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2. Cultura spirituale e origini dell’ordine Camaldolese

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Academic year: 2021

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2. Cultura spirituale e origini dell’ordine Camaldolese

2.1 Cenobio ed eremo nel monachesimo occidentale (secc. III – XII)

Tra la fine del III e gli inizi del IV secolo, iniziò a delinearsi nel mondo cristiano il singolare fenomeno religioso del monachesimo.

In un periodo caratterizzato dal declino dell'Impero romano, dall'arrivo dei barbari e dallo spopolamento delle campagne, la Chiesa possedeva già una solida organizzazione, una gerarchia, una disciplina, dei patrimoni e, a partire dall'editto di Milano del 313 d.C., la libertà religiosa concessale da Costantino.

Si calcola che su 50 milioni di sudditi dell'Impero romano i cristiani fossero circa 7 milioni.1

All'indomani della pace costantiniana, un campo immenso si presentava quindi a chi avesse voluto impegnarsi nell'evangelizzazione di popoli non ancora raggiunti dal messaggio cristiano.

Eppure, proprio in quei decenni, prese sempre più piede un fenomeno orientato in direzione opposta: alcuni cristiani, specialmente in Egitto, volendo seguire l'esempio di Cristo povero e rivendicare i più alti valori dello spirito, iniziarono a ritirarsi nel deserto.

Tale scelta traduceva un'aspirazione profonda alla solitudine, all'ascesi, alla povertà volontaria: caratteristiche essenziali di qualunque esistenza eremitica.

Nel corso del IV secolo all'eremitismo seguì una pratica di vita comune o cenobitismo; passaggio riassumibile nell'excursus vitae che va da Sant'Antonio a San Basilio.

Antonio (Coma, Egitto, 250 ca – deserto della Tebaide, 356), nato in una famiglia

1 Gregorio Penco osb, “Il monachesimo”, Mondadori, Milano, 2000.

Dom Gregorio Penco osb: monaco benedettino della Congregazione Sublacense, vive la sua vocazione monastica nell' Abbazia S. Maria di Finalpia (Savona). Nato a Genova nel 1926, si laurea in lettere classiche all' università statale di Genova, poi entra in monastero. Successivamente si laurea in teologia e diviene uno degli storici più accreditati in ambito mondiale sulla storia del monachesimo.

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cristiana e considerato il primo degli abati, rimasto orfano prima dei vent'anni e avendo “udito” in chiesa la chiamata del Signore, abbandonò tutto, lasciò in affido la sorella ad una comunità di monache e si ritirò nel deserto.

Il suo cammino spirituale fu scandito dalla continua ricerca di una completa solitudine ed una totale purificazione, più volte tormentata dalle tentazioni dei demoni: “Entrato in uno di questi sepolcri, si fece chiudere la porta e vi rimase dentro da solo. Ma il nemico non sopportando ciò, anzi temendo che in poco tempo avrebbe riempito il deserto della sua pratica ascetica, si presentò una notte con una schiera di demoni e lo percosse tanto che egli giacque a terra, muto per le sofferenze.”2

Questa ricerca della solitudine non impedì che attorno a lui si raccogliessero dei discepoli: “Visse così quasi vent’anni, conducendo da solo questa vita ascetica, senza mai uscire, senza mai farsi vedere da qualcuno. Poi, molti che desideravano imitare la sua condotta ascetica, e altri suoi conoscenti, si recarono da lui. Abbatterono con forza la porta ed Antonio andò loro incontro come un iniziato esce da un recesso, ispirato da Dio.”3

Una fase successiva, decisamente orientata verso il cenobitismo, è testimoniata dalla vita di Pacomio (Tebe, 287 – Pbow 346).

Originario di famiglia pagana, arruolato nell'esercito imperiale all'età di vent'anni, finì in prigione a Tebe.

Tornato in libertà nel 313 d.C., si unì alla comunità cristiana del villaggio di Šeneset dove ricevette il Battesimo.

Dopo un periodo di ascetismo, si mise sotto la guida del monaco Palamone, quindi si ritirò eremita nel deserto dove in visione ricevette l'incarico di costruire un monastero e abbandonare la vita d'eremita per quella monastica.

Costituita, così, una comunità cristiana, a imitazione di quella fondata dagli apostoli

2 Atanasio, “Vita S. Antonii”, 357 d.C.

Atanasio (Alessandria d'Egitto, 295 ca – 373) fu patriarca di Alessandria d'Egitto (328 – 339). Per tutta la vita strenuo difensore del cristianesimo contro l'arianesimo, negli ultimi esili si rifugiò presso i monaci anacoreti del deserto dove ebbe modo di conoscere Antonio di cui scrisse la biografia. 3 Ibidem.

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a Gerusalemme, Pacomio compose una Regola in cui era minuziosamente fissato l'orario relativo al lavoro, alla preghiera, ai pasti, alla penitenza: si tratta della prima Regola monastica nota, alla base dell'esperienza benedettina successiva.

Ma le due grandi figure, i cui scritti S. Benedetto cita espressamente nella sua Regola, sono quelle di S. Basilio Magno e di Giovanni Cassiano, entrambi proponenti la vita monastica vissuta in comunità.

Basilio di Cesarea (330 – 379), il più importante dei padri cappadoci, condusse il monachesimo antico all'affermazione del pieno cenobitismo con la costituzione di monasteri autonomi.

Nel 360 circa, compose la sua prima opera "Le Regole Morali", consistente nella presentazione di principi per condurre una vita monastica profondamente ispirata all'insegnamento evangelico.

Giovanni Cassiano (360 – 435), ordinato presbitero a Marsiglia, scrisse "Le Istituzioni Cenobitiche", contenenti dettagli su come vivere la vita monastica, e "Le Conferenze", conversazioni con i Padri del Deserto.

Nella seconda metà del V secolo, in un periodo di rinnovamento ecclesiale e sociale seguito alla caduta dell'Impero Romano d'Occidente e alla conversione delle campagne, un autore sconosciuto scrisse la "Regula Magisteri" e tra i giovani inviati dai genitori a Roma per la formazione, c'era un giovane di Norcia, un Benedictus vir, come lo chiamerà Papa Gregorio I due secoli dopo.

Abbandonati gli studi, Benedetto (Norcia 480 ca – monastero di Montecassino 547) vestì gli abiti monastici e si ritirò da eremita nella valle di Subiaco.

Conclusa l'esperienza eremitica, fu guida di monaci in un ritiro cenobitico presso Vicovaro, fondò una comunità di tredici monasteri presso Subiaco quindi, a seguito di tentativi di avvelenamento, si diresse verso Cassino dove fondò il monastero di Montecassino sulle tracce del preesistente tempio dedicato al Dio Apollo.

Qui nel 540 circa, scrisse la “Regola”, volta a scandire il tempo nelle varie occupazioni della giornata durante la quale il lavoro e la preghiera si alternano nel segno del motto “ora et labora”: una regola per cenobiti.

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faceva l'eremita dopo essersi formato a lungo in seno alla vita comunitaria: "La prima (categoria di monaci) è quella dei cenobiti, che vivono in un monastero, militando sotto una regola e un abate. La seconda è quella degli anacoreti o eremiti, ossia di coloro che non sono mossi dall'entusiastico fervore dei principianti, ma sono stati lungamente provati nel monastero, dove con l'aiuto di molti hanno imparato a respingere le insidie del demonio”.4

Questo tipo di monachesimo, di orientamento fortemente cenobitico, iniziò così a diffondersi in Italia ma la nuova ondata di invasioni barbariche portò alla distruzione dei monasteri fondati da Benedetto compreso quello di Montecassino nel 573. La rifondazione del monachesimo benedettino si ebbe con Papa Gregorio I che raccontò la vita del santo nel secondo libro dei “Dialoghi” e inviò i monaci benedettini a evangelizzare l'Inghilterra.

La prevalenza del cenobitismo come forma organizzata del monachesimo venne fortemente accentuata due secoli dopo dalla riforma carolingia che impose una regola monastica unica per tutti i monasteri dell'Impero e distinse, accanto all'ordo

canonicus e all'ordo monasticus, l'ordo solitariorum: gli eremiti vennero quindi

riconosciuti come categoria in seno alla Chiesa e soggetti ad una certa legislazione. L'effetto di questa riforma ebbe però breve durata; una nuova ondata di invasioni barbariche coinvolse l'Occidente instaurando la prima era feudale nella quale, sulle rovine dell'Impero carolingio, si affermò il prestigio del papato.

Le comunità cenobitiche venivano assoggettate ai signori feudali e aspiravano a liberarsi da questo rapporto di dipendenza.

È il caso dell'abbazia benedettina di Cluny in Borgogna che, mettendosi sotto l'autorità diretta del Pontefice, acquistò la propria libertà nei confronti del signore feudale.

La riforma di Cluny, sotto la guida di grandi abati, fu importante sia sul piano spirituale che istituzionale coinvolgendo i monasteri di gran parte d'Europa, ma l'indiscriminata diffusione dei centri monastici, l'estensione dei loro possessi, e quindi la complessità della loro amministrazione, e la troppa stretta

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compenetrazione con il sistema feudale portarono alla cosiddetta “crisi del cenobitismo” a cui si reagì mediante lo sviluppo di movimenti monastici rigoristi ed un rilancio della vita eremitica.

Raoul Manselli5 parlando di tale crisi notava: "Entro questo ambito venne acquistando sempre più importanza nel secolo XI quel fenomeno eremitico che, come fatto episodico, era sempre durato per secoli, ora come culmine di perfezione del cenobitismo – e come tale veniva presentato e regolato dalla regola di S. Benedetto – ora come manifestazione la più spiccata e radicale della esigenza individuale di perfezionamento, prescindendo da ogni forma monastica già costituita: in tal caso, allora, ci sembra cogliervi una larvata polemica con il cenobitismo che del resto guardò a questi fenomeni eremitici non senza diffidenza e sospetto.”6

In questo contesto carico di risvolti concettuali e di coinvolgimenti istituzionali, nacquero nuovi ordini monastici: l'Ordine di Cîteaux7, sul versante cenobitico, e gli Ordini Camaldolese e Certosino8, sul versante eremitico.

5 Raoul Manselli (1917 – 1984), storico italiano.

6 R. Manselli, "Certosini e Cistercensi” in Il monachesimo nell'alto medioevo e la riforma ecclesiastica (1049 – 1122), Atti della quarta settimana internazionale di studio (Passo della Mendola, 23 – 29 agosto 1968), Milano 1971, p.79.

7 Il 21 Marzo 1098 Roberto, abate di Molesmes, fondò nella Borgogna francese il Novum

Monasterium che dal nome della località Cistercio, in latino Cistercium, prese il nome di Cîteaux.

8 Il primo monastero certosino fu fondato nel 1084 da Bruno di Colonia (1030 – 1101) sul massiccio della Chartreuse nel Delfinato, vicino a Grenoble.

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2.2 Camaldoli e la congregazione dei Camaldolesi

La nascita dell'Ordine camaldolese si inserì nel movimento di riforma della chiesa cattolica iniziato nell'XI secolo che vide, in un momento di profonda trasformazione del monachesimo occidentale, la fusione dell'eremitismo di ascendenza anacoretica orientale con forme di vita e preghiera collettiva di matrice occidentale.

Fondatore di Camaldoli e della sua congregazione fu San Romualdo, ricordato nell’opera Vita quinque fratrum, scritta dal discepolo S.Bruno di Querfurt, come il “pater rationabilium heremitarum qui cum lege vivunt”9.

Esponente di una nobile famiglia, figlio del duca Sergio degli Onesti di Ravenna e di Traversara Traversari, Romualdo entrò nel monastero di Sant’Apollinare in Classe a soli vent’ anni. Da qui, avendo constatato che il suo desiderio di perfezione non solo non veniva favorito ma addirittura ostacolato10, il santo fu ben presto costretto ad andarsene chiedendo il permesso all’abate e ai confratelli di mettersi alla sequela di Marino, un eremita indipendente della zona di Venezia, e rinviando così la “perfectionem conversationis” raggiungibile, secondo la Regola di Benedetto, nella solitudine dell’eremo dopo un lungo periodo cenobitico11.

Da Venezia Romualdo si spostò poi a Cuxà, nei Pirenei orientali, presso il monastero di S. Michele diretto dall’abate Guarino, dove ricevette l’ordinazione sacerdotale.

9 Vedovato G., “Camaldoli e la sua congregazione dalle origini al 1184. Storia e documentazione”, Centro Storico Benedettino Italiano, Cesena, Badia di S.Maria del Monte, 1994, p.7 San Bruno di Querfurt (974 – 1009), conosciuto anche come San Brunone Bonifacio, parente di Ottone III di Sassonia, fu missionario, arcivescovo cattolico e santo tedesco. Nella Vita quinque

fratrum narra il martirio in Polonia, avvenuto nel 1003, di cinque padri camaldolesi.

10 Pier Damiani nella Vita Romualdi, scritta intorno al 1042, racconta che i confratelli di Romualdo tentarono perfino di uccidere il riprensore dei loro costumi. Il monastero di Classe era infatti un tipico esempio della realtà monastica del tempo, ricca e potente, legata al mondo politico e quindi ben lontana dallo svolgere un ruolo profetico nei confronti di esso.

11 “Regula Sancti Benedicti”, I – De generibus monachorum: “quindi, essendosi (i monaci

eremiti) bene addestrati tra le file dei fratelli al solitario combattimento dell’eremo, sono ormai capaci, con l’aiuto di Dio, di affrontare senza il sostegno altrui la lotta corpo a corpo contro le

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Tornato in Italia intorno al 988, il santo fondò fra il 1023 e il 1026 sull’Appennino tosco-romagnolo l’eremo di Camaldoli, riconosciuto dalla Congregazione come casa-madre, per poi recarsi a Val di Castro, presso Fabriano, dove, recluso in una cella morì il 19 giugno 102712.

Figura 2.1: Vista del Cenobio di Camaldoli. Da "Volterra n°7/8 del 1963 pg.4" presso la Biblioteca del

Museo Guarnacci -Volterra.

Relativamente alle origini di Camaldoli, tra le fonti dell’XI secolo, si ricordano il diploma13 concesso da Teodaldo, vescovo di Arezzo, nell’agosto del 1027 e le

12 Bosi R. a cura di, “Gli ordini religiosi. Storia e spiritualità”, Ed. Nardini, Firenze, 1995, p.45 13 Vedovato G., “Camaldoli e la sua congregazione dalle origini al 1184. Storia e documentazione”, Centro Storico Benedettino Italiano, Cesena, Badia di S.Maria del Monte, 1994, p.16

Estensore del documento fu il canonico Gerardo, cancelliere del vescovo Teodaldo, esponente della nobile famiglia di origine longobarda dei signori di Canossa.

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Costituzioni14 del beato Rodolfo, scritte fra il 1074 e il 1089.

Figura 2.2: Vista delle Celle di Camaldoli. Da "Volterra n°7/8 del 1963 pg.5" presso la Biblioteca del

Museo Guarnacci -Volterra.

Nella carta di donazione, in particolare, Teodaldo comunica di donare e concedere, con il consenso dei suoi sacerdoti, per amore del pio ricordo di Romualdo, al venerabile Pietro una chiesa per uso e godimento dei confratelli che, a lui obbedienti, conducono vita solitaria e dei loro successivi eremiti. Il vescovo Teodaldo stesso, dietro richiesta del padre Romualdo, aveva consacrato questa chiesa, situata in territorio aretino presso il Campo Malduli15, all’onore e al nome di

14 Rodolfo I, quarto priore dell’eremo di Camaldoli, fu autore delle Rodulphi Constitutiones (sigla:RC), la prima legislazione camaldolese nata con l’intento di codificare e preservare le consuetudini della comunità di Camaldoli. Alle RC la tradizione camaldolese associa il secondo testo legislativo, il cosiddetto Liber Eremitice Regule (sigla:LER), attribuendolo allo stesso priore.

15 Agli inizi del XII sec., in seguito all’affermarsi della congregazione camaldolese sul territorio toscano, emerse l’esigenza di arricchire di storie miracolistiche le origini dell’eremo e soprattutto di difenderne l’autonomia dall’ingerenza del vescovo-conte di Arezzo che rivendicava il gius-patronato e

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S.Salvatore.

Caratterizzata dalla presenza nella stessa struttura sia dell’eremo (cinque cellette ciascuna con il proprio oratorio e separate l’una dall’altra - vedi Fig.2.2) che del monastero (costruito più a valle nel luogo chiamato Fontebuono e destinato all’accoglienza di fedeli e pellegrini), la fondazione di Camaldoli coniuga la dimensione comunitaria e quella spirituale, testimoniando il tentativo di Romualdo di rifomare il monachesimo cenobitico ed affermare l’autonomia ed il primato ideale dell’eremo sul cenobio.

Tale unità dialettica tra vita contemplativa e vita attiva, eremitica e comunitaria, rimane ancora oggi la caratteristica principale, pressoché unica nel panorama monastico occidentale, della congregazione camaldolese ed è ulteriormente espressa nello stemma dell’ordine, formato da due colombe che si abbeverano ad un solo calice.

il gius-diocesano su Camaldoli. Partendo dalla suggestione del luogo che il diploma di Teodaldo aveva definito Campus Malduli, il LER narra come un certo conte Maldolo, proprietario del luogo, lo avrebbe donato a Romualdo, in seguito alla visione della Scala di Giacobbe, una lunghissima scala che quasi toccava il cielo e per la quale si vedevano salire una moltitudine di anime splendenti. Ciò udito, Romualdo si recò sul posto, costruì delle celle e, parlato con il vescovo di Arezzo, ebbe da lui l’aiuto richiesto per la fondazione. In questa seconda versione delle origini di Camaldoli, appare evidente il tentativo di ridimensionare drasticamente il ruolo di Teodaldo in favore di Maldolo, che lo sostituisce come ispiratore della fondazione e come donatore del luogo, mentre il vescovo di Arezzo finisce così con l’assumere una mera funzione di approvazione e di aiuto della volontà di Maldolo e di Romualdo.

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Figura

Figura 2.1: Vista del Cenobio di Camaldoli. Da "Volterra n°7/8 del 1963 pg.4" presso la Biblioteca del  Museo Guarnacci -Volterra
Figura 2.2: Vista delle Celle di Camaldoli. Da "Volterra n°7/8 del 1963 pg.5" presso la Biblioteca del  Museo Guarnacci -Volterra
Figura 2.1   Stemma dell’Ordine camaldolese, Badia dei SS. Giusto e Clemente a Volterra (f.d.A)

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