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Capitolo IV IL DIBATTITO DOTTRINALE TRA SISTEMA DUALISTICO E SISTEMA MONISTICO

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Capitolo IV

IL DIBATTITO DOTTRINALE TRA SISTEMA

DUALISTICO E SISTEMA MONISTICO

1. La nascita del dibattito

Dopo aver ampliamente analizzato, nel capitolo precedente, la giurisdizione amministrativa e, specificamente, il tema dei criteri di riparto interno, nonché i limiti di operatività della stessa, da cui è vincolata fin dal momento della sua nascita, è necessario riprendere il già citato profilo critico che riguarda l’affermazione in Costituzione di un sistema di giustizia amministrativa di tipo dualistico, uniformato al principio della pluralità

giurisdizionale.

Entrando brevemente nel merito di questo aspetto, possiamo vedere come questi due elementi, cioè il modello dualistico e il principio della

pluralità giurisdizionale, hanno portato alla presenza di due ordini di giudici –

quello ordinario e quello amministrativo–, la cui competenza è stata tradizionalmente ripartita sulla base di due criteri diversi e controversi tra loro, cioè il criterio del petitum e della causa petendi, o petitum sostanziale.

Se il primo criterio si fondava sulla natura della pronuncia richiesta, per cui, a prescindere che si trattasse di diritti soggettivi o interessi legittimi lesi, il giudice amministrativo aveva competenza per le domande di annullamento dell’atto amministrativo illegittimo, mentre il giudice ordinario aveva un generale potere di condanna, il secondo criterio si basava sulla natura della situazione giuridica lesa, attribuendo al giudice ordinario il potere di conoscere sui diritti soggettivi e a quello amministrativo di conoscere sugli interessi legittimi: storicamente questi due criteri si sono alternati, ma nel 1930, grazie al raggiungimento del

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133 «concordato giurisprudenziale» tra le Sezioni Unite della Cassazione e l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato1, venne scelto in via definitiva il

criterio della causa petendi, tutt’oggi applicato senza essere soggetto a dubbi o contestazioni.

Se questo è l’assetto che si è creato in passato e si è mantenuto

pacificamente fino ad oggi nel definire i rapporti tra le competenze

giurisdizionali dei due giudici, la stessa cosa non può essere detta riguardo al tema della struttura dei due organi giudicanti: nonostante la dottrina maggioritaria più diffusa sostenga la presenza di una pluralità di giurisdizioni, è particolarmente resistente un altro orientamento dottrinale che è d’accordo nell’affermare la necessità di un ritorno del nostro ordinamento ad un modello uniformato al principio dell’unitarietà della giurisdizione.

Riprendendo quanto affermato da Mazzamuto2, che a sua volta ha

aderito alla posizione di Merusi3, queste due tendenze, tutt’oggi presenti e

«risvegliate» dai lavori della Commissione Bicamerale, contrastano tra loro fin dal momento di approvazione della legge abolitiva del contenzioso amministrativo, 20 marzo 1865, n. 2248, All. E, mantenuta tutt’oggi integralmente: questi autori rinvengono proprio in questa legge il momento iniziale e la causa della nascita non solo del suddetto dibattito, ma anche della claudicanza e dell’incertezza di cui è sempre stato connotato il nostro sistema di giustizia amministrativa. È chiaro quindi che con questa legge, abolendo il contenzioso amministrativo, si sia istituito un sistema monistico, a differenza della successiva legge Crispi del 1889, che, con la nascita della IV Sezione del Consiglio di Stato, ha provocato il ritorno ad un sistema

dualistico.

1 Rispettivamente con la Sent. n. 2680/1930, Cass., SS.UU., in Giur.it., 1930, III, p.149 e la

Sent. n. 1/1930, Cons. Stato, Ad. Plen., in Giur.it., 1930, I, 1, p.964.

2 M.Mazzamuto, L’allegato E e l’infausto mito della giurisdizione unica tra ideologia ed effettività della

tutela nei confronti della pubblica amministrazione, Intervento al Convegno «Settant’anni di Autonomia siciliana», Palermo, 14-16 maggio 2015, nella cui occasione si anche presentato

il volume ISAP, 150º dell’unificazione amministrativa italiana (legge 20 marzo 1865, n. 2248), Bologna, 2015, in Dir. Proc. Amm., 2017, p.740ss.

3 F. Merusi, Consiglio di Stato (all. D) e abolizione de contenzioso (all. E), in ISAP, 150º

dell’unificazione amministrativa italiana (legge 20 marzo 1865, n. 2248), Bologna, 2015, p.225 ss.

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134 Pertanto, la vera e propria nascita del conflitto viene a introdursi nel momento in cui dovevano essere prese quelle scelte di riforma, al momento della emanazione della legge del 1865: in particolare, il contrasto su quale sistema adottare, quindi su quale «mezzo» scegliere per la tutela del cittadino, era proprio interno alla dottrina liberale, infatti una parte di essa rinveniva tale mezzo nella giurisdizione unica, mentre l’altra parte nel mantenimento del contenzioso amministrativo, che in Francia aveva comunque portato a risultati soddisfacenti.

Le ragioni alla base di coloro che sostenevano la giurisdizione unitaria, e che influenzano anche la dottrina attuale, si fondavano sulla visione che il contenzioso amministrativo come strumento di tutela inidoneo perché riconducibile all’assolutismo del giudice che, appartenendo all’amministrazione, era parte in causa e quindi avrebbe sicuramente privilegiato le ragioni pubbliche a discapito della tutela dei cittadini.

Invece le ragioni che sostenevano l’altra parte della dottrina, non erano tanto rinvenibili sul piano teorico, perché oggettivamente, non affidando la competenza ad un giudice terzo e imparziale non si rispettava il principio di separazione dei poteri, quanto e soprattutto sul piano pratico, infatti Vittorio Emanuele Orlando, sottolineava che «chi scrive queste pagine ha dovuto, nella sua pratica professionale, osservare che quando è possibile, per una medesima controversia, adire tribunali ordinari o quelli di giustizia amministrativa, le parti hanno una sensibile preferenza a favore di questi ultimi. Quale dissidio tra la teoria e la pratica!»4.

Continuando a seguire quanto affermato da Mazzamuto nella già citata opera, l’autore definisce la legge abolitiva del contenzioso amministrativo come un «fallimento», ma non da un punto di vista meramente teorico, tale da indurre i suoi sostenitori a cambiare opinione, quanto dal punto di vista prettamente pratico e concreto, perché il sistema creato non assicurava la tutela richiesta, anzi, ne provocava una diminuzione,

4 V.E.Orlando, voce Contenzioso amministrativo, in Il Digesto italiano, III, 2, Torino 1895-98,

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135 quindi si sentì il bisogno di trovare un nuovo rimedio: ecco il motivo per cui venne istituita la IV Sezione del Consiglio di Stato, con la legge Crispi del 1889, che insieme ai successivi interventi legislativi, attribuirono al giudice amministrativo un ruolo centrale nelle controversie di diritto pubblico, tale da essere identificato come unico giudice competente. Questo sistema ebbe un particolare successo, infatti, nonostante alcuni considerassero gli interessi legittimi come diritti «degradati», in realtà, evidenziano i suddetti autori che «i ricorrenti erano ben lieti di essere «degradati» da un atto amministrativo, perché l’impugnazione dell’atto di fronte al giudice amministrativo garantiva, e garantisce tuttora, una tutela considerata più satisfattiva di quella del giudice ordinario».

Questo contrasto, come sappiamo, si è mantenuto in vita per tutto il ‘900 ed ha ripreso particolare vigore nel momento in cui il nostro ordinamento si trovava di fronte alla necessità di dover prendere nuove scelte di natura sistematica, cioè al momento della stesura della Costituzione, dovendo superare quello che era stato l’assetto durante il regime fascista.

In Assemblea Costituente infatti si riproposero gli stessi dibattiti e contrasti presenti al momento dell’approvazione della legge abolitiva del contenzioso amministrativo, ma qui a scontrarsi furono le personalità di Calamandrei, da un lato, e Ruini e Mortati, dall’altro.

Pietro Calamandrei sostenne energicamente l’aspirazione di tornare ad un sistema unitario di giurisdizione, e questo emerge in maniera evidente nel Progetto5 presentato dallo stesso alla «Commissione per studi attinenti

alla Riorganizzazione dello Stato», presieduta da Forti6.

In tale Progetto, Calamandrei, proponeva un sistema in cui la Magistratura ordinaria, non solo rivestiva un ruolo centrale, ma di fatto era anche l’unico apparato esistente, in quanto vi era un solo status di giudice, la cui

5 La relazione di Calamandrei, Posizione costituzionale del lavoro giudiziario nella nuova

Costituzione italiana, può leggersi in Rigano, Costituzione e potere giudiziario, Padova, 1982,

p.263ss.

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136 indipendenza era garantita da un organo di autogoverno: si affermava allora un sistema monistico per cui ex art. 1 dello stesso Progetto si sanciva il principio della Universalità della magistratura ordinaria, disponendo che «l'esercizio del potere giudiziario in materia civile, penale e amministrativa appartiene esclusivamente ai giudici ordinari, istituiti e regolati dalla legge sull'ordinamento giudiziario»; in più all’art. 12, si sanciva a chiare lettere il principio della unicità di giurisdizione, poiché si dichiaravano appartenenti all’organo giudiziario «esclusivamente i giudici ordinari, cioè i giudici singoli (conciliatori e pretori), i tribunali ed le corti, istituiti e regolati dalla legge sull'ordinamento giudiziario». Dunque, il modello uniformato al principio della unicità della giurisdizione era visto come l’unico modello organizzativo idoneo e inscindibilmente funzionale a garantire l’indipendenza della Magistratura.

La creazione di giurisdizioni speciali, non doveva che essere la mera

eccezione, pertanto costituiva un forte limite per il legislatore ordinario, il

quale, ben lontanamente dall’assetto sancito dallo Statuto albertino, per cui

ex art. 70 si potevano liberamente istituire giudici speciali, avrebbe potuto far

nascere sezioni specializzate all’interno della Corte di conti e del Consiglio di Stato, anche se solo in presenza di particolari materie ad alto tasso tecnico e specialistico: questo assetto, che portò anche alla abolizione dei Tribunali militari per il tempo di pace, era chiaramente uniformato al principio per cui non potevano essere istituiti «neanche per legge organi speciali di giurisdizione».

Secondo questa prospettiva, il Consiglio di Stato, la Corte dei conti e quelli che poi saranno i T.A.R., perderebbero la qualifica di giudici speciali autonomi e a sé stanti rispetto ai giudici ordinari, perché diventerebbero anch’essi stessi organi appartenenti alla Magistratura ordinaria, e conseguentemente tutti gli atti della pubblica amministrazione sarebbero soggetti alla giurisdizione del giudice ordinario.

Questo orientamento non conobbe una piena formalizzazione in Costituzione, anche perché molti erano dubbiosi nel creare un sistema giurisdizionale in cui la pubblica amministrazione era soggetta alla

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137 giurisdizione ordinaria, soprattutto perché si temeva di tornare allo stesso assetto creato e causato dalla legge abolitiva del contenzioso amministrativo7, che poi appunto, garantendo un sistema di tutele

inefficienti, era stato superato dall’istituzione della IV Sezione del Consiglio di Stato. In particolare, l’opinione che maggiormente contrastò Calamandrei fu quella di Costantino Mortati, il quale non solo riteneva necessario il mantenimento del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, ma pensava dovesse essere inevitabile lasciare libero il legislatore di poter creare nuove giurisdizioni speciali, specialmente quelle competenti a risolvere contrasti tra pubbliche amministrazioni e cittadini8. Mortati

vedeva come prima necessità il dover garantire l’indipendenza dei magistrati da pressioni e influenze del Governo, in conformità di quanto affermato nella Costituzione belga e, di conseguenza, pensava che fosse necessario tenere in vita organi giurisdizionali di natura speciale. Anzi, Mortati, criticava addirittura l’eliminazione di giudici speciali in alcune materie di diritto privato, come in materia di usi civici, in cui si ritenevano particolarmente utili. Se già quest’ultima decurtazione, secondo Mortati, avrebbe portato a conseguenze particolarmente gravi, figuriamoci l’eliminazione dei giudici speciali in quelle situazioni di contrasto con la pubblica amministrazione, che agisce per la tutela di un interesse pubblico9.

Un ulteriore intervento, che contrastava la posizione di Calamandrei, fu quello di Laconi, il quale affermava che, dovendo dare una nuova forma all’organizzazione del Paese, si doveva necessariamente tener di conto dell’«eredità culturale» del popolo, riflettendone così «i sentimenti e le

aspirazioni»: allora a questa esigenza poteva rispondere solo un modello

giurisdizionale che comprendesse giurisdizioni speciali, esponendosi in via contraria alla «fissazione nella Costituzione di una norma rigida che stabilisca

un’assoluta unificazione della giurisdizione»10.

7 F.Merusi-E.Frediani, Il processo amministrativo dalla costituente al codice, in Storia

Amministrazione Costituzione,Annale ISAP, 2017, p.143.

8 G. Berti, Art. 113 (e 103), in G. Branca A. Pizzorusso, Commentario allaCostituzione, Roma,

1987, p. 92-93.

9 Seduta 21 novembre 1947, p.2322 ss. 10 Seduta del 19 dicembre 1946.

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138 Non essendosi Calamandrei dedicato a convincere gli altri membri della Costituente, la scelta che venne poi «costituzionalizzata», fu quella, sostenuta da Ruini, di conferire alla Magistratura ordinaria un ruolo centrale e primario, senza però prescindere dal mantenere la presenza di giudici speciali, come organi separati e distinti dai primi.

Ad oggi allora, dato l’assetto presente, si può dire che si contrappongono essenzialmente due orientamenti: il primo, quello maggioritario e più diffuso, che vede l’organo Magistratura come articolato in Magistratura ordinaria, che costituisce l’ordine giudiziario, e in Magistratura speciale, esterna invece a tale ordine in cui i giudici speciali, ad essa appartenenti, sono dotati o di un potere giurisdizionale generale, proprio come i giudici amministrativi, la cui cognizione è determinata sulla base di criteri generali, cioè la natura della situazione giuridica soggettiva, e non particolari, come la ratione materiae, salvo casi eccezionali11, oppure

dotati di un potere giurisdizionale speciale, come avviene per gli altri organi speciali.

Per di più Merusi12, vedrebbe come ulteriore causa del successo della

giustizia amministrativa, tanto da ampliare la sua giurisdizione, sino quasi a farne un giudice in senso «soggettivo» della pubblica amministrazione, il fatto che questo diventerebbe non solo giudici degli atti amministrativi, ma di tutte le controversie in cui esiste una connessione tra una obbligazione ed un

atto amministrativo, aspetto che approfondiremo meglio nel capitolo

successivo.

Il mantenimento della legge abolitiva del contenzioso amministrativo, come abbiamo visto, sarebbe la causa storica della sopravvivenza dell’«infausto mito» 13 della giurisdizione unica, perché

provocava – e continua a provocare– numerose «pressioni» intente a superare il sistema dualistico. Una ad esempio, consisteva nel proporre un

11 Cioè nei casi di giurisdizione amministrativa esclusiva. 12 M.Mazzamuto, cit., in Dir. Proc. Amm., 2017, p.740ss. 13 Ibidem.

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riavvicinamento delle due giurisdizioni, poiché, non potendolo eliminare,

l’unico modo era avviare un processo di «civilizzazione» del giudizio amministrativo, comportando una effettiva unificazione sostanziale delle giurisdizioni: ma anche qui, con l’istituto della traslatio iudicii si è visto in via chiara come la tutela garantita fosse nettamente insufficiente.

Addirittura, una seconda corrente più radicale, sosterrebbe il ritorno a una fase c.d. di neoabolizionismo, cioè tornare a un sistema di giurisdizione unica, procedendo poi ad un successivo ed inevitabile intervento costituzionale: ad oggi però, dice l’autore, coloro che sostengono questa posizione sanno perfettamente che così non è garantita una tutela piena ed effettiva, quindi non è quella il fine a cui sono ispirati, piuttosto proprio la volontà di demolire ed eliminare per sempre, autoritativamente, questo assetto dualistico.

Si può dire quindi che è proprio il fatto di non aver eliminato la legge abolitiva del contenzioso amministrativo ad essere la causa della permanenza di questi dibattiti, in quanto «ha costituito e continua a costituire

un’autentica mina vagante per la conformazione della tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione»14 e si spera quindi che prima o poi venga

abolita.

Date queste le premesse e le pressioni esistenti, l’altro orientamento, che poi prende forme diverse a seconda degli autori, arrivava ad affermare l’esistenza di quattro organismi diversi, quello ordinario, quello amministrativo, quello contabile e quello militare, definiti tutti come «complessi giurisdizionali ordinari», sia perché tutti dotati di poteri pieni e generali nei rispettivi settori, sia perché previsti dalla stessa Costituzione: è proprio il Consiglio di Stato, nella Adunanza Plenaria 16 dicembre 1983, n. 27, che, confermando questa impostazione, afferma che l’unitarietà della giurisdizione si è così realizzata su un piano prettamente funzionale e non strutturale, istituendo un unico organo giurisdizionale: tale unitarietà sarebbe riconfermata dalla presenza in Costituzione di regole e principi uniformi e uguali per tutti i magistrati, senza alcuna distinzione di specie.

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140 Procediamo dunque all’analisi del dibattito, tutt’oggi attivo e presente, in cui si scontrano dottrina maggioritaria e minoritaria, rappresentate entrambe da personalità particolarmente rilevanti: a favore del sistema dualistico possiamo citare giuristi come Alberto Romano, Aristide Police, Alberto Romano Tassone, mentre dall’altro lato, si fanno sentire personalità come Massimo Severo Giannini, Eugenio Cannada Bartoli e Andrea Orsi Battaglini.

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2. Il sistema dualistico e la dottrina maggioritaria

Come abbiamo già più volte spiegato nei capitoli precedenti, la scelta del modello dualistico, alla base del sistema di giustizia amministrativa, trova le sue radici nel contentieux administratif francese e nei c.d. sistemi a

droit administratif, e, ripetendone superficialmente la definizione, si tratta di

quel modello caratterizzato dalla presenza di due giurisdizioni, quella ordinaria e quella amministrativa, competenti per le controversie aventi ad oggetto questioni, rispettivamente, di diritto comune e di diritto amministrativo.

Cominciando ad analizzare nello specifico il dibattito, sembra opportuno descrivere preventivamente le varie posizioni assunte dalla dottrina maggioritaria, le quali, seppur dotate di piccole sfumature diverse, sono uniformi al dettato costituzionale, prevendendo un sistema dualistico di giurisdizione, uniformato al principio della pluralità. Come si è già detto nel paragrafo precedente, ci dedicheremo in questa sede all’analisi approfondita di quanto sostenuto dai più rilevanti giuristi che appartengono a questa corrente di pensiero.

Non possiamo non cominciare dal pensiero di Alberto Romano, uno dei più grandi sostenitori e rivendicatori dell’autonomia della giurisdizione amministrativa rispetto a quella ordinaria.

Nei suoi scritti l’autore afferma che nonostante le varie e rilevanti critiche, il mantenimento dell’assetto presente sembra più che ragionevole, dal momento che la giurisdizione ordinaria risulterebbe «garante del rispetto dei confini tra poteri della pubblica amministrazione e diritti di altri soggetti», solo se affiancata dalla giurisdizione amministrativa, definita addirittura come «insostituibile protagonista del controllo della legittimità dell’esercizio di quei poteri, all’interno di quei confini»15. Secondo l’autore,

la diversificazione dei tipi di tutela giurisdizionale è strettamente connessa

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142 alla diversificazione degli organi competenti a esercitarla, perché questi sono caratterizzati da una composizione e una formazione che garantisce la loro reciproca indipendenza e imparzialità. Si tratta di un sistema in cui sono in gioco situazioni giuridiche diverse, eterogenee nei loro caratteri oggettivi e soggettivi, pertanto promuovere una riforma verso riunificazione degli organi giudiziari, verso una giurisdizione unica, porterebbe ad una forte «degenerazione» e «sfasamento» del sistema.

Nonostante alcuni considerino l’attuale sistema illogico e inefficiente, perché sostenitori di un sistema unitario di giurisdizione non necessariamente incentrata sulla figura del giudice civile ma anche creando una nuova figura dotata di maggiore efficienza, imparzialità e indipendenza, Romano porta avanti la tesi contraria, avvalendosi anche delle radici storiche del nostro ordinamento: è con lo Stato di Diritto, che anche la pubblica amministrazione diventa soggetta alla legge, qualificandosi come soggetto di diritto, dotato di capacità giuridica e di potere di imperio. Dunque è in questo periodo che viene a crearsi un ordinamento in cui trovano tutela tutte le posizioni giuridiche dei soggetti, anche quelle pretese nei confronti della pubblica amministrazione.

Lui stesso però, pur sostenendo un sistema bipartito, denuncia una forte inefficienza pratica dello stesso, evidenziandone la necessità di una riforma: lasciando sullo sfondo il fatto che qualsiasi processo in Italia non è efficiente e rimanendo quindi nell’ambito della stretta giustizia amministrativa, la mancanza di una tutela effettiva verso gli atti della pubblica amministrazione, può essere raggiunta solo con “piccoli ritocchi” inerenti ai singoli istituti di natura processuale, piuttosto che con una riforma dell’intero sistema, come per esempio razionalizzando istituti come il regolamento di giurisdizione, o i termini per ricorrere.

L’autore allora sarebbe propenso all’instaurazione di un sistema in cui il giudice civile ordinario recupererebbe un proprio ruolo nei confronti della pubblica amministrazione, occupandosi in particolare della tutela di situazioni giuridiche soggettive rilevanti, fortemente individualizzate,

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143 preesistenti all’esercizio e alla titolarità dei poteri amministrativi di tipo

ablativo o dispositivo, che necessitano una tutela di tipo conservativo.

Il giudice ordinario si occuperà della tutela dei diritti soggettivi in generale, affiancato dal giudice amministrativo che si pronuncerà sulla illegittimità dell’atto: a conferma di questo c’è la stessa struttura e formazione del sistema e degli organi, volendo perseguire l’efficienza, la

rapidità e la praticità della giustizia, nel rispetto dei valori costituzionali.

Alberto Romano si pronuncia sulla questione in esame in più sedi, avvalorando sempre la solita posizione, cioè la necessità di un sistema dualistico in cui il giudice amministrativo deve essere autonomo dal giudice ordinario.

In un’altra opera ad esempio16, nonostante le forti radici e

motivazioni di cui si avvale l’altra parte della dottrina, l’autore non ritiene possibile sostenere la posizione che comporterebbe la perdita del connotato di specialità della giurisdizione amministrativa, andando incontro ad una giurisdizione unitaria e onnicomprensiva. Anzi, l’autore, in questa sede, conferma l’idea già sostenuta per cui l’autonomia della giustizia amministrativa e la sua articolazioni in due componenti, rappresenterebbe il «fattore della sua stessa ricchezza», per diversi motivi, tra i quali, ad esempio perché portano avanti un controllo su aspetti diversi, cioè da un lato sull'esercizio della funzione pubblica e dall’altro la tutela dei diritti soggettivi.

La giurisdizione civile e la giurisdizione amministrativa, nella loro specificità, possono contribuire a rendere più incisiva ed efficace la tutela delle ragioni, se fondate, di chi si rivolge a loro. Appare quindi certo che la «banalizzazione della giurisdizione amministrativa», porterà necessariamente ad un affievolimento della tutela verso il cittadino.

16 A.Romano, Giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa dopo la legge n. 205 del

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144 Sempre in questa prospettiva è possibile far riferimento alla posizione presa da Aristide Police, altro importante sostenitore del sistema

dualistico di giustizia amministrativa, come caratterizzato da una pluralità di giurisdizioni, basate sulle diverse situazioni giuridiche soggettive, ad

eccezione di quella esclusiva, basata sul criterio della ratione materiae. Secondo tale autore, questo risulta essere l’unico assetto ammissibile ed accettabile, nonostante i vari dubbi e dibattiti, intenti ad affermare la presenza di un sistema monistico, che si sono susseguiti in dottrina, perché lo si ricava proprio dal dettato costituzionale e dalla giurisprudenza della Corte costituzionale stessa: questo assetto, secondo lui, è rinvenuto non solo negli artt. 103 e 113 Cost., che costituiscono la «principale garanzia

costituzionale della giurisdizione del giudice amministrativo», ma anche nella

sentenza n. 204/2004 della Corte costituzionale, in cui si afferma che la Costituzione «ha riconosciuto al giudice amministrativo piena dignità di giudice ordinario per la tutela, nei confronti della Pubblica Amministrazione, delle situazioni soggettive, di interesse legittimo», pertanto, dichiara Police, la Corte in questa sentenza ha voluto non solo scardinare il principio dell’unità giurisdizionale, dal momento che la vede come «unità non organica,

ma funzionale di giurisdizione, che non esclude, anzi implica, una divisione dei vari ordini di giudici in sistemi diversi, in sistemi autonomi»17, ma ha voluto anche

attribuire al giudice amministrativo il potere di disporre il risarcimento del danno ingiusto, evidenziando come tale potere costituisca «uno strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio e/o conformativo, da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della Pubblica Amministrazione», trovando giustificazione non solo nella «dignità di giudice» riconosciuta al giudice amministrativo, ma «affonda le sue radici nella previsione dell' art. 24 Cost., il quale garantendo alle situazioni soggettive devolute alla giurisdizione amministrativa piena ed effettiva tutela, implica che il giudice sia munito di adeguata tutela».

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145 Ecco che al giudice amministrativo è riconosciuta la qualità di «vero

giudice», dotato di poteri giurisdizionali veri ed effettivi, in attuazione del

precetto sancito all’art. 24 Cost.

Una simile ricostruzione è stata elaborata anche da Riccardo Villata, il quale, nella sua opera18, sottolinea come il sistema dualistico sia di fatto

sostenuto non solo dalla dottrina maggioritaria, poiché considera che l’approccio favorevole all’unità della giurisdizione «non si avvede di quanto il giudice amministrativo e il diritto amministrativo, proprio nella loro “specialità”, costituiscono un irrinunciabile patrimonio di garanzie per il cittadino»19, ma anche nella sentenza n. 204/2004 della Corte

costituzionale, rispetto ai profili già segnalati da Aristide Police, sebbene non manchino profili di criticità20.

L’autore, nella sua trattazione, denuncia però un certo atteggiamento delle Sezioni Unite della Cassazione, un atteggiamento intento a sostituire il sistema dualistico «consacrato» in Costituzione, con un altro modello, cioè quello conforme al principio di unicità della giurisdizione.

In particolare, come hanno affermato anche autori, che analizzeremo meglio nel paragrafo successivo, si preferisce questo secondo tipo di giurisdizione, tanto da essere inquadrato come «traguardo finale del processo

perfettivo dell’alleanza tra le società e lo stato»21, perché in realtà si individua in

questo nuovo sistema, che disciplinava «la giurisdizione in chiave effettivamente unitaria, considerando gli organi di giustizia amministrativa come sezioni specializzate dell’unica giurisdizione, composte da giudici particolarmente esperti nelle materie ad esse

18 R. Villata, «Lunga marcia» della Cassazione verso la giurisdizione unica («dimenticando» l’art. 103

della costituzione)?, in Dir. Proc. Amm., 2013, p. 324 ss.

19 M. Mazzamuto, Riparto di giurisdizione, rapporti collegati e concentrazione delle tutele, in Giur.it.,

2012, p.7424 ss.

20 G.Verde, Diritto processuale civile, Bologna, 2010, p.30-31, secondo cui la Corte

costituzionale avrebbe con detta sentenza privato l’art. 103, comma 1, Cost. di ogni contenuto precettivo, sicché il legislatore sarebbe libero di disciplinare come crede il riparto di giurisdizione.

21 G. Berti, Divisione della situazione di tutela e degli ordini dei giudici, in U.Allegretti, A.Orsi

Battaglini, D.Sorace (a cura di), Diritto amministrativo e giustizia amministrativa e bilancio di un

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146 devolute», una maggiore effettività della tutela dei privati nei confronti delle amministrazioni22.

In questa sede, non possiamo non far presente anche il pensiero di Simone Lucattini23, il quale, nel qualificare la giurisdizione, in generale,

come «servizio per la collettività» finalizzato all’«efficacia delle soluzioni»24, si

pronuncia a favore della pluralità delle giurisdizioni, in quanto, secondo lui, costituisce anch’essa «un servizio al cittadino, per trattare in modo più compiuto ed efficace determinate questioni»25: la specialità della

giurisdizione amministrativa, come di ogni giurisdizione, sembra infatti potersi fondare soltanto su ragioni di effettività del servizio-giustizia reso, e non su meriti storici26 e men che mai sul «feticcio» della tradizione27.

Da ultimo, ma non per ultimo, è necessario far riferimento a quanto detto in materia da Alberto Romano Tassone, nonché da Guido Greco, anch’essi, entrambi, forti sostenitori del modello dualistico di giurisdizione.

In particolare Guido Greco, nel rendere omaggio a Romano Tassone, prematuramente morto, si è cimentato, oltre ad esplicare la posizione dell’autore riguardo la tutela giurisdizionale delle posizioni giuridiche soggettive, ad evidenziare la sua convinzione, peraltro condivisa dallo stesso Greco, della presenza e della resistenza del giudice amministrativo, come giudice speciale, autonomo e distinto rispetto alla magistratura ordinaria28.

22 F. Bile, Intorno all’unità della giurisdizione, in Foro.it., 2011, V, p.93 ss; G.Gargano, A margine

di un recente disegno di legge costituzionale, di iniziativa parlamentare in tema di uni(ci)tà della giurisdizione, in Giustamm, n.3/2017, p.5532ss.

23 S.Lucattini, Il giudice amministrativo alla prova dei fatti: per una specialità di servizio, in

www.judicium.it, p.3.

24 Sent. n. 171/1996 Corte cost., che ha qualificato la giustizia come «servizio pubblico essenziale». 25 Sent. n. 1160/2014, Tar Lombardia, Brescia, sez. I.

26 Si discusse già in materia durante l’Assemblea costituente, nella seduta del 21 novembre

1947, p.2334.

27 Al contrario di L. Ferrara, Attualità del giudice amministrativo e unificazione delle giurisdizioni:

annotazioni brevi, in Dir.pubbl., 2014, p.579; sul punto anche G.Gargano, cit., in Giustamm,

n.3/2017, p.5532.

28 Tutto questo in G.Greco, Dal dilemma Diritto soggettivo-Interesse legittimo alla differenziazione

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147 Nello specifico, Greco, conferma la necessità della presenza di due giurisdizioni che, teoricamente29, tutt’oggi, si distinguono sulla base del

criterio della posizione giuridica soggettiva, per cui il giudice ordinario non ha competenze su tutte quelle situazioni che riguardano l’esercizio di un

potere amministrativo, che spettano quindi al giudice amministrativo: questo

aspetto è sottolineato anche dalla Corte costituzionale, la quale è d’accordo nell’attribuire al giudice amministrativo le controversie «contrassegnate dalla

circostanza che la pubblica amministrazione agisce come autorità»30.

L’interesse legittimo diventa quindi solo indirettamente il criterio di ripartizione, perché strettamente connesso e alla base dell’esercizio del potere legislativo, che quindi diventa il «baricentro del criterio distintivo»31.

È chiaro allora che se queste sono le premesse, Romano Tassone, e di conseguenza anche Greco, non possono che essere d’accordo con l’impostazione dualista del nostro sistema, uniformato al principio di pluralità di giurisdizione, perché il giudice amministrativo è necessariamente visto come organo autonomo e distinto dal giudice ordinario, a cui peraltro sono devolute specifiche controversie che lo definiscono appunto speciale, cioè quelle che hanno ad oggetto questioni di diritto pubblico connotate dall’esercizio di poteri autoritativi da parte della pubblica amministrazione32: in questo modo il nostro sistema risulta essere

conforme allo scenario europeo, dunque a quei paesi europei che hanno aderito al sistema dualistico. Anzi l’autore sottolinea come la devoluzione al giudice ordinario di controversie relative all’esercizio di un potere amministrativo, non è auspicabile sia perché tale giudice è dotato di poteri particolarmente circoscritti in materia di atti amministrativi33, tale da non

garantire una tutela piena o comunque al pari di quella offerta dal giudice amministrativo, sia un’ottica di politica del diritto, perché il giudice civile, non solo si trova ad essere, in un certo senso, sovraccaricato dalla quantità

29 Dati i numerosi casi di giurisdizione esclusiva. 30 Sent. n. 204/2004, Corte cost.

31 G.Greco, cit., in Dir.Amm., n.3/2014, p.522.

32 Considerazioni simili sono rinvenute in M. Mazzamuto, A cosa serve l’interesse legittimo?,

in Dir. proc. civ., 2012, p.46 e ss.

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148 di casi e di conflitti da risolvere, ma anche, e soprattutto, perché non è dotato di quella competenza tecnica e professionalità tipica del giudice amministrativo e funzionale anche a garantire una tutela effettiva, definita come «risultato di un lungo cammino di civiltà»34, ed in quanto tale irrinunciabile.

Non possiamo allora che concludere con le parole di Alberto Romano Tassone, il quale afferma che «il mantenimento in vita del giudice speciale si giustifica, (proprio) sul piano costituzionale materiale» perché «i valori sostanziali che esso è chiamato a tutelare sono in qualche misura diversi da quelli garantiti dalla giurisdizione ordinaria», dunque «questo giudice, realisticamente, non può individuarsi in altri se non nel giudice amministrativo, il quale mi sembra ritrovi oggi nel proprio patrimonio di conoscenza delle istituzioni amministrative le nuove sostanziali ragioni che sostengono la sua permanente specialità»35.

34 G.Greco, cit., in Dir.Amm., n.3/2014, p.524.

35 A.Romano Tassone, Giudice amministrativo e interesse legittimo, in Dir.Amm., n.2/2006,

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149

3. Il sistema monistico e la dottrina minoritaria

Dall’altra parte, come sappiamo, l’alternativa al sistema dualistico è costituito dal sistema monistico, ispirato e fedele al principio di unicità della

giurisdizione. Questo modello nasce in Inghilterra, paese in cui il common law

costituiva l’unica fonte del diritto rilevante che operava sia per le controversie tra privati che tra privati e pubblica amministrazione: questo assetto permetteva la presenza di un giudice unico, da definire appunto «ordinario», competente a risolvere qualsiasi controversia. In questo sistema quindi non trovavano “cittadinanza” né giudici speciali amministrativi né norme speciali e derogatorie rispetto a quelle «comuni», anzi la presenza di questi sarebbe stata interpretata come privilegio dell’Esecutivo o, addirittura, come strumento di inaccettabile assoggettamento dei cittadini nei confronti dello stesso.

In questo sistema pertanto, non solo si affidavano al giudice «ordinario» le controversie tra privati e quelle contro la pubblica amministrazione, aventi ad oggetto fattispecie di diritto privato, ma anche quelle in cui la pubblica amministrazione ha esercitato poteri autoritativi, le quali, nei sistemi dualistici di giurisdizione, spetterebbero naturalmente alla competenza del giudice amministrativo speciale.

Nel nostro ordinamento, il principio della unitarietà della giurisdizione non è mai riuscito ad affermarsi pienamente: a partire, come abbiamo già visto, dall’approvazione della legge abolitiva del contenzioso amministrativo, questo orientamento ha cercato di sopravvivere ma, essendo stato da sempre sostenuto dalla dottrina minoritaria, non è mai stato in grado di promuovere ed ottenere una revisione costituzionale, tale da superare il principio della pluralità di giurisdizione, che appunto trova la sua conferma nel dettato costituzionale. Recentemente però, questa dottrina ha trovato di nuovo vigore, e, in particolare, vi sono stati alcuni autori, sostenitori di questa impostazione, come Andrea Orsi Battaglini e Leonardo Ferrara, i quali più volte si sono cimentati nel denunciare gli

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150 aspetti negativi dell’attuale assetto e in generale della pluralità giurisdizionale.

In particolare, l’autorevole posizione di Orsi Battaglini36, denuncia

l’inefficienza e la contraddittorietà del percorso «lento e tortuoso» che ha portato all’attuale sistema dualistico di giurisdizione amministrativa. L’autore evidenzia a chiare lettere la preferibilità del modello unitario di

giurisdizione –che favorisce l’unità dell’ordinamento–, sia da un punto di

vista oggettivo, per cui l’interpretazione dell’intero sistema normativo dovrebbe essere affidata ad un organo unico e unitario, dotato di un unico vertice, sia dal punto di vista soggettivo, per cui solo soggetti appartenenti ad un corpo complesso e unitario garantiscono un rispetto del principio di uguaglianza.

È diffusa anche la concezione per cui il sistema pluralistico non avrebbe alcuna giustificazione valida37, poiché si pensa rappresenti solo «un insuperabile assetto di potere nell’organizzazione dello Stato» e comunque

porterebbe ad una violazione del principio di separazione dei poteri: non a caso, il Berti si trovava d’accordo nell’affermare che la presenza della pluralità organizzativa, nonostante trovasse il suo baricentro nella magistratura ordinaria, «non riflette(va) mai esigenze di garanzia o di tutela della persona, ma è(era) il riflesso di una ragione di tipo organizzativo, collegata immediatamente con il potere politico»38; oppure anche il Travi,

era convinto nell’ammettere che «il giudice amministrativo deve essere soggetto al medesimo stato giuridico di tutti i magistrati», non avendo più senso «prevedere organi di autogoverno separati, quando la disciplina da garantire deve essere la medesima»39, anzi questo regime diverso e separato,

sembrerebbe comportare un superamento «del principio

36 A.Orsi Battaglini, Alla ricerca dello stato di diritto. Per una «giustizia non amministrativa»,

Milano, 2005, p. 33ss.

37 Possiamo far riferimento al riconoscimento che venne fatto al Consiglio di Stato,

dall’Assemblea Costituente e dalla Corte costituzionale, nella sent. n.204/2004, sul suo operato e sulla sua indipendenza durante il regime fascista, tale da avvalorarne il carattere speciale.

38 G.Berti, Manuale di interpretazione costituzionale, Padova, 1994, p.657. 39 A.Travi, Per l’unità della giurisdizione, in Dir. pubbl., 1998, p.381.

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151 dell’indipendenza, tutto a svantaggio dell’imparzialità e (…) tende a scalfire il principio di uguaglianza che deve ammettere gli stessi tribunali per tutti i cittadini»40.

Spesso sono stati promossi dei tentativi, vani, di revisione costituzionale, che in questo senso, cercavano di uniformare il nostro ordinamento al modello unitario di giurisdizione, riducendo quanto meno le differenze tra le varie giurisdizioni: questo è chiaramente visibile nel Progetto della Commissione Bicamerale del 199741, dove, togliendo la

funzione giurisdizionale al Consiglio di Stato, si istituiva una Corte di giustizia amministrativa, in cui la distinzione tra giurisdizione, avveniva

ratione materiae: ovviamente il Progetto non è mai stato approvato.

Entrando nel merito, analizzando cioè cosa l’autore intenda veramente per unitarietà della giurisdizione, è possibile accorgersi come, pur riconoscendo la presenza di una pluralità di giudici, nella Costituzione è rinvenibile un principio superiore di unità della giurisdizione nella statuizione di principi comuni a tutti i giudici.

In particolare si afferma come i giudici «speciali», in realtà, sono giudici che tutelano situazioni giuridiche soggettive dei cittadini, quindi la loro funzione è identica a quella dei giudici ordinari42: sembrerebbe allora la

stessa Costituzione a prevedere un insieme di giudici autonomi e diversi, ma dovrebbero essere tutti definiti come ordinari nell’ambito della competenza assegnato, cioè «confluirebbero tutte a comporre la magistratura ordinaria»43. Questa posizione pareva sostenuta anche da altri

autori, tra cui il Maddalena, il quale affermava che «si può senz’altro parlare di una identità della funzione giurisdizionale, indipendentemente che questa sia esercitata dal giudice ordinario o da quello amministrativo o da quello contabile»44, e in più il Bachelet, rincara la dose, dicendo che «appare

40 A.Amorth, La Costituzione italiana: Commento sistematico, Milano, 1948, p.109. 41 In Dir. pubbl., 1997, p.923.

42 V.Bachelet, La giustizia amministrativa nella Costituzione italiana, Milano, 1966, p.23. 43 G.Silvestri, Giustizia e giudici nel sistema costituzionale, Torino, 1997, p. 40.

44 P.Maddalena, Il principio dell’unità di giurisdizione e le situazioni giuridiche soggettive tutelabili

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152 chiaro da una interpretazione sistematica dell’intero titolo che la magistratura (…) risulta composta da giudici dell’ordine giudiziario che ne costituisce un sottogruppo e da altri giudici nel titolo medesimo contemplati»45.

Dunque, all’interno della «magistratura ordinaria» si ricomprenderebbero tutti i giudici, anche quelli che tradizionalmente non vi rientrerebbero, e conseguentemente sarebbero tutti sottoposti ai principi della giurisdizione ordinaria, in senso stretto.

Secondo l’autore, il principio dell’unitarietà della giurisdizione sembrerebbe ormai sostenuto in modo generalizzato, seppur con sfumature particolari, infatti, oltre alla già citata sentenza del Consiglio di Stato46, altri due sarebbero gli orientamenti che tradizionalmente si

contrappongono in questo ambito: uno47 che vede come fondamento del

principio di unità, l’identità della funzione dei giudici, cioè in generale, come afferma il Bachelet, la tutela dell’interesse dei cittadini; altri invece, accentuando l’aspetto prettamente organizzativo, e in particolare Silvestri, afferma che solo con l’unità istituzionale può essere pienamente apprezzata la funzione principale della giurisdizione, cioè quella di ius dicere, infatti pur garantendo agli artt. 103 e 125 Cost. la presenza di una pluralità di giudici, questa tendenza va ricondotta al principio per cui tutti i magistrati esercitano la loro funzione nelle medesime condizioni di indipendenza: in pratica, si ammette la presenza di una serie di giurisdizioni diverse per struttura, competenza e poteri, «ma ammette un solo tipo di magistrato indipendente», con principi che non tollerano deroghe o eccezioni, quindi la Costituzione ha in realtà definito come ordinari i giudici di cui all’art. 103 Cost., perché ricondotti ad un’unità di principi48.

45 V.Bachelet, cit., Milano, 1966, p.41ss.

46 Sent. n. 27/1983, con cui si afferma che «la magistratura si presenta come articolata in

quattro distinti ordini, tutti a pari titolo “ordinari”, sia perché dotati di competenza generale nei rispettivi settori, sia perché previsti e costituiti dalla Costituzione».

47 Sostenuto tra i tanti da V.Bachelet e G.Berti. 48 G.Silvestri, cit., 1997, p.32ss.

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153 Questo sistema sembra maggiormente garantistico dal punto di vista della effettività della tutela rispetto al sistema dualistico, che non trova quindi nessuna ragionevole giustificazione: se è vero che diritti soggettivi e interessi legittimi hanno la stessa natura giuridica, come forme di protezione dell’interesse individuale, da cui l’interesse pubblico rimane totalmente estraneo, non ha senso prevedere un sistema dualistico.

Dalla Costituzione emerge la centralità del giudice ordinario, perché gli sono attribuite sfere di competenza particolari, come diritti fondamentali della persona e principi costituzionali: secondo l’autore, ogni volta che la fattispecie attratta corrisponde allo schema norma-fatto si configurano rapporti giuridici di diritto-obbligo, quindi appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario. Il problema è quando il giudice amministrativo avrebbe il potere di eseguire un’attività discrezionale o un potere riservato, connessi ad un interesse legittimo: è qui che si inseriscono i profili di difficoltà della crisi dell’interesse legittimo e del dualismo delle giurisdizioni.

Appartenente a questo orientamento, è anche Leonardo Ferrara49, il

quale si è dedicato ad esplicare l’amplio dibattito oggi presente sull’unicità, organica e funzionale, della giurisdizione: l’autore si è domandato quale sia effettivamente la ratio dell’esistenza di un giudice speciale in ambito amministrativo, non trovando peraltro alcun argomento che ne dimostrasse la centralità, ma al contrario, ne ha tratto solo aspetti che confermano proprio la prospettiva unitaria della giurisdizione.

Facendo un breve excursus storico, l’autore individua il fondamento della specialità della giurisdizione amministrativa proprio nel principio storico, che nasce nel periodo della Rivoluzione francese, per cui giudicare l’amministrazione è amministrare, cioè secondo il principio già citato «juger

l’administration c’est encore administrer»50, per cui l’esercizio della giurisdizione

49L. Ferrara, cit., Relazione, con note, integrazioni e aggiornamenti, al Terzo rapporto sulla giustizia civile in Italia, «Semplificazione e unificazione dei riti nella prospettiva dell’unificazione della giurisdizione», organizzato dall’Unione Nazionale Camere Civili, 13-14 marzo 2014, Roma,

Corte di cassazione, Aula Magna.

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154 in materia amministrativa richiedeva un giudice a parte, speciale, che garantisse il rispetto del principio di separazione dei poteri. Salvo il momento in cui venne emanata la legge abolitiva del contenzioso amministrativo, legge 20 marzo 1865, n. 2248, All. E, l’esistenza di un giudice speciale «ha solo una giustificazione storica, che si è voluta poi concettualizzare nelle materie più svariate e raffinate, ma che è semplicemente ancorata al modo di concepire l’amministrazione, i rapporti tra amministrazione e cittadini e i rapporti fra amministrazione e giurisdizione proprio dell’epoca in cui il sistema si è formato e che è ora del tutto obsoleta in quanto superata dal successivo evolversi del quadro istituzionale»51.

In più non si ritiene più che l’esistenza di un giudice speciale sia a garanzia del principio di separazione dei poteri, in quanto non è accettabile che «l’istituzione della giustizia amministrativa vale a salvaguardare il principio di separazione dei poteri, il quale, nella sua primigenia e iperrigida accezione, escludeva possibili forme di ingerenza del potere giudiziario sul potere esecutivo e, dunque, anche sugli atti della pubblica amministrazione»52, ma al contrario si riteneva che il sistema dualistico

garantisse un privilegio per l’esecutivo.

L’autore individua nello specifico quelli che sono i vari orientamenti che sono a sostegno della specialità della giurisdizione, confutandoli tutti, dimostrando la loro inapplicabilità.

Tra le varie posizioni, quella che afferma che «la pluralità degli ordinamenti giuridici interna allo Stato – ossia il diritto nello Stato –, che si intende salvaguardare, assicurando autonomia a quegli ordinamenti attraverso la previsione di un giudice interno o riservato»53, denuncia

implicitamente che il privato in questa sede non gode delle stesse garanzie dell’ordinamento generale: secondo l’autore non è l’art. 100 Cost. a configurare in tale modo il giudice amministrativo, perché in realtà

51 G. Pastori, Per l’unità e l’effettività della giustizia amministrativa, in Riv. dir. proc., 1996, p. 921. 52 F.S. Marini, Unità e pluralità della giurisdizione nella Costituzione italiana, in giustamm.it. 53 Ibidem.

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155 l’Assemblea Costituente aveva definito il Consiglio di Stato come «organo di tutela della giustizia nell’amministrazione», quindi si contemplava solo la sua attività consultiva prestata in caso di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, infatti si era sottolineato che «è stato il giudice amministrativo a dover emanciparsi dal compito di assicurare la giustizia nella amministrazione e crearsi il compito di imporre la giustizia alla amministrazione»54. È anche lo stesso Consiglio di Stato a sottolineare il

carattere soggettivo e non oggettivo della giurisdizione amministrativa55, in

via conforme con quanto previsto agli artt. 24 e 111 Cost.: il giudice amministrativo quindi non può essere considerato né come giudice dell’amministrazione, né dell’interesse pubblico o della legalità amministrativa, che è «la legittimità dispiegata come verifica del corretto perseguimento dell’interesse pubblico»56.

Secondo l’autore, non risultano ormai speciali neanche le figure dogmatiche centrali su cui è costruito il diritto amministrativo, come l’interesse legittimo, di cui si inizia a riconoscere la struttura del diritto di credito, oppure come l’eccesso di potere, le violazioni di legge e in generale, il potere amministrativo. Uno dei pochi ambiti in cui il diritto amministrativo rimane connotato da una certa aurea di specialità, è proprio il processo, di cui però si riconosce ultimamente l’avvicinamento a quello civile57, quindi anche questo toglie giustificazione all’esistenza del giudice

speciale58. Si afferma che «se si riconosce […] che il giudizio amministrativo

è un processo di parti che ha ad oggetto il rapporto amministrativo, il

54 M. Luciani, Garanzie ed efficienza nella tutela giurisdizionale, in Rivista AIC, 2014 (4), p. 13. 55 Ad.Plen. nn. 4/2011 e 30/2012 Cons. Stato.

56 C. Marzuoli, Note in tema di indipendenza della funzione e di organizzazione del servizio, relazione

al Convegno di studi «Indipendenza, terzietà ed efficienza del giudice amministrativo in Italia e in Europa» (Roma, 18 febbraio 2011), organizzato dall’Associazione Culturale Magistrati Amministrativi ‘Art. 111’.

57 M. Renna, Giusto processo ed effettività della tutela in un cinquantennio di giurisprudenza

costituzionale sulla giustizia amministrativa: la disciplina del processo amministrativo tra autonomia e ‘civilizzazione’, in G. Della Cananea - M. Dugato (a cura di), Diritto amministrativo e Costituzione, Napoli, 2006, p.505 ss.

58 Similmente, A. Proto Pisani, Verso il superamentodella giurisdizione amministrativa, in Foro it.,

2001, IV, cc. p.21 ss.; M.Esposito, La naturale capacità espansiva della giurisdizione ordinaria, in Giur. it., 2011, p. 2668ss.

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156 problema dell’indipendenza ed imparzialità del giudice diventa centrale»59:

più si garantisce una parità sostanziale e processuale a delle situazioni giuridiche soggettive, rispettivamente davanti alla legge e negli strumenti di tutela, più si fa vistoso il deficit di indipendenza e imparzialità dello status del giudice amministrativo60.

Da ultimo, non risulta accettabile quella teoria che vede come fondamento della specialità del giudice amministrativo il riferimento dello stesso in Costituzione, cioè che definisce il giudice amministrativo come «giudice speciale costituzionalizzato»61, sulla base soprattutto delle conquiste e

dei meriti che il Consiglio di Stato ha raccolto e mantenuto anche durante il regime fascista, in termini di indipendenza e di effettività della tutela: in realtà però la Costituzione deve essere interpretata come norma meramente programmatica, dove sono presenti «eccezioni», «ambiguità», «discrasi[e] intern[e]» e «contraddizioni», che ci sono norme e ci sono principi, che ci sono valori «fondanti» e disposizioni in «contrasto» con essi. In ogni caso, i principi costituzionali fondamentali che riguardano la magistratura, come il principio di imparzialità, di uguaglianza e il principio individualistico, secondo l’autore sembrano tutti avere come obiettivo il raggiungimento della piena unità della giurisdizione e, nello specifico, il raggiungimento di un sistema in cui «il giudice unico deve disporre di strumenti processuali adeguati anche per il contenzioso con l’amministrazione»62.

In conclusione, è chiaro quindi come il dibattito sia ancora attuale, vivace, dinamico e difficilmente risolvibile: sembra opportuno quindi condividere quanto detto da Merusi, cioè rinvenire come causa

59 M. Protto, Le garanzie, cit., p. 101. Aveva già osservato D. Sorace, I giudici di Berlino, le

tutele differenziate e l’equo processo, in D. Sorace (a cura di), Discipline processuali differenziate nei diritti amministrativi europei, Firenze, 2009, p. 9, che «se alle origini una tutela imperfetta poteva essere apprezzata come evoluzione positiva a fronte di una totale assenza di tutela, in un mutato contesto storico-ideologico, la mancata e piena attuazione dell’equo/giusto processo non potrebbe avere giustificazione».

60 A. Orsi Battaglini, cit., 2005, p. 101 ss.

61 G. Verde, L’ordinamento giudiziario, Milano, 2003, p. 2; Idem, L’unità della giurisdizione e la

diversa scelta del costituente, in Dir. proc. amm., 2003, p. 343 ss.

62 Come si è cercato di dimostrare in L. Ferrara, La partecipazione tra ‘illegittimità’ e ‘illegalità’.

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157 dell’incertezza del nostro sistema la legge abolitiva del contenzioso amministrativo e il suo mantenimento in vigore, potendo solamente sperare che tramite interventi di natura legislativa o, addirittura, di natura costituzionale, si possa fare chiarezza e approdare definitivamente all’uno o all’altro sistema, ponendo fine ai contrasti dottrinali che ormai continuano a sopravvivere da più di un secolo.

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