• Non ci sono risultati.

3. Generalità ed utilizzo degli ultrasuoni

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "3. Generalità ed utilizzo degli ultrasuoni"

Copied!
28
0
0

Testo completo

(1)

3.

Generalità ed utilizzo degli ultrasuoni

3.1 Gli ultrasuoni: generalità e storia

Gli ultrasuoni sono onde sonore di frequenza maggiore di 20 kHz, che è soglia superiore di udibilità dell’orecchio umano. L’energia ultrasonora è stata ed è applicata a gas, liquidi e solidi per produrvi cambiamenti ed effetti desiderati o per migliorare prodotti e processi. Il limite superiore di frequenza per la propagazione di onde ultrasonore è dato dalle vibrazioni termiche del reticolo cristallino; al di sopra di questo limite il materiale non può seguire le vibrazioni del suono che lo penetra. La lunghezza d’onda minore del suono è quindi il doppio della distanza interatomica e per i metalli ciò è approssimativamente uguale a 2·10-10 m. Ciò si ha per una frequenza di 1,25·1013 Hz, che corrisponde alla ventunesima armonica di un cristallo di quarzo da 10 megacicli. A frequenze così alte, i periodi delle onde ultrasonore diventano paragonabili al tempo di rilassamento. Le onde ultrasonore di ampiezza elevata sono dette anche soniche e con ipersuoni si indicano frequenze superiori a 1013 Hz.

La storia del suono è parte integrante della storia della musica e le prime testimonianze sull'argomento risalgono addirittura a Pitagora che nel VI secolo A.C. scoprì che le corde di differenti lunghezze, usate negli strumenti musicali, erano la causa della diversità dei suoni emessi. Nel 1638 anche Galileo contribuì con i propri studi alla scienza dell'acustica. La storia degli ultrasuoni veri e propri inizia nel 1822 quando un fisico svizzero, Daniel Colladen, per cercare di calcolare la velocità del suono nelle acque del lago di Ginevra fece uso di una campana subacquea. I successivi tentativi di ottenere delle mappe dei fondali oceanici tramite mezzi ecosonori non ottennero però alcun risultato apprezzabile. Nel 1877 Lord Rayleigh in Inghilterra pubblicò il suo famoso trattato “La teoria del suono” in cui venivano chiaramente esposti i principi fisici fondamentali delle vibrazioni sonore, della loro trasmissione e rifrazione. Negli stessi anni vennero condotti studi che portarono alla scoperta di alcuni fenomeni particolari, che fornirono gli elementi per proseguire nella giusta direzione per lo studio degli ultrasuoni. Il primo di tali fenomeni fu scoperto da Joule e denominato effetto magnetostrittivo, ossia quel fenomeno per mezzo del quale è possibile convertire l'energia magnetica in energia meccanica tramite la modifica dimensionale di un appropriato materiale metallico sottoposto ad un forte campo magnetico. Il secondo fu scoperto dai fratelli Curie nel 1880 e denominato effetto piezoelettrico. Essi osservarono che quando veniva esercitata una pressione meccanica su un cristallo di quarzo od altri cristalli, quale il sale di Rochelle (tartrato di sodio e potassio

(2)

46 Influenza degli ultrasuoni sullo scambio termico in monofase e bifase

tetraidrato) si produceva un potenziale elettrico, e viceversa, applicando una carica elettrica si produceva una deformazione del cristallo, inoltre se la carica elettrica era pulsante il cristallo entrava in vibrazione. Si scoprì in sostanza un fenomeno per mezzo del quale era possibile convertire energia elettrica in energia meccanica e viceversa (una deformazione del cristallo, prodotta da una forza meccanica esterna produce una tensione elettrica sulle polarità cristalline). Tale effetto venne poi utilizzato per generare e riprodurre gli ultrasuoni, cioè suoni non più udibili dall'orecchio umano e capaci di trasportare energia meccanica. Queste due importanti scoperte suscitarono notevole interesse nei ricercatori, che utilizzarono gli ultrasuoni per la rilevazione subacquea dopo l’affondamento del Titanic nel 1912. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, gli ultrasuoni vennero utilizzati per localizzare i sottomarini captando le onde ultrasonore di ritorno. Tra il 1914 ed il 1918 venne ampiamente utilizzato il "sonar" ad ultrasuoni nell’individuazione dei sottomarini tedeschi. Constantin Chilowsky, un russo emigrato in Svizzera, e Paul Langévin, un fisico francese, progettarono e costruirono un efficiente apparecchio eco-sonoro, che chiamarono idrofono, un antesignano degli apparecchi tipo sonar basato sugli ultrasuoni che sarebbero stati sviluppati in seguito. Un altro filone nel campo degli ultrasuoni, che si sviluppò parallelamente negli anni ’30, fu la costruzione di analizzatori di difetti dei metalli ad ultrasuoni pulsati, analizzando le onde ultrasonore riflesse dalle discontinuità dei materiali. Questa tecnica venne utilizzata soprattutto nel valutare gli scafi di grandi navi e le corazze dei carri armati. Il concetto alla base di tali apparecchiature era stato elaborato dallo scienziato sovietico Sergei Y. Sokolov nel 1928 all’Istituto Elettrotecnico di Leningrado. Nel secondo dopoguerra, il rapido sviluppo dell'elettronica ha reso possibile la creazione di molte apparecchiature (basate sulle peculiari proprietà degli ultrasuoni) sempre più sofisticate ed utilizzabili nel campo militare, medicale, industriale e domestico. Ulteriori ricerche portarono alla scoperta dei materiali piezoceramici che hanno favorito la costruzione di generatori ultrasonori sempre più robusti, potenti e versatili. Gli ultrasuoni, al momento, sono utilizzati per lo più in campo medico ed industriale, essendo ampiamente impiegati nella diagnostica (ecografie), nei controlli non distruttivi e nelle misure delle proprietà elastiche dei materiali: per questi impieghi si parla di ultrasuoni a bassa intensità. Gli ultrasuoni invece ad alta intensità producono degli effetti permanenti nel mezzo in cui si propagano e vengono impiegati nella terapia medica e chirurgica, nella distruzione di cellule biologiche, nella lavorazione dei materiali, nell’atomizzazione di liquidi, nella saldatura di metalli e materie plastiche e nella pulizia superficiale degli oggetti.

(3)

3.2 Equazioni e grandezze caratteristiche nello studio degli ultrasuoni

Le onde sonore in generale sono prodotte da una perturbazione che ha origine in un punto e si trasmette o si propaga ad un altro punto con un dato meccanismo governato dalle proprietà fisiche del mezzo elastico in cui avviene la propagazione. Per l’orecchio umano, il suono è una sensazione trasmessa dall’aria. Quando una sorgente vibrante si sposta rispetto alla sua posizione di equilibrio statico, essa determina delle onde di pressione e depressione sull’aria a contatto, che si trasmettono attraverso il mezzo stesso. In questa maniera si viene a formare l’onda sonora. Dato che i solidi ed i liquidi sono dotati di inerzia ed hanno proprietà elastiche, anch’essi trasmettono onde sonore. Le onde sonore originate dalle vibrazioni locali delle particelle, nel caso di fluidi, si trasmettono sempre parallelamente alla direzione di propagazione dell’onda (onde longitudinali), mentre nel caso di solidi, che possono trasmettere sforzi di taglio, vi sono anche onde trasversali (Fig.3.1). La propagazione di onde sonore comporta il trasferimento di energia nello spazio. L’energia associata alle onde sonore è in parte cinetica ed in parte potenziale; la prima è dovuta al moto delle particelle del mezzo, la seconda allo spostamento elastico delle stesse. Mentre le onde sonore si propagano in tutte le direzioni a partire dalla sorgente, esse possono essere riflesse, rifratte, diffuse, diffratte, assorbite ed entrare in interferenza tra loro. Per la propagazione delle onde sonore, occorre un mezzo materiale elastico, a differenza delle onde elettromagnetiche, che si possono trasmettere anche nel vuoto; la velocità con cui le onde si propagano dipenderà dalla densità e dalla temperatura di tale mezzo Nel caso di mezzi gassosi è funzione solo della temperatura). Dunque, in generale, le onde sonore consistono di una perturbazione dell’aria e si propagano attraverso lo spazio tridimensionale ordinatamente come onde sinusoidali longitudinali progressive. Se si suppone che non si abbiano variazioni di pressione nelle direzioni y e z, si hanno onde sonore piane definite come onde libere progressive unidimensionali che si propagano nella direzione x. I fronti d’onda sono piani infiniti perpendicolari all’asse x e paralleli tra loro. In realtà quando un corpo piccolo oscilla in un mezzo elastico esteso come l’aria, le onde sonore si propagano come sfere concentriche. Quando la superficie di una sfera pulsante si espande e si contrae radialmente attorno ad una posizione media, sul mezzo fluido, in contatto con la superficie, si esercita una forza. Il fluido è quindi perturbato rispetto alla sua configurazione di quiete. Come risultato di ciò, si produce una perturbazione che si propaga a partire dalla sfera (vista come una sorgente puntiforme, in quanto di dimensioni molto inferiori a quelle dell’onda stessa) uniformemente in un angolo

(4)

48 Influenza degli ultrasuoni sullo scambio termico in monofase e bifase

solido di 360°, con un fronte d’onda di forma sferica (Fig.3.2 (a)) [43-44]. Le particelle in “fase” tra loro sono rappresentate da fronti d’onda curvilinei nelle fasi di compressione C e rarefazione R. Peraltro, ad una distanza dalla sorgente molto maggiore della lunghezza d’onda, il fronte d’onda può essere considerato per brevi tratti con buona approssimazione come quello di un’onda piana. Queste considerazioni sono importanti perché la superficie di un trasduttore, di qualsiasi dimensione e forma, (i trasduttori sono i componenti che permettono la generazione di onde ultrasoniche, vedi paragrafo 3.6) si comporta come un insieme di sorgenti puntiformi che danno origine ad onde sferiche. Dall’interferenza di tutti questi fronti d’onda sferici, deriva la formazione di un unico, ampio fronte d’onda, che ad una certa distanza, può essere approssimato ad un fronte d’onda piano (Fig.3.2 (b)).

(a) (b)

Fig.3.1: Modi di propagazione dell’onda ultrasonica; (a) Onde longitudinali o per compressione, (b) Onde trasversali o per attrito

(a) (b)

Fig.3.2: (a) Sorgente puntiforme S che dà origine ad onda sonora sferica, che si diffonde uniformemente in un angolo solido di 360°; (b) L’interferenza tra i vari fronti d’onda sferici delle multiple sorgenti puntiformi (S), provoca la formazione di un unico, ampio

fronte d’onda, che ad una certa distanza può esser considerato piano. S

(5)

L’equazione d’onda tridimensionale in coordinate cartesiane ortogonali è: 2 2 2 2 1 t p c p ∂ ∂ = ∇

(3.1) dove p è la pressione acustica e c è la velocità del suono. La soluzione generale in termini di onde progressive è: ) ( ) ( ) , , , (x y z t f lx my nz ct g lx my nz ct p = + + − + + + + (3.2) Dove f e g sono funzioni arbitrarie e l2+m2+n2=1. In termini di onde stazionarie, la soluzione generale è:

(

)(

)

(

)(

)

      + + + + = z k B z k A y k B y k A x k B x k A t ck B t ck A t z y x p 4 4 4 4 3 3 3 3 2 2 2 2 1 1 1 1 cos sin cos sin cos sin cos sin ) , , , ( (3.3)

dove A1 e B1 sono costanti arbitrarie da determinarsi in base alle condizioni iniziali e A2,

B2, A3, B3, A4, B4 sono costanti arbitrarie da determinarsi in base alle condizioni al

contorno.

L’equazione d’onda tridimensionale in coordinate sferiche diventa:

( )

( )

2 2 2 2 2 r rp c t rp ∂ ∂ = ∂ ∂ (3.4) la cui soluzione è:

(

)

g

(

ct r

)

r r ct f r t r p( , )=1 − +1 + (3.5) dove r è la distanza radiale del fronte d’onda dalla sorgente e f e g sono funzioni arbitrarie. In questa tesi si è fatto uso di onde ultrasonore, per le quali risultano valide tutte le considerazioni e le relazioni sopra esposte. Infatti, essendo originate da trasduttori, esse vengono trattate come onde sferiche ed essendo il mezzo di propagazione acqua, nel nostro caso di studio, si possono considerare come onde longitudinali. Nello studio degli ultrasuoni entrano in gioco variabili caratteristiche delle onde acustiche, quali ampiezza, frequenza, lunghezza d’onda, periodo e velocità di propagazione, insieme a quelle proprie del fascio ultrasonoro, intensità e potenza, e quelle del mezzo attraversato, cioè l’impedenza acustica [45]. La pressione acustica è la differenza tra la pressione vigente nel mezzo a riposo e quella che si ha durante la propagazione dell’onda. L’ampiezza corrisponde alla massima pressione raggiunta nel mezzo in fase di compressione, ed è indicativa della forza che l’onda esercita sulle particelle del mezzo, e, conseguentemente, dell’entità dello spostamento delle particelle dalla posizione di equilibrio. La frequenza, f, rappresenta il numero di cicli di compressione e rarefazione espletati nell’unità di tempo. La lunghezza d’onda, λ, è la distanza tra due punti in fase tra loro di due cicli successivi,

(6)

50 Influenza degli ultrasuoni sullo scambio termico in monofase e bifase

per esempio di due successive bande di compressione e rarefazione. Il periodo, T, è il reciproco della frequenza e rappresenta il tempo impiegato per percorrere una distanza pari alla lunghezza d’onda. La velocità di propagazione, c, è la distanza percorsa dall’onda nell’unità di tempo e dipende fortemente in un liquido, come nel nostro caso, dalla compressibilità e dalla densità del mezzo attraversato; quest’ultima non è da confondere con la velocità di oscillazione delle particelle del mezzo. L’acustica viene trattata con le leggi fondamentali della meccanica classica. In particolare: λ=c * T, essendo f=1/T, si ha λ= c/f. La frequenza è una proprietà intrinseca dell’onda acustica, mentre la velocità di propagazione è un proprietà intrinseca del mezzo in cui si propaga l’onda stessa. La velocità di propagazione non dipende quindi dalla frequenza, ma in un liquido, in maniera inversamente proporzionale, da due proprietà fisiche del mezzo attraversato: densità, ρ, e compressibilità. Quest’ultima si può misurare tramite il coefficiente di compressibilità K, definito come una variazione relativa di volume indotta da una variazione unitaria di pressione, o tramite il suo reciproco, il modulo di compressione B, definito come il rapporto tra la variazione di pressione e la variazione relativa di volume risultante, e dunque è un indice della capacità di un mezzo di resistere ad una compressione e, quindi, della sua rigidezza (B=–v(δp/δv)). Una velocità di propagazione dell’onda acustica elevata in un certo mezzo corrisponde ad un’elevata velocità di oscillazione delle particelle che lo compongono, che in tal modo possono trasmettere la vibrazione più velocemente alle particelle vicine. Tra le proprietà sopra elencate sussiste la relazione:

c2=λ/K ρ=B/ρ (3.6) La propagazione di qualsiasi onda sonora comporta un trasferimento di energia meccanica da particella a particella, da elemento di volume ad elemento di volume del mezzo di propagazione. Qualunque sia la sorgente che genera l’onda, la legge di conservazione dell’energia impone che in ogni istante tutta l’energia generata da quella sorgente possa essere ritrovata, al netto delle eventuali perdite, all’interno del sistema acustico considerato. In più, si deve essere in grado di stabilire come e quanta energia fluisce nel tempo da una parte all’altra dello stesso sistema. Le grandezze fisiche che forniscono questa descrizione sono [46-47]:

- l’intensità acustica;

- la densità di energia acustica;

- la pressione sonora;

(7)

L’intensità sonora di un’onda è definita come la quantità di energia che fluisce, nell’unità di tempo, attraverso una superficie di area unitaria perpendicolare alla direzione di propagazione dell’onda. Per determinare l’intensità I associata all’onda, si pensi ad uno strato di particelle del mezzo affacciato alla superficie di area unitaria, il quale, interessato dal passaggio della perturbazione, agisce su uno strato contiguo di particelle con una forza per unità di area p, corrispondente alla pressione sonora. Durante un intervallo di tempo dt, le particelle, sotto l’azione della forza, vengono spostate di dx = u·dt ed il lavoro compiuto risulta pertanto uguale al prodotto della forza per tale spostamento. L’energia trasferita nel mezzo, per unità di superficie, nell’unità di tempo, è allora semplicemente definita dal prodotto della pressione sonora p per la velocità di particella u, dunque per un’onda piana progressiva armonica risulta:

            = c x t u p I cos2

ω

(3.7)

Normalmente la grandezza di interesse è l’intensità media, I , valutata su un intervallo di tempo corrispondente al periodo T:

u p dt c x t u p T I T 2 1 cos 1 0 2 =             − =

ω

(3.8) Inoltre vale: c p I

ρ

2 2 = (3.9) dove ρ è la densità in kg/m3 e c la velocità del suono in m/s. Inoltre, se si sostituisce l’ampiezza p della pressione sonora con il cosiddetto valore efficace pˆ della stessa pressione sonora, e ricordando che per una grandezza sinusoidale risulta semplicemente:

2

ˆ p

p= , si ottiene la relazione fondamentale:

c p I

ρ

2 ˆ = [W/m2] (3.10) Tale relazione stabilisce che l’intensità sonora media è semplicemente uguale al quadrato della pressione sonora efficace diviso l’impedenza acustica caratteristica, che definiremo poco più avanti; l’equazione 3.10 è valida per onde piane e per onde sferiche armoniche. In alcuni casi, in particolare riguardanti lo studio del campo acustico negli spazi chiusi, la grandezza di maggior interesse non è tanto l’intensità sonora quanto la cosiddetta densità di energia sonora, che rappresenta l’energia contenuta in un’unità di volume del mezzo,

(8)

52 Influenza degli ultrasuoni sullo scambio termico in monofase e bifase

espressa in J/m3. Poiché l’energia viene trasportata dall’onda nel mezzo con velocità c, l’energia sonora contenuta nell’unità di volume è uguale all’energia che fluisce nell’unità di tempo attraverso l’unità di superficie, cioè l’intensità I, divisa per la distanza percorsa nell’unità di tempo, cioè c (vedi Fig.3.3). Il risultato è che la densità di energia D può essere espressa in funzione dell’intensità in base alla relazione:

2 2 ˆ c p c I D ρ = = [J/m3] (3.11)

Fig.3.3: Densità di energia dell’onda sonora

Andando ad ipotizzare che tutta l’energia sonora che fluisce nel mezzo sia prodotta da una sola, ben identificata sorgente, l’energia irradiata nell’unità di tempo da tale sorgente rappresenta la potenza sonora W. Pensando ad una superficie immaginaria S che circonda completamente la sorgente, e ricordando la definizione di intensità, risulta:

= S SdS I W (3.12) dove Is è l’intensità sonora rilevata su un’area elementare dS della superficie immaginaria.

Se, inoltre, si ipotizza che la sorgente irradi la stessa energia uniformemente in tutte le direzioni e se la superficie che circoscrive la sorgente è, per convenzione, una sfera di raggio r, (Fig.3.4) la relazione precedente diventa:

S I r

W =4π 2 [W] (3.13)

Fig.3.4: Potenza sonora di una sorgente che irradia energia sonora uniformemente in tutte le direzioni.

(9)

dove Is, per l’assunzione fatta, è l’intensità rilevata in una qualsiasi direzione a distanza r

dalla sorgente. Con questa relazione si stabilisce che tutta l’energia sonora irradiata dalla sorgente deve passare attraverso la superficie sferica immaginaria ed, inoltre, che più estesa è tale superficie, cioè maggiore è il suo raggio r, minore è l’intensità su ogni area elementare. In altri termini, l’intensità sonora varia in maniera inversamente proporzionale al quadrato del raggio r. Inoltre, si può anche dare una nuova definizione della stessa intensità sonora, in termini di potenza sonora che fluisce attraverso l’unità di area. Sostituendo nell’ultima relazione l’espressione dell’intensità riportata nell’equazione 3.13, si ottiene: c p r W

ρ

π

2 ˆ2 4 = (3.14) L’impedenza acustica, a cui abbiamo già accennato precedentemente, rappresenta il rapporto tra la pressione sonora e la velocità delle particelle a quella data pressione, ed è data dal prodotto tra la densità del mezzo e la velocità di propagazione dell’onda nel mezzo stesso:

c u

p

Z0 = =ρ0 (3.15) Alla grandezza Z0 viene dato il nome di impedenza acustica caratteristica; poiché la

pressione sonora è espressa in Pascal e la velocità del suono in m/s, la sua unità di misura è Pa s/m. Essa rappresenta una grandezza intrinseca del mezzo di propagazione, e può esser calcolata univocamente purché si conoscano densità del mezzo e velocità delle onde; in generale i valori più elevati di impedenza si riscontrano nei solidi, dell’ordine di 107 Pa s /m. In aria a 20°C tipicamente risulta Z0 =415 Pa s/m; in acqua alla stessa temperatura,

poiché ρ =998 kg/m3 e c=1484 m/s, si ha Z0=1,48·106 Pa s/m (I valori di c e Z0 hanno una

leggera dipendenza dalla temperatura, in quanto funzioni di ρ). Nei calcoli qui riportati si è assunto un valore costante di c pari a 1540 m/s (tale valore è stato ottenuto mediando i valori di velocità degli ultrasuoni in acqua al variare della temperatura della stessa, anche se la dipendenza è ridotta in quanto che per 25 °C, c = 1497 m/s, mentre per 85 °C, c è pari a 1553,25 m/s).

La tabella 3.1 riassume i parametri principali per la caratterizzazione del fascio ultrasonoro, quando i mezzi attraversati sono aria ed acqua.

(10)

54 Influenza degli ultrasuoni sullo scambio termico in monofase e bifase

Tabella 3.1

Caratteristiche ultrasuoni nella propagazione in aria ed acqua.

ρ[kg/m3] c [m/s] Z [kg/m2s] a [dB/cm· MHz]

Aria 1,3 331 0,0004·106 12

Acqua 1000 1540 1,54·106 22·10-4

L’impedenza caratteristica per le onde acustiche trova alcune analogie in altri campi; per esempio l’impedenza caratteristica di una linea di trasmissione elettrica e l’indice di rifrazione della luce che si propaga in un mezzo trasparente. Essa costituisce un caso particolare, valido per la propagazione di onde piane, della cosiddetta impedenza acustica specifica (impedenza acustica per unità di superficie), la cui definizione è espressa sempre dal rapporto tra la pressione sonora e la velocità di particella, ma che in generale va rappresentata come una grandezza complessa del tipo: Z=R+iX, dove la parte reale R è la resistenza acustica specifica e la parte immaginaria iX è la reattanza acustica specifica. La propagazione per onde sferiche è un classico caso in cui, contrariamente alla situazione che si verifica per le onde piane, pressione sonora e velocità di particella non sono in fase, ed il loro rapporto, l’impedenza acustica specifica, è appunto una grandezza complessa, che, qualitativamente, dipende a sua volta dal rapporto tra distanza r dalla sorgente e lunghezza d’onda λ. Solo per valori molto grandi di tale rapporto, cioè solo quando la distanza dalla sorgente è molto più grande della lunghezza d’onda, e quindi, la curvatura dell’onda sferica diventa trascurabile, il termine reattivo dell’impedenza specifica tende a zero, mentre il termine resistivo tende a ρc: in questa condizione, l’impedenza acustica per onda sferica approssima quella per onda piana.

Una particella in moto possiede un’energia cinetica pari al prodotto di metà della sua massa per il quadrato della sua velocità massima. La massa totale per unità di volume delle particelle è per definizione la densità media del mezzo. E’ perciò possibile ricavare l’energia per unità di volume, E, pari a ρ*u2/2. Dato che nell’unità di tempo il fascio percorre una distanza pari alla sua velocità di propagazione, c, si ricava: I =c* E=c* ρ*u2/2.

(11)

3.3 Riflessione, trasmissione e diffrazione degli ultrasuoni

Le interazioni fondamentali che avvengono tra un fascio ultrasonoro ed il mezzo in cui si propaga sono quattro: riflessione, rifrazione, diffusione ed assorbimento. Quando un fascio di ultrasuoni incontra la superficie di separazione tra due mezzi caratterizzati da differente impedenza acustica, una parte della sua energia ritorna indietro (verso il trasduttore) sotto forma di fascio riflesso o diffuso; la restante invece procede il suo percorso nel secondo mezzo sotto forma di fascio trasmesso fino ad incontrare un’altra interfaccia acustica. Le specifiche modalità di interazione e la quantità di energie in gioco dipendono da alcune caratteristiche del fascio ultrasonoro (in particolare la sua lunghezza d’onda e l’intensità), dei mezzi attraversati (velocità di propagazione ed impedenza), dell’interfaccia (dimensioni) e del sistema (angolo di incidenza del fascio). Il caso più semplice è quello dell’interazione tra un fascio ultrasonoro di lunghezza d’onda piccola con un’interfaccia di ampie dimensioni, piana, situata perpendicolarmente all’asse di propagazione del fascio. Per la legge della riflessione l’angolo formato dal raggio riflesso con la retta normale alla superficie di riflessione (angolo di riflessione) è uguale all’angolo formato dal raggio incidente (angolo di incidenza). Essendo l’interfaccia perpendicolare al fascio, entrambi gli angoli sono uguali a zero ed il fascio viene riflesso indietro nella stessa direzione fino a raggiungere il trasduttore e generare un segnale: si parla in questo particolare caso di riflessione speculare, comune sia ai fenomeni acustici (meccanici) che ottici (elettromagnetici), schematizzato in Fig.3.5:

Fig.3.5: Riflessione speculare di un fascio ultrasonoro

L’entità dell’energia riflessa è proporzionale alla differenza di impedenza acustica tra i due mezzi attraversati secondo la seguente relazione:

(12)

56 Influenza degli ultrasuoni sullo scambio termico in monofase e bifase

R=Ir/I0=[(Z2-Z1)/(Z2+Z1)]2 (3.16)

dove R è la frazione riflessa del fascio, cioè il rapporto tra l’intensità del fascio riflesso, Ir,

e quella del fascio incidente I0, Z1 è l’impedenza acustica del primo mezzo e Z2 quella del

secondo mezzo con cui ha interagito il fascio ultrasonoro. Tutte queste considerazioni assumono una notevole importanza nell’applicazione degli ultrasuoni in campo diagnostico: infatti un’interfaccia piano, lineare e perpendicolare rispetto al fascio ultrasonoro, che quindi si comporta come un riflettore speculare, riflette in genere non più dell’1% dell’intensità ultrasonora incidente, mentre il restante 99% viene trasmesso e può interagire con interfacce situate più profondamente. Se la percentuale di trasmissione fosse inferiore sarebbe impossibile ottenere segnali riflessi di sufficienti intensità dalle strutture profonde e le tecniche ecografiche ad ultrasuoni avrebbero una validità estremamente limitata. D’altro canto le intensità riflesse verso il trasduttore sono estremamente basse e dunque il sistema di ricezione e trasduzione deve essere particolarmente sensibile. Le elevate percentuali di riflessione di un’interfaccia ossea od aerea spiegano perché con gli ultrasuoni non siano valutabili i polmoni e le strutture nascoste da strati di aria e di osso, mentre al contrario il diaframma, i contorni degli organi ed i grossi vasi si prestino molto bene ad essere visualizzati. L’interfaccia tra un materiale piezoelettrico e l’aria provoca una riflessione pressoché totale (99,99%): evitare che si verifichi questa indesiderata interazione è compito del gel, dell’olio minerale o della pasta idrosolubile impiegati nelle ecografie. Nella pratica è possibile che il fascio incidente non sia perpendicolare ad un’interfaccia, ed in questo intervengono fenomeni addizionali: l’angolo di riflessione e di incidenza sono diversi da zero, pertanto l’energia viene riflessa in una direzione diversa da quella di provenienza ed è probabile che una quantità minore, se non nulla, riesca a ritornare al trasduttore. Inoltre un’onda, sia acustica che elettromagnetica, che passa da un mezzo ad un altro caratterizzato da una differente velocità di propagazione dell’onda stessa, subisce una variazione di direzione, che segue la legge di Snell:

c1/c2= sin θi/sin θt (3.17)

dove c1 e c2 sono le velocità di propagazione dell’onda nei due mezzi, θi è l’angolo di

incidenza, θt quello di trasmissione (cioè l’angolo formato dal raggio trasmesso con la

normale alla superficie interfacciale). Tale fenomeno è denominato rifrazione e schematizzato in Figura 3.6, La frazione riflessa del fascio sarà data da (considerando θi=θr):

(13)

2 2 1 2 1 cos cos cos cos       + − = i t i t Z Z Z Z R χθ θθ ϑ (3.18) Nel nostro caso di studio, le onde ultrasoniche, come detto più volte, sono trasmesse in acqua, e la rifrazione che esse subiscono nel passare da acqua ad aria, quando raggiungono il pelo libero, non è stata da noi presa in considerazione, essendo il cilindro che viene investito dagli ultrasuoni, completamente immerso in acqua. Nella risoluzione dei problemi di riflessione e trasmissione si applicano i principi dell’ottica geometrica, sottintendendo che le superfici di separazione dei mezzi interessati siano infinitamente estese, o, più precisamente molto più grandi delle lunghezze d’onda dei suoni riflessi e trasmessi. In acustica, tuttavia, questo modo di operare è molto meno generalizzabile che in ottica, poiché nella pratica comune è assai frequente avere a che fare con suoni la cui lunghezza d’onda è dello stesso ordine di grandezza o più grande delle dimensioni delle superfici, degli oggetti, delle strutture presenti nell’ambiente in cui i suoni si propagano.

Fig.3.6: Riflessione e rifrazione di un’onda ultrasonora incidente sulla superficie di interfaccia tra i mezzi 1 e2.

Quando ciò si verifica interviene un nuovo fenomeno, il fenomeno della diffrazione, e i metodi puramente geometrici non costituiscono più uno strumento sufficiente. Anche per questa ragione, quello della diffrazione si presenta come un problema alquanto complesso da trattare. Una classica esemplificazione della diffrazione è rappresentata da un’onda piana che attraversa un’apertura praticata in un elemento divisorio di impedenza acustica infinita, quindi di per sé perfettamente riflettente. Se le dimensioni dell’apertura, nel piano della Figura 3.7 (a) rappresentate dalla sola larghezza d, sono più grandi della lunghezza

(14)

58 Influenza degli ultrasuoni sullo scambio termico in monofase e bifase

d’onda λ, cioè se è verificata la condizione d > λ, al di là del divisorio l’onda risulta confinata spazialmente, essendosi trasmessa solo la porzione di fronte d’onda corrispondente all’apertura. Ma se, al contrario, come appare in Figura 3.7 (b), si verifica la condizione per cui d ≤ λ, l’onda si propaga anche attorno all’apertura stessa, in una zona detta “zona d’ombra acustica”, in cui, se ci limitasse a considerazioni puramente geometriche, non dovrebbe propagarsi. La ragione sta nel fatto che i bordi dell’apertura, interagendo con l’onda incidente, diventano essi stessi sorgenti elementari di onde sonore che si irradiano in tutte le direzioni. Un processo analogo si instaura quando l’onda sonora incontra, durante la propagazione, ostacoli fisici di dimensioni finite, come viene schematizzato in Figura 3.8 (a) e (b).

Fig.3.7: Diffrazione dell’onda sonora intorno ad un’apertura; (a) lunghezza d’onda più piccola delle dimensioni dell’apertura, (b) lunghezza d’onda più grande della dimensione

(15)

Fig. 3.8: diffrazione dell’onda sonora intorno ad un ostacolo di dimensioni finite; (a) lunghezza d’onda del suono più piccola delle dimensioni fisiche dell’ostacolo, (b) lunghezza d’onda comparabile con le dimensioni dell’ostacolo, e quindi presenza di suono

anche al di là dell’ostacolo, nella sua ombra geometrica.

Qualitativamente si può affermare che solo attraverso aperture di grandi dimensioni od al di là di ostacoli molto estesi è possibile che si stabiliscano zone d’ombra ben definite, e che, ribaltando il concetto, i suoni a bassa frequenza, caratterizzati da elevate lunghezze d’onda, sono molto più facilmente diffratti dei suoni ad alta frequenza, con ridotta lunghezza d’onda.

Nel nostro caso l’ostacolo è costituito dal cilindro di diametro esterno 3 mm, le onde sonore utilizzate sono ultrasuoni alla frequenza di 40 kHz, la lunghezza d’onda, λ, è pari a, facendo uso della 3.19:

λ = c/f = 38 ·10-3m (3.19) La lunghezza d’onda e la dimensione caratteristica dell’ostacolo non sono confrontabili, in quanto quest’ultimo è un ordine di grandezza inferiore: si può affermare che nel caso di studio non si verifica diffrazione. Al contrario si può parlare di dispersione e diffusione del suono. Quando un fascio acustico interagisce con strutture di piccole dimensioni, irregolari, una parte di esso viene deviata in varie direzioni: questo fenomeno è definito diffusione o “scattering” e comporta che una piccola frazione di energia ultrasonora venga dispersa in direzione opposta a quella di incidenza (retrodiffusione o “backscattering”) e torni così verso il trasduttore dove darà origine a segnali di bassa intensità. (Fig.3.9).

(16)

60 Influenza degli ultrasuoni sullo scambio termico in monofase e bifase

Fig.3.9: Fenomeno della diffusione (o “scattering), che si verifica in un fascio ultrasonoro quando incontra interfaccie irregolari (A) o di piccole dimensioni (B)

L’entità della diffusione è una funzione complessa delle dimensioni e della forma del “diffusore”, nonché della lunghezza d’onda del fascio. Si possono schematicamente distinguere tre principali situazioni a seconda delle dimensioni relative della lunghezza d’onda del fascio e delle dimensioni dell’interfaccia, anche se, nella realtà, si riscontrano molte più situazioni intermedie. Quando il diffusore ha dimensioni molto inferiori alla lunghezza d’onda, può essere considerato puntiforme e si applicano le formule valide per la cosiddetta diffusione di Rayleigh, per cui l’intensità diffusa è proporzionale alla quarta potenza della frequenza della radiazione incidente. Se le dimensioni del centro di diffusione sono paragonabili alla lunghezza d’onda del fascio incidente si applicano formule diverse, per cui l’intensità diffusa risulta sempre proporzionale alla frequenza, ma in maniera meno marcata. Quando, infine, le dimensioni dell’interfaccia sono di gran lunga superiori alla lunghezza d’onda, si realizzano le condizioni per applicare le leggi della riflessione, che in pratica è considerabile come un tipo particolare di diffusione, in cui il fascio viene deviato in una singola direzione, anziché in molteplici componenti angolari. In questo caso, l’intensità riflessa è molto maggiore e indipendente dalla frequenza dell’onda incidente. L’intensità di un fascio ultrasonoro decresce progressivamente durante l’attraversamento di un mezzo in maniera proporzionale alla sua frequenza. Questo processo, definito attenuazione, è dovuto principalmente a quattro fenomeni: diffusione, riflessione, slargamento del fascio ed assorbimento. I primi due sottraggono energia al fascio, divergendolo in varie direzioni. L’aumento della sezione del fascio nella sezione di Fraunhofer (vedi figura 3.12, paragrafo 3.6), o comunque oltre la zona focale, provoca una diminuzione dell’energia per unità di area, e, quindi, dell’intensità. Infine una parte dell’energia meccanica di un fascio ultrasonoro è oggetto di assorbimento da parte del mezzo e viene convertita in calore. Vi sono varie teorie, e, probabilmente, vari meccanismi, per spiegare l’assorbimento: i principali fenomeni sono comunque le forze di

(17)

attrito proprie di ogni mezzo viscoso e soprattutto i processi di rilassamento molecolari. La relazione matematica che regola l’attenuazione è di tipo esponenziale, e più precisamente:

ax x I c

I = 0 − (3.20) dove Ix è l’intensità del fascio dopo l’attraversamento di uno spessore x, I0 è l’intensità

iniziale e a il coefficiente di attenuazione, espresso in dB/cm*MHz. Dalla 3.20 si ricava come l’aria attenui gran parte dell’intensità acustica (vedi Tabella 3.1) rispetto all’acqua. Inoltre le intensità sonore in profondità sono molto inferiori rispetto a quelle superficiali, fasci di frequenza ultrasonora elevata vengono maggiormente attenuati ed un fascio ultrasonoro, comprendente uno spettro più o meno ampio di frequenze, modifichi progressivamente la sua composizione spettrale nell’attraversamento di un mezzo, a causa della maggiore attenuazione a cui sono sottoposte le frequenze più elevate. Questo fenomeno è noto come indurimento del fascio.

3.4 Onde stazionarie e fenomeni di risonanza

Nel caso di perturbazioni acustiche di piccola ampiezza vale un semplice principio di sovrapposizione lineare degli effetti. Ne consegue che l’effetto creato da due onde sonore, che si propagano contemporaneamente in una stessa regione di spazio, è uguale alla somma lineare degli effetti che ciascuna onda sonora produce singolarmente. E’ particolarmente interessante il fenomeno delle cosiddette onde stazionarie, in base al quale l’interferenza di due onde progressive che si propagano in senso opposto ad esempio all’interno di un condotto, dà luogo, non più ad un’onda che si propaga nel mezzo, bensì ad un’onda, detta appunto stazionaria, la cui ampiezza vale zero nei punti lungo il condotto per cui la coordinata assiale, x, è uguale a λ/4, 3λ/4, 5λ/4,…., cioè nei valori di x multipli dispari di λ/4, e varia sinusoidalmente nel tempo nei punti per cui x=λ/2, λ, 3λ/2,…, multipli pari di λ/4. I punti, sempre gli stessi, in cui la pressione sonora vale zero sono detti nodi dell’onda (N), gli altri antinodi (A) o ventri dell’onda (dove l’ampiezza è massima); la loro distribuzione è schematizzata in Figura 3.10:

(18)

62 Influenza degli ultrasuoni sullo scambio termico in monofase e bifase

Fig.3.10: onde stazionarie all’interno di un condotto con un’estremità rigida, rappresentate in termini di andamento della pressione sonora.

Quello delle onde stazionarie è un fenomeno molto importante, con implicazioni fondamentali in molti campi, in particolare nei problemi di acustica architettonica. In generale, si manifestano onde stazionarie in ogni spazio chiuso di forma regolare, come appunto in un condotto con un’estremità rigida, ma anche in ambienti di qualsiasi dimensione, delimitati da superfici riflettenti. In questo caso le onde stazionarie sono definite anche modi propri di vibrazione, o più semplicemente risonanze dell’ambiente. Qualitativamente, la frequenza delle onde stazionarie che si possono instaurare tra due superfici parallele riflettenti è determinata dalla distanza tra di loro; se con d si indica tale distanza, la frequenza più bassa, e quindi la più grande lunghezza d’onda, dell’onda stazionaria (od il modo) che si può determinare è semplicemente: f=c/2d [Hz]. Inoltre, sono possibili tutte le onde stazionarie (od i modi) la cui frequenza è multiplo intero della prima: fn=n c/2d (con n=2,3,4,..). Prendendo ad esempio il nostro caso di studio, dove le

superfici riflettenti distano tra loro 0,3 metri, assumendo il valore di 1540 m/s per la velocità degli ultrasuoni in acqua, il primo modo possibile dovrebbe avere una frequenza di

(19)

2,567 kHz, ed i successivi tre modi, rispettivamente, di 5,133, 7,7 e 10,267 kHz, fino ad arrivare al quindicesimo modo alla frequenza di 38,5 kHz ed al sedicesimo modo per f pari a 41 kHz. Dunque la frequenza da noi usata si trova a cavallo tra l’undicesimo ed il dodicesimo modo di vibrazione della nostra vasca. Le lunghezze d’onda dei primi quattro modi risulteranno invece uguali, rispettivamente, a 0,6 m (corrispondente a due volte la distanza tra le superfici), e a 0,3, 0,2 e 0,15 metri, mentre quelle corrispondenti al quindicesimo ed al sedicesimo modo saranno rispettivamente pari a 0,04 e 0,0375 metri.

3.5 Meccanismi di azione delle onde ultrasoniche in un fluido

L’energia acustica di un fascio ultrasonoro che attraversa un mezzo liquido può essere convertita in differenti forme di energia: questo meccanismo di conversione può essere suddiviso in una parte termica, una dovuta alla cavitazione ed in una che determina il moto delle particelle stesse del liquido. Quando gli ultrasuoni sono assorbiti dal mezzo, essi sono convertiti in calore, e ciò comporta un aumento di temperatura. Un’onda ultrasonica produce delle zone di compressione ed altre di rarefazione nel liquido e tali cambiamenti di pressione determinano il fenomeno della cavitazione. Tale fenomeno avviene quando l’espansione e la successiva contrazione dei nuclei o delle bolle di gas causa o semplici oscillazioni e pulsazioni all’interno del liquido, e si parla allora di cavitazione stabile, oppure il collasso delle bolle stesse di gas, denominato cavitazione instabile o transitoria, che porta a istantanei ed elevati aumenti di temperatura e pressione nel liquido. Il fenomeno del moto delle particelle avviene quando il liquido è sottoposto a lungo ad un campo ultrasonoro e successivamente all’insorgere della cavitazione stabile.

Focalizziamo ora il nostro interesse sul fenomeno della cavitazione. Tale meccanismo ha origine in un liquido sottoposto ad ultrasuoni, se all’interno del fluido, sono presenti già dei nuclei gassosi contenuti in micro asperità o porosità presenti sulla superficie. Riprendendo la distinzione fatta poc’anzi tra cavitazione stabile ed instabile, ci si può riferire al primo caso per basse intensità del campo ultrasonoro, quando le bolle di gas sono di dimensioni tali da entrare in risonanza sotto l’azione del campo acustico, ed oscillare dunque con grandi ampiezze. Quando una bolla si espande e si contrae durante il ciclo alternato delle pressioni, il mezzo circostante si muove con una velocità più alta di quella che avrebbe in assenza di gas. Il diametro di risonanza di una bolla di gas sottoposta ad ultrasuoni di frequenza 1 MHz, è stato stimato circa di 3,5µm. Quando una bolla è sottoposta a questo ciclo alternato di pressioni, non è più perfettamente sferica, per le distorsioni sulla sua

(20)

64 Influenza degli ultrasuoni sullo scambio termico in monofase e bifase

superficie. Un’oscillazione asimmetrica e non uniforme all’interfaccia aria-liquido, sulla superficie della bolla, causa un moto stazionario vorticoso del liquido, chiamato micromovimento, dove i gradienti di velocità risultano essere elevati. Il fenomeno invece, chiamato cavitazione instabile, è più violento ed avviene per intensità del campo ultrasonoro più elevate. Quando un nucleo od una bolla di gas sono sottoposti a tale campo essi collassano istantaneamente. Nella fase finale del collasso, l’energia cinetica data ad una relativamente ampia porzione di liquido deve essere dissipata in un piccolo volume, e dunque il risultato è un notevole aumento della pressione e della temperatura. Studi sperimentali hanno dimostrato che la cavitazione instabile non avviene finché l’intensità del campo acustico non supera un valore limite, dipendente anche dalle particolari condizioni sperimentali [48]. Nel range di frequenze tra 0,25 e 4 MHz, tale limite è stato stabilito pari a 0,3 W/cm2 ed è dipendente dalla frequenza (vale a dire maggiore è la frequenza, maggiore l’intensità necessaria per portare alla cavitazione instabile). Nel nostro caso non si arriva mai alle condizioni di cavitazione instabile, in quanto le intensità raggiunte, anche con l’uso della potenza massima di 500W, sono pari a 0,175 W/cm2. Quando infine un campo ultrasonoro si propaga in un liquido, le particelle dello stesso prendono parte ad un flusso oscillatorio. Se la particella oscilla in direzione parallela a quella della parete, sulla parete stessa, essendo rigida, valgono le condizioni al contorno di non slittamento, e la velocità del liquido sarà zero. Si stabilirà così un moto del fluido stazionario nello strato limite tra la superficie e le particelle di fluido all’interfaccia, con un ampio gradiente di velocità. Il fenomeno più interessante per la nostra ricerca, che vede gli ultrasuoni indagati dal punto di vista della loro influenza sullo scambio termico, è sicuramente la cavitazione stabile. Vale la pena richiamare la principale differenza tra cavitazione ed ebollizione è che in quest’ultima, a causa dell'aumento di temperatura, la tensione di vapore sale fino a superare la pressione del liquido, creando quindi bolle meccanicamente stabili, perché contenenti vapore alla stessa pressione del liquido circostante. Nella cavitazione invece è la pressione del liquido a scendere improvvisamente, mentre la temperatura e la pressione di vapore restano costanti. Per questo motivo le bolle da cavitazione resistono solo finché la pressione idrostatica del liquido che le circonda è inferiore od uguale alla tensione di vapore delle bolle stesse. Infatti, appena questa condizione di equilibrio viene meno, e dunque la pressione di vapore non è sufficiente a contrastare la pressione idrostatica delle bolle, quest’ultime, implodono immediatamente. Tale fenomeno determina la cessione, da parte delle bolle all’ambiente esterno, di energia termica e di energia meccanica (onda d'urto). Il parametro caratteristico

(21)

di tale fenomeno è il numero di cavitazione σ, definito come: 2(p0-pv)/ρv2, dove p0 è la

pressione ambiente, pv è la tensione di vapore dell’acqua, ρ la densità dell’acqua e v la

velocità del liquido. Affinché la cavitazione possa manifestarsi occorre un substrato che agisca da centro di nucleazione: questo può essere la superficie di un contenitore, impurità presenti nel liquido oppure altre irregolarità. La temperatura ha una notevole influenza sulla cavitazione, poiché altera la tensione di vapore. Se la temperatura aumenta, la maggiore tensione di vapore facilita la cavitazione, almeno fino al raggiungimento delle condizioni di saturazione. In genere la cavitazione è un fenomeno indesiderato e fonte di problemi. In dispositivi come pompe ed eliche, la cavitazione provoca una notevole perdita di efficienza, emissione di rumore e danneggiamento dei componenti. Il collasso delle bolle da cavitazione infatti genera una grande quantità di rumore e un urto meccanico molto intenso, che se si verifica spesso, può ridurre notevolmente la durata di eliche e giranti di pompe. Infine la cavitazione è causa di attrito e turbolenza nel liquido, il che comporta un ulteriore calo di efficienza. Il collasso delle bolle provoca onde di shock, ossia onde di pressione che possono essere estremamente intense; inoltre, se l'implosione avviene vicina ad una parete solida, essa genera un microgetto liquido (impinging jet) che erode il materiale costituente la parete e forma quelli che vengono chiamati pits erosivi. Ci sono casi in cui la cavitazione può essere sfruttata. Per esempio i siluri a supercavitazione usati in ambito militare si avvolgono in una grande cavità prodotta per cavitazione. In questo modo viene eliminato il contatto con l'acqua e il siluro può viaggiare a velocità molto elevate, anche supersoniche. La cavitazione ha un uso pratico nei sistemi di lavaggio ad ultrasuoni, per gioielli, parti di orologi ed altri piccoli oggetti. In questo caso le implosioni delle bolle agiscono pulendo le superfici. All'interno dei tessuti biologici il fenomeno, che produce la rottura di deboli legami intermolecolari, porta alla formazione di radicali liberi; comunque la cavitazione è impiegata, in campo medico, con frequenze di onde sonore, comprese fra 1 e 16 MHz, per l'effetto termico che riescono a produrre, mentre per le applicazioni di pulizia il range di frequenze va dai 20 ai 100kHz. In sonochimica costituisce un importante fenomeno energetico che promuove reazioni chimiche. Da alcuni anni la cavitazione viene impiegata anche nella medicina estetica, e attraverso delle apparecchiature apposite, risulta utile sia nell'eliminare o ridurre le adiposità (liposuzione non chirurgica).

Nella nostra campagna di prove la cavitazione ha avuto un ruolo determinante per gli effetti di enhancement legati all’insorgere della stessa, in seguito all’attivazione degli ultrasuoni.

(22)

66 Influenza degli ultrasuoni sullo scambio termico in monofase e bifase

3.6 Generazione degli ultrasuoni e caratteristiche del fascio ultrasonoro

Gli elementi che permettono la formazione degli ultrasuoni sono chiamati trasduttori che possono essere piezoelettrici o magnetostrittivi. Il loro compito è quello di trasformare energia elettrica in energia meccanica (e viceversa). Il trasduttore magnetostrittivo di uso corrente è basato sulla proprietà di far vibrare delle lamine di nichel sottoposte ad un forte campo magnetico. Esse sono sagomate e posizionate all'interno di una bobina, attaccate ad un supporto metallico in modo da creare un unico pacco vibrante. Ciò consente la distribuzione dell'onda meccanica (generatrice degli ultrasuoni) in modo uniforme su tutta la superficie del trasduttore. I trasduttori magnetostrittivi ad alta potenza solitamente non superano i 22 kHz. Il funzionamento invece di un trasduttore piezoelettrico al contrario si basa sul fatto che una tensione elettrica applicata ai suoi capi genera una vibrazione ultrasonora la cui frequenza è definita come nominale o di risonanza ed è specifica di quel determinato componente piezoelettrico. In generale il funzionamento dei trasduttori piezoelettrici è il seguente: una tensione elettrica applicata al trasduttore genera una vibrazione ultrasonora la cui frequenza è definita come nominale o di risonanza ed è specifica di quel determinato componente piezoelettrico. Esso infatti è costituito principalmente da una sezione di cristallo oppure da un dischetto di ceramica avente caratteristiche piezoelettriche peculiari (nel secondo caso rientra il tipo di trasduttore da noi utilizzato, costituito da ceramiche realizzate in titanato di bario e racchiuse in due blocchi di metallo). Sulla superficie piana del materiale piezoelettrico (sugli spigoli di polarità elettrica) vengono creati due elettrodi mediante un procedimento di metallizzazione. Le dimensioni tipiche del disco piezoelettrico sono: diametro dai 5 ai 20 mm, spessore da 0,2 a 2 mm. La tensione elettrica alternata applicata agli elettrodi provoca la deformazione vibrante della sezione del cristallo o della piastrina ceramica sintetica che viene trasmessa al metallo ad essa collegato. Il disco piezoelettrico aumenta o diminuisce di spessore quando è sottoposto alla frequenza specifica del materiale. I blocchi metallici sono incollati solitamente a flange in acciaio che a loro volta vengono fissate alle pareti o applicate sul fondo della vasca trasmettendone l'energia meccanica prodotta. In figura 3.11 è rappresentato un trasduttore piezoelettrico, con i suoi vari componenti. Le caratteristiche dell’effetto piezoelettrico rendono possibile il comportamento del trasduttore sia come elemento trasmettitore di oscillazioni e sia come ricevitore. Nella funzione di trasmettitore, come già detto, applicando una tensione elettrica di breve durata (impulso) al trasduttore questo si deforma e, al cessare della tensione, compie una serie di oscillazioni smorzate fino a riprendere la configurazione iniziale. In corrispondenza di ciascun impulso, il

(23)

trasduttore sviluppa una successione di oscillazioni smorzate, costituenti un treno di onde. Tipicamente un pulsatore ultrasonico è in grado di produrre da alcune centinaia a diverse migliaia di impulsi al secondo. L’ampiezza, e quindi la durata, di queste oscillazioni dipende dal valore della tensione applicata, mentre la loro frequenza dipende dallo spessore del trasduttore. Il trasduttore funge al contrario da ricevitore quando in quiete viene appoggiato sulla superficie di un pezzo che vibra, e la vibrazione è trasmessa per contatto. Se la frequenza di vibrazione coincide con quella propria del trasduttore, ossia quella per la quale esso oscilla spontaneamente, quest’ultimo produce vibrazioni apprezzabili. Si viene dunque a costituire una tensione elettrica tra le due superfici, caratterizzata da un’alternanza delle posizioni dei segni + e – sulle superfici stesse, ogniqualvolta il trasduttore passa dalla condizione di massima estensione a quella di minima contrazione. In tali condizioni, il trasduttore oscillante equivale ad un generatore di tensione alternata, che viene trasmessa al pulsatore e da questa all’oscilloscopio. Andiamo ora a considerare il caso di un elemento piezoelettrico circolare sottoposto ad un impulso elettrico sinusoidale continuo, dunque tale da poter essere considerato un insieme di sorgenti puntiformi di onde di uguale intensità, come abbiamo già enunciato nei paragrafi precedenti. I fenomeni di interferenza costruttiva e distruttiva tra queste onde producono nel mezzo un campo ultrasonoro nel quale sono individuabili due zone (Fig.3.12):

- una zona vicina, o zona di Fresnel, nella quale si ha un fascio di diametro pressoché costante, uguale a quello del trasduttore, e vi è uno stato di coerenza di fase delle singole componenti ultrasonore;

- una zona lontana, o zona di Fraunhofer, nella quale il fascio perde coerenza di fase, diviene omogeneo, diminuisce di intensità ed assume una progressiva divergenza. Le due zone sono separate da un punto di transizione, la cui distanza dal trasduttore è direttamente proporzionale al raggio del trasduttore ed alla frequenza del fascio; da queste grandezze dipende anche l’angolo di divergenza proprio della zona lontana. L’uso di frequenze elevate offre pertanto il duplice vantaggio di una migliore risoluzione assiale e di una zona di Fresnel più estesa. L’aumento proporzionale dell’attenuazione all’aumentare della frequenza fa sì però che l’intensità del fascio si riduca rapidamente. A sua volta l’aumento del diametro del trasduttore allunga la zona di Fresnel, ma tende a peggiorare la risoluzione laterale.

(24)

68 Influenza degli ultrasuoni sullo scambio termico in monofase e bifase

Fig.3.11: Componenti fondamentali di un trasduttore piezoelettrico per la generazione di ultrasuoni

Fig.3.12: La zona vicina e lontana di un trasduttore ultrasonico. 3.7 Utilizzo degli ultrasuoni come sistema di raffreddamento

Lo studio riportato in questa tesi è di natura sperimentale ed è stato volto ad indagare dal punto di vista fenomenologico l’influenza degli ultrasuoni nello scambio termico tra un cilindro ed acqua distillata. Si è trattato dunque di una ricerca di base. Nonostante ciò sin dall’inizio, avendo già trovato in letteratura riferimenti all’aumento del coefficiente di scambio convettivo dovuto agli ultrasuoni, abbiamo cercato di individuare una possibile applicazione pratica dei nostri risultati. Questa si è trovata nel raffreddamento di micro componenti elettronici di ultima generazione fortemente integrati, chiamati 3D packaging systems. Tali sistemi sono essenzialmente costituiti per “impacchettamento” verticale di vari strati di silicone (layers), molto sottili, e permettono di ottenere alte densità di potenza e soprattutto di limitare i ritardi di segnale tra i blocchi funzionali dell’intero circuito,

Armatura metallica Strato protettivo Elettrodi Elemento attivo Blocco smorzatore Connettore Collegamenti elettrici

(25)

grazie proprio alla loro forte integrazione. Per far ciò è necessaria una riduzione delle lunghezze di interconnessione, da cui deriva la necessità di assemblaggio dei layers in verticale. In Figura 3.13 è mostrato uno di questi componenti:

Fig.3.13: Componente 3D.

Essi potrebbero essere impiegati anche come componenti di antenne, sensori ed attuatori, per le loro caratteristiche di richiedere meno spazio e meno superficie di comunicazione (routing area). Al contempo, tuttavia, il loro sviluppo, iniziato alla fine degli anni’90 è tutt’oggi limitato. Infatti questa forte integrazione comporta problemi termici non indifferenti, in quanto fa sì che aumentino i flussi termici da smaltire, a parità di temperatura. Quest’ultima rappresenta proprio il limite maggiore, poiché sulla superficie di questi chips di ultima generazione, se sottoposti a temperature troppo elevate, si formano “hot spots”, che possono arrivare a danneggiare non solo il singolo chip, ma tutto il sistema dove quest’ultimo è stato impiegato. Gli ultrasuoni, per la loro facilità di generazione, potrebbero rappresentare un efficiente sistema di raffreddamento dei 3D packaging systems. Partendo da ciò abbiamo effettuato un’indagine bibliografica, per capire quali fossero i limiti termici suddetti. Il primo lavoro significativo che tratta tale problema risale al 1998. B. Gromoll [49] analizzò dal punto di vista sperimentale vari tipi di micro scambiatori per il raffreddamento di componenti elettronici, prediligendo l’aria come fluido refrigerante, in quanto permetteva soluzioni economiche e di facile realizzazione per la dissipazione del calore (nonostante con i liquidi si possano ottenere coefficienti di scambio uno o due ordini di grandezza superiori rispetto a quelli ottenibili con aria).

Il primo scambiatore da lui testato, montato direttamente sul componente da raffreddare con interposta una pasta conduttiva, era ad aria compressa ad alta velocità e permetteva di ottenere coefficienti di scambio dell’ordine di 103 W/Km2, per potenze imposte di 15 W/cm2;il secondo, che fungeva da tubo di calore ed usava ancora aria movimentata da

(26)

70 Influenza degli ultrasuoni sullo scambio termico in monofase e bifase

ventilatori, permise di arrivare, per potenze imposte minori (3 W/cm2), ad ordini di grandezza di h intorno alle centinaia. Infine Gromoll testò anche tali scambiatori all’interno di un circuito chiuso sotto forma di un termosifone, cioè con un raffreddamento ad aria, ma indiretto e senza parti in movimento (uno scambiatore fungeva da evaporatore, un altro da condensatore), arrivando, per il flusso di 25 W/cm2, ad una differenza in temperatura di 21 K, e dunque ad h pari a 12000 W/Km2, valori ottenibili solo con refrigeranti liquidi. Questi risultati furono poi applicati ad un caso reale: un processore Intel Pentium, che richiedeva di smaltire un flusso intorno a 0,55 W/cm2 (tre volte maggiore di quello richiesto del suo predecessore), che, considerando una differenza di temperatura di circa 50°C con l’ambiente, corrispondeva ad h intorno a 110 W/Km2. Il micro scambiatore applicato direttamente sul componente, con una portata di aria di 6000 litri/ora soddisfaceva pienamente i requisiti suddetti, al contrario degli scambiatori tradizionali, anche con l’aggiunta di alettature. L’uso dunque di sistemi di raffreddamento ad aria, per via diretta od indiretta, a superficie ridotta, permetteva una maggiore densità di integrazione dei componenti elettronici.

Successivamente, la maggior parte degli studiosi si è indirizzata allo studio numerico dei componenti 3D, per simularne le gravose condizioni termiche [50-53]. In [50] viene condotta appunto una stima per via numerica della potenza da dissipare su tali componenti, a partire dalla conoscenza del numero di transistors sul singolo chip, sulla dimensione della memoria di ognuno e sul numero delle porte logiche. Tali livelli di potenza comportano temperature elevate, che è auspicabile rimangano al di sotto dei 100°C, per assicurare un funzionamento efficace del sistema. In [51] viene proposto un algoritmo numerico per il controllo della massima temperatura su ogni chip. Partendo dalle considerazioni che il problema termico nei componenti 3D è aggravato sia dall’”impacchettamento” in verticale dei vari layers, sia dalla troppo bassa conducibilità termica degli strati isolanti (ad esempio per le resine epossidiche intorno a 0,05 W/Km) rispetto a quella del silicone (materiale costituente i layers di potenza, con k pari a 150 W/Km), gli autori, dopo aver effettuato la modellazione del chip dal punto di vista geometrico e la sua successiva ottimizzazione in termini di superficie, numero e lunghezza di interconnessioni, hanno assegnato ad ogni nodo una densità di potenza tra 105 e 107 W/m2. I risultati mostrano che un sistema non ottimizzato raggiunge temperature dell’ordine di 314°C, mentre uno ottimizzato dal punto di vista termico, di 152 °C, con un abbattimento dunque della temperatura del 52%. Eveloy et al. [53] hanno analizzato un codice CFD per le predizioni della massima temperatura in un sistema fortemente integrato, sottolineando i limiti del modello di turbolenza k-ε, e

(27)

concludendo come siano necessarie misure sperimentali per predire le temperature elevate nelle zone di giunzione tra un layer e l’altro. I lavori più recenti in letteratura risalgono al 2010, a dimostrazione di come la ricerca, principalmente almeno fino ad ora incentrata sulla modellazione del problema termico, sia ancora aperta. In particolare in [54] gli autori hanno focalizzato la loro attenzione sul layout dei chip, mostrando come esso influenza notevolmente la temperatura massima, media ed il gradiente di temperatura, rispetto all’ambiente esterno, del chip stesso. In particolare, essi hanno dapprima diviso il flusso termico in una componente orizzontale e verticale, molto più critica, ed hanno analizzato diversi scenari, assumendo l’ordine di grandezza della potenza da dissipare intorno a 106 W/m2. L’aumento del numero dei layers causava un aumento della temperatura, che oltre una certa soglia diventava intollerabile per il componente (intorno a 150°C in termini di temperatura massima e 102°C come temperatura media). Inoltre, il posizionamento dei blocchi funzionali vicini l’uno all’altro permetteva le migliori performances dal punto di vista della trasmissione dei segnali, ma pessime dal punto di vista termico. La conclusione principale di tale lavoro è stata quella che la progettazione elettronica e termica dovranno nel futuro sempre procedere di pari passo.

Del Valle et al. [55] hanno proposto un nuovo modello di analisi termica per transitori veloci per un sistema 3D chiamato MPSoCs (Multi-processor Systems-On-Chip). Tale sistema ha potenzialità enormi per il suo basso costo, bassi consumi di potenza ed ottime performances. Gli autori hanno simulato il componente ipotizzando un raffreddamento diretto a liquido: il codice da loro sviluppato ha permesso di ottenere valori di temperatura accurati al 3% rispetto a quelli misurati, con tempi di risposta del software ai veloci transitori termici notevolmente minori rispetto a quelli di codici sviluppati con la classica analisi agli elementi finiti.

Tali lavori, qui brevemente esposti, sono stati di aiuto per il nostro studio per stabilire il range dei flussi termici da testare sul cilindro, al fine di verificare se, a parità di potenza scambiata, gli ultrasuoni permettano di rimanere al di sotto delle temperature critiche dei 3D packaging systems. In effetti, abbiamo potuto dimostrare che utilizzando ultrasuoni tali temperature critiche non verrebbero oltrepassate.

(28)

72 Influenza degli ultrasuoni sullo scambio termico in monofase e bifase

Figura

Fig. 3.8: diffrazione dell’onda sonora intorno ad un ostacolo di dimensioni finite; (a)  lunghezza d’onda del suono più piccola delle dimensioni fisiche dell’ostacolo, (b)  lunghezza d’onda comparabile con le dimensioni dell’ostacolo, e quindi presenza di

Riferimenti

Documenti correlati