encefaliche, che si presentano a carattere recidivante. Le stesse cause responsabili delle diverse forme di liquorrea possono dar luogo all'ingresso di aria nella scatola cranica, fenomeno noto come pneumoencefalo, il più delle volte associato alla liquorrea, ed anche esso fonte di infezioni.

Le complicanze vascolari traumatiche sono più rare e rappresentate oltre che dai sopra ricordati aneurismi traumatici, dalle fistole carotido-cavernose, per lacerazione del sifone carotideo entro il seno cavernoso, e della trombosi della carotide al collo o di altre arterie celebrali.

Altre sequele sono le sindromi psichiatriche post-traumatiche, rappresentate da psicosi post- commotive e da nevrosi depressivo ansiose o fobico-ansiose e le sindromi da deterioramento mentale (demenze).

Restano da chiarire i meccanismi dei processi di recupero dopo contusioni cerebrali apparentemente irreversibili: potrebbe trattarsi di quadri commotivi particolarmente gravi ma reversibili, specie per il riassorbimento dell'edema. Infatti se tali danni non sono troppo estesi, non si sono verificati fenomeni secondari ipossico-ischemici e la parte superiore del tronco encefalico non è stata interessata da lesioni dirette o indirette, come le erniazioni transuncali, non si verificano lesioni cerebrali gravi e quindi permanenti.

Nell'ambito dei gravi traumatismi cranici si possono distinguere tre diverse possibilità:

prima:

- il danno cerebrale e le lesioni concomitanti dell'organismo sono di gravità tali da risultare incompatibili con la sopravvivenza; il paziente si trova spesso in stato di shock, con insufficienza respiratoria e coma profondo, pupille dilatate e areattive, perdita della motilità oculare e dei riflessi corneali, ipotonia degli arti.

-la seconda eventualità è quella in cui un miglioramento si verifica nel giro di pochi giorni o settimane, seguito da un recupero con deficit neurologici. Nel periodo di compromissione dello stato di coscienza sussiste un rischio elevato di complicanze. Quando questi soggetti si riprendono, residua un periodo di amnesia piuttosto lungo e divengono evidenti alterazioni delle funzioni cognitive non esplorabili in precedenza, quali rallentamento del pensiero, instabilità emotiva, deficit delle capacità di giudizio, con un quadro di compromissione intellettiva definito come demenza post-traumatica.

-la terza, infine, è data dal paziente permanentemente in coma o con profonda alterazione delle funzioni cerebrali. Si tratta di encefalopatie traumatiche polifocali, con vaste lacero-contusioni, rilevanti fenomeni di edema cerebrale, infarcimenti necrotico-emorragici multipli e sofferenza primaria o secondaria delle strutture troncoencefaliche, che può dar luogo, specie in soggetti giovani, ad un quadro clinico particolare, denominato sindrome apallica. Si tratta di uno stato

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più o meno cronico di perdita delle funzioni corticali (decorticazione), con gravi deficit neurologici ed in particolare compromissione della coscienza, che non consente alcun tipo di rapporto con l'ambiente, ma con conservazione delle funzioni vegetative (alimentazione, respiro, etc.).

Per quanto riguarda i fenomeni di plasticità è ben noto che sono maggiori in età evolutiva:

basta pensare che una lesione dell'emisfero dominante (usualmente il sinistro nei destrimani) comporta, oltre ad un deficit motorio controlaterale, turbe fasiche, sia dell'espressione che della comprensione del linguaggio. Ebbene tale deficit, che rappresenta uno degli handicap più invalidanti nelle persone adulte al punto da rendere il soggetto incapace di una vita di relazione, nei primi anni di vita usualmente recupera del tutto in quanto le funzioni dei centri coinvolti nell'emisfero dominante verrebbero assunte da quello controlaterale. In linea generale si può dire che all'aumentare dell'età biologica minori sono le potenzialità plastiche delle strutture nervose interessate. Si comprende così come lesioni iniziali di sovrapponibile gravità, per qualità ed estensione, presentino decorsi completamente differenziati ed esiti finali notevolmente discordanti a seconda dei casi. Pertanto senza una precisa considerazione dei momenti evolutivi delle lesioni traumatiche non può essere effettuata una loro corretta valutazione. Questo fattore è individuale, età correlato e forse geneticamente determinato per cui ogni singolo paziente mostrerà una evoluzione propria per quanto concerne il recupero, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Ciò rende problematica la valutazione degli esiti prima che sia trascorso un adeguato periodo di follow-up e riabilitativo.

Da quanto sopra esposto, risulta che al momento attuale le lesioni cerebrali da cause accidentali presentano un decorso e di conseguenza degli esiti estremamente differenziati ed in continua evoluzione con i progressi tecnologici, in stretta dipendenza con il tipo di lesione, di trattamento medico, chirurgico e riabilitativo instaurati, e che quindi nella valutazione delle menomazioni psicofisiche conseguenti i traumi del SN non si può prescindere da un'accurata valutazione di molteplici fattori.

Riferimenti Bibliografici:

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Wilkins R.H., Rengachary S.S.: Trattato di neurochirurgia. I Ed. Italiana a cura di F. Smaltino e G. Tedeschi, Medical Books, Palermo, 1987, vol 3, parte VIII, pp. 188-209

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Tabella 1

Classificazione clinica riassuntiva delle lesioni cerebrali post-traumatiche.

Effetti immediati:

1. Commozione

2. Contusione e lacerazione 3. Compressione

a) ematoma -extradurale -sottodurale -intracerebrale b) emorragia

-subaracnoidea -sottopiale Effetti a distanza

1. Epilessia 2. Liquorrea 3. Pneumoencefalo 4. Aneurismi

5. Fistole carotido-cavernose 6.Trombosi venose e/o arteriose 7.Sindrome apallica

8.Sindromi psichiatriche

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