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TERZO CAPITOLO

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Academic year: 2021

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TERZO CAPITOLO

3 E-ducere

Il percorso che abbiamo intrapreso fino ad ora ci ha permesso di costruire un quadro generale per comprendere come le emozioni caratterizzano ogni istante della nostra vita, influenzando ogni atteggiamento, ogni pensiero, ogni parola. Ora abbiamo la possibilità di riconoscere il nostro cervello come un organo dalle multi facce, attribuendo ad esso un multi-significato. Parliamo di una "presenza mentale" che va oltre l'elaborare informazioni o reagire a situazioni, parliamo di una mente affettiva, impercettibilmente legata alla consapevolezza delle nostre intenzioni, emozioni. Sulle note di Bruner cerchiamo di visualizzare una nuova cultura del sapere, una nuova narrazione che ci permetta di entrare in contatto con i nostri desideri, pulsioni, bisogni; una rinascita consapevole del nostro potenziale, delle nostre parole, dei nostri pensieri e azioni. Il tutto riassunto in una semplice parola Mindfulness che riguarda lo sviluppo di una "presenza mentale" di una memoria dei "ricordi", questo porta all'aumento della consapevolezza delle proprie intenzioni, emozioni e delle conseguenze che possono avere su di sé e sugli altri.

In questo modo saremo abili nel riuscire a trasformare il nostro pensiero, le nostre parole, le nostre azioni, riusciremo a trasformare semplici verbi o parole di cui la nostra mente è schiava.

Parliamo di una nuova consapevolezza non solo fisica, ma cognitiva, espressiva che induce l'individuo a liberarsi dalle catene del dovere e sostituire questo termine con un senso di potere. Uno spiccato senso del dovere rischia di frantumare le profonde motivazioni che sostengono l’individuo e di far perdere di vista il valore reale delle cose. Il "devo" richiama un senso di obbligo, una costrizione e non bisogna sottovalutare che dietro al verbo "devo" si nasconde qualcos'altro, di oscuro e profondo, si chiama "senso di colpa", quindi dove cresce il verbo "devo" cresce anche il sentimento "senso di colpa" che rimprovera lo studente, il bambino o l'adulto per ciò che fa e non fa, compromette la fiducia in sé stessi e negli altri.

Sentire di "potere" restituisce a noi stessi un senso di energia, entusiasmo, potere d'azione e speranza di vittoria.

Il lavoro prosegue osservando alcune metodologie didattiche ed educative che mettono in relazione l'individuo con l'ambiente, l'individuo con le sue emozioni e con quell'aspetto naturale e spontaneo che risorge da dentro di noi quando riusciamo a mettere in contatto il nostro cuore con la nostra mente.

Alcune ricerche ed esperienze metodologiche trasmesse dal passato hanno dato l'occasione di approfondire e rinnovare concetti a noi molto cari come la consapevolezza del proprie essere, il senso di colpa, l’attaccamento, il potenziale umano, il dialogo, il riconoscimento dell’altro.

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L’elenco potrebbe essere infinito, ma ciò che conta è l’esigenza di identificare il soggetto ed in questo caso il bambino, con un nuovo spirito ed un nuovo desiderio, nel volerlo riconoscere come un essere libero di apprendere e autogestirsi, in un ambiente opportuno, ricco di occasioni di crescita e sperimentazioni.

3.1 La cultura del sapere

Secondo Bruner la mente è versatile, ci permette di conoscere, di costruire significati e svolge funzioni diverse in diverse situazioni.

Bruner esprime una teoria della mente sostenendo alcune precise indicazioni relative al modo di migliorarla e modificarne il funzionamento in modo significativo. Affinché la mente possa operare efficacemente, l'approccio educativo è indispensabile, è fondamentale perché è ricco di risorse e guida verso un agire efficace, pensiamo ad un ambiente aperto e stimolante, in assenza di stress o di uniformità e la disponibilità a creare dialoghi, incontri e beneficiare di feedback dall'esterno.

Queste risorse e condizioni stimolano quello che secondo lo psicologo viene definito come la natura della mente "culturalismo": è un termine che secondo Bruner, identifica un approccio di ispirazione evoluzionista; la mente non potrebbe esistere senza cultura. Difatti l'evoluzione della mente dell’uomo è legata ad uno sviluppo, a un modo di vivere la realtà che viene rappresentata mediante un sistema simbolico, condiviso dai membri di quella comunità culturale. Una condivisione comunitaria che viene conservata, elaborata e tramandata alle generazioni successive ed in virtù di questa trasmissione, continuiamo a mantenere intatti identità e stile di vita della propria cultura.1 (Bruner, 2015, p. 25).

Secondo Bruner sembra ci siano due modi con i quali gli esseri umani organizzano e gestiscono la loro conoscenza del mondo: uno specializzato nel trattare le cose fisiche, l'altro nel trattare le persone e le loro condizioni. Queste forme di pensiero sono convenzionalmente note come pensiero logico-scientifico e pensiero narrativo. Nelle diverse culture si esprimono in modo diverso e vengono coltivate diversamente, alcune ne prediligono un aspetto rispetto all'altro.

Nei luoghi scolastici le arti narrative sono riconosciute nelle canzoni, nelle drammatizzazioni, nel romanzo, nel teatro e altro ma sono viste come qualcosa di decorativo più che necessario, qualcosa per rendere piacevole il tempo libero, mentre a volte sono qualcosa di moralmente esemplare. Noi vediamo le nostre origini culturali, le nostre credenze, sotto forma di storie e non è solo l'aspetto del contenuto ad affascinarci ma anche il modo in cui lo narriamo; d'altronde anche la nostra

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esperienza, le nostre emozioni le comunichiamo sotto forma di racconto e cosa ancor più significativa è rappresentare la nostra vita a noi stessi e agli altri, sotto forma di narrazione.

La narrazione permette di collocarci in un mondo dove sentirci a proprio agio; un bambino necessita di conoscere, avere familiarità con i miti, le storie, le fiabe popolari, i racconti tradizionali della propria cultura; poiché questi incidono, intonano e nutrono l’identità. Inoltre l'attività narrativa stimola l'immaginazione, proiettando nel futuro un posto nel mondo, una casa, un lavoro, gli amici. Il pensiero logico-scientifico ha un valore implicito nella nostra cultura altamente tecnologica e la sua presenza nel curricoli scolastici è scontata, spesso appare fredda, disumana, noiosa, malgrado gli sforzi degli insegnanti di scienze e di matematica. Diversamente, tutto migliorerebbe se riuscissimo a trasformare l'immagine della scienza come un'impresa umana e culturale, come storia degli esseri umani che proseguono, migliorano, sviluppano le idee ed i concetti di grandi predecessori. Ben al di là di questa pura distinzione concettuale, Bruner propone un sistema educativo partecipe, pronto a intervenire aiutando chi cresce in una cultura, a trovare la propria identità nel suo interno e la narrazione consente di costruire un'identità e di trovare un posto nella propria cultura. Potremo dire che l’espressione delle emozioni è una forma di narrazione di se stessi e riuscire a trovare il canale giusto, come la scuola e la famiglia, per poterle manifestare ed avere coscienza, sarebbe l’ideale.

3.1.1 Educ’azione

Molti genitori fanno esperienza di una scuola in cui si trasmettono nozioni e saperi, in cui si insegnano diverse discipline, ma nessuna interconnessa l’una all’altra.

Manca l’apprendimento al saper fare, non vengono preparati alla vita, e tristemente vengono omologati a una conoscenza comune, un po' come i Pink Floyd hanno voluto trasmetterci nella canzone “another brick in the wall”. I bambini sono costretti nei banchi a seguire pedissequamente le lezioni frontali, piuttosto di essere stimolati per i loro talenti naturali, nel diventare esploratori, ricercatori, viaggiatori del proprio sapere in espansione. Si ha la necessità di un nuovo modo di educare, di integrare i saperi e perseguire quel cambiamento radicale di cui la scuola pubblica e la nostra società hanno bisogno.

Oggi non serve più alfabetizzare persone da immettere nelle fabbriche, è necessario passare da sudditi a cittadini, da operai a operanti, intervenendo nel forgiare: "un uomo libero, interconnesso con la propria comunità, capace di vivere con responsabilità un benessere diffuso ed una felicità sostenibile"2(Caprio, 2014, p. 11).

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La destinazione della scuola dovrebbe essere: "…una scuola del saper essere, del saper fare e del sapersi trasformare, utile a sostenere i nuovi cittadini affinché possano diventare i leader del futuro: imprenditori, innovatori, dirigenti o artigiani in accordo con il proprio naturale talento. Donne e uomini per i quali creatività, innovazione, valori etici e motivazione siano elementi portanti con cui vivere una vita piena e, quando serve, affrontare crisi e caos"(Caprio, 2014, p. 12). Sotto questo aspetto i docenti diventerebbero le pietre miliari dell'innovazione sociale e i catalizzatori di una visione integrata e compartecipata; sarebbero i trasformatori del proprio ruolo diventando facilitatori, motivatori, coach, a cui ispirarsi e vivere con responsabilità un benessere ed una felicità sostenibile. L'ideale sarebbe una scuola totalmente integrata con l'ambiente, con la natura, con la comunità. "L'educazione, che significa qualcosa, non dovrebbe allontanare gli esseri umani dalla terra, ma instillare in loro un rispetto anche maggiore per e da, perché le persone istruite sono nella posizione di capire cosa stiamo perdendo" (Caprio, 2014, p. 12, cit. Wangari Maathi).

Nei successivi paragrafi approfondiremo i diversi approcci educativi, le diverse esperienze e contributi dati da educatori che hanno posto al centro del processo educativo il bambino e le sue esigenze.

3.1.2 Insegnare a scuola le emozioni

Gli insegnamenti emozionali per risultare più efficaci, devono plasmarsi in base allo sviluppo del bambino e riproposti agli alunni in diversi momenti della giornata e durante tutto il percorso di crescita; inoltre gli insegnamenti emozionali si adattano alle mutevoli capacità di comprensione dei bambini e ragazzi, in base alle loro tappe evolutive e alle loro necessità derivanti dalla crescita3. A quale età il bambino può entrare in contatto con il suo vissuto emozionale e poterne gestire alcuni aspetti difficili? Alcuni sostengono che non è mai troppo presto e che si debba iniziare fin dai primi anni di vita, altri studiosi e psicologi contemporanei pensano che molti genitori potrebbero essere addestrati come “iniziatori” emozionali dei loro bambini piccoli.4

La relazione presentata da High Scope Educational Research Foundation in Michigan ha sottolineato la necessità di apportare cambiamenti nella programmazione scolastica a partire dal periodo prescolare, poiché la prontezza nell'apprendimento dei bambini dipende in larga misura dall'acquisizione di alcune abilità emozionali essenziali. Gli anni prescolari sono di importanza

3 Gordon T., Insegnanti efficaci, Giunti Lisciani, Teramo, 1991 4 D. Goleman, Intelligenza Emotiva, Rizzoli, Milano, 1996

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cruciale per costruire le abilità fondamentali che produrranno effetti benefici a lungo termine che possono protrarsi fino ai primi anni dell'età adulta: meno problemi con la droga, meno arresti, matrimoni migliori, maggiori capacità di guadagno5(Goleman, 1996, p. 16).

Il repertorio dei sentimenti nel neonato è primitivo, rispetto alla varietà emozionale di un bambino di cinque anni, il quale, a sua volta, è carente rispetto a un adolescente. A questo punto viene da dire che il calendario della crescita emozionale è intrecciato con le tappe di sviluppo cognitive e biologico-cerebrali.

Gli adulti spesso si aspettano dai bambini un grado di maturità che va oltre la loro età, dimenticando che ogni emozione fa la sua comparsa in un momento non programmato in anticipo. I capricci di un bambino di quattro anni possono suscitare i rimproveri del genitore, ma occorre ricordare che l'autoconsapevolezza necessaria all'umiltà, affiora verso i cinque anni. Periodo in cui affiorano altre capacità emozionali quali l'empatia e l'autoregolazione emozionale che si esprimono nel momento del passaggio dalla scuola materna alla primaria. Il bambino viene inserito nel più vasto mondo sociale: “la scuola”, entrando, così, nel mondo della comparazione sociale. È inevitabile confrontarsi con gli altri in merito a qualità particolari come la simpatia, l'attrattiva o i talenti sportivi; questo periodo segna il culmine nella maturazione delle “emozioni sociali”: sentimenti come l'insicurezza e l'umiltà, la gelosia e l'invidia, l'orgoglio e la fiducia, richiedono tutte la capacità di paragonare sé stessi agli altri.

La scuola insieme alla famiglia sono le prime forme sociali con le quali entra in contatto il bambino sin da piccolo. Offre un punto d'appoggio sicuro nella vita; rappresenta un ambiente, soprattutto se la famiglia è inesistente, verso il quale la comunità può rivolgersi per correggere le carenze di competenza emozionale e sociale dei ragazzi. Questo non significa che la scuola da sola riesca a sostituire istituzioni sociali troppo spesso prossime al collasso, ma è un luogo che permette di raggiungere i ragazzi per fornirgli lezioni fondamentali per la vita che, altrimenti, non potrebbe mai ricevere. L'alfabetizzazione emozionale comporta che il ruolo sociale delle scuole si estenda e vada a compensare le deficienze familiari.6 Questo compito richiede due mutamenti importanti: gli insegnanti devono oltrepassare i limiti della propria missione tradizionale e la comunità deve essere più coinvolta nella vita della scuola.

Un corso di alfabetizzazione emozionale si avvale più che mai delle qualità degli insegnanti. Prima di tutto è necessario osservare se gli educatori sono in grado di gestire la classe, poiché questo rappresenta il primo campanello che segnala la competenza emozionale o meno dell’insegnante.

5 High Scope Educational Research Foundation, Ypsilanti, Michigan, aprile 1993. Approfondimenti:

www.highscope.org

6 Daniel Solomon “Enhancing Children's Prosocial Behavior in the Classroom”, gennaio 1988, vedi per

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Una prima selezione tra gli insegnanti è data dagli stessi, poiché coloro che si mostrano partecipi o desiderano collaborare per realizzare un corso di alfabetizzazione emozionale, saranno coloro che sono sicuramente interessati a questi argomenti, perché non tutti per il loro carattere sono portati a insegnare ed a gestire le emozioni. Tanto per cominciare, i docenti hanno bisogno di sentirsi a proprio agio nel parlare dei propri sentimenti e poco o nulla la formazione consueta degli insegnanti li prepara a questo genere di insegnamento. Per queste ragioni, i programmi di alfabetizzazione emozionale in genere prevedono per i futuri docenti parecchie settimane di addestramento speciale su come impostare le lezioni. Sicuramente è molto utile per l’insegnante riuscire a partecipare a questi corsi di approfondimento, ma non tutti riescono a mettersi in gioco emotivamente.

Andando oltre la formazione dei docenti, l'alfabetizzazione emozionale amplia la nostra visione del compito delle scuole, conferendo a esse un importante ruolo sociale nell'impartire ai ragazzi lezioni essenziali per la vita; è questo un ritorno al ruolo classico dell'educazione.

Questo obiettivo richiede che si sfruttino le opportunità fuori e dentro la classe per aiutare i giovani a trasformare momenti di crisi personale in lezioni di competenza emozionale. Il programma funziona anche meglio quando le lezioni a scuola sono coordinate con quello che avviene a casa. Molti programmi di alfabetizzazione emozionale comprendono corsi speciali per i genitori, per insegnare loro ciò che i figli stanno imparando a scuola. Lo scopo non è soltanto quello di consentire ai genitori di integrare ciò che viene impartito a scuola, ma anche quello di aiutare quei genitori che sentono il bisogno di rapportarsi in maniera più efficace con la vita emotiva dei figli.7 Ciò che i ragazzi imparano nei corsi di alfabetizzazione emozionale non rimane una semplice esperienza scolastica, ma viene messo alla prova, praticato e affinato nelle sfide reali della vita. In sintesi il profilo ottimale dei programmi di alfabetizzazione emozionale è di iniziare presto, di essere adeguati all'età, di essere svolti in ogni anno scolastico e di coordinare gli sforzi a scuola, a casa e nella comunità. Anche se questi programmi per gran parte si adattano bene alla normale struttura di una giornata scolastica, essi rappresentano un mutamento rilevante in ogni contesto didattico.

Sarebbe ingenuo non prevedere ostacoli alla loro introduzione nelle scuole. Molti genitori possono ritenere che la materia in se stessa sia troppo personale perché venga trattata a scuola e che sia meglio lasciare temi simili all'educazione dei genitori. Gli insegnanti possono essere riluttanti all'idea di dedicare un'altra parte della giornata a temi che appaiono così slegati dalle materie scolastiche fondamentali; alcuni docenti possono provare dinanzi a questi contenuti un disagio tale da non volerli insegnare e comunque tutti avranno bisogno di un addestramento speciale per farlo.

7C.Saarni, Socioemotional Development: Emotional Competence: How Emotions and Relationships Become Integrated,

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L’alfabetizzazione emozionale attraversa ed esplora diversi contenuti per stimolare nei ragazzi e adulti questo tipo di argomenti:

- Autoconsapevolezza emozionale, per migliorare la capacità di: riconoscere e denominare le nostre emozioni; comprendere le cause dei sentimenti; riconoscere la differenza tra sentimenti e azioni;

- Controllo delle emozioni, per riuscire a: avere una migliore sopportazione della frustrazione e controllo della collera; una minor frequenza di umiliazioni verbali, scontri e disturbi in classe; una migliore capacità di esprimere adeguatamente la collera, senza combattere; un minor numero di sospensioni ed espulsioni; una condotta meno aggressiva o autodistruttiva; sentimenti più positivi sul proprio io, sulla scuola e sulla famiglia; una migliore capacità di affrontare lo stress; una minor solitudine e ansia nei rapporti sociali.

- Indirizzare le emozioni in senso produttivo, agendo verso: un maggior senso di responsabilità; una maggiore capacità di concentrarsi sul compito che si ha di fronte e di fare attenzione; una minore impulsività, maggiore autocontrollo; migliori risultati nelle prove scolastiche.

- Empatia (leggere le emozioni), cercando di affinare: la capacità di assumere il punto di vista altrui; sviluppare empatia e sensibilità verso i sentimenti altrui; la capacità di ascoltare gli altri.

- Gestire i rapporti, ricercando di sviluppare: capacità di analizzare e comprendere i rapporti; capacità di risolvere i conflitti e negoziare i contrasti; capacità di risolvere i problemi nei rapporti; una maggior sicurezza di sé e capacità di comunicare;una maggior simpatia e socievolezza; un comportamento più amichevole con i coetanei e maggior legame reciproco; interesse da parte dei coetanei; interesse e premura verso gli altri;minor individualismo e maggiore disposizione alla collaborazione in gruppo; maggior spirito di condivisione, di collaborazione e di disponibilità a rendersi utili agli altri; maggior democrazia nel trattare con gli altri.

Una voce che non c’è in questo elenco richiede speciale attenzione: il programma di alfabetizzazione emozionale migliora i risultati scolastici dei ragazzi. In un'epoca in cui a troppi giovani manca la capacità di affrontare i propri turbamenti, di ascoltare o di concentrarsi, di tenere a freno gli impulsi, di sentirsi responsabili del proprio lavoro o di curare l'apprendimento, qualunque cosa rafforzi queste abilità contribuirà alla loro educazione. In tal senso l'alfabetizzazione emozionale aumenta la capacità di insegnamento della scuola. Anche in un'epoca di tagli finanziari, si può sostenere che questi programmi valgono l'investimento, perché contribuiscono a invertire la

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tendenza al declino del sistema educativo e danno alla scuola la forza per adempiere alla sua missione principale.

Inoltre, i corsi paiono aiutare i ragazzi a realizzare meglio il loro ruolo nella vita, a diventare migliori amici, studenti, figli e figlie e, nel futuro, ad avere maggiori probabilità di essere migliori mariti e mogli, dipendenti e superiori, genitori e cittadini. Anche se non tutti i giovani acquisiranno queste abilità con pari sicurezza, nella misura in cui ci riusciranno tutti noi ce ne avvantaggeremo. “Un'onda che sale solleva tutte le barche” come dice Tim Shriver, direttore del Programma di Competenza Sociale, nelle scuole di New Haven “Non soltanto i ragazzi che hanno dei problemi, ma tutti i giovani possono trarre benefici da queste abilità; esse sono una vaccinazione per la vita.”(Goleman, 1996, p.185)

3.4 L'intelligenza delle nostre emozioni

Come ben capiva Aristotele, il problema non risiede nello stato d'animo in sé, ma nella "appropriatezza" dell'emozione e della sua espressione. Il punto è come portare l'intelligenza nelle nostre emozioni e quindi averne consapevolezza e di conseguenza, come portare la civiltà nelle nostre strade e l’attenzione per l'altro nella nostra vita di relazione?.

I Romani e i primi cristiani la chiamarono "temperantia": temperanza; in altre parole, la identificavano con la capacità di frenare gli eccessi emozionali. L'obiettivo della temperanza è l'equilibrio, non la soppressione delle emozioni: ogni sentimento ha il suo valore e il suo significato. Aristotele ha osservato quanto sia importante che le emozioni siano "appropriate", in altre parole che il sentimento sia proporzionato alla circostanza. Quando le emozioni sono troppo tenui, compaiono l'indifferenza e il distacco; ma quando sfuggono al controllo, diventando troppo estreme e persistenti, allora sono patologiche, come accade, ad esempio, quando siamo paralizzati dalla depressione, travolti dall'angoscia, oppure anche sopraffatti dalla collera furiosa o dall'agitazione maniacale. (Goleman 1996, p. 43)

Spesso siamo in grado di parlare, di descrivere agli altri le emozioni che stiamo provando e del perché le stiamo provando, nello stesso momento in cui le viviamo; quindi viviamo una sorta di consapevolezza emotiva (conoscenza intuitiva), ma questo non presuppone il fatto che avendone coscienza sia facile esprimerle8.

Osservando le emozioni da un punto di vista fenomenologico, riusciamo ad accumulare una serie di informazioni sull'altro: l’accelerazione del battito cardiaco, respiro accelerato, aumento della pressione sanguigna, rossore in viso, aggrottamento delle sopraciglia e altre sollecitazioni corporee più evidenti; ogni dettaglio fisiologico è fondamentale poiché rispecchia la personalità del soggetto.

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Le emozioni sono esperienze soggettive di intensità rilevante, accompagnate sempre da modificazioni fisiologiche ed espressive dell'organismo, se non da modificazioni comportamentali. Possono avere una provenienza percettiva-sensoriale, una cognitiva o una rivolta a diversi orizzonti temporali (passato, presente e futuro) o rivolta a fatti, eventi, esperienze.

In ambito filosofico e psicologico si parla di “polarità” e “valenza” delle emozioni: questo significa evidenziarle secondo il loro valore, il loro significato da un punto di vista edonistico (azione umana rivolta al piacere) o secondo una visione conativa (azioni tendenti ad un fine). L'approccio edonistico evidenzia che vari tipi di emozioni possono essere classificate in positive o negative, in virtù di quello che ci piace e abbiamo fatto nostro tramite l'esperienza, come suggerisce Aristotele: “ogni emozione deve essere appropriata al momento, alla persona, alla ricerca del proprio benessere.”9

Mentre, osservando le emozioni attraverso una lente epistemologica, si evidenzia come possano essere soggette a valutazione, giudicandole appropriate o meno grazie l’uso della nostra ragione. Questa condiziona e giustifica o meno l'emozione provata, ed esiste una parte della nostra mente che ha bisogno di tempo per registrare le impressioni e per reagire, ma sappiamo che il primo impulso in una situazione emozionale è dettato dal cuore e non dal cervello.

Goleman suggerisce l'esistenza di due menti una che pensa, più razionale, e una che sente, più emotiva10. Queste due modalità della conoscenza, così fondamentalmente diverse, interagiscono per costruire la nostra vita mentale. La mente razionale è la modalità di comprensione della quale siamo solitamente coscienti: si avvale di consapevolezza e riflessione, è capace di ponderare e di riflettere. Accanto a questo tipo di mente né proviamo un'altra, una mente emozionale.

Solo in anni recenti è emerso un modello scientifico della mente emozionale che spiega come le nostre azioni siano in gran parte determinate dalle emozioni e come si possa essere ragionevoli in un certo momento e irrazionali subito dopo.

Il funzionamento della mente emozionale è in larga misura legato a uno stato specifico, ad un particolare sentimento che emerge in quel momento. Nella meccanica delle emozioni, ogni sentimento ha il suo distinto repertorio di pensiero, di reazioni e perfino di ricordi, questi repertori diventano predominanti in momenti di intensa emozione. La presenza di questi repertori è data da un processo di memoria selettiva, cioè la mente attua un riordinamento della memoria e delle opzioni per l'azione, in maniera che le più pertinenti si trovino in posizione gerarchicamente più alta e così siano più facilmente messe in pratica. Difatti ogni importante emozione ha il suo contrassegno biologico: un insieme di mutamenti radicali che tengono in scacco l'organismo mentre

9 N. Liii, Passions and Emotions, Ed.J.E. Fleming, 2012; cap 4 C.L. Griswold, The nature and ethics of vengeful anger. 10 Goleman Daniel, L’intelligenza emotiva, BUR, Milano,2013

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l'emozione sale, una serie di segnali automatici caratteristici, esibiti quando si è nella morsa dell'emozione.

La mente emozionale è assai più rapida di quella razionale, perché passa all'azione senza neppure fermarsi un attimo a riflettere sul da farsi. La sua rapidità le impedisce di riflettere in modo deliberato e analitico, prerogativa della mente pensante. Molto probabilmente questa rapidità, all'interno del processo evolutivo, è stata allenata dall'esigenza di dover prendere decisioni essenziali; soffermarsi troppo a lungo per riflettere sulle risposte da dare in situazioni di emergenza, mettevano in pericolo lo stesso individuo.

Le azioni che scaturiscono dalla mente emozionale sono accompagnate da una sensazione di sicurezza particolarmente forte, derivante da un modo di vedere le cose semplificato e immediato, che può apparire assolutamente sconcertante alla mente razionale.

Nel momento in cui indaghiamo sul perché abbiamo compiuto un'azione piuttosto che un'altra, questo rappresenta un segnale di risveglio della mente razionale.

L'intervallo che intercorre tra il fattore che scatena un'emozione e l'irrompere dell'emozione stessa può essere quasi istantaneo, si calcola in millesimi di secondo. Questa valutazione della necessità di agire deve essere automatica, così rapida che non varca neppure la soglia della consapevolezza. Tale risposta emozionale rapida, si propaga in noi prima di renderci conto cosa sta succedendo. Questa modalità percettiva rapida sacrifica l'accuratezza e un'analisi riflessiva della situazione a vantaggio della velocità, basandoci sulle prime impressioni, reagendo senza prendere tempo.

Il grande vantaggio è che la mente emozionale può leggere una realtà emotiva (lui è adirato con me; lei sta mentendo; questo fatto lo sta rattristando) in un istante, producendo quel giudizio intuitivo immediato che ci dice di chi dobbiamo diffidare, di chi possiamo fidarci e chi si trova in una situazione difficile. La mente emozionale è il nostro radar per scoprire il pericolo; mentre lo svantaggio è che queste impressioni e questi giudizi intuitivi, verificandosi in una frazione di secondo, possono essere erronei o imprudenti.

Paul Ekman11 suggerisce che questa rapidità, data da emozioni che possono sopraffarci prima ancora di essere consapevoli del loro insorgere, sono essenziali per il loro elevato valore adattativo: esse ci mettono in movimento per reagire a fatti incalzanti, senza perdere tempo a pensare se o come rispondere. Ekman e i suoi collaboratori hanno scoperto che le espressioni emozionali cominciano a manifestarsi con mutamenti della muscolatura facciale in pochi millesimi di secondo dopo l'evento che scatena la reazione, inoltre i mutamenti fisiologici tipici di una certa emozione come: la deviazione del flusso sanguigno e l'accelerazione del battito cardiaco, iniziano anch'essi

11

P. Ekman, Friesen W.V., Ellsworth P., Emotion in the human face: Guidelines for research and an integration of findings, NY Pergamon Press, New York, 1972

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dopo poche frazioni di secondo. Questa celerità vale soprattutto per emozioni intense, come la paura di una minaccia improvvisa.

I nostri sentimenti più intensi sono reazioni involontarie; non possiamo decidere quando insorgeranno. "L'amore," ha scritto Stendhal "è come una febbre che va e viene indipendentemente dalla volontà." Non solo l'amore, ma anche la collera e la paura si impadroniscono di noi, sembrano accadere senza essere scelte da noi.12

La dicotomia emozionale/razionale è simile alla popolare distinzione fra "cuore" e "mente"; quando sappiamo che qualcosa è giusto "con il cuore" la nostra convinzione nel prendere una decisione è in qualche modo una certezza più profonda, di quanto possa essere prendere una decisione con la mente razionale.

Nella maggior parte dei casi, queste due menti, emozionale e razionale, operano in grande armonia ed integrano le loro modalità di conoscenza, così diverse, per guidarci nella realtà. L'equilibrio tra questi due momenti è dato da un semplice processo: l’emozione alimenta e informa le operazioni della mente razionale, mentre questa rifinisce e a volte pone il veto agli input delle emozioni.

Queste due menti sono perfettamente coordinate, in quanto i sentimenti sono essenziali per il pensiero razionale, proprio come questo lo è per i sentimenti. Ma quando le passioni aumentano d'intensità, l'equilibrio si capovolge: la mente emozionale prende il sopravvento, travolgendo quella razionale. Mentre a livello neurologico chi interviene per dominare le emozioni, è la corteccia prefrontale che soppesa le reazioni prima di passare all'azione, smorza i segnali di attivazione inviati dall'amigdala e da altri centri limbici; possiamo paragonare questo meccanismo a un genitore che frena il proprio bambino impulsivo, impedendogli di afferrare ciò che vuole e insegnandogli a chiederlo educatamente.

3.4.1 Il cervello emotivamente consapevole: Mindfulness

Il termine ed il concetto di Mindfulness ha origini molto antiche, una storia di oltre 2500 anni e fonda le sue origini nelle tradizioni contemplative buddiste. Mindfulness deriva dalla parola "Sati" in lingua Pali e fa riferimento ad uno stato cognitivo che è caratterizzato da "presenza mentale" in cui i fenomeni interni ed esterni vengono visti per quelli che sono, inoltre permette una distinzione tra i fenomeni e le proprie proiezioni, distorsioni mentali.

Lo sviluppo della Mindfulness aumenta la capacità di ricordarsi dei propri pensieri e comportamenti e delle loro conseguenze su di sé e sugli altri, permettendo di imparare dai propri errori e quindi di progredire sul cammino dell'etica.

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L'addestramento che porta a sviluppare la capacità di raggiungere una visione chiara e accettante dei propri pensieri, emozioni, sensazioni e azioni, insieme alle loro conseguenze momento dopo momento, avviene attraverso tecniche di meditazione.

In altre parole, attraverso queste pratiche meditative, l’individuo si esercita ad avere una relazione accettante, consapevole e decentrata con le proprie esperienze; senza criticarle né etichettarle né giudicarle ma accettandole e considerandole per quelle che sono. La pratica di Mindfulness non conduce verso uno stato alterato di coscienza o una specie di trance, al contrario si resta "svegli" e ci si accorge di eventuali alterazioni di coscienza per ritornare ad una attenzione consapevole. Dal punto di vista della Mindfulness non esistono pensieri migliori o peggiori, ci sono solo pensieri che sono vissuti per quello che sono: stati della mente transitori con cui si può avere una relazione più accettante e decentrata.

Le basi della Mindfulness sono:

- La consapevolezza del momento presente;

- Il ricordarsi dei propri pensieri, emozioni e azioni e delle loro conseguenze su di sé e sugli altri.

La Mindfulness insieme alla saggezza e agli aspetti etici aiuta ad avere una sempre più chiara comprensione di ciò che è salutare e va perseguito e ciò che non lo è e va abbandonato.

Il Dalai Lama afferma: "più cerchiamo miglioramenti sul piano materiale, ignorando le soddisfazioni che emergono da una crescita interiore, più i valori etici spariscono in fretta dalle nostre comunità"13.(Goleman, 2003, p.111)

Jon Kabat Zinn è il fondatore dell’uso clinico moderno della Mindfulness, definendola come: "il processo di prestare attenzione in modo particolare: intenzionalmente, in maniera non giudicante, allo scorrere dell'esperienza nel presente, momento dopo momento" 14(Zinn 1994, p. 16).

In definitiva la Mindfulness è la consapevolezza che emerge dal porre attenzione al momento presente, sospendendo il giudizio; vivere l'esperienza nel momento presente significa viverla prestando attenzione senza giudicarla, accogliendola in maniera gentile, accettante, amorevole, compassionevole.

Abbiamo quindi due componenti prettamente interconnesse nel processo mindful:

1. l'abilità di dirigere l'attenzione al momento presente, detta anche autoregolazione dell'attenzione;

2. nel dirigere l'attenzione verso il momento presente, siamo guidati dalla curiosità, dall'apertura e dall'accettazione.

13

D.Lama, D.Goleman, Emozioni distruttive, Mondadori, 2003

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Queste due componenti permettono alla persona di relazionarsi con le proprie esperienze in maniera mindful, quindi con consapevolezza, accoglienza e accettazione.

Allo stesso tempo la psicologia moderna definisce la Mindfulness come una specifica modalità di vivere l'esperienza interna ed esterna con attenzione, senza giudicarla, accogliendola e accettandola momento dopo momento così com’è, si tratta dunque di uno "stato" mentale.

La pratica della consapevolezza addestra a stare con l'esperienza interna ed esterna del momento, senza cercare di modificarla in alcun modo. Questo permette alla persona di vivere pienamente e consapevolmente, di osservare quello che sta accadendo, di riconoscerlo e comporta quindi una visione più chiara del momento presente. Questo ha come effetto una maggiore conoscenza di se stesso, dando valore alle proprie intenzioni, al desiderio di, scopi e propri valori personali, inoltre da una maggiore conoscenza del funzionamento della mente e dei propri stati mentali. Incoraggia la capacità di fermare la reazione automatica e di farsi una visione più chiara del presente insieme alla conoscenza accettante di sé e del proprio progetto esistenziale, permette la gestione del momento più efficace e funzionale al proprio benessere. Un esempio molto chiaro può aiutare a comprendere cosa significa in pratica Mindfulness:

"Chiara soffre di un disturbo alimentare. È davanti al computer cercando di fare un lavoro che non le riesce bene. Il suo ragazzo l‘ha chiamata dicendole che oggi non può vederla. Chiara si alza dalla sedia, va in cucina, apre il frigo e comincia a mangiare in piedi quello che le capita tra le mani. Vedendo cosa sta facendo o ripensandoci dopo, si definisce uno schifo, si sente uno schifo e si mangia anche tre scatole di biscotti". A questo punto si possono chiarire due percorsi:

1. Chiara davanti al computer dopo la telefonata del ragazzo, si ferma e comincia a vivere consapevolmente gli stati mentali (pensieri, emozioni, sensazioni somatiche). È arrabbiata, si sente inadeguata dal ruolo e da tutto il resto, sente l'impulso di alzarsi e andare al frigorifero;

2. Chiara si ferma dopo aver mangiato varie cose in piedi davanti al frigorifero e diviene consapevole di quanto si senta uno schifo, inadeguata alla vita, sopraffatta. Prendere consapevolezza di voler continuare a mangiare. Chiara sospende la critica e si vive consapevolmente il presente.

Nel primo caso Chiara può decidere di non adottare la strategia di mangiare ed agire in modo diverso, più funzionale ai propri desideri, valori e quindi al proprio benessere. Nel secondo caso Chiara può ricordarsi che mangiare dieci cose non è uguale che mangiarne trenta, che può mettere l'abbuffata in qualsiasi momento e fare qualcosa di funzionale.

In entrambi i casi, lo stato mindful permette a Chiara di vivere consapevolmente le proprie emozioni, di accettarle per quello che sono, conoscendo e riconoscendole. Può porre uno spazio tra

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queste e la reazione impulsiva dell’abbuffata, dandosi la possibilità di scegliere liberamente come agire, soppesando vantaggi e svantaggi dei diversi comportamenti possibili rispettando i propri desideri e valori. L'accettazione permette di stare dentro l'esperienza, senza esserne travolti e quindi progettare il fare con una visione più chiara e completa.

3.5 L’empatia come gestione emotiva

Il legame tra empatia e attenzione partecipe si concretizza nel sentire col cuore il dolore altrui come un nostro dolore. Provare un sentimento insieme a un altro essere umano significa essere emozionalmente partecipi. Spesso l'atteggiamento empatico è strettamente legato alla formulazione di giudizi morali, in quanto i problemi etici comportano la presenza di vittime potenziali.

Le radici della moralità sono da ricercarsi nell'empatia, in quanto gli individui si sentono spinti ad aiutare gli altri nel superare alcune sofferenze o proteggerli da alcuni pericoli, empatizzando con le vittime di sofferenza ne condividono la pena. Questo legame immediato esistente fra empatia e altruismo nelle relazioni interpersonali, provoca un affetto empatico, determina di mettersi nei panni degli altri, induce la gente a seguire certi principi morali.

Secondo Julien A. Deonna e Fabrice Teroni esistono emozioni che permettono di percepire una stretta relazione tra la natura dei nostri sentimenti ed il ruolo dei valori morali.

La nascita di emozioni morali giocano un ruolo fondamentale nelle situazioni di rilevanza morale, provando così emozioni come: compassione, intesa come emozione moralmente buona; indignazione e senso di colpa.15

Le emozioni sono influenzate da valori morali che sono relativi, soggettivi e si manifestano nelle piccole cose, in piccoli gesti quotidiani. Il concetto di valore può essere riassunto in due aspetti: correttezza e giustificazione. Ad esempio si può giustificare un'azione ed allo stesso tempo si può considerare non corretta; prendiamo l'esempio di un uomo che per difendersi da uno scippo, picchia il ladro; questo atteggiamento si può giustificare ma allo stesso tempo può essere considerato non corretto e di conseguenza si esprime un'emozione data da un confronto con i propri valori morali. La visione valoriale che abbiamo della realtà è soggettiva e proprio per questo è difficile sottoporre l'emozione ad una valutazione, considerandola giusta o sbagliata o semplicemente giustificandola. L'effetto giudicante può comparire in diversi momenti: nel momento in cui nascono le emozioni o nell’attimo in cui si reagisce a causa dell’emozione sentita, ma questo dipende unicamente dal soggetto16.

15 Julien A. Deonna and Fabrice Teroni, The Emotions. A Philosophical Introduction, London/New York: Routledge,

2012

(15)

Il giudizio valutativo non è sempre necessario, non è possibile giudicare sempre le emozioni che proviamo o calcolare quello che desideriamo, quello in cui crediamo o riflettere sull’emozione che sentiamo; alcune volte vengono spontanee, sono inconsapevoli, pensiamo ai bambini a come si arrabbiamo per soddisfare il proprio desiderio di fame, e la loro reazione è spontanea, incosciente.17 Nonostante esista una stretta relazione tra valore-emozione-reazione, utilizzare il solo l'aspetto valoriale per giustificare o giudicare un'emozione come giusta o sbagliata, non basta, in realtà è necessario creare uno spazio, una distanza tra i criteri valutativi e le emozioni, affinché possano intervenire altri elementi responsabili e fondamentali nel riconoscere le emozioni come giuste, sbagliate o giustificabili, questo perché non possiamo trascurare tutta una serie di informazioni “percettive” che si elaborano a livello cognitivo.

La percezione del proprio stato emotivo permette un cambiamento fisiologico, influenzando la stessa emozione e innescando un processo cognitivo che influenzerà la valutazione dell'oggetto o evento e la conseguente emozione.

Questa compartecipazione tra giudizio valutativo delle emozioni, la loro percezione e l'innesco di un processo cognitivo non deve fuorviare dall'idea che le emozioni hanno una caratteristica fondamentale: la loro manifestazione è legata ad un motivo.

Difatti il rischio di questo discorso è considerare l'espressione emotiva come un evento che non fornisce nessuna spiegazione e spesso si pensa che non abbia ragione di esistere ma in realtà ogni emozione ha un perché e se emerge, vuol dire che c'è un motivo.

Questo motivo pressoché inespresso può essere stimolato ad emergere grazie all’intervento dell’empatia.

Goleman ritiene che l'empatia e la compassione si sviluppano in modo naturale a partire dall'infanzia18. Come abbiamo visto, a un anno di età un bambino si sente profondamente a disagio quando vede un altro cadere e comincia a piangere; il suo rapporto con l'altro è talmente forte e immediato da indurlo a mettersi il pollice in bocca e a seppellire la testa nel grembo della madre, come se si fosse fatto male lui stesso.

Dopo il primo anno di vita, quando il bambino acquista una maggior consapevolezza del fatto di essere un’entità distinta dagli altri, cerca di consolare attivamente un coetaneo che piange offrendogli, ad esempio, degli orsacchiotti19. Già all'età di due anni, i bambini cominciano a rendersi conto che i sentimenti degli altri sono diversi dai loro, e perciò diventano più sensibili ai segnali che rivelano i sentimenti altrui. A questa età compaiono i primi segni che esprimono la

17 Ibidem, cap 3 18

Daniel Goleman, L’intelligenza emotiva, BUR, Milano,2013

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capacità di controllare le proprie emozioni. Verso i due anni i bambini cominciano a saper aspettare, a discutere ed a usare la persuasione per ottenere ciò che vogliono senza ricorrere alla forza, anche se non sempre decidono di non usarla; a tratti compare la pazienza e compaiono i primi segni di empatia, la sorgente della compassione.

Per riuscire a controllare le emozioni di qualcun’altro come le proprie, si richiede la maturità di un’altra capacità emozionale: l'autocontrollo che insieme all'empatia costituiscono le basi per la maturità delle "abilità sociali": competenze sociali che contribuiscono a rendere l'individuo efficace nella relazione con gli altri. La mancanza di queste capacità possono portare l'individuo, anche se brillante da un punto di vista intellettivo, ad avere pessime relazioni sociali poiché si rivelerebbe arrogante, antipatico o insensibile20.

Mentre l'acquisizione di queste competenze sociali consentono all'individuo di accogliere la relazione, di dialogare, di persuadere e influenzare gli altri mettendoli a proprio agio.

Difatti verso la fine dell'infanzia emerge il livello più avanzato di empatia; i bambini, infatti, sono ora in grado di comprendere la sofferenza anche al di là della situazione contingente. A questo punto essi possono provare sentimenti di pena per un intero gruppo, ad esempio per i poveri, gli oppressi e gli emarginati. Questa comprensione, nell'adolescenza, può portare al radicarsi di convinzioni morali imperniate sul desiderio di alleviare l'infelicità e l'ingiustizia nell’umanità.21

(Goleman !996, p. 76)

Non possiamo escludere due considerazioni fondamentali nell'espressione dell'emotività: una riguarda l'espressione emotiva in relazione a ciò che si desidera e l'altra sottolinea l'espansione emotiva, cioè l'emozione è vista come un agente di contagio.

Le ultime teorie filosofiche prevedono che la reazione emotiva è sostenuta e spinta da ciò che si desidera, mentre la nascita di un'emozione non avviene grazie ai desideri. Le emozioni quando nascono sono influenzate dalle credenze, dei valori personali, dalle esperienze e solo successivamente la reazione emotiva dipende dai desideri. I desideri appaiono essenzialmente diretti verso cose che non si credono di ottenere.

Le persone reagiscono in base al desiderio, ed è per questo che le reazioni non sono uguali per tutti, appunto perché i desideri sono diversi fra i soggetti.

Trascurare l'elemento "desiderio" sarebbe sbagliato poiché i desideri partecipano e influenzano il nostro vivere; dal soddisfacimento del nostro desiderio proviamo benessere e questo influenzerà il sorgere di altre emozioni. Deonna e Teroni affermano che dopo la percezione del desiderio si manifesta l'emozione, quindi il desiderio può arrivare anche prima dell'emozione e la soddisfazione o l'insoddisfazione del desiderio crea un certo tipo di emozione.

20Piergiorgio Foglio Bonda, Disturbi psicologici dello sviluppo infantile, FrancoAngeli, Milano, 1994 21 D. Goleman, Intelligenza emotiva, Rizzoli, 1996

(17)

L'esempio che riportano gli autori permette di comprendere molto bene questa associazione tra emozione e desiderio: A) passeggiando per strada vedo un cane e credo che sia pericoloso, ho paura, il mio desiderio è scappare; B) passeggio per strada e desidero non incontrare cani e sono soddisfatta se non lo vedo; nel momento in cui lo incontro, mi sento frustrata, il mio desiderio non è soddisfatto, ho paura perché credo mi faccia del male e desidero scappare. È un piccolo esempio che evidenzia in semplici parole ciò che ci accade quando desideriamo. Ma il desiderio non è l’unico ad intervenire nell’innesco delle nostre reazioni. Come affermavamo in precedenza esiste un aspetto delle emozioni che riguarda il “contagio” delle stesse.

3.6 Contagio emotivo

Gli episodi di contagio emotivo sono molto sottili e fanno parte di un tacito scambio che si verifica in ogni interazione umana: trasmettiamo e captiamo gli stati d'animo in una continua interazione reciproca. Questo scambio emotivo avviene solitamente a un livello quasi impercettibile; il modo in cui un commesso ci ringrazia può lasciarci con la sensazione di essere stati ignorati, offesi o veramente accolti e apprezzati come i benvenuti. I sentimenti degli altri ci contagiano proprio come se si trattasse di virus sociali. In ogni interazione, noi inviamo segnali emozionali che influenzano le persone con le quali ci troviamo. Quanto più siamo socialmente abili, tanto meglio riusciamo a controllare i segnali che emettiamo.

Secondo Daniel Goldman nell’Intelligenza emotiva si miscelano diversi fattori come: l'autocontrollo, l'empatia, la pervicacia e l'attenzione verso gli altri; è una forma particolare di intelligenza che ci consente di sopravvivere in un ambiente ostile e di elaborare strategie che sono alla base dell'evoluzione umana, e può aiutare tutti ad affrontare un mondo complesso, violento, difficile. L'intelligenza emotiva permette di governare le emozioni e di guidarle in direzioni più vantaggiose, è la capacità di capire i sentimenti degli altri al di la delle parole, spinge alla ricerca di un beneficio duraturo piuttosto che verso un soddisfacimento immediato. L'intelligenza emotiva si può apprendere e perfezionare: imparando a riconoscere le emozioni proprie quelle degli altri, e questo nuovo linguaggio delle emozioni si potrà insegnare ai bambini rimuovendo alla radice le cause di molti e gravi squilibri dell'età evolutiva.22 (Goleman, 1996 p.10-11)

L’intelligenza emotiva aiuta a formare persone capaci nel sostenere altre persone, incoraggiandole a placare i propri sentimenti.

Quando due persone interagiscono, lo stato d'animo viene trasferito dall'individuo che esprime i sentimenti in modo più efficace, a quello più passivo. Questo scambio avviene quasi sotto forma di

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danza, una sincronia tra emozione provata e conseguente reazione fisiologica, messe in rapporto con la trasmissione emotiva sotterranea che si trasmette nel momento in cui interagiamo con gli altri. Entrambe le persone che vivono questo scambio emotivo, attuano quasi in sincronia gli stessi atteggiamenti o risposte comportamentali rinforzando il loro feeling emotivo.

Questo movimento sincronico è osservato nella relazione tra madre e figlio dallo psichiatra e psicoanalista Daniel Stern che chiarisce il legame fra i movimenti di individui che provano un contatto emozionale. Lo stesso Stern, è stato fra i più autorevoli esponenti moderni del movimento dell’Infant Research promuovendo una feconda integrazione fra i risultati delle ricerche sullo sviluppo psicologico precoce nella prima infanzia e i tradizionali concetti psicoanalitici. Utilizza i metodi sperimentali per studiare l’interazione madre-bambino; i suoi contributi hanno dimostrato che esiste nel bambino, fin dalle più precoci fasi della vita, la capacità e il bisogno di relazionarsi con la madre invalidando le precedenti teorie che concepivano il neonato come indisitinto e incapace di relazionarsi.23 La trasmissione emotiva può avvenire sia per stati d’animo positivi, sia negativi. Ma indipendentemente dal fatto che le persone siano ottimiste o demoralizzate, quanto maggiore è la sintonia fisica nelle loro relazioni sociali, tanto più simili tenderanno a diventare i loro stati d'animo24. Anche a livello scolastico tanto più stretta è la coordinazione dei movimenti fra insegnante e studente, tanto più essi si sentono amici, felici, entusiasti e tolleranti durante l'interazione.

Avere un elevato livello di sincronia significa essere in accordo con gli altri, piacersi.

Goleman confrontandosi con studi eseguiti da Frank Bernieri, psicologo della Oregon State University, affermò: “Il modo in cui ti senti con qualcun altro, impacciato o a tuo agio, è in una certa misura una sensazione a livello fisico. Nell'interazione, i due partner devono avere ritmi compatibili, coordinare i movimenti, sentirsi a proprio agio. La sincronia riflette profondità di legame fra i partner; se essi sono molto legati, i loro stati d'animo cominciano a fondersi, indipendentemente dal fatto che siano positivi o negativi”.25 (Goleman 1996,p. 83)

Un fattore determinante affinché le relazioni interpersonali siano efficaci è l'abilità con la quale l'individuo attua questa sincronia emotiva. Se egli è capace di entrare in sintonia con gli stati d'animo altrui, o riesce facilmente a trascinare gli altri nella scia dei propri, allora, dal punto di vista emozionale, le interazioni procederanno in modo più tranquillo.

23 D. N. Stern,Il mondo interpersonale del bambino, Boringhieri, 1987 24

Ibidem

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Allo stesso modo gli individui incapaci di ricevere o trasmettere emozioni sono destinati a relazioni interpersonali problematiche, dal momento che spesso gli altri si sentono a disagio con loro, pur non riuscendone a spiegare in modo articolato il perché.

3.7 L’agire consapevole

Il nostro modo di comportarci nella vita è determinato da due cervelli, due menti, due diversi tipi di intelligenza: quella razionale e quella emotiva; non solo dal Q.I.

Gli psicologi usano termini piuttosto pomposi tipo "metacognizione" per riferirsi a una consapevolezza dei processi di pensiero, e quello di "metaemozione" per indicare la consapevolezza delle proprie emozioni(Goleman 1996, p. 36).

Goleman preferisce parlare di “autoconsapevolezza” per indicare la continua attenzione ai propri stati interiori. Autoconsapevolezza vista come consapevolezza introspettiva: la mente osserva e studia l'esperienza, ivi comprese le emozioni.26 Questa consapevolezza è la competenza emozionale fondamentale sulla quale si basano tutte le altre, come ad esempio l'autocontrollo.

John Mayer, uno psicologo della New Hampshire University, insieme a Peter Salovey di Yale, sono i padri della teoria dell'Intelligenza emotiva, affermano che: essere consapevoli di sé, in breve, significa essere consapevoli sia del nostro stato d'animo che dei nostri pensieri su di esso ecco alcuni pensieri tipici che rivelano l'autoconsapevolezza emozionale27.

L'autoconsapevolezza ha un effetto più potente sui sentimenti negativi molto intensi: quando diciamo a noi stessi “Ecco, quella che sto provando è collera” questa consapevolezza ci offre un maggior grado di libertà, in altre parole, ci dà la possibilità di decidere non solo di non agire spinti dall'impulso della collera, ma anche di cercare in qualche modo di sfogarla.

Sebbene i sentimenti forti possano disturbare il ragionamento creandovi il caos, la mancanza di consapevolezza sui sentimenti può anch'essa rivelarsi disastrosa, soprattutto quando si devono soppesare decisioni dalle quali dipende in larga misura il nostro destino: quale carriera intraprendere; se conservare un posto di lavoro sicuro o passare a un altro, più a rischio ma anche più interessante; con chi avere una relazione; chi eventualmente sposare; dove vivere; quale appartamento affittare o quale casa acquistare e così via, per tutta la vita. Queste decisioni non possono essere prese servendosi della sola razionalità, nuda e cruda; esse richiedono anche il contributo che ci viene dai sentimenti viscerali e quella saggezza emozionale che scaturisce dalle esperienze del passato.

26

Jon Kabat-Zinn, "Wherever You Go, There You Are", Hyperion, New York 1994.

(20)

La logica formale da sola non potrà mai servire per decidere chi sposare o in quale persona riporre fiducia, e nemmeno quale lavoro scegliere; questi sono tutti campi nei quali la ragione, se non è coadiuvata dal sentimento, è cieca.

In questi momenti, i segnali intuitivi che ci guidano arrivano in forma di impulsi provenienti dalle viscere e regolati dal sistema limbico: Damasio, neurologo, li chiama “marker somatici” letteralmente sentimenti viscerali. (Goleman 1996, p. 40).

Il marker somatico è un tipo di allarme automatico, che solitamente attira l'attenzione su un pericolo potenziale proveniente da un'azione in corso di svolgimento. La chiave per scandagliare i nostri processi decisori personali è dunque quella di essere in sintonia con i propri sentimenti.

Le emozioni che si covano al di sotto della soglia della consapevolezza possono avere un impatto potente sul nostro modo di percepire e reagire, anche se non ce ne rendiamo conto. Prendiamo, ad esempio, un soggetto che abbia avuto un’esperienza sgradevole con una persona e resta infastidito per ore, offendendo a sproposito e rimbeccando aspramente gli altri senza motivo. Può darsi benissimo che costui non si renda conto della propria irritabilità e che si sorprenda quando qualcuno gliela fa notare, sebbene sia proprio quell'irritabilità, appena al di là della consapevolezza, ad imporgli le sue brusche risposte. Ma una volta che l'azione viene portata nella consapevolezza - una volta che essa è stata registrata dalla corteccia, quest'uomo potrà rivalutare la situazione e decidere di scrollarsi di dosso i sentimenti lasciatigli dall'incontro sgradevole del mattino, cambiando prospettiva e stato d'animo. In questo modo, l'autoconsapevolezza delle proprie emozioni è l'elemento costruttivo essenziale di un altro importantissimo aspetto dell'intelligenza emotiva, ossia la capacità di liberarsi di uno stato d'animo negativo.

I momenti difficili, come del resto anche quelli positivi, danno sapore alla vita, ma per farlo devono essere in equilibrio. Infatti, è il rapporto fra emozioni negative e positive che determina il senso di benessere psicologico Questo non vuol dire che per sentirsi contenti si debbano evitare i sentimenti spiacevoli; piuttosto, è importante che i sentimenti molto intensi non sfuggano al controllo, spazzando via tutti gli stati d'animo piacevoli. Le persone soggette a violenti episodi di collera o depressione possono riuscire ancora a provare un senso di benessere se godono di momenti ugualmente felici o gioiosi che controbilanciano i sentimenti negativi.

Il controllo delle proprie emozioni è come un lavoro a tempo pieno: molte delle nostre azioni, non sono altro che tentativi di controllare i nostri stati d'animo.

L'arte di tranquillizzare e confortare se stessi è una capacità fondamentale nella vita; alcuni teorici della psicoanalisi, come John Bowlby e D. W. Winnicott, la considerano come uno degli strumenti psichici fondamentali. Secondo la loro teoria, i bambini emozionalmente sani imparano a

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confortarsi da soli imitando le persone che si prendono normalmente cura di loro e diventando così meno vulnerabili alle tempeste scatenate dal cervello emozionale.28 (Mingazzini,2006, p 56)

Come abbiamo visto, la struttura delle connessioni cerebrali comporta che non possiamo assolutamente controllare in "quale" momento verremo travolti dalle emozioni, né "quale" emozione ci travolgerà. Tuttavia, possiamo, in una certa misura, controllare "la durata" dell'emozione.

Osservando la collera, probabilmente, l'amigdala è una delle fonti principali di quel tipo di rabbia improvvisa che proviamo nei confronti dell'automobilista la cui guida imprudente ha messo a repentaglio la nostra sicurezza. L'altro componente del circuito emozionale, la neocorteccia, molto probabilmente fomenta invece una collera più calcolata, ad esempio il desiderio di vendetta a sangue freddo o il senso di offesa di fronte alla slealtà o all'ingiustizia.

Tutto questo ci porta a capire quanto sia fondamentale la capacità di incanalare le emozioni verso il raggiungimento di un fine produttivo. La gestione emotiva può manifestarsi nel controllo degli impulsi, nel regolare i nostri stati d'animo in modo che essi facilitino invece di ostacolare il pensiero razionale, nel trovare la motivazione per insistere e provare nonostante gli insuccessi, oppure nel trovare i modi per entrare nello stato di flusso e dare quindi prestazioni ottimali: in ogni caso, tutti questi comportamenti indicano che, applicata ai nostri sforzi, l'emozione può rivelarsi un motore potente, capace di dare loro maggiore efficacia.

3.8 Nueva Learning Center

In diverse scuole si vivono esperienze di gestione ed espressione delle emozioni.

Il caso riconosciuto e ritenuto interessante da Goleman riguarda la Nueva Learning Center, una scuola ottenuta dalla ristrutturazione di quella che un tempo era la grande villa della famiglia Crocker, la dinastia che fondò una delle più grandi banche di San Francisco.

Si vive uno strano gioco di ruoli che si svolge in una quinta elementare, tra quindici alunni seduti in cerchio sul pavimento con le gambe incrociate nello stile dei pellirosse. Quando l'insegnante li chiama per nome, i bambini non rispondono con l'inespressivo “presente” in uso nelle scuole, ma

28

(22)

con un numero che indica come si sentono; “uno” significa essere giù di corda, “dieci” sentirsi pieni di energia.

Oggi il morale è alto: “Jessica.”

“Dieci. Sono su di giri, è venerdì.” “Patrick.”

“Nove. Sono eccitato, un po' nervoso.” “Nicole.”

“Dieci. Sono serena e felice...”

In questa scuola si svolgono le lezioni di Scienza del sé, può essere considerato un corso modello di intelligenza emotiva. Oggetto della Scienza del sé sono i sentimenti: i propri e quelli che scaturiscono dai rapporti con gli altri. L'argomento, per la sua stessa natura, richiede che insegnanti e studenti si concentrino sul tessuto emozionale della vita di un bambino, tema che viene volutamente ignorato in quasi tutte le altre scuole americane. In questo caso, la strategia consiste nell'utilizzare come argomento del giorno le tensioni e i traumi presenti nella vita dei bambini. Gli insegnanti parlano di questioni concrete: del dolore di sentirsi esclusi, dell'invidia, dei contrasti che potrebbero sfociare in una zuffa nel cortile della scuola.

Karen Stone McCown, direttrice della scuola, ha elaborato il programma della Scienza del sé, e grazie alle esperienze svolte ha affermato: “l'apprendimento non avviene a prescindere dai sentimenti dei ragazzi. Ai fini dell'apprendimento, l'alfabetizzazione emozionale è importante come la matematica e la lettura” 29

(Goleman, 1996, p.15).

La Scienza del sé è una disciplina pionieristica, antesignana di un'idea che sta diffondendosi in ogni scuola da una costa all'altra degli Stati Uniti. Le denominazioni di questi corsi vanno da “Sviluppo sociale” ad “Abilità di vita”, ad “Apprendimento sociale ed emozionale”. Alcuni, riferendosi alla concezione delle intelligenze multiple di Howard Gardner30, usano la definizione “intelligenze personali”. Il filo comune è l'obiettivo di alzare il livello della competenza sociale ed emozionale nei ragazzi come parte della loro istruzione regolare: non si tratta di un insegnamento di recupero per ragazzi poco sicuri, ritenuti “in difficoltà”, ma di un insieme di abilità e di comprensioni essenziali per chiunque.

I corsi di alfabetizzazione emozionale hanno radici lontane nel movimento per l'educazione affettiva degli anni Sessanta. All'epoca si pensava che le lezioni psicologiche e motivazionali venissero apprese meglio se comportavano l'esperienza immediata di quanto veniva insegnato

29

D. Goleman, Intelligenza emotiva, intervista con Karen Stone McCown in "The New York Times", 7 novembre 1993.

(23)

concettualmente. Il movimento per l'alfabetizzazione emotiva rovescia però completamente il senso della "educazione affettiva", perché invece di usare l'affettività per educare, educa la stessa affettività.

Molti di questi corsi e l'impulso alla loro diffusione provengono da una serie di programmi scolastici di prevenzione in corso di attuazione, ciascuno dei quali ha di mira un problema specifico dell'adolescenza: il fumo, l'abuso di droghe, le gravidanze precoci, gli abbandoni scolastici e, più recentemente, la violenza.

Questi programmi sono molto più efficaci quando insegnano un nucleo di competenze emozionali e sociali fondamentali, come il controllo degli impulsi e della collera, e il trovare soluzioni creative alle situazioni sociali difficili.

Gli insegnanti ordinari svolgono i programmi e sono insieme agli alunni i protagonisti dell'alfabetizzazione emozionale nelle scuole, in cui le materie di insegnamento sono le emozioni e gli aspetti della vita sociale vera e propria, mettendo in risalto elementi rilevanti della vita quotidiana dell'alunno che non vengono più considerati come intrusioni non pertinenti all’insegnamento che si sta svolgendo in classe.

Le lezioni, a uno sguardo superficiale, possono apparire piatte, inadeguate a offrire una soluzione ai drammatici problemi che affrontano. Ma ciò accade soprattutto perché, come in una buona educazione familiare, le lezioni impartite sono di basso profilo, ma assai significative e vengono tenute regolarmente e per un lungo periodo di tempo. E' così che l'apprendimento emozionale mette radici e fruttifica: quando le esperienze vengono ripetute di continuo, il cervello le accoglie come percorsi consolidati, come abitudini neurali a cui ricorrere in momenti di costrizione, di frustrazione e di sofferenza. E anche se i contenuti quotidiani delle lezioni di alfabetizzazione emozionale possono apparire banali, il risultato, formare esseri umani dignitosi, è ciò che importa di più per il futuro umano.

Gli studenti imparano nella Scienza del sé che il punto non è quello di evitare completamente i conflitti, ma di risolvere i contrasti e di sciogliere il risentimento prima che degenerino in un vero e proprio scontro.

La scuola Nueva Learning Center, rappresenta un istituto comprensivo in cui si sviluppano percorsi dalla prima infanzia (asilo nido e scuola materna) sino alle sezioni di scuola superiore. Si insegna un aspetto molto importante della personalità: la sicurezza di sé (distinta dall'aggressività o dalla passività), sottolineando la necessità di esprimere con franchezza i propri sentimenti, ma in maniera da non degenerare nell'aggressività.

Con l'aiuto di un istruttore e adoperando concretamente strumenti quali la sicurezza di sé e l'ascolto attivo, i bambini diventano specialisti nel reagire in nodo non violento e ricorrono a questi strumenti

(24)

nei momenti in cui se ne ha urgente bisogno, un po’ se avessero una cassetta degli attrezzi e per ogni situazione serve l’attrezzo giusto.

Dominare la propria sfera emotiva la sfera emotiva è particolarmente difficile, perché bisogna acquisire le necessarie abilità in momenti nei quali, di solito, si è meno capaci di recepire nuove informazioni e di apprendere nuove abitudini di risposta, cioè quando si è alterati.

Le difficoltà relazionali che emergono variano a seconda dell'età.

Con i bambini più piccoli (lower 2-4 anni e middle school 5-8 ) di solito le difficoltà riguardano le prese in giro, la sensazione di esclusione e le paure. Durante l’upper school 9-11 anni affiora un nuovo tipo di preoccupazioni: sentirsi offesi perché un ragazzo o una ragazza non ti hanno chiesto di uscire, oppure perché si viene esclusi; gli amici che si comportano in modo immaturo; le dolorose situazioni in cui si trovano i più giovani (“Certi ragazzi più grandi mi hanno preso di mira”; “I miei amici fumano e cercano sempre di far provare anche me”). Questi sono temi che hanno una grande importanza nella vita di un bambino che ne parla, ai margini della scuola, durante la pausa del pranzo, sull'autobus o a casa di un amico. Ancor più spesso i ragazzi tengono per sé questi problemi, rimuginandoci ossessivamente da soli anche durante la notte, senza poterne parlare con nessuno. Nella Scienza del sé possono diventare argomenti del giorno. Ognuna di queste discussioni fornisce materiale per lo scopo dichiarato della Scienza del sé, che è quello di gettare luce sul senso del proprio io da parte del ragazzo e sui suoi rapporti con gli altri. Anche se il corso si articola secondo un piano di lezioni, è condotto in maniera elastica in modo che, quando accadono episodi di conflitto si cerca di farne tesoro.

I temi proposti dagli alunni forniscono gli esempi concreti ai quali alunni e insegnanti, allo stesso modo, possono applicare le abilità che stanno imparando, ad esempio i metodi di risoluzione dei conflitti serviti a raffreddare l'accesa disputa tra due ragazzi.

Il programma della Scienza del sé è applicato da quasi vent'anni e si pone come modello per l'insegnamento della gestione delle emozioni.

La direttrice e fondatrice della scuola Karen Stone McCown afferma: “Quando trattiamo il tema della collera aiutiamo i ragazzi a capire come essa sia quasi sempre una reazione secondaria e a cercare cosa c'è sotto: sei offeso? sei geloso? I nostri ragazzi imparano che esistono sempre diverse scelte per reagire a un'emozione e più modalità di risposta conosci, più la tua vita può arricchirsi”. (Goleman, 1996, p.136)

I contenuti della Scienza del sé corrispondono ad insegnamenti che riguardano: l'autoconsapevolezza, ossia la capacità di riconoscere i sentimenti e di costruire un vocabolario per la loro verbalizzazione; cogliere i nessi tra pensieri, sentimenti e reazioni; sapere se si sta prendendo una decisione in base a riflessioni o a sentimenti; prevedere le conseguenze di scelte alternative;

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