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CAPITOLO II IL SISTEMA ESTRATTIVO NEI BACINI DI MASSA E CARRARA

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CAPITOLO II

IL SISTEMA ESTRATTIVO NEI BACINI DI MASSA E CARRARA

2.1 La situazione a Massa e Carrara da Federico I Barbarossa alle leggi Estensi

La disciplina normativa riguardante l’estrazione del marmo nei bacini di Massa e Carrara è molto particolare: questi territori hanno infatti visto un acceso susseguirsi di norme dal 1300 fino al 1852, per poi registrare un completo arresto nell’emanazione della legislazione in questa materia fino al passato più recente. Carrara fu sempre più attiva nella regolamentazione di questo settore, a causa del peso che l’industria mineraria ebbe sempre, ed ancora oggi ha, nell’economia del comune, mentre Massa è rimasta ferma alla legislazione estense il cui fondamentale corpo normativo risale al 1751, e applica ancora oggi quelle regole.

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Particolare è quindi questa situazione che, nel momento di effettivo cambiamento sia legislativo che storico del nostro paese, ha registrato, in questo territorio, un’immobilità quasi totale in controtendenza con le innovazioni legislative e non che sono avvenute a partire dall’Unità d’Italia fino alla prima decade del nuovo millennio.

I motivi di tale immobilità sono dovuti sia alla riconosciuta specificità di queste zone da parte del legislatore nazionale, sia alla difficoltà delle amministrazioni locali di bilanciare i vari interessi in gioco che da sempre caratterizzano il mondo lapideo.

Nel periodo medievale e all’inizio dell’età moderna le disposizioni riguardanti la materia del marmo non furono molte e quasi tutte provennero dal versante carrarese.

In effetti l’industria mineraria a Massa è fenomeno relativamente recente (XIX sec.), sebbene alcune cave fossero state sfruttate anche nel periodo romano. Probabilmente questo avvenne perché le cave nelle zone di Massa erano meno accessibili, ciò comportando uno sviluppo inferiore della attività estrattiva che nella maggior parte dei casi fu promossa dagli stessi imprenditori già presenti sullo scenario di Carrara1.

1 A. Landi, La storia del marmo. Aspetti di diritto minerario negli stati di Massa e Carrara tra diritto comune e diritti particolari, in La disciplina degli agri marmiferi tra

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Gli statuti di Carrara del 1235, modificati nel 1260, e i Capitula et conventiones, redatti nel 1385 da Gian Galeazzo Visconti, non trattavano l’argomento dell’estrazione dei materiali lapidei: i primi testimoniano soltanto l’affrancamento di Carrara dal dominio del vescovo di Luni che aveva il controllo su queste terre dal 1185, anno in cui Federico Barbarossa, con diploma di investitura, concesse la curtem Carrariae, cum alpibus, Lapidiciniis etiam marmorum al vescovo Petrus di Luni2. I Capitula invece, testimoniano i rapporti che Carrara ebbe con il signore di Milano che, nell’ambito di un più ampio legame nel quale la città apuana chiedeva protezione al Visconti, riguardarono sicuramente anche cave e affini.

In questo periodo storico a coltivare le cave furono i membri delle «vicinanze»3 che, a fronte di un canone spesso di scarso rilievo,

diritto e storia, Torino, 2007, p.44.

2 C. Piccioli, Gli agri marmiferi del comune di Carrara, Carrara, 1956, p. 26. 3 Nel medioevo le vicinanze, dette anche vicinie, erano comunità di persone che vivevano nello stesso territorio, in ambienti sia rurali che cittadini. Esse erano investite di poteri pubblici, di beni propri e dotate di assemblee, nelle quali si discuteva della gestione delle proprietà in comune. Inoltre avevano la possibilità di eleggere i propri organi di controllo e vigilanza come magistrati, consoli e ufficiali. Le vicinanze di Carrara consistevano in comunità agrarie che gestivano «agri collettivi» secondo un economia assai elementare e con una struttura amministrativa regolata dagli Statuti di diritto consuetudinario, secondo il rinvio dello statuto del 1574. erano associazioni simili ad enti territoriali autonomi, di famiglie proprietarie di beni collettivi indivisi e inalienabili e a Carrara gli agri più importanti erano proprio quelli dei migliori giacimenti marmiferi. S. Antoniazzi, La normativa estense degli agri marmiferi di Massa e Carrara: questioni dibattute sulla natura pubblicistica della disciplina, degli atti di concessione, e sulla

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acquisirono i diritti di escavazione, in un primo momento dal Vescovo di Luni, successivamente dal Principe4. Lo studioso Marcello Betti, nella sua monografia Quadro storico dell’escavazione del marmo di Luni e Carrara, a tale proposito sostiene che sotto i Vescovi di Luni scavarono con il loro consenso sia i privati che i concessionari, pagando tributi e decime che sembra fossero molto «tenui»5; da questa idea si discosta invece Cesare Piccioli, avvocato massese, il quale sostiene l’inesistenza di atti formali di concessione fino al 1751 e aggiunge che per aprire una cava si dovesse solamente inscriverla all’estimo ai fini del pagamento delle collette6. Le uniche concessioni furono quelle di proprietà allodiale dei Signori di Carrara. Secondo l’avvocato Piccioli cadde in desuetudine anche l’autorizzazione sovrana alla quale sarebbe stata soggetta l’apertura della cava, così come ogni altra formalità per la concessione e il relativo canone. I diritti dei sovrani si sarebbero manifestati solo successivamente in relazione all’esportazione del materiale con l’imposizione di una tassa, chiamata «dogana dei marmi». La cava così, di fatto, apparteneva

specialità del regime, in La disciplina degli Agri Marmiferi fra diritto e storia, Torino,

2007, p. 100.

4 C. Piccioli, Gli agri marmiferi del comune di Carrara, Carrara, 1956, p. 27. 5 F. Marchetti, Le cave di Carrara, fra regole e poteri reali, Carrara, 2009, p. 26. 6 Imposta diretta introdotta da Federico I inizialmente nel regno di Napoli e poi usata come nome generico di vari tributi generali.

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allo scopritore che ne aveva piena disponibilità; il sovrano, vero titolare del diritto, saltuariamente riaffermava la regalia «pago della riscossione della tassa»7 sopracitata.

Nel 1396 a Carrara vennero redatti gli statuti che davano al Comune carattere federativo e riconoscevano allo stesso un’autonomia finanziaria e giudiziaria che in una certa misura rimase anche quando Carrara venne acquistata da Paolo Guinigi, signore di Lucca nel 1404. Quest’ultimo confermò ai carraresi i privilegi e le immunità che si erano ormai consolidati nel tempo.

Lo stesso trattamento particolare si ritrova anche successivamente sotto il dominio di Firenze che riconosce alla città la libertà di imporre una tassa doganale sui blocchi estratti nel territorio di competenza. Tutte queste disposizioni però non furono mai frutto di uno statuto cittadino ma semmai il prodotto di usi consuetudinari consolidati nel tempo.

La prima disposizione statutaria in materia di marmi, infatti, risale al 1519, anno di emanazione dei Capitula nova che andarono ad aggiungersi agli Statuti del Visconti nei quali, a seguito di una interrogazione dei rappresentanti di Carrara nella quale si chiedeva ai sovrani di vietare agli stranieri la possibilità di estrarre e lavorare

7 Ordine degli avvocati e procuratori massa, a cura di C. Piccioli, Atti preparatori della legge sulle cave di Massa e Carrara del 14-7-1846, Massa, 1976, p. 9-10.

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il marmo o ogni altra pietra, i Malaspina, signori di Massa, accettarono le richieste, anche se limitatamente ai forestieri che non erano provvisti di una speciale autorizzazione. Venne così riaffermato il principio di diritto feudale, in base al quale la possibilità di estrarre il marmo viene accordata con atto di concessione del sovrano, ma con la particolarità che soltanto i forestieri erano sottoposti a questa procedura, mentre i carraresi potevano accedere alla coltivazione delle cave senza bisogno di alcun permesso.

In questo periodo l’attività commerciale fiorisce e famosi scultori utilizzano il bianco di Carrara per realizzare i loro capolavori. Alberico I8 reputò necessario intervenire per regolamentare l’attività commerciale, caratterizzata da una scarsa organizzazione e da comportamenti spesso scorretti da parte dei mercanti cavatori. Nel 1564, per riportare ordine nei confusi rapporti commerciali, Alberico I istituì l’offitium marmoris: tutte le commesse dei clienti forestieri dovevano essere depositate presso quest’ufficio, che le ripartiva tra i sedici marmisti che avevano sottoscritto l’accordo al momento della fondazione di questo organismo; in cambio questi ultimi non avevano più diritto di vendere il marmo senza il preventivo controllo

8 Marchese di Massa e Signore di Carrara dal 1553 poi Principe di Massa e Marchese di Carrara dal 1568 fino al 1626 anno della sua morte.

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da parte dell’offitium. Tale sistema si rivelò tuttavia fallimentare: già nel 1574 l’ufficio venne chiuso perché non riuscì a superare le difficoltà del commercio «all’avventura»9. In molti lo considerarono soltanto una pesante costrizione, con l’unica conseguenza concreta di consegnare nelle mani di una cerchia ristretta il commercio del materiale lapideo carrarese.

Di fatto le cave restarono nelle mani di pochissimi possessori che, ritenendosi dei veri e propri proprietari, ne volevano pienamente e liberamente disporre, cercando di vanificare i diritti delle vicinanze e dello stesso Principe. Fu così che, per porre un argine a tale fenomeno, nel 1574 Alberico I emanò gli Statuta Carrariae. In essi, al Libro II, Capitolo 40, dettò in materia di agri vicinali (ossia quei terreni di montagna dove erano presenti la maggior parte delle cave di marmo di appartenenza alle vicinanze carraresi) che chi possedeva o deteneva tali beni doveva pagare un canone annuale alla vicinia. Inoltre gli Statuta prescrivevano ai possessori di segnalare tutti i beni nella loro disponibilità ai consoli della vicinanza, ciò al fine di agevolare la quantificazione della tassa dovuta. Le controversie sorte

9 F. Marchetti ,Le cave di Carrara fra regole e poteri reali, Carrara, 2009, p. 36. Alberico I intendeva contrastare il commercio condotto da alcuni mercanti che non disponevano di adeguati capitali, fonte di numerose controversie con i clienti che lamentavano enormi ritardi nelle consegne. L’espansione del mercato e l’aumento della clientela aveva portato i mercanti del marmo ad andare ad offrire i blocchi nei luoghi dove questi venivano poi utilizzati spesso senza sufficienti garanzie finanziarie.

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a seguito di queste disposizioni erano demandate ad un collegio di tre boni viri nominati dal vicario. Era in ogni caso vietato il trasferimento di questi beni a terzi senza il consenso della vicinia e comunque preclusa a chiunque l’alienazione di tali beni a titolo gratuito.

Fu proprio in questo periodo che il commercio del marmo crebbe enormemente, gettando le basi per diventare la principale fonte di sostentamento della zona e fu nel 1700 che si registrarono molti interventi per regolamentare tale attività sulla quale di fatto poggiava l’economia del Ducato.

2.2 Le leggi estensi

L’affermarsi delle teorie mercantilistiche e successivamente di quelle fisiocratiche10 nel 1700 portò un’attenzione più accesa da parte dei sovrani degli stati per la produzione di ricchezze a favore

10 La dottrina fisiocratica si basava sulle opere del medico ed economista François Quesnay(1694-1774), che scrisse nell’Encyclopédie. Il suo Tambleau économique (1758) costituì la base della dottrina. I fisiocratici furono i primi a teorizzare la nascita di un buon governo basato sul dispotismo ritenendo che la migliore tipologia di governo fosse quella basata sull’essenza naturale dell’uomo: un unico individuo, illuminato, che avrebbe guidato i suoi sudditi verso il bene. Il dispotismo diventa in questo caso un «dispotismo illuminato».

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del territorio controllato e l’escavazione ed il commercio del marmo vennero individuati come fonti di arricchimento sia per le istituzioni statali, sia per i singoli cittadini. Questa attenzione portò ad un periodo di riforme e cambiamenti nel mondo lapideo che interessarono tutta la penisola italiana anche se spesso i risultati non furono sempre chiari e precisi ma spesso frammentari, complicati e alle volte contraddittori.

A Carrara e a Massa si ebbe un primo intervento normativo riguardante gli agri marmiferi nel 1751, quando la duchessa Maria Teresa Cybo Malaspina d’Este, in risposta ad una controversia tra alcuni Ufficiali della vicinanza di Torano e alcuni cavatori, intraprese per la prima volta, mediante un regolamento finalizzato a comporre la lite e a dettare norme per eventuali future controversie, un accertamento dei tipi di cave che già erano state aperte nei territori di Carrara. Il regolamento mirava a creare una normativa per moderare i rapporti tra le vicinanze ed i possessori dei bacini lapidei. L’editto contiene una rinuncia indiretta da parte della sovrana ai diritti di regalia sui marmi riconoscedendo alle vicinanze il potere di concedere ai membri della comunità, in quanto partecipanti alla proprietà collettiva sugli agri marmiferi, il diritto di estrazione del materiale attraverso la stipulazione di un contratto simile alla concessone di beni pubblici, il cosiddetto atto di livello. In sostanza,

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la normativa consiste in un regolamento scritto con efficacia generale che codifica le norme consuetudinarie sancendo il principio dell’obbligo del privato di richiedere in concessione la cava alla vicinanza proprietaria del bene.

In questa ricognizione si individuarono regole differenti a seconda della situazione degli agri marmiferi, distinguendo tra cave iscritte da più di venti anni negli «Estimi dei Particolari», quelle che non presentavano la suddetta iscrizione o che sebbene iscritte non avevano ancora visto trascorrere il ventennale alla data di emanazione del regolamento. Per i possessori delle prime si accordava una tutela particolare che li poneva in una situazione più favorevole rispetto agli altri, come se il loro diritto avesse una legittimazione più forte che portava all’impossibilità da parte della vicinanza, di cui gli agri facevano parte, di rivendicare un qualsiasi diritto nei confronti di questi ultimi e verso i loro possessori. Si ebbe in sostanza una sanatoria delle usurpazioni avvenute negli anni precedenti.

Per le cave che erano state iscritte agli estimi dei particolari da meno di venti anni i possessori dovevano esibire alla vicinanza, qualora questa lo avesse richiesto, il titolo con il quale la vena marmifera era stata acquistata, queste incombenze si sarebbero dovute ottemperare nell’arco di un mese per continuare l’attività

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estrattiva e far sì che la stessa vicinanza, verificati i titoli, non avesse altro da pretendere. Inoltre vi era l’obbligo di pagare una volta all’anno una tassa «per pubblico Istumento in forma di Livello» da concordarsi con gli ufficiali della vicinanza. Il canone non si sarebbe comunque dovuto misurare allo stato in cui si trovava in quel momento la cava, ma in base alla porzione degli Agri sulla quale era stata aperta e che rimaneva di pertinenza della stessa zona di escavazione, si faceva cioè riferimento ad una prima idea di rendita fondiaria.

Per le cave aperte ma non iscritte agli estimi dei particolari, era dato alle vicinanze il diritto di chiedere ai possessori il pagamento di una prestazione annuale, se il possesso era gravato da altro obbligo precedente si prevedeva che a pendere sul diritto possessorio fosse un unico vincolo: cioè se l’agro era sottoposto alla riscossione di collette il canone annuo non veniva applicato, viceversa se il canone era precedente all’imposizione delle collette erano queste ultime che non venivano applicate. Queste disposizioni erano finalizzate a non gravare in maniera eccessiva sui possessori delle cave.

Veniva infine regolamentata l’apertura di nuove agri marmiferi per i quali era stabilita la totale libertà di ricerca con l’unica limitazione data dalla giusta moderazione di compiere l’apertura in luoghi tali da non comportare pregiudizio per altri soggetti.

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Venivano quindi fissate le modalità in base alle quali era possibile aprire una nuova cava e codificate antiche consuetudini relative all’espletamento di un periodo di prova della durata di due anni durante il quale era possibile l’escavazione e lo sfruttamento gratuito della vena marmifera. Decorso questo periodo i soggetti che avevano usufruito di queste agevolazioni potevano decidere se abbandonare lo sfruttamento o continuare la coltivazione, in questo secondo caso era previsto un ulteriore passaggio ovvero sottoscrivere un accordo con la vicinanza per ottenere la concessione e determinare l’ammontare dell’imposta annua dovuta. Il regime suddetto non riguardava le cave site in territori di proprietà privata e neppure quelle che già nel 1751 erano iscritte negli estimi da più di venti anni; questi beni presero il nome di «beni stimati» e rimasero nella libera disponibilità del proprietario non essendo coinvolti nella disciplina ducale.

Questo corpo normativo introdusse nel territorio apuano il «sistema estense limitato»11 e ancora una volta abbiamo testimonianza della specialità e particolarità di queste coltivazioni

11 Viene «definito sistema estense limitato poiché disciplina esclusivamente le cave di marmo di proprietà dei comuni di Massa e di Carrara la cui esistenza si protrarrà nel sistema giuridico moderno mentre la disciplina mineraria generale integrava il sistema estense illimitato che regolava il settore minerario complessivo secondo il criterio della disponibilità del fondo per il proprietario privato». S. Antoniazzi, op. cit., in La disciplina degli agri marmiferi fra diritto e storia, Torino, 2005, p. 114.

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che furono sottoposte ad un apparato legislativo totalmente diverso rispetto al resto del Ducato Estense, dove era vigente un sistema simile a quello delle regalie in base al quale il sottosuolo apparteneva di diritto al sovrano dal momento che quest’ultimo aveva la proprietà su qualunque cosa.

Le disposizioni del 1751 segnano il passaggio da un sistema consuetudinario ad un ordinamento giuridico codificato. È certo che tutte le battaglie sia sociali che politiche di questa zona senza questo apparato normativo avrebbero avuto una evoluzione diversa, non tanto per l’affermarsi della proprietà privata nei monti del marmo, che se pur in ritardo è di fatto avvenuta ugualmente, ma per il fondamento giuridico della stessa che senza tale legislazione sarebbe stato sicuramente più forte12.

Di fatto le norme dettate non permisero di bloccare l’abusivismo diffuso in questo periodo, l’occupazione e l’escavazione abusiva dei territori di cava comunali continuarono incuranti delle leggi ducali con numerose perdite nella esazione dei livelli su questi costituiti, tanto che la Duchessa nel 1771 intervenne a favore della conservazione della pubblica rendita e, provvedendo ad un riordino amministrativo e catastale dei beni livellati, istituì il Magistrato delle usurpazioni, organo collegiale del quale il testo del 1771 si

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preoccupa di indicare la composizione, le regole di riunione, le competenze e i poteri ad esso attribuiti. Per recuperare i beni che erano stati illecitamente occupati e anche per recuperare i canoni annuali non pagati dai possessori a favore delle Vicinanze, si prevedeva l’obbligo, da parte degli Ufficiali della Comunità e della Vicinanza, di sottoporre all’attenzione dell’organo «il Campione, e qualunque altro documento riguardante i livelli Communitativi, assieme colli Catastali, a cognizione degli agri»13. Sulla base di questa documentazione il Magistrato avrebbe dovuto rinnovare a ciascun possessore la stima dei livelli aggiornati ai moderni confini fondiari e successivamente creare un nuovo Campione intestato al moderno possessore con l’indicazione dell’importo da corrispondere e dello strumento di Concessione in livello al quale questi sarebbe stato soggetto. La duchessa attribuiva poi all’organo l’incombenza di riscuotere i canoni indicati dai livelli e di controllare le usurpazioni avvenute sui beni Comunali o appartenenti alla Comunità o Vicinanza, stabilendo che in questi territori, ogni qual volta il possessore nei termini indicati dal Magistrato non avesse procurato i

13 Questo passo è tratto da Raccolta delle leggi sulle cave dei già ducati di Massa e Carrara tuttora in vigore, Carrara, 1886, p.6 nel quale vengono riportati gli interventi legislativi che vi furono a Massa e Carrara ad opera di Maria Teresa Duchessa di Massa, Principessa di Carrara e Principessa ereditaria di Modena dal 1751 al 1852, anno dell’intervento legislativo del ministro dell’interno Giacobazzi per conto di Francesco V duca di Modena.

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documenti di proprietà, si sarebbe avuta una presunzione di usurpazione totale. Si presumeva poi l’ usurpazione parziale nel caso in cui, pur essendo stati presentati titoli idonei, si fosse accertato, a mezzo di perizie e misure, che il soggetto proprietario possedesse un appezzamento di terra maggiore rispetto a quanto indicavano i documenti proprietari.

Alla luce di queste regole, se l’ufficio del Magistrato avesse ritenuto che vi fosse stata l’usurpazione, si sarebbe proceduto ad una stima al fine di individuare il valore del bene per una futura vendita o nuova concessione in livello; la vendita veniva fatta con un’asta libera alla quale chiunque poteva partecipare, con la particolarità che era previsto un diritto di prelazione a favore degli eredi o successori del primo usurpatore il quale invece non godeva di questo privilegio. A questi soggetti, qualora risultassero a pari di altri i maggiori offerenti, venivano dati dieci giorni per decidere se avvalersi o meno della prelazione e ulteriori dieci giorni per la stipulazione del contratto; in caso di contumacia veniva meno ogni diritto maturato.

Nella norma vi erano poi disposizioni che riguardavano le procedure della vendita all’asta prevedendo, qualora non ci fossero state offerte, una riduzione del valore del bene per l’incanto successivo.

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giudice per le controversie relative ai livelli e alle usurpazioni dettando le regole per condurre il processo.

L’intervento della Duchessa era teso alla conservazione del sistema Vicinale che però era ormai nella seconda metà del XVIII secolo incapace di sostenere il ruolo rivestito sia dal punto di vista dell’estrazione che da quello del commercio. Il rafforzamento giuridico operato dalla normativa estense del 1751 servì soltanto a rimandare il suo smantellamento facendo sì che l’organismo, ormai desueto, transitasse nelle mani di poche famiglie che lo utilizzarono a loro uso e consumo costituendo di fatto una oligarchia del marmo. La politica della Regnante è caratterizzata quindi da concessioni che divennero inevitabili per le continue pressioni di poche famiglie che ormai, sia per la forza politica che per quella economica, andarono sempre più rafforzando la loro influenza. Questo si può notare dal susseguirsi di interventi legislativi restrittivi della libertà commerciale che sempre più favorirono l’oligarchia mercantile: ad esempio nel 1764 vennero esaudite le richieste dei commercianti di Carrara vietando a chi non possedesse sufficienti capitali ed esercitasse una professione mercantile diversa da quella del commercio lapideo o un lavoro non pertinente al settore del marmo, di commerciare qualsiasi tipo di materiale sia direttamente che con l’ausilio di terzi. Gli stessi proprietari di cave, non riconosciti come

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venditori ufficiali di Carrara, avevano molte limitazioni, tra le quali sottostare alla regola secondo la quale avrebbero potuto vendere all’estero i propri materiali solo dopo aver proposto l’acquisto, ad un prezzo consono o comunque non superiore alle consuetudini, ai commercianti ufficiali. Questa situazione perdurò fino al 1772, infatti i Cybo Malaspina, considerando il libero commercio dannoso, sia pure con qualche variazione, mantennero vigente tale sistema che favoriva i commercianti ufficiali di Carrara, unici detentori del diritto di vendita del materiale scavato. Il loro intento era quello di creare una classificazione rigida dei vari ceti sociali con diritti e doveri immutabili. Questo nella loro visione avrebbe assicurato alla società uno sviluppo economico ordinato e secondo gli ideali dell’epoca, anche la felicità dei sudditi14.

Con il 13 dicembre del 1772 si ebbe un’inversione di tendenza nella politica conservatrice che di fatto favoriva soltanto poche famiglie di Carrara che detenevano il controllo su tutta l’attività di escavazione e vendita del marmo: la Duchessa infatti ripristinò la libertà di commercio del marmo accogliendo le idee che nella nascente società industriale si stavano imponendo in modo sempre più forte. Venne così rovesciata «non già una posizione politica contingente, ma una prassi economica che era l’espressione di una

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struttura sociale storica e di un ordinamento statuale maturatosi durante molti secoli»15. Negli ultimi decenni del 1700 si verificò una trasformazione sociale legata all’evoluzione economica e vennero introdotte nella lavorazione del marmo nuove tecnologie (frulloni, primi telai a più lame, sostituzione della forza animale con quella meccanica dell’acqua). Nel 1796 il territorio di Carrara fu occupato dalle truppe francesi e andò a fare parte prima della repubblica Cispadana, poi Cisalpina, poi Italiana ed infine regno d’Italia fino al marzo 1806 e del principato di Lucca fino al 1814. Con la dominazione francese cessò ogni attività estrattiva e la borghesia locale subì pesanti obblighi contributivi per il mantenimento delle truppe. In questo periodo si può registrare il definitivo cambiamento del vecchio assetto amministrativo feudale fondato sulle vicinanze che scomparvero di scena a favore del Comune ormai controllato dalla borghesia emergente.

A prova del definitivo abbandono del sistema vicinale si ha il decreto di Felice Baciocchi, principe di Lucca, che, attuando le politiche economiche di Napoleone e seguendo pienamente le influenze della borghesia locale, nel 1812 abolì le Vicinanze16 nel Ducato di Massa e Carrara e sancì che gli agri marmiferi di proprietà

15A. Bernieri, La politica marmifera di Maria Teresa nel quadro della trasformazione sociale del principato di Carrara, in Annuario della Biblioteca di Massa, Massa, 1983.

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di queste ultime venissero riuniti al patrimonio del Comune di Carrara. Questa situazione venne confermata anche da Maria Beatrice d’Este17 che nel 1815 ripristinò negli stati di Massa e Carrara l’editto del 1751 e confermò l’abolizione delle Vicinaze.

Una volta definitivamente soppresso il sistema vicinale si ebbe una grande crescita dell’attività di estrazione, dell’industria mineraria e del flusso commerciale nella città apuana.

Con la notificazione del 14 luglio 1846 del Governatore Nicolò Bayard de Volo per conto di Francesco V di Modena, si ebbe un altro intervento importante relativo al comune di Massa18 per estendere anche in questo territorio «l’utilissima escavazione e industria dei marmi»19 e «togliere gli inconvenienti che potrebbero inceppare lo sviluppo»20. In questo documento venivano indicate le leggi che regolamentavano le cave già aperte e quelle che non erano state ancora scoperte, per le prime veniva disposto che le concessioni, attraverso le quali era stato autorizzato lo sfruttamento della vena, sarebbero decadute se la lavorazione non fosse stata eseguita nei

17 Figlia di Maria Teresa Cybo Malaspina ultima discendente dei Cybo Malaspina e di Ercole III d’Este duca di Modena che con il loro matrimonio fecero confluire il principato di Massa e Carrara nel ducato di Modena.

18 A Carrara rimase vigente l’editto di Maria Teresa del 1751 fino al 3 dicembre 1846 quando il 3 dicembre Carrara venne compresa nella Notificazione già vigente a Massa.

19 Notificazione governatoriale 14 luglio 1846. 20 Notificazione governatoriale 14 luglio 1846.

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tempi indicati nei relativi contratti, era però prevista una sorte di sanatoria per i concessionari decaduti: questi ultimi potevano rinnovare, entro un massimo di trenta giorni dalla data di decadenza del diritto, il livello sulle cave già aperte o su quelle che si sarebbero potute attivare negli stessi agri. Queste regole trovavano applicazione solo per i concessionari già decaduti, per quelli che sarebbero decaduti in futuro non erano previste tali agevolazioni. In riferimento alle cave che dovevano essere aperte la Notificazione garantiva la libertà di ricerca negli agri comunali purché questa attività non recasse danni ad altri. Venivano poi dettate regole per denunciare e ottenere lo sfruttamento delle cave, per delimitare i confini di quelle scoperte, si indicavano le modalità per determinare il canone, sotto forma di livello, da corrispondere al comune, calcolato sul valore del terreno e non sul prodotto che poteva esserne ricavato in quanto questo era incerto e soggetto ad eventualità, infine erano descritte le procedure per dirimere eventuali controversie. Le abilitazioni rilasciate dal governo alla comunità che avrebbe poi concesso i livelli «ad uso di cave» dovevano essere vincolate ad alcune condizioni minutamente illustrate nel documento di notificazione: lo strumento di livello doveva descrivere ogni cava mediante apposita mappa indicando esattamente misure, configurazioni e confini; la concessione poteva decadere per le cave

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lasciate inoperose o per il mancato pagamento del canone per due anni continui, il livello poteva essere trasmesso liberamente sia per successione che per alienazione, previa adesione del governo per il trasferimento del diritto ai forestieri e sempre e comunque doveva chiedersi il consenso del «comune direttario». Il conduttore doveva corrispondere al comune, per ogni trasferimento, mutamento o rinnovo (ogni ventinove anni) del livello, una tassa pari all’annualità del canone. Il conduttore, o i di lui aventi causa, allo scadere del ventinovesimo anno della concessione, al momento dell’insediamento nel diritto, erano tenuti a descrivere nuovamente il fondo indicando i cambiamenti intervenuti nel tempo. Di ciascuna cava allivellata doveva essere indicata la località e la tipologia di materiale della vena marmifera.

Da questa normativa si può evincere come, pur mantenendo la forma del livello di diritto privato, la regolamentazione del rapporto tra proprietari delle cave e il Comune cittadino si connotava sempre più di caratteri pubblicistici che saranno mantenuti inalterati fino all’emanazione del codice civile estense nel 1852 che escluderà il livello di cava dalla disciplina privatistica dell’enfiteusi. Infatti fino a questo momento non vi era stata una vera e propria distinzione tra i due strumenti giuridici, il livello era considerato e denominato spesso enfiteusi in riferimento ad una forma di diritto reale di

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godimento perpetuo senza però l’obbligo del miglioramento del fondo, anche la giurisprudenza ha riconosciuto la natura privatistica di tale diritto dipendente però da una concessione, istituto pubblicistico questo che andrebbe a giustificare la particolare situazione a cui sono soggetti questi agri, ovvero il fatto che fanno parte del patrimonio indisponibile dei Comuni ma con un diritto di sfruttamento dei privati di carattere enfiteutico21. Questa particolarità è presente anche nella procedura con cui viene attribuita la coltivazione di una cava, infatti, abbiamo la presenza di due atti: il primo è un atto pubblico di concessione deliberato dal Comune mentre il secondo è un atto notarile che instaura il rapporto tra Comune e privato e dal quale deriva il sorgere di un diritto di dominio del livellario e l’affermazione della precedente proprietà comunale sugli agri22. È proprio dal codice civile estense che si può parlare, come sottolinea Aldo Sandulli23, di una vera e propria concessione, sostanzialmente di rilevanza pubblicistica ma formalmente contenuta in un istituto privatistico, questa situazione si

21 Secondo la sentenza della prima sezione della corte di cassazione del 24 maggio 1964 gli agri marmiferi di Massa e Carrara hanno un regime giuridico parificato alle altre cave quando, una volta sottratte al proprietario del suolo, diventano ai fini della concessione a terzi patrimonio indisponibile dello stato.

22 S. Antonazzi, op. cit. in La disciplina degli Agri Marmiferi fra diritto e storia, Torino, 2007, pp.113-114.

23 Cfr. A. Landi, op. cit. in La disciplina degli Agri Marmiferi fra diritto e storia, Torino, 2007, p. 51.

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protrarrà fino ai giorni nostri, senza alcun cambiamento neppure da parte della legge mineraria del 1927.

2.3 La disciplina estense e la Legge mineraria del 1927

Come già anticipato, il R.D.L. 29 luglio 1927 n.1443 mantenne per le zone di Massa e Carrara quei caratteri di specialità che già più volte si è cercato di sottolineare.

L’articolo 64 consentì una disciplina differenziata per gli agri marmiferi di questa provincia in quanto prescrisse che, in attesa di un regolamento di competenza degli stessi comuni, che doveva comunque essere vagliato e approvato dal Ministero per l’economia nazionale e coordinato con la nuova disciplina generale, dettata dallo stesso Regio Decreto Legislativo, sarebbero rimaste vigenti le Leggi Estensi.

Anche la giurisprudenza della Suprema Corte24 dette la stessa interpretazione decretando che, pur avendo valenza di coordinamento, la disciplina dettata nel R.D.L. 1443 del 1927 non si

24 Cass. Civ., Sez. I, 24 maggio 1954. S. Antoniazzi, La normativa estense degli agri marmiferi di Massa e Carrara: questioni dibattute sulla natura pubblicistica della disciplina, degli atti di concessione, e sulla specialità del regime, in La disciplina degli Agri Marmiferi fra diritto e storia, Torino, 2007, p 115.

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sarebbe dovuta applicare alle cave di Massa e Carrara; la ratio di tale previsione era dettata dal fatto che le vene marmifere non appartenevano ai proprietari dei suoli ma ai Comuni25, i quali per lo sfruttamento della vena marmifera rilasciavano una concessione ai privati e che, grazie a questo particolare regime proprietario, le cave non potevano essere oggetto di confisca da parte dello Stato secondo la legislazione del 1927.

Le cave infatti sono considerate beni patrimoniali inalienabili del Comune, non vengono incluse nel patrimonio disponibile dell’ente e non possono essere considerate neppure beni demaniali in quanto non sono incluse nelle categorie dell’articolo 822 c.c.26, inoltre il regime di bene demaniale sarebbe del tutto incompatibile con il sistema della concessione, sulla base del livello perpetuo trasmissibile a terzi per lo sfruttamento.

Anche la natura giuridica dell’atto di livello, come già detto, presenta aspetti che sono senza dubbio di natura pubblicistica pur

25 Come statuito dal decreto di Federico Baciocchi nel 1812.

26 Appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico il lido del mare [942], la spiaggia, le rade e i porti; i fiumi, i torrenti [945], i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia; le opere destinate alla difesa nazionale. Fanno parimenti parte del demanio pubblico, se appartengono allo Stato, le strade, le autostrade e le strade ferrate; gli aerodromi; gli acquedotti; gli immobili riconosciuti d’interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in materia; le raccolte dei musei, delle pinacoteche, degli archivi, delle biblioteche; e infine gli altri beni che sono dalla legge assoggettati al regime proprio del demanio pubblico [823,824,1145].

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nascendo da istituti propri del diritto privato, tanto da essere stato spesso accomunato e alle volte confuso con l’enfiteusi pur essendo diverso da quest’ultimo, tanto che il livello diventò un istituto giuridico autonomo e speciale per il settore estrattivo.

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