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UNIVERSITÀ DI PISA

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

D

IPARTIMENTO DI

G

IURISPRUDENZA

Corso di dottorato in Scienze giuridiche

CURRICULUM IN GIUSTIZIA COSTITUZIONALE E DIRITTI FONDAMENTALI

Coordinatore: Ch.mo Prof. Roberto Romboli

T

ESI DI DOTTORATO

Diritti e interesse del minore nella prospettiva costituzionale

Tutor Candidato

Ch.ma Prof.ssa Barbara Randazzo Dott.ssa Francesca Colombi

Matr. 511945

A.A. 2016-2017

Dicembre 2017

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Ai miei genitori,

grazie.

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INDICE SOMMARIO

INDICE

SOMMARIO

Introduzione ... pag. 1

Capitolo I

COORDINATE METODOLOGICHE E PRESUPPOSTI 1. Il piano dell’indagine: i diritti di personalità del minore nell’ambito delle

relazioni familiari (con uno sguardo anche ai suoi diritti di libertà) ... pag.7 2. I presupposti dell’indagine: il riconoscimento dei diritti del minore e la

sua incapacità di esercitarli autonomamente come fondamenti

logico-giuridici della categoria dell’interesse del minore ... » 10

3. La lenta emersione della soggettività giuridica del minore in campo privatistico: le carenze nella cultura del diritto (e della società) fino agli anni Sessanta ... » 12

3.1. Il minore nella concezione giuridica e sociale del periodo pre-costituzionale ... » 12

3.2. L’esiguità dei principi costituzionali in materia di filiazione ... » 21

3.3. Segue. Il loro “congelamento” a vantaggio della conservazione del sistema di stampo codicistico... » 23

4. Il riconoscimento dei diritti di personalità del minore: nascita ed evoluzione di un diritto minorile a livello costituzionale e legislativo. ... » 29

4.1. Il mutamento culturale dei valori familiari: i suoi riflessi sulla interpretazione costituzionale in materia di filiazione. ... » 29

4.2. Il riconoscimento dei diritti del minore in ambito familiare ... » 38

4.3. Segue. Il riconoscimento dei diritti del minore al di fuori dell’ambito familiare ... » 46

5. Il riconoscimento dei diritti del minore a livello internazionale e sovranazionale ... » 49

5.1. Il livello internazionale ... » 49

5.2. Il livello sovranazionale europeo: la CEDU e la sua Corte ... » 58

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INDICE SOMMARIO

Capitolo II

INTERESSE DEL MINORE E TUTELA EFFETTIVA DEI SUOI DIRITTI 1. Una scelta di metodo ... » 67 2. L’insufficienza della categoria del diritto soggettivo a realizzare una

effettiva tutela dei diritti del minore: la necessità della categoria

dell’interesse del minore come strumento per garantire tale effettività ... » 68 3. La dimensione concreta dell’interesse del minore come criterio di

valutazione ... » 69 3.1. La valutazione dell’opportunità di esercizio dei diritti del minore. ... » 69 3.2. La valutazione delle “migliori” modalità di attuazione dei diritti del

minore ... » 71 4. La dimensione normativa dell’interesse del minore ... » 74

4.1. La codificazione dell’interesse del minore come criterio di

valutazione del caso concreto ... » 74 4.2. …e come principio generale dell’ordinamento... » 75 5. Il fondamento costituzionale dell’interesse del minore e la inevitabile

rinuncia ad una pretesa definitoria ... » 79 6. Ancora sulla differenza fra diritti e interesse del minore ... » 84 7. Le critiche (non insuperabili) della dottrina alla categoria dell’interesse

del minore ... » 89

Capitolo III

LA DECLINAZIONE DELL’INTERESSE DEL MINORE IN RELAZIONE ALLA SUA ETÀ O ALLA SUA CAPACITÀ DI DISCERNIMENTO 1. Il secondo presupposto della categoria dell’interesse del minore fra

incapacità naturale e incapacità legale di agire ... » 93 2. Il nesso fra minore età, incapacità naturale e incapacità legale di agire

nella sistematica del codice civile: le origini dell’istituto della incapacità

legale di agire del minore in relazione agli atti patrimoniali ... » 96 3. Segue: l’inadeguatezza dell’istituto della incapacità legale di agire del

minore a disciplinare l’esercizio dei suoi diritti di personalità ... » 99 4. La capacità di discernimento come criterio più idoneo per declinare

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INDICE SOMMARIO

4.1. La nozione civilistica di capacità di discernimento: parallelismi con la nozione di capacità di intendere e di volere ai fini dell’imputabilità

penale ... » 102 4.2. Profili di dubbia costituzionalità della previsione di un’assoluta

incapacità legale di agire del minore capace di discernimento ... » 108 5. Le soluzioni elaborate dal legislatore ai fini della necessaria

differenziazione della tutela del minore in relazione alla sua maturità... » 111 5.1. La valorizzazione dell’età (come fattore che legittima la presunzione

della capacità di discernimento): le ipotesi di capacità anticipata di

agire del minore ... »113 5.2. La valorizzazione della capacità di discernimento accertata in

concreto: il diritto all’ascolto del minore ... »117 6. L’interpretazione restrittiva dell’art. 2 del codice civile e la valorizzazione

dell’autonomia del minore da parte della giurisprudenza. ... » 126 6.1. Il consenso ai trattamenti sanitari sul minore. ... » 128 6.2. Autonomia del minore e scelte educative dei genitori ... » 137 7. Un tentativo di classificazione delle diverse prospettive che emergono

dall’ordinamento in relazione alla tutela del minore. ... » 140 8. L’incapacità del minore come concetto unitario e graduabile nell’ottica di

un “paternalismo moderato” ... » 144

Capitolo IV

L’INCOMPATIBILITÀ DI UNA CONCEZIONE ASSOLUTISTICA DELLA SUPERIORITÀ DELL’INTERESSE DEL MINORE RISPETTO AL NECESSARIO BILANCIAMENTO DEI VALORI COSTITUZIONALI

COINVOLTI SEZIONE I

IL PRINCIPIO DI SUPERIORITÀ (O PREMINENZA) DELL’INTERESSE DEL MINORE: ORIGINI,

EVOLUZIONE E FONDAMENTO COSTITUZIONALE

1. Ancora sulle scelte di metodo ... » 147 2. Notazioni critiche sulla formulazione del principio di superiorità

dell’interesse del minore nel linguaggio giuridico italiano e il rischio di

un travisamento della sua portata ... » 149 3. I presupposti storico-culturali dell’affermazione del principio di

superiorità dell’interesse del minore. ... » 150 3.1. Le origini del principio negli ordinamenti anglosassoni di common

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INDICE SOMMARIO

law: la best interests of the child doctrine ... » 150

3.2. Il mutamento del principio nel passaggio agli ordinamenti di civil law e la sua codificazione nel diritto civile italiano ... » 154

3.3. La formulazione del principio negli strumenti internazionali: l’incidenza delle ambiguità semantiche sulla sua effettiva portata ... » 158

4. L’affermazione del fondamento costituzionale del principio e le diverse funzioni da esso sinora svolte in veste di parametro di costituzionalità delle leggi... » 163

SEZIONE II IL BILANCIAMENTO DELL’INTERESSE DEL MINORE CON GLI ALTRI INTERESSI IN GIOCO 1. Il bilanciamento dell’interesse del minore e il suo diverso esito a seconda dei diritti e degli interessi coinvolti... » 183

1.1. L’esito del bilanciamento come conseguenza di un giudizio di valore operato dall’ordinamento sulla base dei principi costituzionali ... » 183

1.2. L’emersione del bilanciamento dell’interesse del minore nella struttura dei giudizi delle Corti dei diritti ... » 185

2. Esempi di bilanciamento dell’interesse del minore ... » 193

2.1. Interesse del minore vs interessi pubblici in materia penale ... » 193

2.1.1. Diritto del minore alle cure materne vs esigenze cautelari ... » 193

2.1.2. Diritto del minore alle cure materne vs esigenze punitive ... » 196

2.1.3. Diritto del minore ad essere cresciuto dai propri genitori vs interesse dello Stato all’applicazione della pena accessoria della decadenza dalla responsabilità genitoriale ... » 199

2.2. Interesse del minore vs interessi pubblici in materia di stato civile. ... » 202

2.2.1. Diritto del minore alla conservazione dello stato di filiazione consolidato vs favor veritatis: la posizione della Corte costituzionale e le recenti modifiche legislative ... » 202

2.2.2. Segue: la sentenza della Corte di Strasburgo nel caso Mandet c. Francia ... » 215

2.3. Interesse del minore vs principio di legalità ... » 220

2.3.1. L’interesse del minore come espediente per la legittimazione di situazioni illegali: la violazione delle prescrizioni sul diritto di visita e sul reinserimento nella famiglia d’origine ... » 220

2.3.2. L’interesse del minore come strumento di riconoscimento del diritto a divenire genitori naturali ... » 232

Conclusioni……… » 245

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Introduzione

1

Introduzione

Il presente lavoro si propone di analizzare, in prospettiva costituzionale, alcune problematiche inerenti alla categoria dell’interesse del minore intesa quale strumento di tutela effettiva dei diritti della persona minorenne nel nostro ordinamento.

Nel Capitolo I si delimita il piano dell’indagine, circoscrivendolo essenzialmente ai diritti di personalità del minore nell’ambito delle relazioni familiari e si individuano i due presupposti della categoria dell’interesse del minore: l’uno giuridico e l’altro naturalistico. Quello giuridico risiede nel riconoscimento dei minori come titolari di diritti soggettivi, in particolare, di diritti di personalità. Quello naturalistico deriva dalla circostanza che i minori, pur essendo titolari di diritti, in linea di principio, non sono in grado di compiere autonomamente le scelte necessarie a farli valere per via della loro immaturità derivante dalla (minore) età, che li rende naturalmente incapaci di comprendere e discernere, del tutto o in parte, ciò che è meglio per il loro benessere presente e futuro.

Poste queste basi, si esamina il primo presupposto della categoria dell’interesse del minore, ossia il riconoscimento della persona minorenne come titolare di diritti di personalità. L’analisi muove dalla ricostruzione della progressiva emersione della soggettività giuridica del minore in campo privatistico cui è seguito il riconoscimento dei suoi diritti di personalità a livello interno, internazionale e sovranazionale.

Sino agli anni Sessanta del secolo scorso, infatti, la condizione giuridica del minore scontava un deficit culturale e sociale che si traduceva nella considerazione del minorenne da parte del diritto come “embrione di soggetto” e non come persona in quanto tale.

Mentre nel campo penalistico, l’attenzione del diritto alla personalità in formazione del minore è presente fin da tempi risalenti, nel settore privatistico i minori d’età sono stati per lungo tempo considerati come oggetto di diritti altrui (principalmente, del padre), in quanto non ancora dotati di quell’autonomia della volontà dalla quale era fatta derivare la dignità morale dell’uomo e, dunque, la titolarità di diritti soggettivi. Tutt’al più, essi furono dotati di una limitatissima soggettività giuridica, circoscritta alla titolarità di alcuni diritti di natura patrimoniale volti alla conservazione delle loro sostanze economiche ma non alla cura della loro persona e al

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Introduzione

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soddisfacimento di quei bisogni esistenziali che sono di cruciale importanza per un adeguato sviluppo del soggetto in formazione. Il minore era considerato dal diritto solo se ed in quanto divenisse fonte di disturbo dell’ordine sociale rendendosi autore di un fatto di reato o di comportamenti altrimenti devianti.

Nemmeno l’entrata in vigore della Costituzione, anche per via del tenore letterale delle (esigue) disposizioni dedicate alla condizione giuridica del minore, ha rappresentato, di per sé, un momento di svolta nel percorso di riconoscimento dei suoi diritti fondamentali. Inizialmente, infatti, i principi ispiratori della Carta fondamentale non riuscirono a penetrare in un ordine concettuale di livello gerarchico inferiore, come quello codicistico, fondato su una dogmatica ancorata ad una concezione discriminatoria del minore.

Furono il profondo mutamento dei valori familiari e l’evoluzione della coscienza sociale e dei costumi, verificatisi degli anni Sessanta, a consentire una lettura del disegno costituzionale sulla filiazione alla luce dei principi di cui agli articoli 2 e 3 della Costituzione. Anche il minore venne riconosciuto come persona in quanto tale e posto al centro del sistema costituzionale, fra i cui obiettivi vennero annoverati la tutela dei suoi diritti fondamentali e lo sviluppo della sua personalità. Questa trasformazione nella cultura sociale e giuridica ha condotto alla nascita e all’evoluzione di un diritto dei minori e per i minori, a tutela dei loro bisogni esistenziali di protezione, ma anche di partecipazione e di autodeterminazione, attraverso il riconoscimento in capo ad essi di un novero di diritti fondamentali di personalità, di cui è necessario garantire l’effettività.

Il Capitolo II è dedicato all’analisi della categoria giuridica dell’interesse del minore per come oggi si configura nel nostro ordinamento. Il ragionamento muove dalla verifica del fondamento logico-giuridico di tale categoria che viene individuato in una esigenza concreta di tutela effettiva dei diritti riconosciuti al minore. Infatti, il fanciullo, in ragione della sua immaturità derivante dall’età, pur essendo titolare di diritti, a differenza dell’adulto, può non essere in grado di compiere le valutazioni necessarie per farli valere, cioè di valutare cosa sia nel suo interesse in una determinata situazione che lo vede coinvolto. Per questo, l’ordinamento attribuisce a qualcun altro (principalmente, ai genitori e al giudice) il compito di effettuare quelle valutazioni al posto e nell’interesse del minore. In questo senso, si può dire che la categoria del diritto

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Introduzione

3

soggettivo si rivela da sola insufficiente a consentire in concreto una tutela effettiva del minore e richiede quindi il ricorso alla distinta categoria dell’interesse del minore.

Si analizza, quindi, anzitutto, la dimensione concreta dell’interesse del minore come criterio di valutazione dell’opportunità e delle modalità di esercizio e di tutela di un diritto di cui sia titolare un minorenne. A seguire, se ne esamina la dimensione normativa di principio generale dell’ordinamento e di criterio guida del legislatore e se ne individua il fondamento costituzionale. Quanto alla nozione di interesse del minore, preso atto dell’impossibilità di pervenire ad una sua definizione circostanziata, la si individua nella formula – generica ma idonea a ricomprendere l’infinita varietà di fattispecie alle quali essa si applica – utilizzata dalla Corte costituzionale: interesse del minore è che sia ricercata, adottata e attuata la soluzione più adeguata, ossia quella ottimale nel caso concreto, a garantire la cura della sua persona soprattutto da un punto di vista morale e lo sviluppo della sua personalità, in definitiva, il suo benessere.

Il Capitolo III analizza il secondo presupposto della categoria dell’interesse del minore, ossia la sua immaturità derivante dall’età. L’ordinamento, attraverso l’art. 2 del codice civile, traduce ancora oggi questa caratteristica in una generalizzata incapacità legale di agire del soggetto non ancora maggiorenne (salvo casi specifici). Tuttavia, occorre prendere atto che l’immaturità, ossia l’incapacità naturale o di discernimento, non permane identica a se stessa durante tutta la minore età, ma tende al contrario ad affievolirsi progressivamente con lo sviluppo psicofisico del soggetto. Ciò implica la presa d’atto che il tema dell’interesse del minore non può essere declinato a prescindere dall’età e, più precisamente, dal livello di maturità specifica raggiunto dal minore in relazione alle singole questioni. Infatti, a seconda del grado di capacità del minore di valutare da sé il proprio interesse nel caso concreto l’ordinamento adotterà diversi approcci nella tutela in concreto dei suoi diritti e farà o meno ricorso alla categoria dell’interesse del minore.

Sono quindi indagati il concetto di discernimento e il suo rapporto con l’istituto dell’incapacità legale di agire del minore di cui all’art. 2 del codice civile. Viene dato conto delle soluzioni adottate dal legislatore per ovviare all’eccessiva rigidità di una siffatta previsione e per rispondere alla necessità di una differenziazione della tutela del minore in relazione alle fasi del suo sviluppo psicofisico. Tali soluzioni consistono, da un lato, nell’attribuzione al minore, in relazione a taluni diritti, di una capacità

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Introduzione

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anticipata di agire e, dall’altro lato, nel generale riconoscimento di un diritto all’ascolto del minore capace di discernimento nelle questioni che lo riguardano.

Quest’ultimo istituto ha consentito alla giurisprudenza di valorizzare il ruolo della volontà del minore nella decisione sul proprio interesse, laddove egli abbia raggiunto una certa capacità di discernimento, contribuendo al riconoscimento delle sue istanze di partecipazione e di autonomia. Attraverso un’interpretazione evolutiva e costituzionalmente orientata dei principi vigenti nell’ordinamento, la giurisprudenza ha ristretto il campo di applicazione della regola di cui all’art. 2 del codice civile, sostanzialmente riconducendola al settore degli atti patrimoniali, nell’ambito del quale essa era nata.

Dall’analisi delle soluzioni normative e giurisprudenziali emergono, in linea di massima, tre diverse prospettive dalle quali, oggi, l’ordinamento declina la tutela dei diritti del minore in relazione alla sua capacità di discernimento: quella della protezione, che riguarda il minore incapace di discernimento e quindi non dotato dall’ordinamento della capacità di agire; quella della partecipazione, che riguarda il minore capace di discernimento, al quale pertanto l’ordinamento riconosce un diritto all’ascolto nelle questioni che lo concernono, senza tuttavia arrivare ad attribuirgli una capacità anticipata di agire; quella dell’autonomia o autodeterminazione, che riguarda il minore al quale l’ordinamento riconosce una capacità anticipata di agire in relazione a certi diritti, in quanto, in relazione ad essi, lo presume capace di discernimento a partire da una certa età.

Nel Capitolo IV si affrontano, infine, le questioni legate al carattere di “superiorità” riconosciuto all’interesse del minore e, dunque, quelle inerenti al suo bilanciamento con gli interessi contrapposti. Detta caratteristica induce infatti a chiedersi cosa succede quando il perseguimento della soluzione migliore per il benessere del fanciullo comporti il sacrificio di un diritto altrui o di un interesse pubblico. È infatti chiaro che una concezione assolutistica della superiorità dell’interesse del minore – che fosse fedele al superlativo assoluto utilizzato nel linguaggio italiano – darebbe vita ad un principio tiranno, incompatibile con il necessario bilanciamento dei diversi valori costituzionali.

Così, la Sezione I è dedicata alla ricostruzione del corretto significato da attribuire al principio di “superiorità” dell’interesse del minore. Tale formula rischia, infatti, di

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Introduzione

5

indurre ad un travisamento della portata del principio poiché connota la posizione del minore di un carattere di assolutezza che non può appartenergli nel nostro sistema costituzionale.

Il tentativo di ricondurre la portata del principio entro i limiti di compatibilità col sistema costituzionale muove dall’indagine sulla sua nascita ed evoluzione nel mondo anglosassone di common law, sotto forma di best interests of the child doctrine, come eccezione di origine giurisprudenziale creata per risolvere casi concreti discostandosi dalla rigidità della regola consolidata, al fine di giungere ad una decisione più adatta a soddisfare le esigenze del singolo minore e, dunque, ispirata ad un ideale di giustizia sostanziale. Da qui, il principio “migra” nei sistemi europei continentali di civil law, ove subisce una duplice mutazione. In primo luogo, a causa della differente struttura del sistema giuridico, da eccezione giurisprudenziale esso diviene principio generale e astratto, preposto a salvaguardia della categoria dei “minori”, in base al quale l’intero sistema minorile è connotato dalla priorità dei children’s rights. In secondo luogo, nel momento in cui tale principio viene tradotto e codificato nella legislazione civilistica italiana, subisce una modificazione terminologica: dagli “interests” al plurale si passa all’ “interesse” al singolare e dalla qualificazione di tali “interests” come “best” si passa alla qualificazione dell’interesse come “preminente”.

Entrambe le trasformazioni sono state, in parte indotte, in parte agevolate dal riconoscimento del principio in questione a livello internazionale (innanzitutto nella Convenzione ONU sui diritti del fanciullo del 1989), ove, per un verso, esso assume portata generale estesa a qualunque settore dell’ordinamento e, per altro verso, registra una non perfetta corrispondenza di formulazione tra la versione inglese e quella francese (entrambe ufficiali), dalla quale è stato poi tradotto il testo (non ufficiale) in lingua italiana.

Viene quindi indagato il fondamento costituzionale del principio di superiorità dell’interesse del minore e le diverse funzioni che esso ha sinora assunto nel ruolo di parametro di costituzionalità delle leggi.

Infine, nella Sezione II, premessi alcuni cenni sulle modalità attraverso le quali emerge il bilanciamento dell’interesse del minore nei giudizi dinanzi a ciascuna delle tre Corti dei diritti (Corte costituzionale, Corte europea dei diritti dell’uomo e Corte di Giustizia dell’Unione europea), si analizzano alcuni casi significativi, che mostrano il

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Introduzione

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diverso atteggiarsi della “superiorità” dell’interesse del minore a seconda degli interessi che a questo si contrappongano, nonché alcuni suoi impieghi strumentali.

Per quanto riguarda il bilanciamento con interessi pubblici sottesi ad istituti del diritto penale, si esaminano alcuni casi di conflitto fra interesse dello Stato alla punizione e alla prevenzione dei reati e diritto del minore alle cure materne; si esamina, inoltre, un caso in cui il potere punitivo dello Stato è suscettibile di ledere l’interesse del minore nella misura in cui va ad incidere sull’attribuzione della responsabilità genitoriale, che è istituto esclusivamente funzionale al perseguimento di tale interesse. Sul fronte degli interessi pubblici sottesi ad istituti del diritto civile si analizza la disciplina dell’impugnazione del riconoscimento di paternità o maternità naturali per difetto di veridicità, nella quale si manifesta un conflitto fra interesse pubblico alla veridicità dei rapporti di stato e diritto del minore alla conservazione dello stato di filiazione consolidato, disciplina attualmente all’attenzione della Corte costituzionale. Da ultimo, sono analizzati alcuni casi di contrasto fra interesse del minore e diritti dei genitori nell’ambito dei quali l’interesse del minore finisce talvolta per essere impiegato come espediente per conseguire risultati contrari al principio di legalità, nel senso di condurre alla legalizzazione di situazioni illegali consolidatesi nel tempo, ovvero al riconoscimento in capo ad aspiranti genitori di un diritto che l’ordinamento italiano nega loro a salvaguardia di interessi pubblici che ritiene particolarmente meritevoli di protezione.

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Capitolo I – Coordinate metodologiche e presupposti

7 Capitolo I

COORDINATE METODOLOGICHE E PRESUPPOSTI

SOMMARIO: 1. Il piano dell’indagine: i diritti di personalità del minore nell’ambito delle relazioni

familiari (con uno sguardo anche ai suoi diritti di libertà). – 2. I presupposti dell’indagine: il riconoscimento dei diritti del minore e la sua incapacità di esercitarli autonomamente come fondamenti logico-giuridici della categoria dell’interesse del minore. – 3. La lenta emersione della soggettività giuridica del minore in campo privatistico: le carenze nella cultura del diritto (e della società) fino agli anni Sessanta. – 3.1. Il minore nella concezione giuridica e sociale del periodo pre-costituzionale. – 3.2. L’esiguità dei principi costituzionali in materia di filiazione. – 3.3. Segue. Il loro “congelamento” a vantaggio della conservazione del sistema di stampo codicistico. – 4. Il riconoscimento dei diritti di personalità del minore: nascita ed evoluzione di un diritto minorile a livello costituzionale e legislativo. – 4.1. Il mutamento culturale dei valori familiari: i suoi riflessi sulla interpretazione costituzionale in materia di filiazione. – 4.2. Il riconoscimento dei diritti del minore in ambito familiare. – 4.3. Segue. Il riconoscimento dei diritti del minore al di fuori dell’ambito familiare. – 5. Il riconoscimento dei diritti del minore a livello internazionale e sovranazionale. – 5.1. Il livello internazionale. – 5.2. Il livello sovranazionale europeo: la CEDU e la sua Corte. – 5.3. Segue. Il livello sovranazionale europeo: l’Unione europea.

1. Il piano dell’indagine: i diritti di personalità del minore nell’ambito delle relazioni familiari (con uno sguardo anche ai suoi diritti di libertà).

Il tema dell’interesse del minore offre una pluralità di prospettive d’indagine e solleva questioni problematiche di varia natura che investono tutti gli ambiti dell’ordinamento nei quali abbia rilievo la minore età: dai settori che si occupano del minorenne in quanto si renda autore di comportamenti devianti (il diritto penale per quanto riguarda la devianza che si esprime in comportamenti delittuosi, il diritto amministrativo in ordine alla devianza non penalmente rilevante1); al settore

1 Si pensi alla prostituzione volontaria minorile, che talvolta si manifesta addirittura nella fascia

preadolescenziale e che non coinvolge necessariamente ragazze e ragazzi provenienti da ambienti sociali disagiati ed emarginati, o ai minori vittime di reati sessuali o, ancora, ai fenomeni del bullismo, a quello dei comportamenti autodistruttivi e delle fughe da casa. Non a caso, la legge istitutiva del Tribunale per i minorenni (r.d.l. 20 luglio 1934, n. 1404) ha attribuito a tale organo anche una competenza amministrativa o rieducativa, tutt’ora vigente anche se scarsamente utilizzata, che prevede l’applicazione nei confronti del minore di misure non penali di controllo, di sostegno e di rieducazione (artt. 25 e ss.). Più in generale, sul tema della devianza minorile si v. AA.VV, Ragazzi ancora dentro? Ripensare le

sanzioni, rinnovare le istituzioni, garantire i diritti, Atti del XXIII Convegno nazionale dell’Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia, in MinoriGiustizia, 2005, 4 (supplemento);

AA.VV. Under 14 – Indagine nazionale sui minori non imputabili, in Questioni e Documenti, Quaderni del Centro Nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza, Firenze, 2003; CICCOTTI,MORETTI,RICCIONI (a cura di), I numeri italiani – Infanzia e adolescenza in cifre, in Questioni

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Capitolo I – Coordinate metodologiche e presupposti

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pubblicistico, che si occupa degli status che il minore assume all’interno della società e nei confronti delle istituzioni pubbliche2; al settore privatistico, che concerne, da un lato, i diritti e i rapporti di natura patrimoniale del minore e, dall’altro lato, le sue relazioni interpersonali.

Il piano d’indagine del presente lavoro sarà costituito prevalentemente da quest’ultimo settore, con un’attenzione particolare al campo delle relazioni familiari del minore, che sono quelle nell’ambito delle quali si sviluppa primariamente la sua personalità, ai sensi dell’art. 2 della Costituzione.

Il discorso toccherà a tratti anche il settore pubblicistico, in particolare laddove si affronteranno le diverse prospettive – della protezione, della partecipazione e dell’autonomia – con le quali l’ordinamento risolve la questione dell’esercizio dei diritti del minore3. In quest’ambito, oggetto di trattazione saranno principalmente le problematiche legate alla prestazione del consenso ai trattamenti sanitari e al contrasto fra autonomia del minore e scelte educative dei genitori.

Si può dire, dunque, che il campo dell’indagine riguarderà quelli che la dottrina minorile chiama “diritti di personalità” del minore4, ossia quelle posizioni giuridiche soggettive che sono espressione dei bisogni essenziali (di protezione, di partecipazione e di autonomia) connessi alla crescita umana del soggetto in formazione, che attengono alla sua sfera personale, intesa come contrapposta a quella meramente patrimoniale, e che si esplicano nelle sue relazioni familiari e sociali. Saranno invece esclusi dall’analisi gli aspetti penalistici di tutela del minore, sia come autore sia come vittima di reato.

e Documenti, Quaderni del Centro Nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza,

Firenze, 2007.

2 Si pensi alla vita scolastica del minore, all’assistenza sanitaria, ai servizi socio-assistenziali,

all’associazionismo politico, culturale, religioso, alle questioni di ingresso, soggiorno e cittadinanza riguardanti i minori stranieri. Per una panoramica della condizione giuridica del minore e dello statuto dei suoi diritti di personalità e di cittadinanza nei vari settori dell’ordinamento si v. G. MATUCCI, Lo

statuto costituzionale del minore d’età, Padova, 2015. Con riferimento più specifico ai diritti di

cittadinanza del minore si v. L. FADIGA, Il bambino è un cittadino: minore età e diritti di cittadinanza, in Le Istituzioni del federalismo, 2008 e su www.regione.emilia-romagna.it/affari_ist/supplemento_3_08/fadiga.pdf.

3 Capitolo III.

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Capitolo I – Coordinate metodologiche e presupposti

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Come si avrà modo di vedere, la tematica minorile si affaccia nel diritto privato con notevole ritardo rispetto a quanto accada nel campo penalistico, nell’ambito del quale, invece, sin dai secoli addietro, il diritto si è occupato di predisporre un trattamento specifico per il minore deviante, che tenesse conto della sua personalità in formazione. Con un po’ di approssimazione, si può dire che sino al secondo dopoguerra – a partire dal quale iniziò una progressiva valorizzazione della persona come centro gravitazionale dell’ordinamento – e più precisamente sino agli anni Sessanta del secolo scorso – che conobbero un radicale mutamento nei costumi sociali, nella morale sessuale e nella concezione delle relazioni familiari e fra i due sessi – si è assistito ad una sostanziale irrilevanza privatistica del minore in ordine alle questioni non patrimoniali, quelle cioè che riguardano la sua condizione esistenziale e lo sviluppo della sua personalità5. Sino ad allora, il diritto si è occupato del minore come persona in formazione solo nel momento in cui questi, rendendosi autore di un reato, si poneva come elemento di disturbo della convivenza civile e di minaccia della sicurezza sociale. Dal punto di vista civilistico, il minore rimaneva nascosto sotto l’alveo protettivo ed escludente della patria potestà, prima, e della potestà genitoriale, poi, in una condizione giuridica, che in certa misura perdura tutt’ora, di generalizzata incapacità legale di agire6.

5 Riferimenti all’interesse del figlio minore in questioni non prettamente patrimoniali comparivano

già nella legislazione in materia familiare del codice civile del 1865. Tuttavia, come si avrà modo di vedere (infra, par. 3.1), dall’impianto complessivo dei rapporti familiari che connota tale legislazione, dalla scarsità (salvo rarissime eccezioni) di significative applicazioni giurisprudenziali del principio del

favor minoris e dalle interpretazioni dottrinali invalse all’epoca, che erano il riflesso di una concezione

per molti versi ancora patriarcale della famiglia, si può desumere che l’attenzione all’interesse non patrimoniale del figlio fosse più formale che sostanziale, lontana dagli obiettivi di effettività della tutela del minore cui oggi l’ordinamento aspira.

6 Sul tema della patria potestà, trasformatasi successivamente nella potestà genitoriale, e sulla

incapacità legale di agire del minore, cui la potestà è strettamente connessa, si v. F. GIARDINA, La

condizione giuridica del minore, Napoli, 1984; L. BRIGIDA, La patria potestas dal codice 1865 al diritto

di famiglia, in Archivio storico e giuridico sardo di Sassari, vol. 8, Nuova serie, Dipartimento di

giurisprudenza dell’Università di Sassari, 2001 e reperibile al sito

www.archiviogiuridico.it/Archivio_8/Brigida.pdf; S. CICCARELLO, Patria potestà (Diritto privato), in

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Capitolo I – Coordinate metodologiche e presupposti

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2. I presupposti dell’indagine: il riconoscimento dei diritti del minore e la sua incapacità di esercitarli autonomamente come fondamenti logico-giuridici della categoria dell’interesse del minore.

Ponendosi dalla prospettiva del diritto europeo continentale, non si può comprendere e analizzare la tematica dell’interesse del minore e i problemi che essa solleva senza partire dal tema del riconoscimento dei minori come soggetti titolari di diritti fondamentali.

Infatti, nel nostro ordinamento la categoria dell’interesse del minore come oggi la conosciamo, e cioè come espressione di un favor minoris, trova la sua ragion d’essere in due fattori, l’uno giuridico, l’altro naturalistico. Quello giuridico: che i minori siano riconosciuti titolari di diritti soggettivi, in particolare, di diritti di personalità. Quello naturalistico: che essi non siano in grado di compiere autonomamente le scelte inerenti all’esercizio di tali diritti per via della loro immaturità derivante dalla (minore) età, che li rende naturalmente incapaci di comprendere e discernere, del tutto o in parte, ciò che è meglio per il loro benessere presente e futuro7. È questo, generalizzando8, l’elemento di “debolezza” che caratterizza il minore come soggetto meritevole di una particolare protezione giuridica9.

7 In questo senso, l’impostazione data dal nostro ordinamento al tema dell’interesse del minore si

distingue profondamente da quella dei paesi anglosassoni di common law (principalmente l’Inghilterra) nei quali invece i best interests of the child nascono, all’esatto contrario, come prodotto della concezione che considera la protezione del minore e l’affermazione dei suoi diritti come istanze contraddittorie. I sostenitori della best interests of the child doctrine, che si contrappongo ideologicamente ai sostenitori dei children’s rights, affermano che la necessità di una più incisiva protezione dei bambini e degli adolescenti sia logicamente inconciliabile con la rivendicazione della titolarità in capo ai minori di diritti fondamentali. Ai bambini non devono essere attribuiti rights ma deve essere riconosciuta protection. A tale scopo, altri soggetti, pubblici o privati, devono essere incaricati di decidere per loro e al loro posto in che cosa consistano i loro best interests, ossia quali scelte realizzino meglio il loro well-being (cfr. E. LAMARQUE, Prima i bambini. Il principio dei best interests of the child nella prospettiva costituzionale, Franco Angeli, 2016, 39-40 e 52 ss.).

8 Per le necessarie distinzioni in base all’età e al livello di maturità del minore si v. Cap. III, parr.

5 e ss.

9 Sul minore come soggetto “debole” si v. P. STANZIONE, Costituzione, diritto civile e soggetti

deboli, in Fam. e dir., 2009, 3; A. BETTETINI, Il divieto di discriminazione e tutela del soggetto debole, in P. GIANNITI (a cura di), I diritti fondamentali nell’Unione europea. La Carta di Nizza dopo il Trattato

di Lisbona, Bologna-Roma, 2013, 636 ss., spec. 662 ss; M.BELLOCI,P. PASSAGLIA, La tutela dei

«soggetti deboli» come esplicazione dell’istanza solidaristica nella giurisprudenza costituzionale, in www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/STU%20191_Tutela_soggetti_deboli.pdf ,

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Capitolo I – Coordinate metodologiche e presupposti

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A tal fine, l’ordinamento provvede ad individuare altri soggetti dei quali il minore deve avvalersi per esercitare in concreto, e con carattere di effettività, quei diritti di cui egli è titolare in astratto. Tali soggetti sono, in prima battuta, i genitori (o i diversi titolari della responsabilità genitoriale o della rappresentanza sul minore) e, in seconda battuta, il giudice e gli organi di cui si avvale (in particolare, i servizi sociali). Essi dovranno, ciascuno nel proprio ambito, compiere al posto del minore e nel suo interesse le scelte necessarie a rendere effettivo il godimento dei suoi diritti che egli non sia riconosciuto in grado di esercitare autonomamente.

L’interesse del minore è, quindi, il criterio di giudizio di chi deve decidere una questione che coinvolga un diritto di un minore. Per cui, se non fossero riconosciuti diritti in capo ai minori, non avrebbe senso parlare di interesse del minore nel significato con cui se ne parla oggi nel linguaggio normativo, giurisprudenziale e dottrinale italiano.

Come si avrà modo di dire, peraltro, l’elemento di “debolezza” del minore si affievolisce, sino a scomparire, con l’avanzare dell’età e, di conseguenza, del grado di maturità raggiunto. A tale affievolimento l’ordinamento fa corrispondere, non senza qualche aporia, una tendenziale diminuzione della protezione e un progressivo incremento dell’autonomia riconosciuta al minore nel compimento delle scelte relative alla propria esistenza – cioè nella individuazione di quale sia il suo interesse in tali situazioni – attribuendogli un diritto di essere ascoltato e richiedendo che la sua volontà sia tenuta in adeguata considerazione ai fini della decisione, in relazione all’età e al grado di maturità raggiunta. In alcuni casi, poi, l’ordinamento riconosce al minore sopra una certa età, in ordine a determinate scelte, una piena capacità di agire che gli consente di decidere autonomamente cosa sia meglio per sé, quale sia il suo interesse: la protezione lascia qui il campo all’autodeterminazione.

novembre 2006; P. PASSAGLIA, I minori nel diritto costituzionale, in Una voce per i minori, a cura di F. GIARDINA,E.PELLECCHIA, Corazzano (Pisa), 2008, e reperibile sul sito www.personaedanno.it.

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Capitolo I – Coordinate metodologiche e presupposti

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3. La lenta emersione della soggettività giuridica del minore in campo privatistico: le carenze nella cultura del diritto (e della società) fino agli anni Sessanta.

3.1.Il minore nella concezione giuridica e sociale del periodo pre-costituzionale.

Il tema della tutela giuridica delle persone minori d’età nel campo privatistico è stato per lungo tempo oggetto di scarsa attenzione da parte del legislatore, dei giuristi e della società stessa. Ciò ha riguardato non tanto i diritti patrimoniali, della cui protezione vi è traccia nella legislazione civilistica sin dai secoli addietro, quanto, piuttosto, i diritti di personalità, che esprimono quei bisogni esistenziali il cui soddisfacimento è di cruciale importanza per un adeguato sviluppo del soggetto in formazione.

La stessa concezione personalistica della famiglia, volta ad esaltare il momento formativo e la missione pedagogica dei genitori, piuttosto che il rapporto di soggezione dei figli, è una conquista relativamente recente dell’ordinamento10.

La lacuna di tutela è ancora più vistosa se si considera che, invece, nel campo penalistico, l’attenzione del diritto alla personalità in formazione del minore è presente fin dai tempi antichi. Storicamente, la condizione del soggetto in crescita ha determinato un trattamento giuridico più favorevole del minorenne autore di reato, che si è concretizzato nella sua non imputabilità, e dunque nella sua sottrazione al processo penale, o nella previsione di particolari cautele intorno a tale processo e ai suoi esiti, come l’applicazione di sanzioni attenuate o di misure rieducative in sostituzione della pena11. Le regole della non imputabilità e del trattamento punitivo meno severo nei confronti dei minori sono fatte risalire addirittura alla Legge delle XII tavole romane, che distingueva tra puberi e impuberi12.

10 S. SILEONI, L’autodeterminazione del minore tra tutela della famiglia e tutela dalla famiglia, in

Quad. Cost., 2014, III, 606;

11 In tema I. BAVIERA, Diritto minorile, II ed., Milano, 1976.

12 Si v. la ricostruzione del testo delle XII Tavole pubblicata sul sito

www.giurisprudenza.unisalento.it/c/document_library/get_file?folderId=992433&name=DLFE-94231.doc., in particolare, Tavola VIII.

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Capitolo I – Coordinate metodologiche e presupposti

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Per lungo tempo, fino oltre la metà del XX secolo, i minori d’età sono stati considerati dal diritto solo se ed in quanto disturbassero l’ordine sociale rendendosi autori di un fatto di reato o di comportamenti altrimenti devianti. Dal punto di vista privatistico, essi furono invece considerati alla stregua di oggetti, in quanto non ancora dotati di quell’autonomia della volontà dalla quale era fatta derivare la dignità morale dell’uomo (e dunque la titolarità di diritti soggettivi) o furono, al massimo, dotati di una limitatissima soggettività giuridica, circoscritta alla titolarità di alcuni diritti di tipo patrimoniale13, da altri esercitabili, volti alla conservazione del loro patrimonio e non certo alla cura della loro persona. Basti pensare che in Italia, il primo saggio interamente dedicato al diritto minorile risale al 1939 e si occupa esclusivamente dell’intervento penale nei confronti dei minori, allo scopo di meglio tutelare la collettività dal pericolo della devianza minorile14. È solo nel 1965 che appare il primo manuale di diritto minorile che tenta un’analisi organica della normativa civile e penale, processuale e sostanziale, relativa ai minori15.

La scarsa attenzione del diritto ai bisogni e alla personalità del soggetto in formazione è stata, anzitutto, il riflesso della concezione dei bambini e dell’infanzia in generale diffusa nella società e nella cultura del tempo16.

Fino a tempi abbastanza recenti, infatti, anche per via dello scarso sviluppo delle scienze psicologiche, la minore età non era considerata portatrice di caratteristiche e istanze peculiari, bisognose di una particolare protezione. I minori erano visti solo come futuri adulti e in quanto tali venivano considerati e trattati17. Tale è stata la concezione dell’infanzia fino ad oltre la metà del XX secolo: un’infanzia “proiettata nel futuro”, in cui nei bambini si intravedevano solamente coloro che avrebbero avuto

13 P. RONFANI, Dal bambino protetto al bambino partecipante. Alcune riflessioni sull’attuazione

dei “nuovi” diritti dei minori, in Soc. dir., 1, 2001, 69.

14 E. BATTAGLINI, Il diritto penale dei minori e la sua specialità, in Rivista penale, 1939. 15 I. BAVIERA, Diritto minorile, Giuffrè, 1965.

16 Si può affermare che essa sia anche il frutto della generale concezione giuridica dell’uomo: la

persona non era ancora il centro gravitazionale dell’ordinamento giuridico, come lo sarebbe diventata con l’avvento delle costituzioni moderne, ma era piuttosto un mero destinatario di regole, soggetto all’autorità dello Stato.

17 L. LENTI, Note critiche in tema di interesse del minore, cit., 87. A riprova di tale constatazione,

l’A. richiama, il duplice significato tradizionalmente attribuito alle parole child, enfant e kind, utilizzate indifferentemente sia per indicare un “figlio” sia un “minorenne” in quanto tale, a prescindere dai suoi legami familiari.

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il compito di costruire la società del domani e di garantirne il progresso; non già persone in tutto e per tutto dotate di una dignità propria e di esigenze proprie, meritevoli di tutela. In attesa di crescere, essi venivano posti in una sorta di “Limbo” giuridico e preparati, attraverso un’educazione spesso molto severa, ad assolvere il loro ruolo di buoni cittadini, nell’interesse generale della società e dello Stato18.

Sul piano del diritto privato, alla concezione sociologica del minore come futuro adulto, corrispondeva l’idea del minore come “embrione di soggetto”, titolare di alcuni diritti patrimoniali, ma la cui immaturità e dipendenza giustificavano, da un lato, l’esclusione dalla titolarità dei diritti di libertà e, dall’altro, l’adozione di un approccio fortemente paternalistico19, improntato però più al controllo che alla protezione.

Un ruolo importante ha senz’altro giocato la concezione essenzialmente patrimonialistica del diritto privato20, che tendeva a non dare rilevanza all’attuazione dei diritti fondamentali della persona, con la conseguenza che il minore, soggetto in formazione che nutre scarsi interessi di tipo patrimoniale e rilevantissimi interessi legati allo sviluppo della sua personalità, scompariva dal raggio d’azione del diritto dei rapporti privati21. In campo civile poco o nulla era previsto a tutela del processo di crescita del minore e di sviluppo della sua personalità e gli unici suoi interessi ritenuti degni di tutela giuridica erano quelli patrimoniali22.

In verità, alcune disposizioni a tutela degli interessi personali del minore nel suo status di figlio erano previste già nel codice civile del 1865 e sono state poi recepite senza sostanziali modificazioni dal codice civile del 1942. Tuttavia, come si avrà modo

18 P. RONFANI, Dal bambino protetto al bambino partecipante, cit., 68. 19 Ivi, 69.

20 F. GIARDINA, La capacità del minore in relazione all’esercizio dei suoi diritti, in L’avvocato del

minore, A.I.A.F., I/2004, 261.

21 A.C. MORO, Manuale di diritto minorile, cit., 6.

22 Come evidenzia autorevole dottrina (A.C. MORO, Diritti del minore e nozione di interesse, in

Cittadini in crescita, 2/3-2000, 11 e in Scritti sul minore in memoria di Francesca Laura Morvillo, a

cura di M. T. AMBROSINI, Giuffrè, 2001) «si prevedeva la nomina di un curatore al ventre per il

nascituro, onde tutelargli il patrimonio futuro, ma si sanciva senza alcuno scrupolo la morte civile del cosiddetto figlio adulterino che veniva privato di uno status e di un ambiente familiare; si ammetteva l’adozione ma solo per consentire la trasmissione di un patrimonio con minore incidenza fiscale o per assicurare un’assistenza a coppie ormai anziane, non per sopperire alle necessità di chi, privato senza sua colpa di una propria famiglia, aveva bisogno di altri genitori per poter costruire una compiuta personalità; era disciplinata compiutamente l’eredità per un minore, ma veniva consentito impunemente l’abbandono del proprio figlio o la totale delega a terzi della propria funzione educativa».

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Capitolo I – Coordinate metodologiche e presupposti

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di dire, si tratta di previsioni che, alla luce del quadro sistematico del diritto di famiglia dell’epoca e delle sue interpretazioni dottrinali – coerenti con la prevalente concezione sociale dei rapporti familiari – riflettono un’idea del minore considerato più come oggetto di protezione (spesso solo sulla carta) che come soggetto di diritti. Inoltre, per molto tempo tali disposizioni ricevettero un’applicazione solo episodica da parte della giurisprudenza.

In particolare, già il codice del 1865 configurava l’istituto della patria potestà23 come insieme di poteri e di doveri nei confronti dei figli da esercitare nel loro interesse24. A tal fine, prevedeva la possibilità di adottare misure limitative della potestà genitoriale in caso di abuso dei poteri o violazione dei doveri ad essa inerenti25 e di

23 Sia il codice del 1865 sia quello del 1942, sino alla riforma del diritto di famiglia del 1975,

seppure formalmente attribuendo la titolarità potestà su figli ad entrambi i genitori, prevedevano che essa fosse «esercitata dal padre» e solo in caso di sua morte, lontananza o di altro impedimento che ne rendesse impossibile l’esercizio, l’esercizioAAAAAAAA passava alla madre (art. 220 cod. civ. 1865 e art. 260 cod. civ. 1942, testo originario).

24 Del resto, l’idea che fosse una funzione naturale e fondamentale della famiglia quella di curare

la crescita e l’educazione dei figli finché avessero raggiunto un’età sufficiente a camminare da soli nella società era presente già nella concezione illuministica settecentesca, che considerava il potere dei genitori sui figli come lo strumento per adempiere ai doveri nei loro confronti, come una funzione da esercitare nell’interesse dei figli (cfr. L. LENTI, Note critiche in tema di interesse del minore, in Riv. dir.

civ., 1/2016, 89-90). L’A. evidenzia come già il pensiero di J. Locke, nel “Secondo trattato sul governo”

(si v. la traduzione italiana di L. PAREYSON (a cura di), Due trattati sul governo e altri scritti politici, Torino, 1982, 264 ss.) esprima limpidamente il fondamento filosofico dell’autorità parentale, in modo non troppo difforme da come è concepita oggi nella nostra società, capovolgendo la concezione diffusa nella sua epoca per cui, come la società era soggetta all’autorità del sovrano, così la famiglia doveva considerarsi assoggettata all’autorità del padre. Locke criticava questa assimilazione fra figura regia e figura paterna (§§ 52 ss.), riconoscendo che il potere d’imperio del padre sul figlio non è un potere assoluto né arbitrario, ma costituisce una limitazione della sua libertà, giustificata solo «fino a che la sua

intelligenza non diventi atta ad assumere il governo della sua volontà» (§ 59): «quando giunge allo stato che ha reso il padre un uomo libero, anche il figlio è uomo libero» (§ 58). Per cui, «il potere che i genitori hanno sui figli deriva da quel dovere, che incombe su di essi, di prendersi cura della loro prole durante l’imperfetto stato di fanciullezza» (§ 58): non è altro «se non un aiuto alla debolezza e all’imperfezione della loro minorità» (§ 65). Questo potere spetta per natura tanto al padre quanto alla

madre (§§ 52 e 64) e appartiene sia al padre naturale, sia a quello che abbia adottato un fanciullo esposto,

«tanto poco è il potere che sui figli conferisce il mero atto della generazione, se tutte le cure del padre si limitano ad esso, e questo è l’unico titolo che egli ha per il nome e l’autorità di padre» (§ 65).

25 L’art. 233 prevedeva che «Se il genitore abusa della patria podestà, violandone o trascurandone

i doveri, o male amministrando le sostanze del figlio, il tribunale sull'istanza di alcuno dei parenti più vicini od anche del pubblico ministero, potrà provvedere per la nomina di un tutore alla persona del figlio o di un curatore ai beni di lui, privare il genitore dell'usufrutto in tutto od in parte, e dare quegli altri provvedimenti che stimerà convenienti nell'interesse del figlio».

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disporre l’allontanamento del figlio dalla casa paterna qualora «giuste cause» lo rendessero necessario26.

Nonostante la presenza di tali previsioni, è alquanto significativo che la dottrina (anche quella operante sotto il vigore del nuovo codice, senza soluzione di continuità rispetto all’entrata in vigore della Costituzione27) sottolineasse «il carattere per sua natura assoluto attributo al padre legittimo» alla cui libera valutazione veniva lasciato l’interesse del figlio28, tanto che si arrivò ad affermare che «se si potesse considerare il figlio come oggetto anziché soggetto di diritto, il rapporto potrebbe configurarsi come analogo a quello che si ha nel diritto di proprietà» o a quello «fra Stato sovrano e cittadino suddito»29.

Gli stessi doveri di mantenimento, di educazione e di istruzione, pur legislativamente previsti30, non erano resi effettivi: a proposito di essi, uno dei maggiori civilisti dei primi del Novecento affermava che «l’adempimento di queste obbligazioni non ha, in generale, altra garanzia che l’affetto dei genitori, l’opinione e i costumi pubblici»31.

Del resto, tali interpretazioni risultavano coerenti con l’impostazione complessiva dei due codici (quello del 1865 e la versione originaria del codice del 1942) in materia di rapporti familiari. In essi si prevedevano una serie di diritti-doveri dei genitori sulla

26 Art. 221, comma 3: «Qualora giuste cause rendessero necessario l'allontanamento del figlio dalla

casa paterna, il presidente, sull'istanza dei parenti od anche del pubblico ministero, prese informazioni senza formalità giudiziali, provvede nel modo più conveniente senza esprimere nel decreto alcun motivo.

27 V. infra, par. 3, spec. 3.3.

28 A.TRABUCCHI, Patria potestà e interventi del giudice, in Riv. dir. civ., 1971, I, 224.

29 A.CICU, La filiazione, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da F.Vassalli, 2^ ed., vol. III,

tomo II°, Torino, 1969, 349. Nel risalente insegnamento dell’A., che concepiva la famiglia nella stessa visione autoritaria dello Stato e tendeva quindi ad accostare il diritto familiare al diritto pubblico (cfr. A. CICU, Il diritto di famiglia. Teoria generale, 1914 e ID. Principii generali del diritto di famiglia, in Riv.

trim. dir. pubbl., 1955), trova fondamento quella concezione istituzionale della famiglia di impronta

nazionalista che sarà rappresentata anche in Assemblea Costituente, seppur in misura minoritaria, e che sopravvivrà in parte della dottrina anche successivamente all’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, nonostante la sua frontale contrarietà al principio personalista al quale si informa la Carta costituzionale (E. LAMARQUE, Art. 30, in Comm. Cost., Utet, cit., 627-628).

30 Art. 138, primo comma: «Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi di mantenere, istruire ed

educare la prole».

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Capitolo I – Coordinate metodologiche e presupposti

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persona e sul patrimonio dei figli32 e di doveri dei figli verso i genitori33, mentre nulla si diceva a proposito dei diritti dei figli verso i genitori34.

Per quanto riguarda le applicazioni giurisprudenziali delle disposizioni citate, si può osservare che, a fronte di una consistente mole di pronunce di legittimità relative agli aspetti di tutela patrimoniale del minore, si riscontra una significativa scarsità di sentenze relative ad aspetti di tutela personale35. Ciò sembra essere un segnale del fatto che per le questioni familiari, in particolare per quelle inerenti i figli, il ricorso al giudice era considerato un fatto del tutto eccezionale, avulso dal sistema di controllo patriarcale delle dinamiche endofamiliari. Tale conclusione è supportata innanzitutto

32 Fra i diritti dei genitori (il cui esercizio era tuttavia riservato al padre) sulla persona dei figli i

più significativi sono quelli di educazione, di custodia e di correzione; mentre i diritti più significativi sul patrimonio sono quelli di rappresentanza, di amministrazione e l’usufrutto legale. Per una rassegna delle norme e della giurisprudenza di legittimità in materia a patire dal 1865 sino alla metà del ‘900 si rimanda a L. BRIGIDA, La patria potestas dal codice 1865 al diritto di famiglia, cit., passim.

33 Fra cui quello di «onorare e rispettare i genitori» (art. 220 cod. civ 1865 e art. 315 cod. civ.

1942). Si consideri che, mentre sotto il vigore del codice del 1865 la dottrina quasi unanime, seguita dalla giurisprudenza largamente maggioritaria attribuiva a questa norma carattere esclusivamente etico considerandola sprovvista di conseguenze giuridiche (con due sole eccezioni: Cass. Napoli, 8 marzo 1881 e Cass. Roma, 3 aprile 1905, citate in L. BRIGIDA, op. cit., 85-86), nel primo periodo di vigenza del codice del 1942 una rilevante corrente dottrinale ha cercato di dimostrare il carattere giuridico del dovere in questione e la sua giuridica sanzionabilità: M.STELLA RICHTER,V.SGROI, Delle persone e

della famiglia, Torino, 1967, 391 e E.PROTETTI,C.A.PROTETTI, Patria potestà, Novara, 1974, 9, entrambi citati sempre in L. BRIGIDA, op. cit., 123-124.

34 Si consideri che solo con la riforma della filiazione di cui alla legge 10 dicembre 2012, n. 219 (e

dunque non con la precedente riforma del diritto di famiglia del 1975) è stata introdotta nel codice civile una norma che fa riferimento, oltre che ai doveri, anche ai diritti del figlio verso i genitori (l’art. 315 bis, intitolato “Diritti e doveri del figlio”, in base al quale “Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato,

istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni. / Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti. / Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. / Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa”).

35 Per via delle difficoltà nel reperimento del materiale giurisprudenziale di epoca

pre-costituzionale, non è stato possibile procedere ad un’analisi diretta delle pronunce della Cassazione in materia, ma ci si è a tal fine affidati alla capillare ricerca giurisprudenziale contenuta nello scritto appena citato di Luigi Brigida. La differenza è immediatamente percepibile guardando alla quantità di questioni affrontate e di sentenze citate nei paragrafi relativi ai “Diritti spettanti ai genitori sul patrimonio dei

figli” (pp. 94-110 per quanto riguarda la disciplina del codice del 1865; pp. 142-187, per quanto riguarda

la disciplina del codice del 1942) e quelle invece relative a “L’abuso della patria potestà” (pp. 109-110, per quanto riguarda la disciplina del codice del 1865 e pp.188-194, per quanto riguarda la disciplina del codice del 1942). Allo stesso modo, la casistica giurisprudenziale e dottrinale relativa all’istituto del conflitto di interessi riguardava solo questioni di natura patrimoniale (pp. 171-173).

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Capitolo I – Coordinate metodologiche e presupposti

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da quanto ha osservato autorevole dottrina a proposito dell’attività del Tribunale per i minorenni, istituito nel 193436: «fino alla legge sull’adozione speciale del ’67, tale organo viveva, per così dire, ai margini della problematica familiare e minorile, la sua attività era soprattutto penale; non esisteva una pianta organica dei magistrati addetti, che svolgevano le relative funzioni non a tempo pieno, ma solo nei ritagli di tempo»37.

In secondo luogo, anche la dottrina sociologica più recente38 afferma che, sul fronte educativo, la delega delle istituzioni pubbliche all’istituzione familiare era pressoché totale e non ammetteva intromissioni di sorta. L’istituto della patria potestà era tradizionalmente inteso come un potere di indirizzo autonomo senza vincoli interni o esterni, sul presupposto che la volontà (peraltro non paritaria) dei genitori costituisse l’unica garanzia della buona educazione dei figli e della conservazione dell’ordine e dell’unità familiare39. La funzione educativa aveva come fine ultimo non l’interesse del minore ad una crescita serena ed equilibrata, ma l’interesse dello Stato alla “corretta” educazione e formazione delle nuove generazioni in vista del progresso sociale40. Di contro, il soddisfacimento dei bisogni esistenziali del minore non era affatto un contenuto centrale del programma educativo. La famiglia venne definita come «un’isola che il mare del diritto può solo lambire ma non sommergere»41, una famiglia che non poteva mai sciogliersi, in cui il marito era il capofamiglia e ne decideva le sorti

36 Prima dell’istituzione di tale Tribunale con r.d.l. 20 luglio 1934, n. 1404, per le questioni sorte

ai sensi dei citati articoli 233 e 221, comma 3, del codice civile del 1865, la competenza era attribuita al Presidente del Tribunale.

37 Così M. DOGLIOTTI, Cosa è l’interesse del minore?, in Dir. fam., 1992, 1094, che evidenzia

come tali osservazioni siano riportate dalle prime trattazioni in materia di diritto minorile, fra cui E. RUSSO PARRINO, Diritto penale minorile, Caltanissetta, 1953.

38 P. RONFANI, Dal bambino protetto al bambino partecipante, cit., 70.

39 S. SILEONI, L’autodeterminazione del minore tra tutela della famiglia e tutela dalla famiglia,

cit., 607.

40 Tale concezione si fece granitica con l’avvento del fascismo, durante il quale, mutando

radicalmente la struttura dello Stato, che da liberale divenne autoritario, mutò il ruolo che lo Stato assegnava alla famiglia in vista della realizzazione dei propri fini istituzionali. Ciò si tradusse in una rielaborazione in senso autoritario dell’istituto della patria potestà e in una accresciuta presenza e vigilanza dello Stato all’interno del nucleo familiare: l’interesse familiare viene a coincidere sotto molti aspetti con lo stesso interesse dello Stato (S. CICCARELLO, Patria potestà (Diritto privato), in

Enciclopedia del diritto, vol. XXXII, Milano, 1982, 256; L. BRIGIDA, op. cit., 115-116).

41 A.C. MORO, Manuale di diritto minorile, cit., 23 ss., citando A.C.JEMOLO, La famiglia e il

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Capitolo I – Coordinate metodologiche e presupposti

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esercitando la patria potestà (legittimi)42, in cui esisteva una profonda discriminazione fra i figli legittimi e quelli nati fuori dal matrimonio e, fra questi ultimi, un trattamento ulteriormente deteriore era riservato ai figli adulterini e a quelli incestuosi43.

Anche l’adozione, lungi dall’essere un istituto per dare una famiglia al minore che ne era privo, aveva funzione prevalentemente patrimoniale ed era configurata come uno strumento per dare un erede a chi non l’aveva. Infatti, l’adozione era possibile solo nei confronti di soggetti maggiorenni e si fondava sul consenso fra adottante – che poteva essere anche un singolo – e adottato, revocabile da entrambi sino alla pronuncia giudiziale di adozione44.

I bambini privi di una famiglia potevano essere accolti in un’altra famiglia attraverso il precario istituto dell’affiliazione45, ma si specificava nella relazione al codice civile del 1942 che la sua funzione era quella di fornire “forza lavoro” alla famiglia contadina, tant’è che all’affiliato non erano riconosciuti diritti personali mentre, di contro, su di lui gravavano pesanti doveri sin dalla tenera età46.

Questa distanza incolmabile fra diritti e doveri era frutto di una concezione sociale e culturale del bambino e del ragazzo come soggetti da formare, addestrare, strutturare – se non addirittura da sfruttare – più che come persone in quanto tali, da proteggere e rispettare47.

42 G. SICCHIERO, La nozione di interesse del minore, in Fam. e dir., 2015, I, 78; C. M. BIANCA,

voce Famiglia (diritti di), in Novissimo Dig., VII, Torino, 1961, 71 ss.;

43 E. LAMARQUE, Art. 30, in Commentario alla Costituzione, a cura di R. Bifulco, A. Celotto, M.

Olivetti, I, Utet, 2006, 624.

44 Artt. da 202 a 212.

45 Previsto dagli articoli da 404 a 413 della versione originaria del codice civile del 1942 e abrogati

dall’art. 77 della legge sull’adozione n. 184 del 1983. L’art. 404 prevedeva che «L'istituto di pubblica

assistenza, a norma delle leggi speciali, può affidare il minore ricoverato a persona di fiducia. Questa, decorsi tre anni dall'affidamento, può chiedere al giudice tutelare del luogo di sua residenza di affiliarsi il minore. / Eguale facoltà spetta alla persona che ha provveduto all'allevamento del minore senza che le sia stato affidato dall'istituto, sempre che siano decorsi tre anni dall'inizio dell'allevamento». In base

all’art. 410 l’affiliazione era revocabile. La richiesta poteva provenire anche dall’affiliante nei casi di

«traviamento del minore» e di «sopravvenuta impossibilità di continuare a provvedere all'allevamento del minore».

46 Così A.C. MORO, Manuale di diritto minorile, cit., 5.

47 A.C. MORO, Manuale di diritto minorile, cit., 5. Una feroce critica a questa visione del minore

venne avanzata dalla meritoria opera Janus Korczak (1878-1942), pediatra, pedagogo, giornalista e scrittore polacco, precursore delle moderne concezioni dell’infanzia, il cui pensiero e il cui impegno nei confronti dell’infanzia avrebbero influenzato significativamente i lavori preparatori della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo del 1989 (tanto che l’iniziativa per l’adozione di tale strumento

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