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L’accertamento del fatto nei procedimenti con struttura sommaria - Judicium

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www.judicium.it Roberta Tiscini

L’accertamento del fatto nei procedimenti con struttura sommaria*

SOMMARIO: 1. L’accertamento del fatto e i procedimenti sommari. Considerazioni introduttive. – 2.

Delimitazione dell’indagine entro i confini della sommarietà. – 3. La distinzione tra procedimenti sommari in base alla loro attitudine al giudicato. – 4. Le formule legislative dell’istruttoria sommaria. – 5. I procedimenti in camera di consiglio. – 6. Segue: e la tecnica delle “informazioni”. – 7. Il procedimento cautelare uniforme a contraddittorio posticipato. – 8. Segue: e quello a contraddittorio anticipato. – 9. Il procedimento sommario di cognizione. – 10. L’istruttoria nei procedimenti sommari ed il principio del libero convincimento.

1.- L’interesse per il tema de “l’accertamento del fatto nei procedimenti con struttura sommaria” è direttamente proporzionale alle sue dimensioni. Occorre, prima di tutto delimitarne i confini, seppure con la consapevolezza e nel rischio di lasciare fuori dall’oggetto della presente trattazione alcuni temi che, in una disamina più approfondita e completa andrebbero inclusi.

Il riferimento all’”accertamento del fatto” impone di circoscrivere

il quadro di osservazione al problema della ricerca della verità materiale (in sintesi, all’istruttoria).

Il tema si presta ad essere scandagliato sotto diversi punti di osservazione: da quelli dinamici relativi alla fase che ciascun processo deve dedicare all’istruttoria, a quelli statici dei mezzi di prova ammissibili, e delle condizioni e modalità di acquisizione della prova, ai poteri del giudice nella formazione del proprio convincimento. Si tratta quindi di profili che attraversano orizzontalmente tutto il processo civile e sui quali restano aperti profondi dubbi a cui né la giurisprudenza (in un contesto poco sperimentato dal sindacato di legittimità) né la dottrina offrono oggi univoca risposta.

Il quadro è più complesso se si guarda alla realtà dei cd. “procedimenti sommari”. Plurime le ragioni. Innanzi tutto perché de tutto incerti sono i confini della “sommarietà” da contrapporre alla cd. “cognizione piena ed esauriente” del processo ordinario; in secondo luogo perché le tecniche sommarie possono essere le più varie, conoscendo il nostro ordinamento diversi procedimenti in cui la deformalizzazione si caratterizzi per profili tra loro molto diversi; infine perché non è affatto detto che alla sommarietà del procedimento corrisponda una sommarietà dell’istruttoria1.

* Testo della Relazione tenutasi nell’Incontro di studio sul tema “La tutela sommaria”, organizzato dal CSM il 12 aprile 2010, in Roma.

1 E’ di aiuto perciò il suggerimento offerto dal titolo della presente trattazione che richiama i procedimenti a

“struttura” sommaria, quelli cioè in cui è la struttura a condurre verso una sommarietà della cognizione.

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2. - Con il termine “sommarietà” si evocano plurimi concetti2. In primis, l’espressione punta a distinguere – includendo in una ampia categoria modelli tra loro eterogenei – tutti i procedimenti idonei a contrapporsi al modello “ordinario” (“formale”, secondo una accezione che rievoca il codice del 1865), caratterizzato da una cognizione “piena ed esauriente”3; cognizione, peraltro, che il nostro sistema conosce in forme varie (basti pensare al processo del lavoro che si affianca al giudizio ordinario, pur sempre entrambi a cognizione piena4). Non vi è perciò coincidenza tra

“specialità” del rito e “sommarieta”, nella prima accezione includendosi modelli di cognizione piena pur sempre diversi da quello ordinario5.

Nell’ampia categoria di “sommarietà” vanno inclusi procedimenti di diversa estrazione (anche se tutti accomunati dalla svalutazione delle forme6). Lo studio teorico ha elaborato nel tempo varie classificazioni. La distinzione destinata ad avere maggior successo è quella inaugurata da Chiovenda7, il quale - nella ampia categoria degli accertamenti con prevalente funzione esecutiva – distingueva una cognizione “incompleta perché parziale” da una cognizione “incompleta perché superficiale”. Nella prima erano ricondotti i modelli caratterizzati dal fatto che la cognizione era limitata ad alcuni elementi della fattispecie, riservando l’esame dei residui ad una fase successiva da svolgersi nelle forme ordinarie (le cd. condanne con riserva delle eccezioni); nella seconda si individuavano le tecniche cognitive in cui il provvedimento è emesso senza la preventiva instaurazione del contraddittorio, procedendosi alla cognizione ordinaria solo su richiesta dell’interessato (il procedimento monitorio)8.

2 Sulla polisemia del concetto di sommarietà, cfr. Proto Pisani, Tutela sommaria, in Foro it., 2007, V, 241; Fabiani, Le prove nei processi dichiarativi semplificati, in www.judicium.it, § 2; Graziosi, La cognizione sommaria del giudice civile nella prospettiva delle garanzie costituzionali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, 143.

3 Semprechè si voglia ritenere il nostro processo ordinario di cognizione veramente “esauriente” oltre che “pieno”.

Non manca la dottrina di notare come l’espressione sia frutto di un inutile pleonasmo e sia perciò scarsamente rappresentativa (Sassani, Sulla riforma del processo societario, in La riforma delle società.Il processo, a cura di Sassani, Torino, 2003, 1 ss.).

4 Non diverso era il processo societario degli artt. 2 ss. d.lgs. n. 5/2003, oggi abrogato dalla l. n. 69/2009.

5 Che nell’attuale codice reca la numerazione degli artt. 163 ss. c.p.c.

6 Fabiani, Le prove nei processi dichiarativi, cit., § 2.

7 Chiovenda, Principii di diritto processuale civile, rist. con prefazione di Andrioli, Napoli, 1965, 202.

8 Siffatto discrimen ha trovato successo nella dottrina maggioritaria: cfr. Proto Pisani, Appunti sulla tutela sommaria, in I processi speciali (Studi offerti a V. Andrioli dai suoi allievi), Napoli, 1979, 309; Id, Usi ed abusi della procedura camerale ex art. 737 ss c.p.c. (appunti sulla tutela giurisdizionale dei diritti e sulla gestione di interessi devoluta al giudice), in Riv. dir. civ., 1990, 393 ss., spec. 414; Montesano, La tutela giurisdizionale dei diritti, Torino, 1994, 149 e 183.

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E’ questa una distinzione oggi non più bastevole, per lo meno ex latere dell’istruttoria. Vi sono procedimenti nei quali la sommarietà della cognizione – pure resa in contraddittorio delle parti – attraversa orizzontalmente tutta la materia del contendere (non solo alcuni elementi della fattispecie); sicché il giudice è chiamato ad esaminare “sommariamente”, tanto i fatti costitutivi, quanto le eccezioni (è il caso dei procedimenti camerali contenziosi).

D’altra parte, non è detto che alla “struttura sommaria” del procedimento corrisponda una indagine cognitiva sui fatti effettivamente “sommaria”. Occorre distinguere la nozione di “procedimento sommario” da quella di “cognizione sommaria” 9: la prima volta ad identificare i processi di tipo indeterminato, caratterizzati da una sommarizzazione nella ritualità procedimentale10, ma non necessariamente sommari quanto alla cognizione del thema decidendum; la seconda concentrata su riti in cui la semplificazione in punto di ritualità si accompagna ad una sommarizzazione in punto di accertamento del thema decidendum11. Minimo comune denominatore è la riduzione dei tempi del processo ma attraverso l’uso di mezzi di volta in volta diversi. Appartengono alla prima categoria – ad esempio - le ordinanze anticipatorie, in particolare quella dell’art. 186 quater c.p.c., in cui ad una semplificazione procedimentale non corrisponde una sommarizzazione nell’accertamento (l’ordinanza è resa all’esito di un accertamento ed una istruttoria pieni); nella seconda categoria possono includersi sia i procedimenti caratterizzati da una cognizione parziale (la cd. condanna con riserva), sia quelli con cognizione completa ma superficiale, intendendo per essa non solo i modelli a contraddittorio posticipato (decreto ingiuntivo), ma anche quelli a contraddittorio anticipato e semplificato (procedimento camerale contenzioso).

Cominciamo allora a restringere il campo di indagine. Oggetto di esame non saranno i procedimenti sommari in cui la sommarietà non incide nè rende atipico l’accertamento del fatto. Non saranno

9 Per una utile ricostruzione in questo senso, cfr. Lombardo, Natura e caratteri dell’istruzione probatoria nel processo cautelare, in Riv. dir. proc., 2001, 464 ss., spec. 480.

10 Questa distinzione riconduce alle origini del procedimento sommario, da far risalire al diritto canonico, con la decretale pontificia Carolina Saepe, del 1306, in cui si stabiliva che per decidere alcun tipi di controversie era possibile procedere “simpliciter et de palno, sine strepitu et figura iudicii”. Sul tema vd. Sacrselli, La condanna con riserva, Milano, 1989, 62 e 98; Lombardo op. cit., 480.

11 Storicamente questa distinzione evocava il discrimen tra procedimento sommari determinati ed indeterminati. I processi sommari di tipo indeterminato si caratterizzavano per una semplificazione del rito ordinario, realizzata attribuendo al giudice, attraverso formule elastiche, un potere di snellimento delle attività processuali. I processi sommari di tipo determinato erano invece espressamente disciplinati dalla legge quanto alle tecniche procedimentali – seppure si trattava di tecniche diverse da quelle del rito ordinario - ma si caratterizzavano per una limitazione nella cognizione del thema decidendum. Su questa distinzione vd. Scarselli, La condanna, cit., 59 ss., e 481 ss; Lombardo, op. cit., 480.

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quindi sindacati i procedimenti in cui alla sommarietà in rito non corrisponde una cognizione sommaria (non saranno prese in esame le ordinanze anticipatorie12).

Quanto ai “procedimenti a cognizione sommaria” occorre intendersi sulle parole. L’espressione

“cognizione sommaria” può evocare, come si è detto, l’attività del giudice concentrata sull’esame di alcuni soltanto degli elementi della fattispecie (condanna con riserva). Con la medesima accezione ci si può riferire anche a quelle forme cognitive in cui il giudice è chiamato ad esaminare tutti gli elementi della fattispecie, ma “sommariamente”, attraverso cioè una semplificazione in punto di indagine cognitiva sul fatto (è il caso dei procedimenti camerali contenziosi).

Ciò che qui interessa non è tanto l’ambito della cognizione (se cioè essa verta su tutti o alcuni degli elementi che integrano la fattispecie), quanto sulle modalità della cognizione (quando l’accertamento del fatto avviene in modo diverso da quello ordinario). Saranno quindi presi in esame i procedimenti caratterizzati da una fase istruttoria “atipica” in quanto sommarizzata, prescindendo dal fatto che essa sia parziale o totale (problema quest’ultimo non poco rilevante ai fini della qualificazione del procedimento come “sommario”, ma non centrale quanto alle tecniche dell’accertamento del fatto).

Da ultimo il contraddittorio. Non se ne terrà conto per individuare la cognizione “superficiale”

quando la misura sommaria è concessa inaudita altera parte e il contraddittorio è posticipato, eventuale e rimesso all’iniziativa del convenuto (così nel decreto ingiuntivo o nella convalida di sfratto): che il contraddittorio sia reso eventuale è problema serio ai fini della fattibilità del modello sommario, ma non necessariamente incide o condiziona l’”accertamento del fatto”. Al contraddittorio si guarderà invece da un diverso punto di vista: è necessario che ogni attività istruttoria, seppure deformalizzata, si svolga in contraddittorio della o delle parti che propongono l’istanza, al fine di assicurare il diritto di difesa, anche in relazione ai poteri officiosi del giudice.

Non rileva però che esso sia anticipato o posticipato, dal momento che la diversa collocazione della fase in contraddittorio all’interno delle dinamiche procedimentali non necessariamente produce conseguenze sul piano di modalità e termini di accertamento del fatto13.

3. - Una distinzione rilevante ai nostri giorni – nell’ambito dell’ampia categoria della “sommarietà”

– è tra procedimenti sommari che conducono a provvedimenti idonei alla formazione della cosa

12 In particolare, non sarà esaminata l’ordinanza dell’art. 186 quater c.p.c. perché, come si è detto, essa si caratterizza per un accertamento pieno, anche se reso in procedimento “sommarizzato”. L’ordinanza dell’art. 186 bis c.p.c. sarà invece tralasciata perché essa oggi si deve confrontare con il più ampio problema della non contestazione alla luce del novellato art. 115 c.p.c., il che non può approfonditamente essere trattato in questo studio. L’art. 186 ter c.p.c.

ripropone, come noto, il modello monitorio all’interno del giudizio ordinario di cognizione; le ragioni per le quali tale ordinanza non sarà esaminata sono quindi le stesse per cui si prescinderà dall’esaminare il decreto ingiuntivo.

13 Su questo punto, quanto al contraddittorio nelle prove atipiche, vd. Ricci G.F., Atipicità della prova, processo ordinario e rito camerale, in Riv. trim. dir. proc.civ., 2002, 409 ss. spec. 439.

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giudicata sostanziale, e provvedimenti instabili in quanto privi dell’attitudine al giudicato. Si tratta di una distinzione fino a poco tempo fa ignota al nostro sistema (seppure parte integrante di altri ordinamenti d’oltralpe14) e con la quale occorre ora confrontarsi.

A dire il vero, l’idea che il sistema giurisdizionale possa condurre verso provvedimenti idonei a decidere su diritti soggettivi e tuttavia instabili in quanto incapaci di produrre gli effetti di cui all’art. 2909 c.c. è tanto giovane quanto già passata alla storia, per lo meno nel suo modello più importante.

Solo nel 2003 – con la riforma del processo societario – vide la luce un “procedimento sommario di cognizione” (art. 19 d.lgs. n. 5/2003) non cautelare destinato ad incidere su diritti soggettivi, proiettato verso l’immediato conseguimento di un titolo esecutivo ma incapace - per espressa volontà di legge - a produrre gli effetti del giudicato15. Disciplina apparentemente analoga (ma sostanzialmente diversa)16 fu introdotta in altri settori dell’ordinamento, quale ad esempio quello delle procedure concorsuali con il novellato giudizio di opposizione allo stato passivo (art. 99. l.

fall.).

Analogo fenomeno ha interessato la tutela cautelare anticipatoria, in un primo momento con le novità nel sistema societario (artt. 23 e 24 d.lgs. n. 5/2003), poi nel rito cautelare uniforme (art. 669 octies come modificato dalla l.n. 80/2005). Dando un riconoscimento normativo alla nota distinzione – venuta elaborandosi in dottrina – tra provvedimenti cautelari anticipatori e conservativi si è introdotta la nozione di cd. strumentalità attenuatata o eventuale, stando alla quale, per i provvedimenti idonei ad anticipare gli effetti della decisione finale, non è più necessario che la misura cautelare sia seguita dall’instaurazione del giudizio di merito, pena la perdita di efficacia, potendo bensì tali provvedimenti restare in vita a prescindere dalla prosecuzione nella fase cognitiva piena. I provvedimenti cautelari anticipatori non confluiti nella sentenza di merito sono dotati di una “autorità” non invocabile in un diverso processo (art. 669 octies ultima comma c.p.c).

A tale modello sono stati poi assimilati altri provvedimenti che, pur non avendo stricto sensu natura cautelare, ne condividono i caratteri sul piano della funzione (così i provvedimenti possessori17).

14 Si pensi al fenomeno del cd. référé francese. Sul tema sia consentito rinviare a Tiscini, I provvedimenti decisori senza accertamento, Torino, 2009, 237 ss.

15 Ai sensi dell’art. 19 comma 5 d.lgs. n. 5/2003 “all’ordinanza non impugnata non conseguono gli effetti di cui all’art.

2909 c.c.”.

16 Vd. Tiscini, I provvedimenti decisori, cit., 197 ss. per le differenze tra il modello concorsuale e gli altri modelli di decisorietà senza accertamento.

17 Per non entrare nello specifico dell’art. 624 c.p.c. ulteriormente e successivamente modificato dalla l. 69/2009.

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Il fenomeno della tutela sommaria senza accertamento (id est inidonea al giudicato) - ancorché salutato con entusiasmo da chi ne ravvisava il modello processuale del futuro18 – è già in fase recessiva: abrogato il d.lgs. n. 5/2003 quasi per intero19, è stato travolto anche l’art. 19 e così è scomparso l’esemplare che meglio esprimeva l’esigenza di costruire provvedimenti sommari idonei a costituire titolo esecutivo (a soddisfare le esigenze del debitore in executivis), ma incapaci di stabilizzarsi. Ciò non significa che il modello della decisorietà senza accertamento non abbia più diritto di cittadinanza nel nostro ordinamento. Restano in vita gli altri esempi che – seppure

“minoritari” – esprimono pur sempre l’esigenza di dissociare la decisorietà del provvedimento dalla formazione della cosa giudicata o comunque dalla stabilità (in ambito cautelare e non). Il che impone di riflettere sul tema oggetto di questo studio anche in quel contesto.

Ci si può chiedere. Come si atteggia l’accertamento del fatto nei provvedimenti sommari inidonei al giudicato? O meglio: il fatto che la sommarietà si collochi in un contesto che non conosce la stabilizzazione degli effetti ed in cui la misura giurisdizionale è piuttosto proiettata verso il conseguimento di un immediato risultato pratico produce delle dirette conseguenze sulle tecniche di accertamento del fatto? Quest’ultimo è diverso nei modelli idonei al giudicato rispetto a quanto avviene in quelli che al giudicato non conducono perché in un caso a differenza dell’altro la misura non è potenzialmente capace di stabilizzarsi?

Per dare risposta concreta al problema sarebbe necessario ripercorrere uno per uno tali istituti, considerato peraltro che quella della decisorietà senza accertamento solo parzialmente costituisce una categoria unitaria (si è avuto altrove modo di dimostrare come non sia sempre possibile né utile delineare intorno all’inattitudine di certe misure alla formazione del giudicato un genus nel quale far rientrare le singole species) 20.

Per quanto qui interessa, basti accennare al fatto che - proprio tenuto conto delle differenze che contraddistinguono ciascun provvedimento – non si può aprioristicamente ritenere che la metodica dell’accertamento del fatto si contraddistingua per elementi suoi propri quando proiettata su provvedimenti incapaci di formare il giudicato. Una cosa sono gli effetti che il provvedimento produce (effetti più limitati quando depurati del giudicato), altra cosa sono le modalità con cui il giudice è chiamato a formare il proprio convincimento. In altri termini, che il giudice possa conoscere sommariamente dei fatti di causa (e perciò svolgere una istruttoria sommaria, o addirittura fondare la decisione sulla verosimiglianza) ovvero debba accertare e istruire tali fatti in

18 Tra questi, vd. Menchini, Nuove forme di tutela e nuovi modi di risoluzione delle controversie: verso il superamento della necessità dell’accertamento con autorità di giudicato, in Riv. dir. proc., 2006, 869; Ricci E.F., Verso un nuovo processo civile?, ivi, 2003, 215.

19 Ad oggi resta in vita solo l’arbitrato societario degli artt. 34 ss. d.lgs. n. 5/2003. Anche la conciliazione, che era sopravvissuta alla forza abrogatrice della l. n. 69/2009, è stata travolta dal d.lgs. n. 28/2010 su mediazione e conciliazione.

20 Per queste riflessioni vd. Tiscini, I provvedimenti decisori, cit., 72.

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forma piena è regola che non deriva e non è condizionata dalla stabilità che quell’accertamento è potenzialmente idoneo al produrre.

Di regola, nei procedimenti che prescindono dal giudicato il giudice è effettivamente svincolato dallo svolgimento di una istruttoria formale e solenne. Esaminando ciascuno dei provvedimenti incapaci di stabilizzarsi (ivi compreso quello dell’art. 19 d.lgs. n. 5/2003), si vede come alla sommarietà negli effetti si accompagna una sommarietà nella cognizione. Non è detto però che le cose debbano andare necessariamente così. Potrebbero immaginarsi (senza ledere regole inderogabili del processo civile) provvedimenti inidonei al giudicato pronunciati all’esito di una istruttoria piena; così come (di contro) accade spesso ai nostri giorni che provvedimenti resi all’esito di una istruttoria e di un accertamento sommari siano ciò nonostante idonei a produrre gli effetti dell’art. 2909 c.c.

Non vi è cioè corrispondenza biunivoca tra istruttoria sommaria e inattitudine dei relativi provvedimenti alla formazione del giudicato. Che le due cose possano andare di pari passo non significa che debbano sempre coincidere.

A riprova di quanto detto soccorre il sistema cautelare. Il fatto che oggi il nostro ordinamento distingua tra misure anticipatorie e conservative e che la differenza si ponga in punto di stabilità21, nonché di vincoli con il giudizio di merito, non produce conseguenze quanto all’indagine in fatto che il giudice della cautela è chiamato a svolgere. Non sembra che l’accertamento del fatto in sede cautelare assuma connotati diversi a seconda che il provvedimento sia anticipatorio o conservativo.

Sicché, l’attitudine a restare in vita anche a prescindere dalla instaurazione del giudizio di merito (pure solo nelle forme esecutive e senza alcuna “autorità”) non condiziona a ritroso il tipo di indagine richiesto per emettere la misura. Sarebbe peraltro paradossale dare al giudice la possibilità di graduare l’intensità nella ricerca della verità materiale in base alla natura (anticipatoria o conservativa) del provvedimento richiesto, se si tiene conto dell’estrema incertezza che connota i confini tra le due categorie22. L’indagine sul fatto non può cioè essere meno intensa quando

21 È d’uopo però precisare il senso da attribuire alla stabilità delle misure cautelari. Certamente esse non sono idonee alla formazione della cosa giudicata, sia se anticipatorie sia se conservative. Tuttavia, mentre queste ultime sono senz’altro travolte dalla mancata instaurazione del giudizio di merito, le prime – in tale ipotesi - conservano una certa efficacia, e tuttavia, la loro “autorità” non è invocabile in un diverso processo. Sul significato da attribuire all’espressione, vd. Luiso, Diritto processuale civile, Milano, 2009, IV, 206; Tiscini, I provvedimenti, cit., 160.

22 I problemi in punto di carattere anticipatorio o conservativo del provvedimento cautelare vanno risolti in sede di dichiarazione di inefficacia (art. 669 novies c.p.c.) e non spetta al giudice verificare approfonditamente la natura del provvedimento richiesto. Ne deriva che la natura (anticipatoria o conservativa) della misura cautelare non può incidere sul tipo di istruttoria che il giudice è chiamato a svolgere.

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proiettata verso un provvedimento inidoneo al giudicato di quanto non lo sia con riferimento ai provvedimenti che al giudicato conducono23.

In altri termini – e per concludere su questo punto – il fatto che un certo provvedimento sommario sia inidoneo al giudicato può essere indice – sul piano puramente statistico – della volontà del legislatore di abbassare la soglia di solennità dell’istruttoria per favorire nel breve il conseguimento del risultato giurisdizionale, ma non è un elemento determinante che consente a priori di definire i caratteri sommari dell’istruttoria: occorre piuttosto esaminare caso per caso e verificare in che termini il legislatore abbia voluto descrivere i confini della sommarietà in questa o quella fattispecie processuale. Non è detto cioè che nei provvedimenti inidonei al giudicato la cognizione in fatto sia

“più sommaria” di quelli che al giudicato conducono, né – tanto meno - che in quest’ultimo caso la cognizione debba necessariamente essere piena.

4. - La sommarietà nell’istruttoria – la quale non sempre coincide con la struttura sommaria del procedimento24 - si può manifestare nelle più diverse forme. Molto (ma non tutto) dipende da come il legislatore la vuole costruire.

In via di massima approssimazione si può dire che la tendenza – tenuto conto della ratio a cui punta la tutela sommaria – è verso la semplificazione nella prospettiva di accelerazione e riduzione dei tempi del processo. Se l’obiettivo che si vuole perseguire è raggiungere nel breve il provvedimento decisorio (tagliando i tempi di un fin troppo lungo processo ordinario) è certo che il risultato tanto meglio si raggiunge quanto più si rinuncia alla solennità delle forme, anche e soprattutto in punto di istruttoria. In cosa consista però in concreto tale semplificazione non è dato stabilire a priori.

Occorre una indagine caso per caso.

Importante criterio di riferimento sono le formule utilizzate dalla legge nel descrivere questo o quel modello sommario. E’ frequente l’uso del termine “informazioni” – che spesso sono anche

“sommarie”25 - per evocare ciò che nel processo formale può ricondursi all’istruttoria piena. Così ad esempio nel procedimento camerale degli artt. 737 ss c.p.c., anche quando finalizzato alla soluzione

23 Paradossalmente si potrebbero sostenere entrambe le soluzioni: si potrebbe dire che quando il provvedimento è inidoneo alla formazione del giudicato, esso a maggior ragione deve essere reso all’esito di un accertamento pieno per ridurre statisticamente il rischio dell’errore giudiziario (data la sua capacità di produrre immediatamente effetti sulla realtà materiale). Di contro, si potrebbe ritenere che, quando proiettato su un accertamento instabile, dal momento che la parte rinuncia alla certezza per ottenere nel breve la decisione giurisdizionale, il prezzo da pagare è non solo la instabilità, ma anche il rischio dell’errore giudiziario; è quindi possibile che il giudice svolga una indagine istruttoria più limitata. Dal momento che entrambe le soluzioni sono sostenibili, né l’una né l’altra possono bastare per giustificare un diverso trattamento in punto di accertamento del fatto.

24 Nel senso che possono darsi procedimenti sommari caratterizzati da una istruttoria piena e procedimenti in cui alla sommarietà delle forme segue anche una sommarietà nell’accertamento del fatto. Sul punto supra § 2.

25 Così nel giudizio cautelare inaudita altera parte a contraddittorio posticipato (vd. infra § 7).

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di situazioni contenziose26, non meno che nei molteplici altri procedimenti a struttura camerale contenziosa disciplinati da leggi speciali. Vi è poi la tipica espressione evocata nel procedimento cautelare uniforme (“sentite le parti omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio”), che opera non solo in ambito cautelare, ma anche al di fuori di esso27. In altri casi la legge si limita a rinviare al potere del giudice di “provvedere all’ammissione ed all’espletamento dei mezzi istruttori”, senza chiarire in cosa tale attività consista ed in cosa si distingua da quella ordinaria28. Data la eterogeneità delle tecniche legislative e delle forme con cui l’accertamento del fatto nei modelli sommari può estrinsecarsi, non è opportuno né possibile in questa sede costruire delle linee comuni valide in tutte le ipotesi in cui il rito sommario tenga luogo della cognizione piena ed esauriente. Saranno perciò passati in rassegna solo alcuni procedimenti tipici; dall’esame si potranno trarre utili spunti di riflessione, sia se generalizzabili a tutte le forme sommarie, sia se non esportabili oltre il singolo modello considerato.

Alcune notazioni preliminari si impongono. Laddove siano possibili più soluzioni interpretative, dovrebbe prediligersi quella che offre il risultato della maggiore semplificazione procedurale. Se l’obiettivo è “sommarizzare” e tale obiettivo è espressione dell’esigenza di tagliare i tempi lunghi del processo, esso può conseguirsi rinunciando all’istruttoria ordinaria, anche se a scapito della solennità delle formule che la contraddistinguono. Il che non necessariamente comporta un sacrificio delle garanzie minime per la soluzione “giusta”29.

Con maggiore circospezione occorre invece guardare alla derogabilità del principio dispositivo. La costruzione letterale dell’art. 115 c.p.c. - che accetta la possibilità che il giudice ponga a fondamento della decisione prove ammesse in via officiosa solo “nei casi previsti dalla legge” – impone una lettura restrittiva delle ipotesi in cui le regole inquisitorie tengono luogo di quelle dispositive; impone cioè di consentire un ampliamento delle iniziative officiose solo quando il testo delle norme di riferimento (nonché il tipo di procedimento a cui si rivolgono) conducono verso tale soluzione. Si tratta peraltro di un principio volto ad onerare le parti di un ruolo importante nel processo, ruolo che la recente riforma del 2009 vuole ulteriormente aggravare. Collocando le

26 Vi è chi ritiene che l’istruttoria del camerale contenzioso debba essere più approfondita di quella resa in procedimento di volontaria giurisdizione, ma la tesi non sembra trovare conferma nella realtà pratica. Sul punto si tornerà infra § successivo.

27 Una formula non molto diversa è utilizzata ad esempio in materia di ordini di protezione contro gli abusi familiari (at. 736 bis c.p.c.), nonché – ma con modifiche – nel procedimento sommario di cognizione dell’art. 702 bis ss c.p.c.

(su quest’ultimo, vd. amplius infra § 9).

28 Così nell’art. 99 comma 9 l. fall., sul quale è lecito dubitare che si tratti di processo semplificato, azzardando molti ad inquadrarlo nei modelli a cognizione piena, ancorché speciale (vd. Costantino, Commento sub. art. 99, in La riforma del fallimento, a cura di Nigro e Sandulli, Torino, 2006, 560; Pagni, L’accertamento del passivo nella riforma della legge fallimentare, in Foro it., 2006, V, 188; Fabiani, Le prove, cit., § 2).

29 Per queste riflessioni, vd. amplius infra ultimo paragrafo.

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conseguenze della non contestazione tra le forme di relevatio ab onere probandi si riduce il catalogo dei fatti da provare30, e con ciò la possibilità che il giudice assuma iniziative officiose per la prova di essi. Se questa è la linea, e tenuto conto della rigidità di una norma che – collocata tra le disposizioni generali del libro I del codice di rito – sembra destinata ad operare (di regola) anche nel procedimenti speciali, di essa non si può non tenere conto pure in presenza di una istruttoria deformalizzata. Sono perciò eccezionali le ipotesi in cui ad essa si possa derogare31.

Nelle pagine a seguire saranno esaminati il procedimento camerale contenzioso (art. 737 c.p.c.), il procedimento cautelare uniforme degli artt. 669 sexies ed il procedimento sommario di cognizione (art. 702 bis ss c.p.c.), tre forme di sommarietà che con diversa intensità, semplificando il modello processuale, allontanano progressivamente dalla cognizione piena. Nell’ordine, saranno esaminati in primis i procedimenti più semplici in cui le formalità istruttorie sono ridotte al minimo (quando il giudice può limitarsi ad assumere “sommarie informazioni”), per passare via via a quelli in cui l’articolazione istruttoria si mostra più complessa, fino ad avvicinarsi al massimo alle tecniche della cognizione piena ed esauriente (nel procedimento sommario di cognizione).

5. - La forma più elementare di istruttoria è rinvenibile nel modello che allo stato della nostra disciplina legislativa pare il più semplificato e deformalizzato: il rito camerale, non solo quando destinato alla volontaria giurisdizione, ma anche quando utilizzato per la soluzione di situazioni contenziose32. Non è questa la sede per tornare su una questione in passato fin troppo dibattuta ed

30 Sulle modifiche dell’art. 115 c.p.c., vd. per tutti Sassani, L’onere della contestazione, in www.judicium.it, e in Giusto proc. civ., 2010, in corso di pubblicazione.

31 Non a caso, come si vedrà infra § 5, l’unica ipotesi in cui si ampliano i poteri di iniziativa officiosa sono è quando il giudice è chiamato ad assumere “informazioni”.

32 Nelle pagine a seguire l’esame dell’istruttoria nel modello camerale sarà condotta svolgendo un discorso unitario, che includa tanto l’uso delle forme camerali per la volontaria giurisdizione, quanto l’uso delle stesse con funzioni contenziose. In realtà la dottrina ha posto il dubbio se le metodiche istruttorie utilizzate per la volontaria giurisdizione (e fondate sull’assunzione di informazioni ai sensi dell’art. 738 c.p.c.) possano valere quando il procedimento ha carattere contenzioso. Verso la soluzione negativa – secondo cui l’ammissione di prove atipiche è consentita solo in ambito non contenzioso, mentre in un contesto contenzioso la prova atipica deve lasciare il passo all’istruttoria ordinaria degli artt. 202 ss. c.p.c. – ci si è spinti sul presupposto che solo quest’ultima è in grado di assicurare le garanzie adeguate quando sono in gioco diritti soggettivi (Fazzalari, Uno sguardo storico e sistematico (ancora sul procedimento camerale e la tutela dei diritti), in Atti del XVII Convegno nazionale dell’Associazione italiana fra gli studiosi del processo civile, si I procedimenti in camera di consiglio e la tutela dei diritti (Palermo 6-7 ottobre 1989), p.

26-28). In senso opposto, si ritiene invece che – sfatata l’idea che i mezzi istruttori atipici siano sempre dotati di una efficacia minore di quelli tipici – l’unico problema fondamentale dell’istruttoria per informazioni del modello camerale basata su tecniche “atipiche” è il rischio di condurre a risultati incontrollabili (così Ricci G.F., Atipicità della prova, processo ordinario e rito camerale, cit., 446). E’ perciò necessario che ruolo determinante sia assicurato al contraddittorio, “la cui osservanza può consentire un accertamento serio e controllato anche in tale tipo di processo.

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oggi da acquisire quale dato di fatto33. Basti qui ricordare che il procedimento in camera di consiglio (che trova il suo prototipo negli artt. 737 ss c.p.c., ma che con qualche modifica si ripropone in plurime leggi speciali34), sorto quale rito della giurisdizione non contenziosa, è oggi ampiamente utilizzato per la decisione su diritti. E’ questa una prassi legislativa avallata dalla stessa giurisprudenza (costituzionale e di legittimità), la quale – attraverso operazioni di chirurgia plastica - a più riprese ha ritenuto l’uso delle forme camerali in situazioni contenziose conforme ai principi (costituzionali) alla condizione che fossero assicurati il contraddittorio, il diritto ad un provvedimento motivato, una istruttoria35.

L’ostilità mostrata da sempre da una parte della dottrina per siffatto fenomeno36 sembra oggi trovare l’avallo di quello stesso legislatore che sinora aveva promosso il modello camerale contenzioso:

l’art. 54 l. n. 69/2009 delega il legislatore ad introdurre un decreto volto alla “riduzione e semplificazione dei riti”. A cercarne la ratio, si può leggere tra le righe l’intenzione di porre fine al fenomeno camerale sostituendo i molteplici procedimenti speciali ispirati alla sommarizzazione con processi a struttura più formalizzata, in particolare con il procedimento sommario di cognizione: ai sensi dell’art. 54 cit., “i procedimenti, anche se in camera di consiglio, in cui sono prevalenti i caratteri di semplificazione della trattazione o dell’istruzione della causa sono ricondotti al procedimento sommario di cognizione” degli artt. 702 bis ss c.p.c. Sia consentito dubitare dell’opportunità della scelta e soprattutto della possibilità di conseguire l’obiettivo sperato.

Come si avrà modo di approfondire – ponendo a confronto vari modelli sommari – la distanza che separa il rito camerale (contenzioso) dal procedimento sommario di cognizione è pari (quasi) a Pertanto, il necessario ossequio al contraddittorio diventa un obbligo nei procedimenti in camera di consiglio […]

come garanzia della corretta tutela dei diritti soggettivi che di volta in volta sono in gioco in tale tipo di processo”.

Questa seconda opzione è senz’altro da condividere, tenuto conto del contesto attuale, in cui la prova atipica (o quella tipica ma tipicamente assunta) costituisce una realtà accettata unanimemente dalla giurisprudenza. Non vi è perciò necessità di distinguere la funzione contenziosa da quella non contenziosa del rito camerale per esaminarne compiutamente la fase istruttoria, sia nell’uno che nell’altro caso potendo avere ingresso prove atipiche, anche se alla – imprescindibile – condizione del rispetto del principio del contraddittorio. Nello stesso senso Comoglio, Garanzie costituzionali e prove atipiche nel procedimento camerale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1976, 1150 ss., spec. 1159.

33 Per un maggiore approfondimento dell’argomento si rinvia a Tiscini, Il ricorso straordinario in cassazione, Torino, 2005, 405 ss.

34 Difficilmente si può offrire un elenco esaustivo delle materie in cui il procedimento camerale è utilizzato in forma contenziosa.

35 Per tutte, Corte cost. 1 agosto 2003, n. 11715; Corte cost. 26 febbraio 2002, n. 35, in Giust. civ., 2002, I, 114; Corte cost. 10 luglio 1975, n. 202, in Foro it., 1975, I, 1576; Cass. 19 giugno 1996, n. 5629, in Foro it., 1996, I, 3070; Cass. 22 ottobre 1997, n. 10377, ivi, 1999, I, 2045; Cass. 28 luglio 2004, n. 14200, ivi, 2005, I, 777.

36 Ostilità leggibile anche nell’appellativo ad esso riconosciuto quale procedimento di “cameralizzazione del giudizio sui diritti”. Vd. per tutti Lanfranchi, La roccia non incrinata, Torino, 2004, passim.

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quella che colloca su piani opposti il rito sommario (da un lato) e la cognizione piena (dall’altro). Si avrà modo di dimostrare che il procedimento sommario di cognizione, al di là dei termini, ha ben poco di sommario nella sua struttura; il che ne fa una species a sé stante che nulla ha a che vedere con il modello camerale. E’ difficile pensare allora che quest’ultimo, tenuto conto del ruolo che oggi svolge nel sistema processuale civile, possa essere soppiantato da un rito, quale quello degli artt. 702 bis ss c.p.c., alla prova dei fatti ben poco “sommario”. E’ forte il timore che quest’ultimo non riesca a produrre i risultati sperati in termini di celerità del giudizio, come invece sinora ha fatto il rito camerale (nel bene o nel male, con il consenso o il dissenso degli operatori del diritto). Il futuro darà ragione alla scelta legislativa, ovvero allo scetticismo mostrato dai più.

Per il momento è bene tornare al fenomeno camerale contenzioso, attualmente presente nel nostro ordinamento e realtà del sistema di cui tenere conto37.

6. - L’accertamento del fatto nel modello camerale è ricondotto alla acquisizione delle cd.

“informazioni” (ai sensi dell’art. 738 c.p.c. “il giudice può assumere informazioni”).

Approfonditi studi38 hanno cercato di delineare l’attività cognitiva del giudice ogni qualvolta la legge lo autorizza ad assumere “informazioni”39; la pratica ha dato risposte oscillanti a molti dei quesiti. In questa sede non si ha la pretesa di aggiungere novità in un terreno fin troppo arato; si vuole solo offrire un quadro di sintesi dei risultati raggiunti dalla dottrina alla luce dell’esperienza giurisprudenziale.

Il potere del giudice di assumere “informazioni” è diverso dal suo potere di sentire le parti40, o almeno non si esaurisce in questo41. Una cosa è l’audizione degli interessati, di cui il giudice può

37 D’altra parte è da considerare che – anche una volta attuata la delega – il modello camerale contenzioso non riuscirà ad essere del tutto soppiantato. Vi sono diverse materie (quali quelle relative alle procedure concorsuali, alla famiglia ed ai minori, alla proprietà industriale) che non sono coperte dal campo di applicazione della delega e nelle quali per il fenomeno camerale è particolarmente diffuso (si tratta, anzi, delle materie nelle quali esso è più frequente). Sicché, nonostante gli intenti, il modello camerale contenzioso resterà nella realtà attuale quale istituto presente e vivo.

38 Per tutti cfr. Capponi, Le “informazioni” del giudice civile (appunti per una ricerca) , in Riv. trim. dir. proc. civ., 1990, 911 ss.; Ricci G.F., Atipicità della prova, cit., 431.

39 Offre un casistica delle ipotesi in cui la legge riconosce il potere di assumere “informazioni” Capponi, Le

“informazioni”, cit., 916.

40 Capponi, Le “informazioni”, cit., 916.

41 Non si può escludere invece che il giudice - pure abilitato ad assumere informazioni – svolga (quando il caso di specie lo impone e sempreché non pregiudichi la celerità dei giudizi) un’istruttoria ordinaria (Ricci G.F., Atipicità, cit., 432).

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disporre quando la legge gliene conferisce la possibilità, altra cosa è l’assunzione di informazioni, da collocare nell’attività propriamente istruttoria42.

L’assunzione di informazioni deve poi distinguersi dalla capacità di decidere la causa sulla base della mera “verosimiglianza” (o della sola “probabilità”). In quest’ultimo caso il giudice può decidere, limitandosi a verificare il carattere probabilistico dei fatti allegati, pure in assenza della prova di essi43 (“il giudizio di verosimiglianza è dato in via preventiva, sulla allegazione, non sulla prova, e serve a rendere ammissibile la prova […] il giudizio di verosimiglianza è soltanto un biglietti di ingresso, un lasciapassare della prova testimoniale altrimenti vietata”44).

Sicché, ogni qualvolta la legge attribuisce al giudice il potere-dovere di assumere informazioni, il suo giudizio non può limitarsi né solo all’audizione degli interessati, né solo ad un esame probabilistico che dalla prova possa prescindere45. Un certo margine di istruttoria è non solo possibile ma anche necessario. Occorre allora verificare in cosa esso si concreti ed in cosa si distingua dall’istruttoria ordinaria.

E’ ormai pacifica l’ammissibilità di prove atipiche, potendosi porre a fondamento della decisione mezzi di prova diversi da quelli tipici disciplinati dal codice civile o dal codice di rito. Anche quello della ammissibilità delle prove atipiche nel processo civile è problema intensamente vissuto dalla dottrina46, e partecipato dalla giurisprudenza. Allo stato attuale dell’evoluzione scientifica e pratica le prove atipiche costituiscono una realtà del processo civile dalla quale non si può prescindere, dal momento che tanto la giurisprudenza, quanto la dottrina ne ammettono l’uso non solo nei

42 Che l’audizione degli interessati sia cosa diversa dalla assunzione di informazioni è confermato dalla formula legislativa spesso utilizzata, in cui l’una attività è collocata al fianco e si aggiunge all’altra. Così a titolo esemplificativo nell’art. 9 o 4 o 5 della l. n. 898/1970, in cui si legge che sull’istanza di revisione delle condizioni patrimoniali tra coniugi in caso di divorzio, provvede il giudice in camera di consiglio “assunte informazioni e sentite le parti e il pubblico ministero”.

43 Capponi, op. cit., 927.

44 Calamandrei, Verità e verosimiglianza nel processo civile, in Riv. dir. proc., 1955, I, 164 ss., spec. 178, e ora in Opere giuridiche, V, Napoli 1972, 615.

45 Osserva Capponi, op. cit., 930, come “le “informazioni” non possono risolversi nella mera valutazione dei fatti allegati, ma debbono tradursi nel compimento di una attività di accertamento dei presupposti di fatto che legittimano l’adozione del provvedimento”.

46 Vd. per tutti Cavallone, Critica alla teoria delle prove atipiche, in Riv. dir. proc., 1978, 679; Taruffo, Prove atipiche e convincimento del giudice, ivi, 1973, 389; Ricci G.F., Atipicità della prova, processo ordinario, cit., 409; Id, Le prove atipiche, Milano, 1999; Montesano, Le “prove atipiche” nelle “presunzioni” e negli “argomenti” del giudice civile, in Riv.

dir. proc., 1980, 233; Chiarloni, Riflessioni sui limiti del giudizio di fatto nel processo civile, in Riv trim. dir. proc., civ., 1986, 819.

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procedimenti sommari, ma anche (talvolta) in quello a cognizione piena ed esauriente47. Ciò in quanto, in mancanza di una norma di chiusura che indichi un numerus clausus di prove, e tenuto conto del diritto alla prova (quale espressione della garanzia costituzionale del diritto di difesa48) nonché del correlativo principio del libero convincimento del giudice, deve escludersi che il catalogo delle prove sia completo e quindi che non se ne possa ammettere di atipiche anche al di fuori delle prescrizioni di legge49.

47 Sull’ammissibilità delle prove atipiche, cfr. Ricci G.F., Atipicità, cit., 410; Taruffo, Prive atipiche, cit., 389; Id, Il diritto alla prova nel processo civile, in Riv. dir. proc., 1984, 74 ss.,, spec. 103; Verde, voce Prova (teoria generale e diritto processuale civile), in Enc. dir., XXXVII, Milano, 1988, 606 (favorevole all’inquadramento delle prove atipiche come indizi); criticamente, cfr. Cavallone, Critica della teoria delle prove atipiche, cit., 679; Carratta, Prova e convincimento del giudice nel processo civile, ivi, 2003, 27 ss, spec. 46.

48 Sul tema del diritto alla prova vd. Taruffo, Il diritto alla prova nel processo civile, cit., 74.

49 Questo l’argomento più usato a favore dell’ammissibilità delle prove atipiche. La giurisprudenza sembra allo stato unanime nell’ammettere le prove atipiche (Cass. 2 settembre 2005, n. 17698; Cass. 25 marzo 2004, n. 5965; Cass. 24 febbraio 2004, n. 3642; Cass. 27 marzo 2003, n. 4666; Cass. 26 settembre 2000, n. 12763, in Giur. it., 2001, I, 1378;

Trib. Ivrea sez. lav. 14 maggio 2008, in Foro pad., 2008, 1, 255; Tivoli sez. lav. 30 novembre 2006, in Red. Giuffrè, 2007;

App. Milano, 16 maggio 2006, in Foro pad., 2006, 3-4, 532; App. Bari, 15 aprile 2005, in Foro it., 2005, I, 1905; Trib.

Nola, 28 settembre 2004, in Giur. merito, 2005, 575; Trib. Roma, 30 gennaio 2004, in Red. Giuffré, 2006; Trib. Bologna, 14 febbraio 2002, in Foro pad., 2003, I, 121, con nota di Melandri). Se mai il problema si pone in punto di utilizzabilità della prova, oscillandosi tra una lettura più elastica che consente di porre a fondamento della decisione finanche una sola prova atipica, una lettura che rimette alla libera valutazione del giudice del merito la possibilità che la decisione sin fondi su tali prove in concomitanza con altre circostanze desumibili dalla stessa natura della controversia (Trib.

Tivoli sez. lav. 30 novembre 2006, cit.), la valutazione quale prova indiziaria, ogni volta che la loro creditibilità e attendibilità risulti confortata dal difetto di contestazione ad opera della parte contro la quale essi sono stati prodotti, ovvero con altri elementi di giudizio, anche in relazione a particolari circostanze che possono fornire loro specifico significato e rilevanza (App. Milano, 16 maggio 2006, cit.) e soluzioni più rigide che consentono di utilizzare i risultati acquisiti da prove atipiche solo come argomenti di prova (Trib. Bologna, 14 febbraio 2002, cit.). Sicché,

“nell’ordinamento processuale vigente manca una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova. Ne consegue che il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove cosiddette atipiche, purché idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se ed in quanto non smentite dal raffronto critico - riservato al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato - con le altre risultanze del processo. In particolare, il giudice del merito può trarre elementi di convincimento anche dalla parte della consulenza d’ufficio eccedente i limiti del mandato, ma non sostanzialmente estranea all'oggetto dell'indagine in funzione della quale è stata disposta” (Cass. 25 marzo 2004, n. 5965, cit.). L’ammissibilità in generale delle prove atipiche non esonera – anzi aggrava – l’onere per il giudice di adeguatamente giustificarne l’uso. Secondo Cass. 24 febbraio 2004, n.

3642 “l’art. 116 c.p.c. conferisce al giudice di merito un potere ampiamente discrezionale del quale, attenendo esso alle cosiddette prove atipiche o innominate, va motivatamente giustificato l’'uso, e non già, come invece in caso di mancata valutazione delle prove tipiche (e salvo sempre il principio del libero convincimento), il non uso”; conf. Cass.

27 marzo 2003, n. 4666.

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L’uso di prove innominate è perciò consentito, maiori causa, in un modello massimamente semplificato quale quello camerale ogni qualvolta il giudice sia chiamato (e possa limitarsi) ad assumere informazioni.

D’altra parte, in un contesto sommario, in cui l’istruttoria (pur sempre necessaria) può essere elevata al massimo livello di semplificazione, anche le prove tipiche possono essere svincolate dal modello formale. Così come si ammettono prove atipiche, debbano pure essere consentite prove tipiche in modo “atipico” cioè senza l’osservanza delle formalità stabilite dalla legge, alla condizione che ciò non comporti violazione dei principi fondanti il diritto di azione e di difesa50. Avuto riguardo all’obiettivo perseguito dal modello camerale (anche contenzioso), sulla base di esso occorre modulare condizioni e termini della relativa istruttoria. Il rito camerale è usato allo scopo di raggiungere nel breve il risultato di giustizia. L’esigenza perseguita è cioè quella della massima celerità, anche se ciò comporta il sacrificio delle forme solenni della cognizione piena.

Sacrificio delle forme solenni significa allora – proprio nella prospettiva della celerità – rinuncia alle tecniche rigide stabilite dalla legge per l’assunzione delle prove. Come noto, la fase che maggiormente richiede tempo all’interno del processo di cognizione è quella della formazione della prova costituenda; per accelerare i tempi processuali è quindi necessario che su tale fase si incida, rinunciando alle formalità non essenziali al contraddittorio. Esemplificando, potrà senz’altro assumersi una prova testimoniale, ma senza la formulazione dei capitoli, così come potrà disporsi – ove le esigenze del caso lo richiedano - una CTU senza la formulazione solenne prevista nel codice.

D’altra parte la semplificazione procedurale nell’assunzione delle prove – quanto alla CTU o alla testimonianza scritta – è tendenza che il più recente legislatore del 2009 ha fatto propria. Non si vede quindi quale ostacolo possa impedire di esaltare tale esigenza nei modelli sommari.

Data per acquisita la massima semplificazione della fase istruttoria – quanto alle tecniche di formazione della prova – occorre anche verificare se il generico potere di assumere informazioni incida su altri profili dell’accertamento del fatto.

È opinione diffusa che l’assunzione di “sommarie informazioni” possa prescindere dal contraddittorio di tutte le parti. La tesi51 trae origine dal confronto tra la fase in contraddittorio e quella – ad essa alternativa – senza contraddittorio nel procedimento cautelare uniforme, rispettivamente regolate dai commi 1 e 2 art. 669 sexies c.p.c. Da ciò si desume anche la differenza tra le informazioni “sommarie” dell’art. 669 sexies comma 2 c.p.c. e quelle che sommarie non sono (dell’art. 738 c.p.c.), solo queste ultime da rendere in contraddittorio delle parti, le prime caratterizzate da un procedimento inaudita altera parte52.

50 Sulle prove tipiche ma tipicamente assunte quale diversa accezione di prova atipica, cfr. Ricci G.F., Atipicità, cit., 413; Luiso, Diritto processuale civile, Milano, 2009, IV, 190.

51 Sul punto, cfr. ampiamente Lombardo, Natura e caratteri dell’istruzione probatoria nel processo cautelare, in Riv.

dir. proc., 2001, 465 ss., spec. 504.

52 Ricci G.F., Atipicità, cit., 441.

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Sul tema si tornerà a tempo debito53. Per quanto qui interessa, basti rilevare come non vi è corrispondenza biunivoca tra le “sommarie informazioni” e l’assunzione delle prove inaudita altera parte (a fronte di un modello in cui le informazioni, se non sono “sommarie” impongono necessariamente il rispetto del contraddittorio54). Seppure ciò talora accade, non si può escludere che il giudice sia chiamato ad assumere informazioni “sommarie” (rectius, a svolgere l’istruttoria secondo forme semplificate) in un contesto a contraddittorio anticipato, così come non si può escludere che, anche quando siano richieste informazioni non sommarie, esse possano collocarsi in una fase a contraddittorio posticipato. Piuttosto, vale la regola – pure sostenuta dai più55 – secondo cui anche quando il provvedimento può essere emesso inaudita altera parte, la parte che abbia proposto la domanda deve comunque essere sentita56. In altri termini, è sempre necessario che il principio del contraddittorio57 dispieghi le sue energie in un procedimento che si svolge inaudita altera parte, nel senso che almeno il giudice ed il ricorrente devono essere posti nelle condizioni di contraddire58.

Quanto all’incidenza della tecnica delle “informazioni” sul principio dispositivo, una maggiore elasticità vincola il giudice all’iniziativa di parte, potendo egli disporre di più ampie facoltà di ammissione ogni qualvolta sorga l’esigenza di porre a fondamento della decisione fatti allegati dalle parti e ciò nonostante non provati59. Nella prospettiva della massima semplificazione delle forme è da ritenere che il giudice disponga in questo contesto di maggiori facoltà di iniziativa officiosa60.

53 Infra § successivo.

54 Questa la tesi di Ricci G.F., Atipicità, cit., 442.

55 Capponi, Le “informazioni”, cit., 940; Comoglio, Garanzie costituzionali, cit., 1159; Lombardo, op. cit., 514.

56 Lombardo, op. cit., 514.

57 Sull’osservanza del principio del contraddittorio nel rito camerale contenzioso, vd. Cass. 9 giugno 2005, n. 12173.

58 Sicché, “nel caso in cui disponga una consulenza tecnica d’ufficio con modalità “orali”, il giudice non potrà inibire alla parte la nomina di un proprio consulente; nel caso in cui disponga l’accesso sui luoghi, il giudice non potrà non notiziare la parte istante e non consentirne la partecipazione all’esperimento istruttorio; nel caso in cui disponga l’audizione di testimoni, sia pure in modo del tutto informale, il giudice non potrà procedere in forma segreta, escludendo la parte dall’esame” (Capponi, Le “informazioni”, cit., 940; Lombardo, op. cit., 514).

59 La deroga al principio dispositivo non incide sul diritto alla prova, quest’ultimo privo di ogni connessione con il primo. Il diritto alla prova è “invece compatibile con l’attuazione totale o parziale del principio inquisitorio, che di per sé non implica alcun limite al diritto alla prova”, alla condizione che sia sempre rispettato il principio del contraddittorio (Taruffo, Il diritto alla prova, cit., 91).

60 In questo senso Cass. 8 marzo 1999, n. 1947, secondo cui “in tema di giudizio camerale, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 738 c.p.c. (secondo cui "il giudice può assumere informazioni"), il giudice, senza che sia necessario il ricorso alle fonti di prova disciplinate dal codice di rito, risulta di fatto svincolato dalle iniziative istruttorie delle parti e procede con i più ampi poteri inquisitori, i quali si estrinsecano attraverso l'assunzione di informazioni che,

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Sarebbe troppo restrittivo – e non conforme alle tecniche snelle delle sommarie informazioni – escludere l’esercizio di poteri officiosi più ampi di quelli tradizionalmente riconosciutigli61, tenuto conto, tra l’altro, della genericità della formula che richiama un non ben precisato potere di assumere “informazioni” anche oltre l’iniziativa di parte62.

L’attribuzione al giudice di più ampi poteri officiosi meglio risponde ai requisiti propri del modello camerale, specialmente quando non contenzioso, ma non molto diversamente quando posto al servizio di situazioni contenziose. E’ opinione diffusa63 quella secondo cui il rito camerale si caratterizza per una maggiore iniziativa del giudice64. Senza condurre ad estreme conseguenze tale affermazione, è bene escludere in questo contesto l’operatività delle disposizioni – valide nel rito ordinario a cognizione piena – che limitano i poteri officiosi. Il che non vuol dire in senso rigoroso abbandonare il principio dispositivo in favore di quello inquisitorio65, né derogare all’onere di allegazione dei fatti da provare66; né vuol dire derogare alla regola del divieto di scienza privata che impone uno sbarramento invalicabile alla capacità del giudice di provvedere in ordine ai facta probanda per via privata67. Significa piuttosto lasciare che sia il giudice a determinare le modalità espressamente consentita dalla menzionata disposizione, non resta subordinata all'istanza di parte. Tale assunzione, però, palesandosi oggetto di una mera facoltà, non implica alcun obbligo per il giudice, sicché la mancata estensione dell'indagine non determina l'inosservanza delle norme disciplinanti il procedimento camerale e risulta incensurabile in cassazione, sotto il profilo della violazione di legge, in ordine al mancato esercizio della predetta facoltà, soprattutto quando la decisione si fondi sopra elementi istruttori raccolti aliunde rispetto alle informazioni dell'art. 738 c.p.c. e dei quali il giudice, attraverso la motivazione, abbia dato esauriente conto”.

61 Così invece Lombardo, op. cit., 508; Arieta, I provvedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c., cit., 268; contra a favore di più ampi poteri inquisitori nel procedimento cautelare, Montesano, Le prove disponibili d’ufficio e l’imparzialità del giudice civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1978, 189 ss. 201.

62 A questa conclusione giunge la dottrina maggioritaria: Ricci G.F., Atipicità, cit., 433; Comoglio, Difesa e contraddittorio nei procedimenti in camera di consiglio, in Riv. dir. proc., 1997, 719 ss., spec. 728 e 734.

63 Vd. sul tema Comoglio, Difesa e contraddittorio, cit., 738; Cipriani, Procedimento camerale e diritto alla difesa, in Riv. dir. proc., 1974, 363. In giurisprudenza, Cass. 8 marzo 1999, n. 1947.

64 La giurisprudenza giunge talora a ritenere che il giudice della volontaria giurisdizione possa esercitare poteri inquisitori anche oltre i limiti dell’assunzione di informazioni (Cass. 25 maggio 1982, n. 3180, in Giust. civ., 1982, I, 2663).

65 Sul punto, cfr. Capponi, op. cit., 933

66 Esaminando specificamente il fenomeno camerale non contenzioso, Comoglio, Difesa e contraddittorio, cit., 734 pone il dubbio se ed in che limiti operino anche nel processo camerale il principio dispositivo ed i suoi principali corollari (i limiti oggettivi della domanda, la corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, il vincolo della allegazione di parte, la disponibilità della prova).

67 Cos Lombardo, op. cit., 513.

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di svolgimento dell’attività istruttoria, non solo nella ammissione di ciascun mezzo di prova, ma anche nella regolamentazione della sua assunzione, alla condizione che ciò avvenga nel rispetto delle garanzie del contraddittorio e dell’iniziativa di parte in punto di allegazione. In altri termini, la maggiore elasticità nell’esercizio dei poteri istruttori ad opera del giudice camerale – chiamato ad assumere informazioni – si estrinseca in più ampie facoltà di iniziativa e in una piena libertà di forme.

I poteri inquisitori incidono in qualche modo sull’operatività della regola dell’onere della prova dell’art. 2697 c.c., non nel senso che essa non si applica – se il fatto non si ritiene provato – ma nel senso che prima di giungere alla sua applicazione il giudice deve (meglio, può) formare il suo convincimento68 nel modo che ritiene più opportuno69.

Deve escludersi che l’articolazione delle richieste istruttorie – quando anche provenienti dalle parti – sia assoggettata a rigidi regimi preclusivi. Non vi sono imposizioni di barriere preclusive in un contesto massimamente elastico quale quello camerale, sicché il giudice potrà decidere di assumere

“informazioni” in qualsiasi momento della procedura. Che ciò faccia in limine litis è questione che si consoliderà nella prassi tenuto conto dell’esigenza di velocizzare il procedimento.

E’ poi necessario che qualunque percorso argomentativo vada provato: soccorre sul punto la funzione della motivazione quale garanzia di controllo esterno esercitabile sulla decisione giudiziale. Pur essendo tale controllo limitato dall’ampia discrezionalità di cui dispone il giudice in sede di procedimento sommario (quando chiamato ad assumere “informazioni”), è necessario che la decisione – anche in punto di accertamento della verità materiale – sia sostenuta da un valido apparato motivazionale, il quale in questo contesto deve sopperire alla mancanza di regole stringenti in punto di ammissibilità della prova70.

7. - Veniamo all’accertamento del fatto nei procedimenti cautelari. Il rito cautelare uniforme puntualmente descrive l’attività distinguendo il procedimento in contraddittorio (art. 669 sexies comma 1 c.p.c.) da quello inaudita altera parte (comma 2 art. 669 sexies c.p.c.). A quest’ultimo in parte si è fatto cenno nel § precedente. Si limita in questo caso la legge a stabilire che il giudice provvede con decreto motivato “assunte, ove occorra sommarie informazioni”; il richiamo alle

68 Il che richiama il problema del libero convincimento del giudice del quale si dirà più avanti (infra § 10).

69 Concorda Comoglio, Difesa e contraddittorio, cit., 739 nell’escludere l’applicazione automatica dell’art. 2697 c.c.

tenuto conto della ricerca “ufficiale” della verità.

70 Sulla funzione della motivazione quale garanzia del controllo esercitatile sulle scelte compiute dal giudice secondo criteri logici e razionali nella formazione del proprio libero convincimento, cfr. Carratta, Prova e convincimento, cit. 34.

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