• Non ci sono risultati.

Capitolo 1: Sistematica e filogenesi degli Elephantidae italiani

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Capitolo 1: Sistematica e filogenesi degli Elephantidae italiani"

Copied!
23
0
0

Testo completo

(1)

Capitolo 1: Sistematica e filogenesi degli Elephantidae

italiani

Gli elefanti sono fra i vertebrati terrestri viventi quelli di maggiori dimensioni e le loro caratteristiche evolutive sono associate all’enorme taglia ed alla necessità di procurarsi grandi quantità di erba ed altri vegetali (Dorit et alii 1991). Durante

l’evoluzione, l’acquisizione di una grande taglia corporea comportò la costruzione di una struttura graviportale caratterizzata dallo sviluppo di arti colonnari e di un piede largo e corto, dall’aumento delle vertebre toraciche a scapito di quelle lombari, dall’irrobustimento dei processi neurali e dall’estensione della gabbia toracica (Raffi & Serpagli 1992). Per sostenere la pesante proboscide ed i denti particolarmente sviluppati è necessario un capo massiccio. Il collo degli elefanti è corto ed essi non sono in grado di raggiungere con la bocca il terreno. La proboscide, che è il

prolungamento del labbro superiore e del naso fusi insieme, è un efficiente organo per la raccolta di cibo. Gli elefanti possiedono solo un paio di incisivi superiori, trasformati in zanne, che vengono usati per scortecciare e sradicare le piante, oltre che a scopo difensivo. Nel corso della vita di un elefante, su ciascun lato delle mascelle superiori ed inferiori si sviluppano sei molari destinati alla masticazione. Questi denti sono tanto grandi che in ciascuna emiarcata vi è posto per un solo dente alla volta. Appena uno di questi denti si è consumato, un nuovo dente, che si

sviluppa nella parte posteriore di ogni mascella, si spinge in avanti. In tal modo, utilizzando i molari uno per volta, la durata complessiva dei denti viene prolungata (Dorit et alii 1991). Ogni molare presenta un’ampia superficie masticatoria. I molari sono costituiti da pieghe trasverse di dentina, rivestite da smalto, tenute assieme dal cemento (Raffi & Serpagli 1992). Il ritmo di formazione del piano strutturale degli elefanti è stato scandito dall’adattamento ad ambienti diversi, ed in particolare dal passaggio dagli ambienti di foresta a quelli di savana e di steppa. E’ solo nel Pliocene che compaiono i primi veri elefantidi, in cui troviamo associati tutti i caratteri sopra menzionati. Il fatto di possedere dei molari a corona alta e con numerose lamelle

(2)

corrisponde alla conquista da parte dei proboscidati, prima limitati all’ambiente di foresta (mastodonti, con denti bunodonti1), degli ambienti di savana e di steppa e

quindi di nuove risorse alimentari.

1.1 Origine e diversificazione

Gli elefanti fossili sono ben rappresentati in tutto il territorio italiano, compresa la Sicilia e la Sardegna. Il record fossile degli elefanti italiani va dal Pliocene medio al tardo Pleistocene, ed include l’arrivo dei primi elefanti in Europa Occidentale ed i resti dei loro ultimi rappresentanti. Normalmente l’arrivo di nuovi taxa di elefanti in Italia è dovuto a immigrazioni dall’Asia o dall’Europa dell’Est, legate a cambiamenti climatici (Ferretti & Palombo 2004).

I rappresentanti degli elefanti italiani del Plio-Pleistocene si rapportano a due linee filetiche distinte: quelle degli elefanti tradizionalmente legati ad ambienti di foresta (Elephas) e quelle d’elefanti che sono adattati ad ambienti aperti con riduzione della vegetazione (Mammuthus). I due gruppi hanno come “antenati” delle forme africane che risalgono a circa 4,5 milioni d’anni fa (Ma). A quell’epoca in Africa si potevano già distinguere tre rami filetici rappresentati dai generi Loxodonta, Mammuthus ed

Elephas; le tre linee avrebbero avuto origine dal genere Primelephas (Fig. 1) del

Miocene e del Pliocene inferiore dell’Africa Australe e la loro comparsa sarebbe stata pressoché contemporanea (Palombo 1994).

1 Nei molari bunodonti si trovano due serie di tubercoli, rispettivamente liguale e labiale, separate da un solco

longitudinale ben sviluppato. Nei primi elefantidi i molari invece sono formati da creste che hanno perduto traccia del solco longitudinale. (Azzaroli 1990)

(3)

Figura 1: Rappresentazione di Primelephas del Miocene africano. Da www.elephant.sc/ primelephas .php .

Il genere Loxodonta ha dato origine alle forme attuali africane, senza nessuna discendenza né in Europa né in Asia. Il genere Mammuthus appare 3,5 Ma con

Mammuthus subplanifrons del Sud Africa, si ha poi il Mammuthus africanavus del Nord Africa, dal quale discenderanno le forme eurasiatiche. Il genere Elephas compare circa 4 Ma con Elephas ekorensis che origina due distinte linee, una che porta ad Elephas

planifrons dell’Asia ed alle forme che originano l’attuale Elephas maximus. L’altra linea è rappresentata in Africa dall’Elephas recki che, circa 2 Ma, origina un gruppo che attraverso l’Asia Minore raggiunge il continente europeo (Palombo 1984).

Nella penisola italiana sono state riconosciute quattro specie d’elefanti tra i fossili plio-pleistocenici: Mammuthus meridionalis, M. trogontherii, M. primigenius ed Elephas

(P.) antiquus. Oltre a questi taxa si ritrovano anche reperti di Mammuthus con posizione sistematica non ancora definita e le forme endemiche della Sicilia e della Sardegna.

(4)

1.2 Mammuthus

Gli appartenenti al genere Mammuthus hanno un cranio caratterizzato da una regione pareto-occipitale elevata ed appuntita; la fronte è stretta (Fig. 2). Gli alveoli delle difese sono sub-paralleli, le difese sono ricurve verso l’alto e con lo sviluppo, l’asse delle difese forma una spirale. La curvatura delle difese ha un significato di

adattamento ecologico, infatti è noto che gli elefanti abitatori delle foreste hanno difese meno ricurve degli abitatori delle pianure aperte e delle steppe. L’Elephas

antiquus era prevalentemente un mangiatore di foglie e di ramoscelli d’alberi, viveva in ambienti boscosi e aveva delle lunghe difese diritte. Per i mangiatori d’erba, come i

Mammuthus, la forma curva verso l’alto delle difese permetteva invece una posizione della testa più vicina al suolo (Trevisan 1948). La mandibola ha un rostro sinfisario ben sviluppato nelle forme più primitive, ridotto in quelle più evolute. I molari nelle varie specie hanno corona larga. Esiste una tendenza evolutiva tra i Mammuthus, caratterizzata dall’aumento dell’altezza della corona e del numero delle lamelle, mentre lo spessore dello smalto tende a ridursi (Ferretti 1998).

Figura 2: Ricostruzione della morfologia del Mammuthus meridionalis, M. trogontherii e

(5)

1.2.1 Mammuthus cf. rumanus/meridionalis

La prima comparsa degli elefanti in Europa Occidentale segna un importante evento faunistico, caratterizzato dall’arrivo di nuovi taxa e dalla scomparsa di specie

rusciniane2 (Pliocene inferiore). Il cambiamento faunistico è da mettere in relazione

con un deterioramento climatico a livello globale (Tigliano della scala a pollini), caratterizzato alle nostre latitudini da un marcato inaridimento. Scompaiono forme tipiche di foresta ed arrivano elementi tipici di savana e/o prateria come il cavallo e l’elefante (“Equus-Elephant event”, Lindsay et alii 1980).

L’elefante di Lajatico (Pisa), descritto da Ramaccioni (1936) rappresenta

probabilmente la più antica segnalazione degli Elephantidae in Italia (2,6 Ma) e per estensione in Europa Occidentale. Di poco più recenti (2,5 Ma) sono i resti di

proboscidati di Montopoli (Pisa) (Ferretti, comunicazione personale).

Per quanto riguarda la sistematica di questi proboscidati, la storia è lunga e controversa. Ramaccioni (1936) aveva attribuito i resti di Lajatico ad Elephas

planifrons. Al tempo di Ramaccioni, tutti gli elefanti erano attribuiti al genere Elephas anche se erano già riconosciute diverse linee evolutive distinte. La specie E. planifrons è basata su materiale dell’India, che rappresenta un morfotipo primitivo per l’intera famiglia, alla quale venivano riferite varie forme plesiomorfe dell’Europa e dell’Asia. L’E. planifrons dell’India è stato riconosciuto come rappresentante del clade che include l’attuale elefante asiatico, mentre i “planifrons” europei appartengono al gruppo dei Mammuthus (Ferretti, comunicazione personale). Nel 1977 Azzaroli ha attribuito i resti di Lajatico alla specie russa Mammuthus gromovi, ritenuta allora il più antico e primitivo mammut euro-asiatico. Una successiva revisione del materiale di Gromov in Russia (Dubrovo 1985) ha dimostrato come i resti di questi mammut

2 I fossili continentali hanno una distribuzione puntiforme nello spazio e nel tempo, nelle associazioni faunistiche

continentali si riconoscono quindi Faune Locali; più Faune Locali raggruppabili per composizione simile o per la presenza di particolari elementi significativi, costituiscono Unità Faunistiche, ciascuna delle quali è definita da una fauna locale scelta come tipo. Raggruppando più Unità Faunistiche si definiscono delle “Età” faunistiche, le Età a Mammiferi. I limiti tra le unità rimangono indefiniti, infatti nuove Unità possono essere inserite tra quelle già note, come i limiti delle Età possono variare in funzione del riconoscimento di nuove Unità (De Giuli et alii 1983). In Italia, nel Plio-Pleistocene si riconoscono diverse Età a mammiferi, tra le quali la Rusciniana, la Villafranchiana, la Galeriana e l’Aureliana.

(6)

rientrano nella variabilità specifica dei Mammuthus meridionalis e sono indistinguibili da questi. Resti veramente più primitivi di Mammuthus meridionalis sono stati

ritrovati in Romania, in depositi riferibili all’Unità Faunistica di Triversa (3,5-3 Ma) e sono stati riferiti a Mammuthus rumanus (Lister & van Essen 2003). In base alla

biometria dei molari il gruppo dei Mammuthus di Lajatico e di Montopoli risulta omogeneo con quello dei Mammuthus della Romania (Lister 2005).

Odiernamente vi sono due scuole di pensiero: Lister e van Essen (2003) propongono per il materiale di Lajatico il nome di Mammuthus cf. rumanus, mentre Palombo e Ferretti (2004) attribuiscono questi reperti ad una forma primitiva del “tipico”

Mammuthus meridionalis. In questo lavoro, tutti i reperti con caratteristiche arcaiche sono stati inseriti tra i Mammuthus cf. rumanus/meridionalis, lasciando agli specialisti il compito di risolvere le dispute sistematiche.

Questi elefanti sono caratterizzati dalle grandi dimensioni, confrontabili con quelle di

M. meridionalis; hanno molari a morfologia primitiva, larghi, scarsamente ipsodonti, con lamine spaziate e poco numerose, bassa frequenza lamellare3, smalto spesso e

grossolanamente pieghettato (Fig. 3) (Ferretti 1998).

Figura 3: Terzo molare inferiore destro di Mammuthus cf. rumanus/meridionalis (MSNT I 12696) della valle Bufalotta (Roma). Vista occlusale.

3 I molari dei proboscidati sono formati da una serie di lamelle di dentina, ricoperte di smalto, unite tra di loro

alla base, lo spazio tra una lamella e l’altra è riempito da cemento. La frequenza lamellare corrisponde al numero di lamelle contate in 10 cm della superficie occlusale (Ferretti 1998).

(7)

1.2.2 Mammuthus meridionalis (Nesti)

I primi resti ascrivibili sicuramente a Mammuthus meridionalis si trovano ampiamente diffusi in Italia a partire da sedimenti tardo pliocenici. E’ l’elefante tipico del Pliocene superiore- Pleistocene inferiore dell’Eurasia ed è uno dei fossili guida del

Villafranchiano, anche se le forme più evolute sopravvivono fino al Galeriano inferiore (inizio del Pleistocene medio) (Ferretti 1998).

Nel corso del Villafranchiano superiore Mammuthus meridionalis si diffonde in tutta la Penisola Italiana ed è abbastanza comune sia in faune ascrivibili all’Unità Faunistica di Olivola che a quella del Tasso. In queste unità faunistiche la fauna risulta costituita da un nucleo residuo di poche specie plioceniche sopravvissute alle varie oscillazioni fredde precedenti. Significativi sono gli arrivi di forme adattate a spazi aperti, che confermano l’estendersi di aree più o meno steppiche e l’instaurarsi di condizioni climatiche meno calde e più aride. L’ampia diffusione raggiunta in Europa dal M.

meridionalis conferma questo deterioramento climatico e la riduzione della copertura forestale. Il prevalere di spazi aperti si accentua durante l’Unità Faunistica del Tasso, con l’arrivo di nuovi immigrati adattati ad ambienti di steppa/prateria (Palombo 2002).

Durante il Villafranchiano superiore è osservabile un aumento delle dimensioni corporee delle popolazioni di Mammuthus meridionalis e, nei molari, un incremento dell’altezza della corona e del numero delle lamine, che tendono a divenire più fitte, a diminuire il loro sviluppo antero-posteriore e a ridurre lo spessore dello smalto. I molari sono larghi ed il numero di lamelle degli ultimi molari varia da 14 a 18. Aumenta l’indice di ipsodonzia4.

A partire dal Pleistocene inferiore il progressivo cambiamento faunistico si realizza sia con la progressiva scomparsa di forme tipicamente villafranchiane sia con l’arrivo, scaglionato nel tempo, di nuove specie, sia nell’evoluzione in loco di forme

4 L’indice d’ipsodonzia è il rapporto tra l’altezza e la larghezza massima della corona di un molare.

Permette di distinguere le specie in base all’altezza relativa dei loro molari che tende ad aumentare nel corso dell’evoluzione di quasi tutte le linee.

(8)

preesistenti. Nell’Unità Faunistica di Farneta è presente una forma evoluta di

Mammuthus meridionalis, caratterizzato da una grande mole e da caratteri evoluti del cranio. Nei molari si ha un incremento dell’altezza della corona e del numero delle lamine, che tendono a divenire più fitte e a diminuire il loro sviluppo

antero-posteriore e a ridurre lo spessore dello smalto. Questa forma evoluta di Mammuthus

meridionalis è segnalato in varie associazioni del tardo Pleistocene inferiore. Il

processo di rinnovo faunistico era ormai in atto e la composizione delle associazioni continuava a modificarsi. Questa forma evoluta di M. meridionalis rappresenta lo stadio più derivato di una linea di evoluzione locale, che si estinguerà con

l’affermarsi delle faune galeriane. Nell’Unità Faunistica di Slivia (Galeriano) si ha l’ultima testimonianza del M. meridionalis (Palombo 1994).

I Mammuthus meridionalis sono elefanti di grande taglia e le dimensioni tendono ad aumentare nelle sottospecie più recenti (Fig. 4). Il cranio è allungato

antero-posteriormente e fortemente espanso, la fronte è concava. I premascellari sono robusti e sub-paralleli. Le difese sono massicce e di grandi dimensioni e sono

caratterizzate da una spiralizzazione accentuata. La mandibola ha un rostro sinfisario robusto. Il numero delle lamelle dei terzi molari varia da 11 a 14, la frequenza

lamellare è 5 (Fig. 5). La corona dei molari è, rispetto a quella di Mammuthus cf.

rumanus/meridionalis, relativamente meno larga. Con l’evoluzione la taglia dei

Mammuthus meridionalis aumenta, il cranio assume caratteri sempre più evoluti e le difese diventano più slanciate ma anche più massicce (Ferretti 1998).

(9)

Figura 4: Ricostruzione dell’aspetto di Mammuthus meridionalis. Da Osborn 1942.

Figura 5: Secondo molare superiore destro di Mammuthus meridionalis (MSNT I12695). Località sconosciuta. Vista occlusale.

(10)

1.2.3 Mammuthus trogontherii (Pohlig)

Il passaggio tra le tipiche faune villafranchiane e quelle galeriane, di tipo più moderno, è un fenomeno graduale. Per gran parte del Pleistocene inferiore nuove specie, provenienti dall’Europa centrale o dall’Europa dell’est, adattate ad ambienti aperti di prateria o di steppa, si affiancano alle specie villafranchiane che

progressivamente tendono a scomparire. Con le punte fredde del Grande Glaciale, le nuove condizioni ambientali determinarono un rinnovamento faunistico in Italia a causa di eventi di dispersione dall’Asia e dall’Europa Centrale. In Italia, sulla base delle specie rinvenute è stato possibile distinguere due diversi complessi faunistici, quello di Slivia e quello d’Isernia. I proboscidati sono numerosi e sono rappresentati da un mammut brucatore, Mammuthus trogontherii, ed un elefante dalle zanne dritte, a dieta intermedia, Elephas antiquus (Palombo 2002).

Secondo Lister (2005), è possibile che Mammuthus trogontherii si sia originato da forme indigene di popolazioni di Mammuthus meridionalis, probabilmente in Siberia o in Cina, tra 2 e 1,2 Ma; le sue prime “incursioni” in Europa avvengono a partire da 1 Ma fino a quando non sostituisce in modo definitivo M. meridionalis. Questo

processo non è sincrono in tutta Europa e produce popolazioni a differenti livelli di grado evolutivo. Da 600 mila anni fa (Ka) i M. trogontherii europei cominciano a ridurre gradualmente la loro taglia e comincia a decrescere anche la grandezza dei loro molari. I M. trogontherii persistono fino a circa 200 Ka e coesistono con le forme primitive di Mammuthus primigenius.

Non esiste nessun legame filetico fra le forme italiane del Mammuthus meridionalis del tardo Pleistocene inferiore, ed il nuovo immigrante Mammuthus trogontherii. Questa specie, adattata ad ambienti di steppa e prateria, è scarsamente rappresentata in Italia (Palombo 1994).

I Mammuthus trogontherii sono elefanti di grandi dimensioni, hanno una volta cranica appuntita; la fronte è meno concava che nei Mammuthus meridionalis (Fig. 6). Gli alveoli delle difese sono più snelli che in M. meridionalis, sono inizialmente paralleli tra loro e divergono distalmente; le difese sono meno massicce e la loro torsione è

(11)

intermedia tra quella di M. meridionalis e M. primigenius. La mandibola somiglia a quella del M. meridionalis anche se possiede un rostro sinfisario meno sviluppato. I molari hanno una corona meno larga di quella dei M. meridionalis e l’altezza della corona del molare può arrivare ad essere il doppio più grande della larghezza. Il terzo molare possiede fino a 23 lamelle (Fig. 7). In Italia M. trogontherii è raro ed è rappresentato in prevalenza da soli denti (Ferretti 1998).

Figura 6: Ricostruzione dell’aspetto di Mammuthus trogontherii. Dal sito internet www.naturalis.nl.

(12)

Figura 7: Terzo molare superiore destro di Mammuthus trogontherii (MSNT I12685). Località sconosciuta. Vista occlusale.

1.2.4: Mammuthus primigenius (Blumenbach)

Si pensa che Mammuthus trogontherii evolva verso il gruppo più avanzato di

Mammuthus primigenius attraverso una serie di morfotipi intermedi. I cambiamenti più significativi sono rappresentati da un aumento d’altezza dei molari, da un incremento del numero e della frequenza lamellare, lo smalto diventa più sottile e finemente pieghettato, il cranio più alto e raccorciato, le difese più divergenti e più ricurve (Palombo 1994).

Diversi reperti di Mammuthus del tardo Pleistocene medio sono stati considerati come forme morfologicamente e filogeneticamente intermedie tra Mammuthus

(13)

da una grande taglia, morfologia dentale evoluta che rientra pienamente nel campo di variabilità del M. primigenius. La comparsa in Italia di questi elefanti è da

imputarsi ad una nuova fase migratoria, collegata alle fasi di raffreddamento

climatico dello stadio 6 della scala isotopica oceanica (Aureliano superiore) (Palombo 1994).

Resti sicuramente attribuibili al Mammuthus primigenius sono presenti a partire dal Pleistocene medio superiore fino al Pleistocene superiore.

Mammuthus primigenius è il più noto fra gli elefanti quaternari eurasiatici ed è tra le specie fossili l’unico di cui si conosce anche l’anatomia delle parti molli, grazie al recupero di alcuni esemplari dal permafrost in varie località siberiane. M. primigenius era una specie adattata ad ambienti freddi ed aperti, come testimoniava la struttura corporea tozza, la folta pelliccia e la riduzione dei padiglioni auricolari (Fig. 8) (Ferretti 1998).

Questi animali sono diffusi in tutta Italia anche se i resti non sono abbondanti, si ritrovano soprattutto i molari. Il clima in Italia all’inizio dell’ultimo glaciale aveva instaurato ambienti di steppa-prateria, non solo a nord, ma anche nell’Italia Centro-meridionale, questo è documentato dalla presenza di resti di Mammuthus primigenius in Puglia (Palombo 2002).

Durante le fasi rigide della fine dell’ultimo glaciale (stadio 2 della scala isotopica oceanica, circa 20 Ka), Mammuthus primigenius sembra non essere più presente nell’Italia Centrale, e non è neppure certa la sua presenza al nord della penisola sia nel Pleniglaciale superiore che nel Tardiglaciale (Palombo 1994).

Mammuthus primigenius è caratterizzato da una taglia più piccola di quella di

Mammuthus trogontherii. Il cranio è accorciato antero-posteriormente, la fronte è concava, i premascellari sono snelli per il ridotto diametro delle difese; queste sono nella maggior parte degli individui molto ricurve. Il rostro sinfisario è poco

sviluppato. I terzi molari hanno un numero di lamelle che varia da 20 a 27. La corona è molto larga rispetto alla lunghezza e mediamente la sua altezza è il doppio della larghezza. La frequenza lamellare arriva fino a 12 e lo smalto dei molari è molto sottile (Fig. 9) (Ferretti 1998).

(14)

Figura 8: Ricostruzione dell’aspetto di Mammuthus primigenius. Da Osborn 1916.

Figura 9: Terzo molare inferiore sinistro di Mammuthus primigenius del porto di Fano (MSNT I 13996). Vista occlusale.

(15)

1.3: Elephas (Palaeoloxodon) antiquus (Falconer e Cautley):

Nel corso del Pleistocene medio superiore il clima era caratterizzato da oscillazioni ampie, con tendenza all’aumento della temperatura durante gli interglaciali. Il mitigarsi del clima degli interglaciali è confermato dalla riduzione dei taxa

caratteristici dei territori aperti e dall’aumento delle forme forestali. Compare nelle associazioni a carattere prevalentemente temperato dell’Italia l’Elephas (P.) antiquus. Questi elefanti, considerati come forme adattate a climi caldi o temperato-caldi e di foresta, migrano , nel corso del Villafranchiano medio superiore, dall’Asia Minore verso l’Europa (Palombo 1994).

Non è da escludere che l’arrivo di Elephas (P.) antiquus e la contemporanea scomparsa del Mammuthus meridionalis e l’arrivo del Mammuthus trogontherii costituiscono un caso di sostituzione ecologica (Ferretti 1998).

Nella maggior parte dei giacimenti italiani l’Elephas antiquus è rappresentato da molari isolati, da difese o da porzioni o frammenti dello scheletro post craniale, i crani sono scarsamente rappresentati, spesso deformati. Tra i reperti trovati in Italia si possono vedere delle tendenze evolutive, comparando fra loro molari del

Pleistocene medio superiore e del Pleistocene superiore. Le modificazioni più significative sono l’assottigliamento dello smalto, l’aumento della frequenza laminare, l’aumento dell’altezza della corona (Palombo 1994).

Agli inizi del Pleistocene superiore, durante l’ultimo interglaciale, Elephas antiquus è segnalato nella maggior parte delle principali associazioni dell’Italia centrale.

L’Elephas antiquus è molto comune in condizioni climatiche miti, ma continua ad essere presente anche quando il clima comincia a farsi più fresco. L’ affermarsi delle condizioni climatiche fredde ed aride determina la scomparsa definitiva di questa specie dall’Italia peninsulare avvenuta nell’Aureliano superiore (Palombo 1994). L’Elephas antiquus è una specie di grandi dimensioni, probabilmente il più grande tra tutti gli elefanti europei (Fig. 10). Il cranio è estremamente specializzato, la volta cranica è appiattita. La parte alveolare dei premascellari forma un ampio ventaglio poiché gli alveoli delle difese, pur essendo pressoché rettilinei, divergono

(16)

distalmente. Le difese sono piuttosto rettilinee e slanciate. L’Elephas antiquus per le sue difese con debole curvatura, rappresenta una specializzazione massima nel senso di adattamento della vita di foresta, in contrapposizione alla differenziazione di difese molto ricurve, adatte per i brucatori come i Mammuthus (Trevisan 1948). La mandibola è robusta e la sinfisi mentoniera ha un rostro di piccole dimensioni. I molari sono ipsodonti e con corona relativamente stretta. Gli ultimi molari hanno da 16 a 20 lamelle, la frequenza lamellare è di 5,5, intermedia tra quella di Mammuthus

meridionalis e M. trogontherii (Fig. 11) (Ferretti 1998).

(17)

Figura 11: Porzione di secondo molare superiore sinistro di Elephas antiquus (MSNT I 12693) della cava nera Molinario (Roma). Vista occlusale.

1.4 Gli elefanti della Sicilia e della Sardegna

Le faune insulari sono caratterizzate da aspetti particolarissimi. Sono più povere di quelle continentali sia come numero di specie che come tipi di associazioni

faunistiche. L’aspetto che più colpisce è costituito dal verificarsi di due fenomeni opposti: la riduzione di taglia rispetto alla forma antenata continentale che si

manifesta nei grandi mammiferi (nanismo), e l’aumento di taglia rispetto alla forma continentale dei piccoli mammiferi, degli uccelli e dei rettili (gigantismo). (Caloi et alii 1988).

Le forme insulari subiscono anche una serie di cambiamenti morfostrutturali che non si limitano alla variazione della taglia. Tali modificazioni non riproducono in scala il modello d’origine, ma le varie parti scheletriche subiscono cambiamenti

dimensionali in quantità diversa l’una dall’altra e spesso anche in tempi diversi. Le principali modifiche riguardano in genere il complesso locomotorio e masticatorio.

(18)

Tratto comune a tutti gli erbivori endemici è l’adattamento ad una deambulazione su suoli duri, più o meno accidentati, caratterizzato da una riduzione della velocità e dell’agilità in favore della sicurezza e potenza del movimento. Nei proboscidati, oltre a caratteristiche dovute alla riduzione della mole che consentono un’andatura più agile rispetto alle forme graviportali da cui derivano, si nota una maggior

compattezza di mano e piede (Caloi & Palombo 1990). In molti casi si assiste ad una diminuzione o perdita di mobilità delle articolazioni. Nella dentatura si osserva un aumento dell’ipsodonzia come adattamento ad una dieta vegetale più abrasiva (Alcover et alii 1981).

Le variazioni di taglia sono determinate dall’interazione di diversi fattori. I più importanti sembrano essere la mancanza di carnivori, che provoca l’assenza di pressione selettiva e porta ad un aumento della variabilità. L’endogamia poi

favorisce la fissazione di questi caratteri. Un altro fattore è “l’effetto del fondatore”, il limitato pool genetico delle popolazioni iniziali può dare origine ad una deriva genetica, portando alla fissazione di caratteri particolari. Un altro fattore che può influire sulla riduzione della taglia è la mancanza di nicchie ecologiche adatte alle dimensioni delle popolazioni continentali, che quindi riducono la loro taglia per potere sfruttare nuove nicchie trofiche (Caloi et alii 1988). Altri fattori correlati al mutamento di taglia sono rappresentati da variazioni endocrine, indotte da cambiamenti nelle condizioni climatiche ed ambientali, dalla scarsità di cibo e da fenomeni di sovrapopolamento (Malatesta 1980). Nelle faune insulari inoltre la variazione delle dimensioni può essere determinata anche da tassi di riproduzione, dalla longevità e dalla velocità di diffusione delle varie specie; anche l’ampiezza dell’isola, la sua morfologia e la distanza dal continente e da altre isole sono fattori che agiscono sulle dimensioni degli animali (Caloi et alii 1988).

La fauna d’ogni isola ha quindi una sua storia evolutiva, che imprimerà una particolare fisionomia alle associazioni e che la distinguerà da quelle d’altre isole, anche in caso di “partenza” da forme uguali.

Un fenomeno che sembra comune a tutte le faune insulari è dato dalla forte instabilità e dall’alta velocità di cambiamento in una prima fase d’installazione

(19)

sull’isola, forse come risposta alle nuove condizioni biologiche e climatiche e favorita dall’endogamia. Dopo aver raggiunto un certo equilibrio ed una certa

specializzazione, segue un periodo di stabilità in cui si possono consolidare particolari adattamenti nell’ambito della popolazione (Azzaroli 1982).

Un altro problema legato alle faune insulari è legato alle vie migratorie che hanno seguito le forme continentali per raggiungere le isole. Secondo alcuni autori, come Azzaroli (1982), sono esistiti dei ponti continentali temporanei che hanno permesso alle forme continentali di raggiungere le isole; per altri autori la situazione è più complessa e prevede essenzialmente immigrazioni attive, attraverso il nuoto e il volo o immigrazione passiva su tronchi od isolette di frascami. Anche per questo problema ogni isola fa storia a sé ed è impossibile mettere in evidenza un unico tipo di migrazione valido (Caloi et alii 1988).

(20)
(21)

1.4.1 Elephas (P.) mnaidriensis Adams ed Elephas (P.) falconeri Busk

Tra le grandi isole del mediterraneo, la Sicilia è quella che presenta la fauna più ricca e diversificata, dove, accanto a forme endemiche sono presenti, nel Pleistocene superiore, specie tipiche di associazioni continentali. Per la Sicilia si possono ipotizzare diverse fasi di popolamento, favorite anche dalla vicinanza con la costa continentale e da una tettonica molto attiva, fattori che possono aver consentito l’ingresso di contingenti di colonizzatori (Caloi et alii 1988). I periodi di connessione con la penisola italiana sono agli inizi del Pleistocene medio inferiore, al limite tra il Pleistocene medio inferiore e il Pleistocene medio superiore, nel corso del Pleistocene medio superiore ed infine nel corso dell’ultimo glaciale (Palombo 1985).

Durante il Pleistocene, gli elefanti sono fra i più diffusi abitatori delle isole del Mediterraneo e sono presenti in quasi tutte le faune insulari endemiche (Fig. 12). Le forme siciliane derivano da Elephas (P.) antiquus.

La forma più comune è l’Elephas (P.) mnaidriensis, un elefante di taglia ridotta. Rari sono i resti di un elefante più grande, che potrebbe rappresentare la popolazione da cui ha avuto origine l’E. (P.) mnaidriensis. Numerosi sono infine i resti di una specie di taglia molto ridotta, l’Elephas (P.) falconeri (Fig. 13).

I dati più recenti sulle associazioni faunistiche fossili della Sicilia e i dati biochimici di Belluomini e Bada (Bada & Belluomini 1985), ricavati dallo studio sulla

racemizzazione degli amminoacidi, dimostrano come Elephas (P.) falconeri è più antico ed è stato datato 500 Ka. , mentre Elephas (P.) mnaidriensis è datato 200 Ka. , quindi è da escludere il fatto che E. (P.) falconeri discenda da E. (P.) mnaidriensis. Se i dati sono esatti, ci troviamo di fronte a due episodi successivi di colonizzazione dell’isola, ciascuno con la propria storia di evoluzione verso il nanismo (Azzaroli 1982).

Elephas (P.) mnaidriensis è un elefante di taglia media (1,5-2 m al garrese), i cui molari sono il 15-20% più piccoli delle forme continentali. Il cranio è molto appiattito. Le difese sono divergenti ed hanno una curvatura ed una torsione alveolare piuttosto

(22)

accentuata. I molari sono ipsodonti e negli ultimi molari ci sono in media 16 lamelle (Ferretti 1998).

Elephas (P.) falconeri è un elefante di taglia estremamente ridotta, negli adulti l’altezza al garrese è di circa 1 metro. Il cranio è arrotondato. I premascellari divergono

distalmente. Nei maschi è più accentuato lo sviluppo delle difese che sono molto ricurve, mentre negli esemplari femminili queste possono anche mancare. I molari sono ipsodonti, con un numero relativamente alto di lamelle, infatti i terzi molari possono arrivare ad averne 17 (Ferretti 1998).

Figura 13: ricostruzione di Elephas (P.) mnaidriensis e Elephas (P.) falconeri. Da Osborn 1942.

(23)

1.4.2 Mammuthus lamarmorae Major

Il popolamento pleistocenico della Sardegna può essere ipotizzato agli inizi del Pleistocene medio inferiore, in un momento di riduzione della distanza delle coste sardo corse dal continente. Oggi, il punto di minor distanza tra la piattaforma

continentale corsa e quella toscana è situato fra Capo Corso e l’Isola di Capraia, dove il Canale di Corsica ha un’ampiezza minima di 7 km (all’isobata 150 m). I dati teorici sulle oscillazioni delle linee di riva connesse con il glacio-eustatismo registrano un abbassamento del livello marino di 100-200 metri. La piattaforma corsa e toscana, ha una profondità media di circa 100 metri, quindi, durante il Pleistocene, parte di questa si trovò ad essere emersa, anche se continuavano a persistere dei bracci di mare (Palombo 1985).

In Sardegna è stato segnalato l’unico rappresentante nano della linea mammuttina,

Mammuthus lamarmorae. Solo molari isolati e parte del post-craniale sono stati trovati in 5 località diverse, in depositi del tardo Pleistocene medio e del Pleistocene

superiore iniziale (Ferretti & Palombo 2004). L’appartenenza alla linea mammuttina, già ipotizzata da Forsyth Major nel 1882 sui resti del post craniale di Fontana

Morimentu (Gonnesa, Cagliari), è confermata dai caratteri morfologici dei molari delle brecce post-tirreniane di Tramariglio e pre-wurmiane di San Giovanni in Sinis (Cagliari). E’ tuttavia difficile poter stabilire con certezza qual è la forma continentale da cui discende M. lamarmorae, così come precisare un limite inferiore per l’ingresso della forma antenata sull’isola. I resti sono veramente scarsi. La morfologia dentaria indicherebbe come più probabile una derivazione da forme di Mammuthus

mediamente evolute come M. trogontherii (Palombo 1985).

Tra i molari ritrovati, il terzo molare superiore di San Giovanni in Sinis ha 10 lamelle e una frequenza lamellare di 8. Anche nel molare di Tramariglio la frequenza

lamellare è di 8. Doveva avere una taglia più piccola del 40% di quella del M.

meridionalis (Ferretti 1998).

Sono in corso nuovi studi sul materiale post craniale del Mammuthus lamarmorae di Fontana Morimentu conservati nel MSNT.

Figura

Figura 1:  Rappresentazione di Primelephas del Miocene africano. Da                   www.elephant.sc/   primelephas   .php    .
Figura 2:  Ricostruzione della morfologia del Mammuthus meridionalis, M. trogontherii e
Figura 3:  Terzo molare inferiore destro di Mammuthus cf. rumanus/meridionalis                  (MSNT I 12696) della valle Bufalotta (Roma)
Figura 5:  Secondo molare superiore destro di Mammuthus meridionalis (MSNT                  I12695)
+7

Riferimenti

Documenti correlati