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3. Storie di attivisti e migranti. Uno sguardo in soggettiva

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3. Storie di attivisti e migranti. Uno sguardo in soggettiva

Questo capitolo raccoglie due differenti categorie di storie degli attivisti e dei migranti. Un primo gruppo è quello delle storie pubblicate online dal COLEF in seguito a un incontro tenutosi nel …, e in questo caso si tratta di storie che ho personalmente tradotto e che riporto di seguito, analizzandole anche a partire da una più ampia riflessione sulle molte storie di migranti pubblicati on line, così come sulle testimonianze raccolte da attivisti con cui ho parlato e che hanno condiviso con me le loro conoscenze. Grazie a questi racconti ho potuto riflettere sulle motivazioni che convincono una persona a partire verso un nuovo paese, per iniziare una nuova vita, nonostante i gravi rischi a cui può andare incontro.

L’analisi del fenomeno migratorio secondo Padre Alejandro Solalinde o le singole storie personali dei 72 migranti assassinati dopo essere stati probabilmente torturati dai narcotrafficanti a San Fernando sono alcune storie di questo primo gruppo.

Riguardo a Padre Alejandro Solalinde, le minacce di morte ricevute e il viaggio in Europa, oltre al lavoro quotidiano con i migranti, lo rendono irraggiungibile, motivo per cui le sue riflessioni hanno come fonte una registrazione e non un’intervista diretta. Nella tavola rotonda del COLEF si sono analizzate le politiche migratorie attuali, le violazioni che vengono compiute a discapito dei migranti e le soluzioni che i governi nazionali potrebbero mettere in atto per porre fine alle violenze quotidiane e per gestire nel rispetto dei diritti umani il processo migratorio in atto tra i Paesi (Stati Uniti, Messico e Centro America) presi in considerazione in questo elaborato.

Il secondo gruppo di storie, invece, è composto dalle testimonianze cho ho ottenuto via e-mail dopo aver contattato alcuni migranti tramite la disponibilità di mediatori che quotidianamente sono in contatto con loro, in quanto appartengono a organizzazioni che portano loro assistenza. In alcuni casi è stato utile, per entrare in contatto, anche il ricorso a social network.

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Le persone che ho intervistato mi hanno permesso di raccogliere le loro storie, le loro emozioni, come ad esempio le paure che hanno vissuto durante il viaggio.

Ai migranti ho domandato nella loro lingua madre, lo spagnolo, di raccontare “chi erano” in Messico e chi “sono diventati” negli Stati Uniti, come ha raccontato Elvira Arellano, una donna messicana immigrata negli Stati Uniti ed in seguito deportata in Messico. Elvira ha dovuto sopportare la separazione dal figlio, cittadino statunitense che l’ha poi raggiunta in Messico. Oggi lei e suo figlio Saul lottano ogni giorno per la difesa dei migranti e sono attivi affinché la Comunità Internazionale conosca il fenomeno, vissuto in prima persona da loro, della separazione familiare a causa delle deportazioni.

Ileana Salinas, una giovane ragazza messicana emigrata negli Stati Uniti, è oggi in attesa dell’approvazione, da parte del Congresso americano, di una nuova riforma migratoria che garantisca maggiori diritti alle persone che sono riuscite ad arrivare negli Stati Uniti e che hanno deciso di cominciare una nuova vita. Ileana fa parte, come molti altri giovani stranieri residenti negli Stati Uniti, del gruppo in attesa dell’approvazione del Development Relief and Education for

Alien Minors Act (DREAM Act), conosciuto come il gruppo dei DREAMers.

Maria Eugenia Ponce Sevilla, una giovane ragazza messicana condotta negli Stati Uniti da bambina, ha deciso oggi di far ritorno volontariamente in Messico perché si sentiva prigioniera del Paese in cui risiedeva. Maria è una dei molti giovani che sono stati portati dai loro genitori oltre la frontiera del proprio paese e che, hanno deciso volontariamente di ritornare nel loro Paese d’origine. Sono conosciuti come Los Otros Dreamers. Si stima che tra il 2005 e il 2010 circa 1 milione 390 mila messicani siano ritornati in Messico; tra il 5 e il 35 per cento come conseguenza della deportazione mentre la percentuale dei messicani che son ritornati in Messico volontariamente oscilla tra il 65 e il 95 per cento.1

1 Iniciativa Ciudadana, 2013, Impactos de la reforma migratoria de Estados Unidos en México, Brújula Ciudadana, No.

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Infine, nel quadro dell’intervista ho chiesto ai miei interlocutori di raccontare le motivazioni che li hanno convinti a partire o a fare ritorno nel loro Paese d’origine. Le difficoltà che hanno incontrato durante il viaggio e il rapporto con la nuova comunità sono state informazioni importanti per capire il rapporto tra il migrante e la società in cui iniziano o hanno iniziato, una nuova vita.

La rete di comunicazione esistente tra gli albergues presenti in Messico mi ha permesso inoltre di prendere contatto con Fra’ Tomás González Castillo, direttore dell’albergue “La 72”. A Fra’ Tomás González Castillo ho chiesto di descrivere il lavoro che svolge quotidianamente con i migranti che arrivano nell’albergue, oltre a una riflessione generale sulla situazione migratoria che dal suo punto di vista lega i Paesi sopracitati.

L’ultima intervista racconta l’organizzazione delle carovane delle madri e dei familiari dei migranti scomparsi attraversando il Messico attraverso le parole di Lidia Mara Souza che ha condiviso le sensazioni e le sofferenze con i familiari delle vittime di una politica migratoria che opera a discapito delle migliaia di migranti che quotidianamente attraversano il Messico, e che subiscono ripetutamente violazioni da parte dei criminali con la complicità delle istituzioni e della loro incapacità di contrastare tali violenze.

Le persone intervistate non hanno dimostrato alcuna difficoltà a rispondere alle domande poste loro; la volontà e l’interesse nel rispondere dimostra quanto sia importante per loro che si sappiano le motivazioni che spingono una persona a cambiare il Paese di residenza, ad affrontare difficoltà per raggiungere l’obiettivo postosi e infine le reazioni che ha la società ricevente nei loro confronti. Queste persone hanno dovuto affrontare un viaggio nel passato per raccontarmi la loro esperienza e, rivivere quei giorni. Per alcuni momenti hanno rivissuto il viaggio verso gli Stati Uniti, i giorni trascorsi con il timore di essere deportati e dover fare ritorno in un paese da cui sono fuggiti per la ricerca di nuove opportunità, o di cui non si sentivano parte per differenti motivi.

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Mentre lavoravo sulla raccolta indiretta di storie in rete e sui testi, ho cercato di impostare il lavoro come raccolta di materiali finalizzati anche a future ricerche sul campo. Da qui la ricerca di una rete di contatti e la raccolta di storie anche in modo diretto, come una sorta di prima presa di contatto, a distanza, col “terreno”.

3.1 Storie della migrazione.

Sono diverse le ragioni che portano i migranti a intraprendere il viaggio verso il Nord, la cui destinazione principale sono gli Stati Uniti: la speranza di un futuro migliore per loro stessi o per assicurare un futuro ai loro figli, una situazione precaria dovuta anche alle scarse possibilità nel mercato del lavoro nei Paesi del Centro America e infine la speranza di ritrovare familiari che anni prima hanno deciso di intraprendere lo stesso viaggio.

In molti casi scappano da un luogo in cui a fare da padroni sono le maras, che obbligano molti dei giovani e delle giovani centroamericani ad entrare a collaborare con loro, pena la morte se rifiutano.2

Per quanto riguarda la prostituzione, uno dei fenomeni in cui sono maggiormente coinvolte le donne centroamericane, la situazione è simile alla realtà di città come Ciudad Juarez o Tijuana.

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Negli stati del Sud del Messico è presente un gran numero di locali con alti tassi di prostituzione, generalmente bar o locali notturni conosciuti come table dance. In questo caso sono coinvolte soprattutto donne centroamericane che hanno oltrepassato il confine volontariamente e hanno deciso di fermarsi negli stati del Sud, oppure che sono state attratte dalla promessa di ottenere un lavoro decente oltre confine e una volta lì obbligate a prostituisi. Soconusco, una regione costiera nel Sud del Chiapas, rappresenta una delle tre regioni al mondo con il più alto tasso di prostituzione minorile.

Le altre città centroamericane in cui è più sviluppata la prostituzione sono Tapachula, Tecún Umán, Cacahuatán, Huixtla, Tuxtla Chico, Ciudad Hidalgo. Qui, secondo le parole di Óscar Martínez, giornalista di El Faro, l’abuso sessuale ha perso le sue dimensioni, perché le migranti sono consapevoli dell’alta percentuale di possibilità che criminali abusino di loro ripetutamente, tuttavia sono pronte a sopportare ciò per arrivare oltre il confine e avere, forse, una vita migliore rispetto a quella nel loro Paese, dove sono vittime di violenza e di abusi; colpevole anche una società fortemente machilista e patriarcale.

Le ragazze che vanno in Messico, una volta obbligate a prostituirsi, non dicono ai propri familiari la situazione in cui sono, e questo è a favore dei criminali che sequestrano alle ragazze i documenti e le minacciano di rivelare ai familiari la reale situazione; per le ragazze l’unica possibilità è continuare a stare nel mercato della prostituzione, piuttosto di far sapere alla propria famiglia e al Paese di provenienza la verità sulla loro situazione.

Le ragazze che iniziano a lavorare nel mercato della prostituzione trovano lavoro in parti della città conosciute come “zone di tolleranza”: in Chiapas, ad esempio, è possibile trovare alcune di queste zone a Tapachula (Las Huacas), a Tuxla (la Galactic Zone) e molte altre zone sparse nello stato messicano frontaliero con il Guatemala.

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Nelle "zone di tolleranza" è possibile incontrare molte donne, le quali sono arrivate oltre confine alla ricerca di un lavoro, e spontaneamente hanno iniziato a lavorare nel mercato del sesso principalmente per aiutare i propri figli rimasti nel Paese di provenienza, come racconta ad esempio Yoana, una giovane guatemalteca arrivata a Huixtla.3

Negli ultimi quindici anni l’emigrazione centroamericana ha visto un calo rispetto agli anni Novanta, periodo in cui, nonostante gli accordi di pace realizzati nei diversi Stati centroamericani, ha comunque continuato a esserci un tasso di emigrazione alto. Come dimostra l’immagine c’è stato un picco nel 2005, che poi ha iniziato a calare. Inoltre, la maggioranza dei migranti viene fermata da funzionari dell’INM (50-55%), altri riescono ad attravere il Messico e vengono fermati alla frontiera Nord dalle Border Patrols (25-30%), e infine una piccola parte riesce a raggiungere gli Stati Uniti (15-20%).

Figura 19: Migranti centro americani in transito in Messico 1995-2010.

Fonte: Centros de Estudios Migratorio del INM, U.S. Department of Homeland Security: Statistical Yearbook of the Immigration and Naturalization Service, U.S. Border Patrol.

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In una delle carovane organizzate dalle madri delle vittime, una delle madri, Marcia Martínez, commentava: “¡Como animales! ¡Los tiran como animalitos!”4

, questa era la sensazione passando

vicino al cimitero San Juan Lirio a Ixtepec, Oaxaca. E' un pensiero espresso da una delle madri, ma è un pensiero che accumuna tutte loro.

Molti dei migranti che vengono espulsi e portati in Messico, per scappare alle violenze della polizia o delle bande criminali, o che non possono fare ritorno nel loro Paese di origine, hanno scelto di vivere in tunnel costruiti sottoterra, conosciuti come pocitos. Il fenomeno dei tunnel, diffuso soprattutto a Tijuana, ha visto la creazione di almeno trenta di questi "rifugi" per duecento migranti. In seguito alle operazioni di polizia messe in atto lungo il canale del Río Tijuana, conosciuto come

el bordo, dove avevano trovato rifugio migliaia di migranti deportati in Messico, si procedette allo

sgombero, bruciando i rifugi che si erano costruiti i migranti. Lo ha dichiarato Micaela Saucedo, attivista e direttrice del rifugio per migranti “Elvira Arellano”: “Trataron de quemarlos vivos, rociaron de gasolina y les prendieron fuego, algunos sufrieron quemaduras”5

Uno dei migranti intervistati, Ismael Martínez, racconta come ha avuto l’idea di vivere in uno di questi tunnel quando sono iniziate le retate della polizia. Per proteggersi dagli incendi provocati dalla polizia ha deciso di vivere sottoterra, “como topo” (come topi) 6.

Tuttavia il timore di essere “sepolti” in seguito all’attività di contrasto intrapresa nei tunnel dalle forze dell’ordine è alto, visto che in alcuni casi sono stati ritrovati corpi di migranti che proprio nei tunnel si erano nascosti.

4

Sigo tus Pasos con la Esperanza de Encontrarte, Reportage Movimiento Migrante Mesoamericano, Marta Sánchez Soler, México, 2011 p. 88. Trad. It.: “Come animali! Gli spararono come animali!”

5 Migrantes viven en túneles bajo tierra en Tijuana para escapar del acoso tanto de policías como de criminales.

Redacción / Sinembargo. 20/03/2013. http://www.sinembargo.mx/20-03-2013/565244, “Provarono a bruciarli vivi, li cosparsero con la benzina e gli diedero fuoco, alcuni hanno sofferto bruciature.” (traduzione mia).

6 Migrantes viven en túneles bajo tierra en Tijuana para escapar del acoso tanto de policías como de criminales.

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Coloro che scelgono di vivere per un periodo di tempo in questi rifugi sono consapevoli dei pericoli a cui vanno incontro, ma è una delle diverse possibilità che esistono per non essere riportati nel proprio Paese e per rivedere i propri familiari negli Stati Uniti, come ha dichiarato Onésimo Gómez, uno dei tanti migranti che ha scelto questa modalità: “Tenía que abrir mucho la boca para inhalar cada bocanada de aire,[…] Sentí horrible, pero lo hice para evitar a la policía y así volver a ver a mis hijos y esposa, que me esperan en Estados Unidos. El día de la redada cerré mis ojos y pensé en ellos”.7

I migranti che si nascondono in questi tunnel lo fanno non solamente per evitare la deportazione, ma anche per evitare le violenze dei trafficanti che operano nella zona, ad esempio dei trafficanti appartenenti al cártel de los Arellano Félix che operano lungo la frontiera e obbligano i migranti a comprare la droga.

3.2 I migrantes invisibili. Il massacro di Tamaulipas.

7 Migrantes viven en túneles bajo tierra en Tijuana para escapar del acoso tanto de policías como de criminales.

Redacción / Sinembargo. 20/03/2013. http://www.sinembargo.mx/20-03-2013/565244: “Dovevo aprire molto la bocca per inalare ogni boccata d’aria, […] Senti orribile, però lo feci per evitare la polizia e cosi vedere di nuovo i miei figli e mia moglie che mi aspettano negli Stati Uniti. Il giorno della retata chiusi gli occhi e pensai a loro.” (traduzione mia).

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Uno dei casi di sequestro di migranti che ha lasciato il segno nell’opinione pubblica messicana è il caso dell’assassinio da parte di los Zetas di 72 migranti centroamericani e sudamericani8 e, ritrovati in un secondo tempo dalle forze dell’ordine in una fossa comune all’interno di un rancho a San Fernando, nello stato di Tamaulipas.

Secondo testimonianza di sopravvissuti ai sequestri, il fenomeno del reclutamento forzato è diffuso principalmente a Tamaulipas, Zacatecas e Coahuila e nelle città come Monterrey e Nuevo León.9

In seguito al sequestro, i migranti vengono portati in campi di esercitazione, dove subiscono violenza fisica e psicologica con la privazione degli alimenti, l’obbligo a rimanere svestiti per lunghi periodi e a picchiare i propri compagni di viaggio; spesso vengono coinvolti immediatamente nei conflitti con le altre bande criminali o sono obbligati a lavorare per i criminali, ad esempio preparando i pranzi per i sequestratori o con altri servizi di questo tipo. Molti dei migranti però rifiutano il reclutamento obbligatorio, come dichiara Daniel González, salvadoregno: “Salió el mexicano tatuado y me metieron a un cuarto como de cuatro metros cuadrados. Me preguntaron que si quería trabajar con ellos. Yo les dije que no, que yo no trabajaba con nadie y que iba de camino. Me pegaron y me caí al suelo. Patearon mi cuerpo e hicieron que me desmayara, pero no me pegaron en la cara. Uno de ellos, que estaba bien siempre nos torturaban: nos bañaban con agua helada mientras nosotros estábamos tirados y amarrados. Drogado con cocaína, me agarraba muy fuerte los testículos y me los apretaba, mientras me preguntaba para quién trabajaba. Yo llorando le decía que para nadie. Entonces, el que me golpeaba mandó traer la regla, pero le dijeron que mejor la bolsa. Llevaron una bolsa de plástico con un cinto y me la amarraron a la

8 I migranti coinvolti, cinquantotto uomini e quattordici donne, erano provenivano dall’Ecuador, Honduras, El Salvador

e infine Brasile.

9

Cuaderno sobre secuestro de migrantes, Dimensión, contexto y testimonios de la experiencia de la migración en tránsito por México. Cuaderno coeditado por el Centro de Derechos Humanos Miguel Agustín Pro Juárez, A.C. y la

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cabeza. En el momento de respirar, la bolsa se me iba pegando cada vez más a la cara, hasta que ya no podíarespirar y me estaba asfixiando […]”10.

Ad essere sequestrati spesso sono anche minorenni, come riporta la testimonianza di Daniel Palomo Coto, un migrante honduregno: “En la casa a la que nos llevaron […] había migrantes que tenían varios días y hasta semanas ahí dentro. Unos no tenían dedos ni de las manos ni de los pies y a algunos les faltaban las manos o los brazos. Los secuestradores se los habían cortado, porque su familia no respondía o no podía pagar. Puedo decir que ellos no respetaban ni la edad, porque había como cinco niños de quince años y a ellos también les habían cortado los dedos de las manos […]”11

.

Un episodio antecedente a questo risale a un mese prima, in cui sono stati ritrovati 55 migranti a Taxco (Guerrero): un ritrovamento fatto a poche centinaia di chilometri dalla metropoli. Questi sono solo alcuni dei casi di ritrovamento di cadaveri di migranti, la maggior parte centroamericani, che si vanno a sommare ad altri effettuati a Durango, Sinaloa, Culiacán e Guerrero, per un totale di oltre 400 cadaveri.12

Prima che i sequestri dei migranti assumessero il rilievo che hanno assunto in seguito all’episodio di San Fernando, la CNDH aveva pubblicato un report che dimostrava come in un periodo di sei mesi

10 Cuaderno sobre secuestro de migrantes, Dimensión, contexto y testimonios de la experiencia de la migración en

tránsito por México. Cuaderno coeditado por el Centro de Derechos Humanos Miguel Agustín Pro Juárez, A.C. y la

Casa del Migrante de Saltillo Mexico, D.F 2011, p. 34. “Usci il messicano tatuato e mi misero in una stanza di quattro metri. Mi domandarono se volessi lavorare con loro. Io gli risposi di no, che io non lavoravo con nessuno e che proseguivo il cammino. Mi picchiarono e caddi al suolo. Calciarono il mio corpo affinché svenissi, però non mi colpirono in viso. Uno di loro, che stava sempre bene ci torturava: ci bagnava con acqua fredda mentre stavamo distesi per terra e controllati. Drogato con la cocaina, mi premeva forte i testicoli mentre mi domandava per chi lavorassi. Io, piangendo gli dissi per nessuno. Allora, quello che mi colpiva ordinò prendere il righello, però gli dissero che era meglio la borsa. Presero una borsa di plastica con una cintura e me misero in testa. Quando respiravo, la bolsa si attaccava sempre più al viso finché cominciai a non respirare più e stavo quasi per asfissiarmi […]”(traduzione mia).

11

Cuaderno sobre secuestro de migrantes, Dimensión, contexto y testimonios de la experiencia de la migración en

tránsito por México. Cuaderno coeditado por el Centro de Derechos Humanos Miguel Agustín Pro Juárez, A.C. y la

Casa del Migrante de Saltillo Mexico, D.F 2011, p.21. “Nella casa in cui ci portarono […] c’erano migranti rinchiusi da giorni e alcuni da settimane. Alcuni non avevano le dita ne delle mani ne dei piedi e ad alcuni gli mancavano le mani o le braccia. I sequestratori glieli avevano tagliati, perché la loro famiglia non rispondeva o non poteva pagare. Posso dire che non rispettavano nemmeno l’età perché c’erano almeno cinque bambini di quindici anni e anche a loro avevano tagliato le dita della mano.” (traduzione mia).

12 Informe Sobre La Situación General De Los Derechos De Los Migrantes Y Sus Familias, Trabajadores Migratorios y

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compreso tra il 2008 e il 2009 ci sono stati oltre nove mila sequestri commessi dal crimine organizzato, per un guadagno di oltre venticinque milioni di dollari13.

Secondo le testimonianze dell’unico sopravvissuto nella strage di San Fernando, i criminali avrebbero ucciso tutti i migranti che si sono rifiutati di collaborare con la banda criminale, arruolandosi con quest’ultima. Secondo il portavoce del Presidente Felipe Calderón, Alejandro Poiré, la strage è stata compiuta in seguito a un regolamento di conti tra due dei diversi cartelli dei narcos presenti in Messico, "il cartello del Golfo" e los Zetas14.

Come spiega Mario Santiago, direttore del Investigación de Fundación I(de)has, in un’intervista a

El País: "Lo que queda claro es que en México hay una criminalización de los migrantes: son un

botín para la delincuencia organizada".15

Molti dei familiari dei migranti sequestrati hanno continuato a pagare i debiti che i migranti avevano assunto con i polleros che si erano incaricati di guidarli in Messico anche dopo la strage avvenuta, come hanno testimoniato dei familiari in alcune interviste postume alla strage di San Fernando16. Santiago spiega inoltre come i migranti sono spesso detenuti in posti ormai conosciuti in diversi stati, ad esempio Chiapas, Tabasco, Veracruz e Tamaulipas.

Sono molti i migranti che quotidianamente vengono sequestrati e spariscono. Molti dei cadaveri che vengono ritrovati in seguito rimangono spesso senza un’identità, e solamente grazie al lavoro degli attivisti per i diritti umani o dei comitati dei familiari che si formano nei diversi Paesi viene ridata un’identità ai corpi ormai senza vita.

13 Informe Especial de la Comisión Nacional de Derechos Humanos sobre los Casos de Secuestro en contra de

Migrantes, Comisión Nacional de los Derechos Humanos, México, 2009.

14 Hallados 72 cuerpos de inmigrantes 'sin papeles' en un rancho en México. 26/05/2010,

http://elpais.com/diario/2010/08/26/internacional/1282773606_850215.html.

15

Hallados 72 cuerpos de inmigrantes 'sin papeles' en un rancho en México. 26/05/2010, http://elpais.com/diario/2010/08/26/internacional/1282773606_850215.html.

“Quello che è chiaro è che in Messico c’è una criminalizzazione dei migranti: sono un bottino per la criminalità organizzata”. (traduzione mia).

16Familias aún pagan deuda a “polleros”. Luis Guillermo Hernández. 22/05/2011

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Secondo le dichiarazioni fatte nel 2011 da Marta Sánchez, del Movimiento Migrante

Mesoamericano, ci sono 800 famiglie hondureñe che cercano figli, compagni o parenti in Messico

perché non hanno ricevuto notizie di loro da quando sono emigrati oltre frontiera supportati da associazioni come Red Verdad y Justicia in Messico e CentroAmerica, Comité de Familiares de

Migrantes Fallecidos y Desaparecidos (COFAMIDE) in El Salvador, Comite de Familiares de Migrantes Desaparecidos del Progreso (COFAMIPRO) in Honduras, National Alliance of Latin American and Caribbean Communities (NALACC) negli Stati Uniti, Fundación para la justicia y el Estado democrático de derecho, Belén-Posada del Migrante e Frontera con Justicia in Messico.

Grazie alle testimonianze dei familiari delle vittime e del lavoro di molti giornalisti e scrittori, è nato un "altare virtuale17”, una piattaforma per raccontare le storie di quei settantadue migranti18, raccontare cosa li ha spinti a partire per un viaggio con nessuna certezza e molte speranze.

L’iniziativa di creare un altare virtuale è stata proposta da Alma Guillermoprieto19

la quale, quando le è stato chiesto da Diego Enrique Osorno20 come fosse venuta a conoscenza del massacro di San Fernando e cosa la avesse spinto a creare questo progetto, ha dichiarato: “Fue una de esas ocasiones en que a uno se le queda para siempre qué es lo que estaba haciendo. Me acababa de sentar a desayunar, que es un tiempo que disfruto, vi el encabezado y no entendí nada. Aun para los horrores a los que estamos acostumbrados , lo que nos estaba describiendo la nota , muy a grandes rasgos , era insólitamente horrendo, arbitrario, cruel; no tanto por las torturas a las que se hubiera sometido a las

17 http://www.72migrantes.com

18 Gli autori sono consapevoli che sono molti di più i migranti che spariscono, ma è con questa iniziativa che vogliono

commemorare le migliaia di migranti che perdono la vita per atti criminosi.

19 Giornalista messicana. 20 Giornalista messicano.

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víctimas, pues parece que no hubo , sino por la frialdad con la que se asesinó a gente (seis docenas de seres humanos!) que, por decirlo así, no tenía vela en este entierro.”21

Leggendo le storie si incontrano gli elementi in comune tra tutti quei migranti che decidono di lasciare il proprio Paese. Sono vari gli elementi che hanno persuaso queste persone: alcuni di loro sono partiti perché non hanno avuto la possibilità di trovare lavoro nel proprio Paese, come Junior Basilio Espinoza, altri, come Julian Sanchez Benitez, sono cresciuti sentendo quotianamente le parole “no hay trabajo”, "non c’è lavoro", sentendosi obbligati a partire. Molti partono per assicurare ai propri figli una vita migliore, come è il caso di una giovane madre salvadoreña, Karen Yanneth Escobar.

Alcuni di questi migranti, ad esempio Ermelindo Maquin Huertas o Efrain Pineda Morales, erano riusciti ad arrivare negli Stati Uniti anni prima per guadagnare una quantità dignitosa di denaro, per poi far ritorno nel proprio Paese d’origine; in seguito un secondo viaggio verso gli Stati Uniti è stato loro fatale.

Per qualcuno di loro, come José David Girón Martínez, quello fu l’ennesimo tentativo di arrivare a Nord, consapevoli dei rischi che correvano nell’attraversamento del Messico.

Quando accadono episodi come questo di San Fernando, in cui vengono rinvenuti i corpi dei migranti sequestrati e uccisi, il riconoscimento avviene tramite l’esame delle impronte digitali e le comunicazioni con i familiari. Poiché molti dei familiari spesso non sono reperibili, l’identificazione di molti è impossibile e i corpi rimangono senza un’identità: si conosceranno solamente le origini, ma non i loro dati o il reale motivo della loro partenza.

21 D. E. Osorno, La guerra de los Zetas, trad it. di F. Bianchi, Z La guerrra dei narcos, laNuovafrontiera, Roma 2013.

p. 33. “È stata una di quelle circostanze che ti ricorderai per sempre cosa stavi facendo in quell’esatto momento. Mi ero appena seduta a fare colazione, un momento della giornata che adoro, ho letto il titolo sul giornale e non riuscivo a capire. Persino per il livello di orrore a cui siamo ormai abituati, ciò di cui a grande linee parlava quell’articolo era terribilmente atroce, arbitrario, crudele, non tanto per le torture che sarebbero state inferte alle vittime, anche perché sembra che non ce ne siano state, ma per la freddezza con cui sono state assassinate persone (decine e decine di esseri umani!) che, per usare una metafora, non avrebbero dovuto prendere parte a quel funerale.” (traduzione mia).

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Con i migranti rimasti anonimi si possono solamente fare supposizioni, come è avvenuto ad esempio con un migrante hondureño che si pensa facesse parte di quella parte della popolazione che vive in una situazione di povertà estrema, addirittura con meno di un dollaro al giorno.

Sono tredici i migranti coinvolti nel sequestro di San Fernando che sono rimasti senza un’identità o coinvolti in episodi di scambio dei corpi causati dalla burocrazia per il rimpatrio nel Paese d’origine. Non avendo potuto rimpatriarli o consegnarli ai familiari, sono stati raggruppati in una fossa comune.

Sono diversi i casi di scambio dei corpi quando vengono consegnati ai loro familiari, come testimonia Karla Micheel Salas Ramírez, avvocato che rappresenta alcune famiglie che hanno denunciato lo stato messicano alla Corte Interamericana de Derechos Humanos (CoIDH):“Tres días después del hallazgo, la procuraduría estatal aseguró que habían sido identificados los cuerpos y los entregó a los familiares. A pesar de ello, las familias no tenían la certeza de que el cuerpo que les habían entregado correspondía al de sus hijas”22.

Secondo un reportage23 del 1996 di un quotidiano messicano, dal 1994 degli oltre quattromila centroamericani che sono morti durante l’attraversamento della frontiera oltre mille sono rimasti senza un’identità e i loro resti sono stati ritrovati in fosse comuni, alcune conosciute come

narco-fosas.

I narcotraffanti sono ormai usuali a sequestrare in modo massivo gruppi di migranti rispetto ad esempio a imprenditori locali, a causa delle conseguenze che potrebbero avvenire a seguito del sequestro: rapire una quantità grossa di migranti infatti attrae meno l’attenzione della stampa o dei

22

Cuerpos Huérfanos De Nombre. Thelma Gómez Durán. 02/07/2011,

http://nuestraaparenterendicion.com/index.php?option=com_k2&view=item&id=388:cuerpos-hu%C3%A9rfanos-de-nombre&Itemid=108. “ Tre giorni dopo il ritrovamento, la Procura dello Stato assicurò che erano stati identificati i corpi e li consegnarono alle famiglie. Nonostante ciò, le famiglie non avevano la certezza che i corpi consegnati corrispondessero a quelli delle loro figlie.” (traduzione mia).

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politici locali rispetto al rapimento di migranti sconosciuti. Nessuno, tranne pochi familiari che ricorreranno ai consolati locali, si possono preoccupare dei familiari scomparsi.

Nel 2011, un anno dopo questo evento, fu trovata un’altra fossa comune contenente 265 corpi di migranti che hanno subito lo stesso trattamento dei migranti sequestrati a San Fernando, ma questa volta sotterrati.

Sequestri di migranti sono episodi che ormai capitano molto spesso lungo il territorio messicano: uno degli ultimi episodi risale a marzo del 201324, quando sono stati sequestrati e in seguito liberati dalla Secretaría de la Marina Armada de México (SEMAR) centoquattro migranti centroamericani. I migranti in questione sono stati sequestrati a Tamaulipas, zona controllata, come si è detto precedentemente, da Los Zetas, e considerata una delle zone più pericolose della nazione.

La notevole diffusione mediatica e sociale che ci fu in Messico in seguito al ritrovamento dei settandue migranti e di almeno quarantanove fosse clandestine a San Fernando, obbligò l’amministrazione messicana a riconoscere quello che stava accadendo in Messico ormai da anni: un massacro di migranti in transito per il Paese da parte di criminali con la collaborazione delle forze statali.

Secondo un’informativa25

realizzata dal Movimiento Migrante Mesoamericano (MMM)26 prima

dell’episodio di San Fernando, il comportamento assunto dalle forze dell’ordine messicano era stato

24 Semar logra liberar a 104 migrantes de CA. Redacción El Universal. 11/03/2011,

http://www.eluniversal.com.mx/nacion/204660.html.

25 Informativa realizzata da: Movimiento Migrante Mesoamericano, Elvira Arellano, Talía Vázquez, Rubén Figueroa,

José Jacques, Marta Sánchez, Adriana Luna Parra, “Nuestros Lazos de Sangre”, Luis Ángel Nieto; “Alianza Braceros del Norte”, Rosa Martha Zarate; Marylena Bustamante, Fundación Emil Bustamante; “Promoción del Desarrollo Popular”, Luis Lopezllera, Cristina Lavalle; y suscrito por Las Patronas, Veracruz, “Albergue Hogar de la Misericordia” Heyman Vázquez; Albergue para personas Migrantes “La 72” Fray Tomás González; Albergue Hermanos en el Camino, Padre Alejandro Solalinde; “Comedor San José de Huehuetoca” (Ustedes somos Nosotros, Colectivo Vía Clandestina, Cultura Migrante, Colectivo Vía Migrante, Congregación Hermanas Auxiliadoras, Congregación Hermanas Scalabrinianas, Congregación Hermanas del Sagrado Corazón, Prami-Ibero, Soy Migrante, Movimiento Migrante Mesoamericano), Cofamide, Progreso, Honduras. Mèxico, 2013.

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Movimiento Migrante Mesoamericano, rete di attivisti difensori dei diritti dei migranti. Membro dell’International

Migrant´s Alliance, IMA –Asia Pacifico y Europa, membro del MIREDES International, Cono Sur, Centroamérica y Europa; membro del Grupo de Trabajo en Política Migratoria, México.

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di totale negazione delle sparizioni in atto nel Paese e di indifferenza dinanzi alle denunce degli attivisti dei diritti umani.

L’alto livello di diffusione mediatica portò inoltre la criminalità organizzata a cambiare il proprio

modus operandi utilizzato finora, questa passò infatti da sequestri massivi a piccoli sequestri,

conosciuti come acciones hormiga.

Secondo diverse analisi del numero di sequestri avvenuti, prosegue l’informativa, si stima che dal 2006 sono sparite tra le 70,000 e le 120,000 persone in transito in Messico.27

Il segretario del governo, Francisco Blake,28 ha annunciato l’avvio del Estrategia Integral para la

Prevención y Combate al Secuestro de Migrantes en México, un programma governativo che

prevede un campo di azione in cinque aeree:

1. L’accordo per l’avvio di azioni coordinate tra l’amministrazione federale e le amministrazioni statali

2. L’implementazione di un piano di azione per lo smantellamento delle rete criminale colpevole dei sequestri.

3. Un programma informativo per i migranti riguardo i pericoli a cui vanno incontro e i loro diritti.

4. Un piano per la detenzione dei sequestratori e intgrare le averiguaciones previas.29

5. Maggiore attenzione alle vittime.

27 Informe Masacres, secuestro, desaparición, ejecuciones y más, migrantes en tránsito por México: Responsabilidad

de los estados: México y Estados Unidos de Norteamérica. Cit. Mauricio Farah: Conferencia “Foro de balance legislativo, Avances y retos en materia de derechos humanos y migración”, 18 y 19 de abril de 2012, Senado de la Republica.

28 Francisco Blake Mora è stato segretario del Governo nel biennio 2010-2011. 29

La averiguación previa nel Diritto messicano è un istituto giuridico consistente in una serie di atti pregiudiziali necessari affinché il Pubblico Ministero determini se è possibile procedere con l’azione penale davanti al Tribunale Giudiziale.

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Purtroppo il programma non è mai stato applicato totalmente e continuano a esserci quotidianamente casi di sequestro e assassinii di migranti.

3.3 Alejandro Solalinde, Tomas Gonzalez Castillo: uomini di chiesa al

servizio dei migranti.

Uno dei maggiori conoscitori della situazione migratoria in Messico è, come si è detto anteriormente, il Padre Alejandro Solalinde Guerra. Nel 2007 ha fondato l’albergue “Hermanos en

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el camino” a Ixtpec, Oaxaca; le principali azioni che ha portato a termine in questi ultimi anni sono

stati: protezione dei migranti, denunce dei sequestri che avvengono quotidiamente, violazione dei diritti umani dei migranti e segnalazioni di assassinii e di ulteriori violazioni.

Solalinde è stato più volte minacciato e ci sono stati atti di violenza nei suoi confronti con lo scopo di delegittimare il suo lavoro nella società principalmente messicana, ma non solo; a causa delle minacce nei suoi confronti, gode di misure di protezione personale decise dalla CNDH e dalla CIDH interamericana. In un incontro tenutosi al COLEF nel 2013 ha segnalato le mancanze nel sistema migratorio messicano, le conseguenze, le violazioni e la mancanza della politica a sistemarle. Secondo lui l’epoca attuale ha portato la società a un mondo di transizione e di cambiamenti. La transizione in atto nella cultura tuttavia non tiene conto dei diritti umani, e la stessa chiesa cattolica di cui lui fa parte ha vissuto in una struttura monarchica, verticale, e tuttora non tiene conto della persona. I migranti sono una realtà difficile con cui lavorare: loro fanno parte della transizione al cambiamento e si aiutano l’uno con l’altro.

La discussione prosegue spiegando come, secondo lui, la legge migratoria statunitense non ha tenuto in considerazione la popolazione migrante: non sono state ascoltate le etnie che vivono negli Stati Uniti, principalmente i latinos. I migranti sono stati visti solamente con un’analisi dell’aspetto economico. Secondo l’opinione di Solalinde i migranti sono stati e continuano a essere gli attori importanti nel cambio del sistema capitalista neo liberale; ma il cambiamento avviene modificando le strutture del sistema, e si devono ascoltare i diversi punti di vista. Citando Ricardo Peter, spiega come esiste qualcosa che ci fraternizza e che tutti siamo migranti ontologici: ci necessitiamo l'uno con l'altro, deve essere presente una dinamica di ascolto empatica in cui bisogna assumere il punto di ascolto dell’altro.

Secondo Alejandro Solalinde la migrazione è un diritto: seguendo questo principio e lavorando assieme ad altri attivisti per la difesa dei diritti umani, ha deciso negli anni passati di lavorare affinché il governo messicano approvasse una legge che depenalizzasse la migrazione irregolare e

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creasse un visa de transmigrante, un "permesso per i migranti" della durata di centoottanta giorni che avrebbe permesso loro di attraversare il Messico senza essere detenuti dalle forze dell’ordine. La legge è stata approvata dall’amministrazione di Felipe Calderón nel 2010.

Negli ultimi anni c’è stato un peggioramento non solo nei migranti, ma anche di chi li difende, un peggioramento dell’essere umano in sé stesso: la consapevolezza di questa violenza si espande nella comunità accademica, e quest’ultima è cosciente della necessità della difesa dell’essere umano. Un altro attore consapevole del bisogno di una maggiore protezione è la stampa.

Si vive in una grande valle di ciechi, una cecità con incoscienza, e non simpatizzare con chi soffre è cecità.

Le politiche attuate hanno obbligato i giovani a rimanere bloccati negli Stati Uniti; il non ritorno nel loro Paese d’origine ha causato una rottura con la loro famiglia, causando un peggioramento culturale, una crisi d’identità con la famiglia stessa, fondamentale per un supporto emozionale ed esistenziale di cui necessitano i giovani.

Gli adolescenti, quando arrivano negli Stati Uniti, sono commercializzati e finiscono per essere vittime del crimine organizzato. Uno dei compiti che lo Stato messicano dovrebbe assumersi come proprio è cambiare la loro visione. Permettere loro che continuino a prendere autonomamente la decisione di uscire dal Paese di origine, appoggiarli in queste decisioni e infine guidarli; ciò nonostante non bisogna avere un comportamento paternalista in nessun campo della loro vita.

Solalinde prosegue con una critica verso i politici, spiegando che se un funzionario pubblico attua le proprie scelte condizionato dalla sua posizione dall’alto rispetto al singolo, o una politica basata sulla propria linea politica, non possiede le qualità per essere un buon funzionario.

In una società verticalista non è corretto non ascoltare le persone presenti in posizioni inferiori, la partecipazione cittadina è infatti fondamentale.

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Sono necessarie maggiori leggi per aiutare le persone.

Ormai non è più solamente la zona frontaliera il teatro delle persecuzioni dei migranti, ormai lo è tutto il Paese ed in Messico è ormai diffuso il fenomeno di sfruttamento del “Cachuco, del centroamericano chuco, sucio” ("sporco"). In qualunque modo, un delitto contro i centroamericani prevede un guadagno, spesso causato dalla corruzione presente. Tuttavia la violazione dei diritti fondamentali per i migranti è un segno non solo messicano ma sistemico e succede ovunque.

Prima del 2005, il padre Solalinde non era in servizio a Ixptec, non è perciò a conoscenza di quale fosse la situazione prima di quell’anno. In seguito, ha iniziato a rendersi conto delle violazioni che avvengono da parte dei criminali, della polizia e dei narcotrafficanti, principalmente Los Zetas, il cartello del Golfo e quello di Sinaloa. Il Messico è un paese frammentato, un Paese in cui il potere della criminalità organizzata è superiore e si può perciò parlare di una mafiocrazia. Tutte le decisioni ruotano attorno al “Dio Denaro” ed è una società in cui i diritti umani sono visti con “simpatia”.

Lo stesso Solalinde fu minacciato da los Zetas, ma gli dissero che non lo avrebbero ucciso poiché il suo assassinio avrebbe portato alla chiusura dell’albergue a cui fa riferimento e avrebbero perciò perso una “fonte” di migranti, costringendo i criminali a cercare le vittime da altre parti.

Ci sono molte sparizioni in Messico. L’ottenimento di denaro è il motivo per cui avvengono tali crimini e si stima che almeno diecimila centroamericani siano scomparsi negli ultimi tre anni. Come già analizzato anteriormente questi dati si riferiscono a quelli che è stato possibile registrare, perciò, prosegue spiegando come potrebbero essercene di più, nessuno li reclama.

Secondo lui, i politici non sono interessati a risolvere la situazione delle sparizioni finché non vengono colpiti personalmente dal fenomeno ormai diffuso in Messico. Questa non curanza è dimostrata dall’assenza di una volontà politica di trovare una soluzione a ciò.

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Quotidianamente si vedono madri cercare i figli scomparsi e continuano a esserci femminicidi; manca, secondo Solalinde, uno spirito di “autoconservazione” all’interno della popolazione, e chi commette i crimini in questione dimostra di non essere interessato al dolore che crea sequestrando le persone.

La vicinanza a un Paese sviluppato, come lo sono gli Stati Uniti, porta affari positivi e negativi per il Messico: questa varietà di guadagni e di perdite porta però gli Stati Uniti a guardare tutto con un’attenzione particolare verso la sicurezza nazionale.

Il discorso migratorio in Messico deve essere affidato, secondo Solalinde, a persone che hanno un percorso formativo nell'ambito dei diritti umani, e secondo l’esperienza personale che ha avuto modo di sviluppare le donne sono da preferire alla polizia; quando avverrà un cambio di attori nella gestione attuale del tema migratorio, inizierà a esserci un maggior dialogo tra i differenti attori.

Per fermare la violenza, è importante sviluppare l’educazione e i servizi educativi all’interno del Paese, pur con la consapevolezza che è un processo che ha bisogno di anni.

Infine termina spiegando che la frontiera Sud è un luogo dove arrivano moltissimi migranti, le persone povere del Centro America, e molti di loro sono vittime della guerra.

In El Salvador è rimasta aperta una ferita ormai da vent’anni e lo stesso succede in Guatemala oggi. La frontiera Sud ha un problema umano e questo problema non si risolve chiudendo la frontiera, ci deve essere un piano di sviluppo integrato; i governi dei diversi Paesi coinvolti si devono riunire e risolvere il problema in modo congiunto. Nonostante il guadagno che portano le remesas alle diverse economie nazionali, i governi devono parlare e risolvere tali problemi.

Ci devono essere nuove strutture attraverso cui si sviluppa la partecipazione, ad esempio le case dei migranti rappresentano uno dei luoghi in cui è possibile attuare ciò: si è sviluppata, infatti, una nuova coscienza nel migrante, il quale ha iniziato a denunciare le violazioni che subisce.

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Grazie al lavoro e all’impegno di diverse associazioni non governative e di attivisti per la difesa dei diritti umani, avvengono ritrovamenti di migranti scomparsi, come dichiara il frate Tomás González, direttore dell’albergue “La 72” a Tenosique, Tabasco, e del Centro Derechos Humanos

Usumacinta: “Estamos encontrando a los migrantes, estamos haciendo el trabajo del gobierno”30 ha commentato lui stesso. Lavora ogni giorno per servire i migranti nel Sud-Est del Paese. Frate González commenta che gli albergues hanno iniziato a portare assistenza ai migranti circa una ventina d’anni fa, principalmente nel Nord del Paese; nel Sud invece questi rifugi per migranti si sono sviluppati da una quindicina d’anni, quando la migrazione centroamericana è aumentata. "Lo stato messicano", prosegue, "non ha svolto un ruolo fondamentale nella creazione e nello sviluppo degli albergues, sono pochi i rifugi che svolgono il loro lavoro con i sussidi statali", la maggior parte dei rifugi infatti sono gestiti dalla Chiesa cattolica. Secondo lui, lo stato ha un parere critico rispetto a molti albergues, soprattutto riguardo a quelli che svolgono un lavoro di denuncia nei confronti delle autorità corrotte, da anni infatti i migranti trovano oltre a un’assistenza primaria come vitto e alloggio, anche un’assistenza per la difesa e la promozione dei diritti umani della popolazione migrante.

Come si diceva nel capitolo precedente, gli attivisti per i diritti umani che lavorano negli albergues devono affrontare quasi quotidianamente i problemi relativi alle minacce verbali o fisiche da parte dei singoli criminali o degli individui appartenenti alla criminalità organizzata.

Frate González spiega che i migranti sono visti dai criminali come una mercanzia che potrebbe fruttare loro un enorme quantità di denaro e perciò sono quotidianamente a rischio. Il lavoro di denuncia svolto dagli attivisti mina i guadagni dei criminali e questo ne comporta il rischio personale per la propria vita.

30 "Con Los Migrantes, Estamos Haciendo Trabajo Del Gobierno". 05/11/2012,

http://nuestraaparenterendicion.com/index.php?option=com_k2&view=item&id=1500:con-los-migrantes-estamos-haciendo-trabajo-del-gobierno&Itemid=127. “Stiamo incontrando i migranti, stiamo facendo il lavoro del governo”. (traduzione mia).

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Frate González è stato più volte minacciato assieme al collaboratore Ruben Figueroa da pandilleros locali, come si può evincere da una testimonianza di quest’ultimo: “El domingo 3 de marzo alrededor de las 8 de la noche junto con Fray Tomás González, director del albergue y el equipo de voluntarios, nos dirigimos a las vías del tren en Tenosique, Tabasco debido a que el tren estaba estacionado y listo para partir. Esa noche detecté a una persona considerada sospechosa de estar involucrada en los grupos delincuenciales que están cobrando la cuota a los migrantes e informé a Fray Tomas y los voluntarios que en ese momento se encontraban ahí. El lunes 4 de marzo Fray Tomas impidió la entrada de esta persona al albergue, indicándole que por su seguridad y la de nosotros no podía estar en este lugar, a lo que la persona respondió: “ya sé, quién te dijo, fue Rubén". El interpelador incluso le ofreció dinero para que le informara y al no tener respuesta a sus preguntas, el tipo lanzó la amenaza, "no importa que no me digas, yo sé que fue Rubén, lo traemos entre ceja y ceja, dile a tu amigo Rubén que le vamos a “dar piso”31, ya los contactos saben".32

Amnesty International e la Red Regional de Organizaciones Civiles para las Migraciones (RROCM) hanno richiesto al governo messicano un’azione urgente per l’avvio di azioni a difesa degli attivisti in seguito alle molteplici minacce da loro ricevute. Uno degli ultimi episodi è avvenuto a marzo 2013, quando Gonzalez e Figueroa si stavano dirigendo verso la Procura Generale di Giustizia dello Stato per denunciare alcune minacce che erano arrivate tramite un migrante a cui era stato detto: “… lo que nos interesa es la cabeza del padre, que está al frente de todo esto; y de todos los que están hablando… Hoy mismo vamos por todos ellos al albergue…”.

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“Dar piso” nel linguaggio dei narcotrafficanti equivale a uccidere, compiere un’esecuzione.

32“Domenica 3 marzo, all’incirca alle 8 della sera assieme a fra’ Tomás González, direttore dell’ albergue e alla

squadra dei volontari, ci dirigiamo sul percorso del treno a Tenosique, Tabasco poiché il treno è fermo e sta per partire. Quella notte scoprì una persona considerata sospetta di essere coinvolta nei gruppi criminali che stanno richiedendo una quota ai migranti e informai a a fra’ Tomás e i volontari che si trovavano li in quel momento. Lunedì 4 marzo fra’ Tomas impedì l’entrata di questa persona nell’albergue, comunicandogli che per la sua e la nostra sicurezza era meglio che non stesse in quel posto, allorché la persona gli rispose: -già so, chi te lo ha detto, è stato Rubén - . Il richiedente offrì anche soldi per informarlo e al non ricevere risposta alle domande, il tipo lo minaccia: - non importa che non me lo dici, io so che è stato Rubén, ce l’abbiamo con lui, digli che – vamos a dar piso- e i contatti lo sanno.” (traduzione mia).

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Le forze dell'ordine, con un’operazione fortemente criticabile per la sua coordinazione, hanno arrestato tre criminali che sono stati in seguito rilasciati senza nessuna ragione apparente.

In risposta alle numerose minacce nei confronti degli attivisti, la segreteria di governo attraverso il programma denominato Mecanismo Nacional de Protección para Personas Defensoras de

Derechos Humanos y Periodistas, sono state imposte a gestire misure di sicurezza nell’albergue

“La 72”; queste misure di protezione però danno agli attivisti un senso di frustrazione, in quanto rendono l’albergue un bunker di difesa, come ha commentato Marta Sanchez del MMM, ma si teme che non porteranno nessun cambiamento e che continueranno le violazioni, spesso mortali, nei confronti dei migranti nelle vicinanze del rifugio.

La situazione che molti migranti vivono è raccontata nella testimonianza di un migrante honduregno, che ha trovato la protezione nell’albergue "La 72". Racconta: “Recuerdos de todo lo que me ha pasado desde que salí de mi tierra el 10 de abril de 2013. Bueno, salimos mi amigo y yo de un lugar llamado "La Ceibita", Omo Cortes y llegamos a Cuyamel donde tomaríamos un autobús a La Frontera. […] En El Naranjo comenzó lo bueno: ya no sabíamos que hacer porque el dinero que traíamos lo queríamos dejar para cruzar México. Vendimos mi celular para que nos cruzaran el río en la lancha que eran 240 pesos por cada uno y lo pagamos. Era el pago de la lancha el carro hasta las vías. Pero la lancha nos dejó botados en El Ceibo a eso de las 4 de la mañana.

De repente salieron unos individuos, eran exactamente cuatro. Uno con pistola, otro con machete largo, otro con una calibre 12 mm y el otro con un foco y un puñal. Nos pidieron que les entregáramos todo. Les dijimos que estaba bien pero que no nos hicieran daño. Luego el que estaba con el foco se acercó y nos puso el puñal en el pescuezo y alumbraba mientas que, el que estaba con la pistola nos quitaba todo.

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Nos quitaron, nos golpearon con la cacha de la pistola y uno que otro golpe de mano hasta dejarnos en el piso… y luego nos levantamos y seguimos caminando atarantados por los golpes. Llegamos hasta donde estaba un retén policial y les dijimos lo que había pasado pero no quisieron nada, solo nos dijeron que ahí es peligroso… Y seguimos caminando con los pies bien en llagados y el cuerpo adolorido por los golpes de los maleantes, pero nosotros queríamos llegar a las líneas del tren. Cuando llegamos se nos acercaron tres individuos que nos extorsionaron pues querían saber que quién era el coyote. Nosotros le dijimos que íbamos solos y ellos nos dijeron que como quiera teníamos que pagar 100 dólares si queríamos agarrar el Tren, les dijimos que no traíamos dinero y entonces dijeron que si subíamos al tren nos iban a cortar la cabeza o nos iban a tirar del tren, quedamos impactados y preguntamos donde quedaba la casa de migración y nos fuimos hasta allá.Donde hablamos con el padre fray Tomas y Rubén y nos dijeron que si teníamos el valor de denuncia y le dijimos que sí. Cuando al día siguiente mire a uno de ellos allí, adentro del albergue de la 72 y entonces procedí a decirle a Rubén que allí estaba uno de ellos. Y Rubén le avisó al padre y me dijeron cual es ese…! Que va allí y le llamaron la atención y el individuo dijo ese hijo de puta no sabe a dónde se está metiendo. Entonces le dije al padre fray tomas que como era posible que esa gente pudiera estar adentro del albergue. Cuando el individuo quiso entrar otra vez, ya no lo dejaron pasar. Y fue ahí donde procedimos a levantar una acusación con las personas estas. Y al día siguiente comenzaron las averiguaciones de MP, PGR y PJ y luego procedieron al resto de las personas involucradas para el día PGR para rendir declaraciones y reconocer a estas personas. Y sí eran las personas correctas que nos habían extorsionado y los de la PGR nos dijeron que si estábamos seguros y les dijimos que sí y luego nos tomaron testimonio y el padre siempre estuvo con nosotros todo el tempo lo cual le agradecemos mucho.

El padre nos trasladó hasta la casa del albergue pero a los pocos días esa gente estaban libres en la cosa es que los deportaron. […] Pocos días después, miramos a los tipos pasaron por el frente de la casa de migrantes presumiendo que estaban libres y presumiendo bien vestidos y la avisamos al padre y a Rubén y a los dos días los individuos me amenazaron. Dijeron que podría esconderme

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donde quiera que siempre me iban a encontrar porque se las iba a pagar por lo que les había hecho. Por eso es que nos sacaron de Tenosique porque nuestra vida corría peligro. Es por esa razón que nos encontramos refugiados aquí. No sabemos que vaya a pasar con nosotros después de esto. La incertidumbre nos está matando. Les pedimos a las autoridades nos apoyen a poner un alto o que hagan algo por nosotros. Se lo rogamos.”33

3.4 Messicani negli Stati Uniti: i Dreamers, la storia di Ileana Salinas.

33 “Ricordi di tutto ciò che mi è successo da quando sono uscito dalla mia terra il 10 aprile 2013. Siamo usciti io e il mio

amico da un posto chiamato la – La Ceibita – Omo Conrtes e arriviamo a Cuyamel dove avremmo dovuto prendere un autobus per la Frontiera. […] A Naranjo sono cominciate le cose buone: già non sapevamo che fare perché il denaro che avevamo lo volevamo lasciare per attraversare il Messico, abbiamo venduto il mio cellulare per attraversare il fiume nella barca che erano 240 pesos per ognuno e li abbiamo pagati. Era il pagamento della barca, il trasporto fino alla strada. La barca ci ha lasciati fermi a El Ceibo alle 4 della mattina. Improvvisamente uscirono alcuni individui, più precisamente quattro. Uno aveva la pistola, un altro con un machete, un altro con una 12mm e l’altro con un faretto e un pugnale. Ci domandarono che gli consegnassimo tutto. Gli dicemmo che andava bene e che non ci facessero del male. Dopo, quello con il faretto si avvicinò e ci mise il pugnale sul colletto e illuminava mentre quello che aveva la pistola ci toglieva tutto. Ci presero, ci colpirono con il manico della pistola e ci colpirono fino a lasciarci per terra. … dopo ci siamo alzati e abbiamo proseguito il cammino storditi dai colpi. Abbiamo camminato fino a una stazione di polizia e gli dicemmo quello che era successo pero non vollero fare nulla, solo ci dissero che li era pericoloso e proseguimmo a camminare con i piedi nella piaga doloranti per i colpi dei malviventi, però noi volevamo arrivare ai binari del treno. Quando arriviamo si avvicinarono tre individui che ci estorsero e volevano sapere chi fosse il coyote. Noi gli dicemmo che andavamo soli e loro ci dissero che dovevamo pagare 100 dollari se volevamo prendere il treno, gli dicemmo che non avevamo denaro e ci dissero che se fossimo montati sul treno ci avrebbero tagliato la testa e che ci avrebbero lanciato giù dal treno. Rimaniamo bloccati e domandammo dove era la casa de migración e ci dirigemmo lì. Lì abbiamo parlato con fra’ Tomas e Rubén e ci chiesero se avessimo il coraggio per presentare una denuncia e gli dicemmo di si. Il giorno dopo vidi uno di loro dentro l’ albergue - La 72- e glielo dissi a Rubén che li stava uno di loro. Rubén avviso il frate e mi chiesero quale fosse. Andarono lì e chiamarono la sua attenzione e l’individuo disse che questo -figlio di puttana- non sapeva cosa stava rischiando. Allora chiesi al Padre Tomas come fosse possibile che queste persone fossero dentro l’albergue. Quando l’individuo volle entrare nuovamente non lo lasciarono entrare. E fu allora che fummo a fare una segnalazione e il giorno dopo cominciarono le indagini di MP, PGR e PJ e dopo procedettero con le persone coinvolte per il giorno PGR per raccogliere le dichiarazioni e riconoscere queste persone. E se fossero le persone giuste e quelli della PGR ci dissero se fossimo sicuri e confermammo, raccolsero la testimonianza e il Padre stette con noi tutto il tempo e di questo lo ringraziamo. Il Padre ci trasferì fino a la casa dell’albergue queste persone erano libere e le deportarono […] Pochi giorni dopo vediamo gli individui passare liberi di fronte alla casa del migrante presupponendo che fossero liberi e ben vestiti e avvisammo Rubén e due giorni dopo gli individui mi minacciarono. Dissero che potevo nascondermi dove volevo ma che mi avrebbero sempre trovato e che avrei pagato per quello che avevo fatto. Per questa ragione ci fecero uscire da Tenosique, perché la nostra vita era in pericolo. Per queste ragione ci siamo rifugiati qui. Non sappiamo che va a succedere dopo ciò. L’incertezza ci sta uccidendo. Domandiamo alle autorità che mettano fine a ciò o che facciano qualcosa per noi. Li preghiamo ciò.” (traduzione mia).

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Sono molti i giovani messicani, residenti ormai da anni negli Stati Uniti, che studiano o lavorano, come sono molteplici i motivi per cui si trovano negli Stati Uniti, ma tutti hanno qualcosa che li accomuna: tutti stanno aspettando la riforma migratoria promessa da Barack Obama durante la campagna elettorale per le elezioni presidenziali, per poter finalmente regolarizzare il proprio status migratorio.

Inoltre sono in attesa che il congresso approvi il DREAM act, una legge che permetterà a molti dei giovani immigrati presenti negli Stati Uniti di ottenere la possibilità di concorrere per la richiesta di ottenimento della cittadinanza statunitense al termine di un periodo di 5 anni, in seguito ai quali viene concesso uno status temporaneo.

Ileana Salinas, una giovane ragazza messicana, è una delle migliaia di giovani che attendono questo cambiamento. E' cresciuta nel distretto di Tlatelolco a Città del Messico e ha conosciuto quotidianamente la violenza della società messicana. In Messico i genitori di Ileana possedevano una propria impresa, il padre era il direttore di una compagnia che produceva carne, mentre la madre lavorava nel reparto amministrativo dell’impresa familiare. Attualmente, negli Stati Uniti, il padre lavora come meccanico e la madre lavora come donna delle pulizie e come baby-sitter per poter pagare le spese necessarie. Ileana ricorda ancora il senso di frustrazione che provavano i genitori, quando ancora stavano in Messico, ogni volta che qualcuno irrompeva nella loro proprietà per commettere un furto. Descrive la gelosia dei vicini dell’epoca dovuta al fatto che lei e suo fratello erano iscritti a una scuola privata. I vicini non erano però a conoscenza delle perdite negli affari e dei sacrifici fatti dal padre per anni per garantire ai propri figli la migliore educazione possibile.

La decisione di partire verso gli Stati Uniti è stata presa dai genitori, che hanno ritenuto che la società in cui i propri figli stavano crescendo non fosse adatta a loro e soprattutto che non fosse sicura; infatti nell'intervista Ileana racconta che nel periodo precedente la loro partenza i figli di alcuni imprenditori vicini al padre, e gli stessi suoi cugini, vennero rapiti.

(28)

Questi episodi hanno fatto sì che i genitori di Ileana si convincessero che partire per gli Stati Uniti sarebbe stata la scelta migliore. Per Ileana e la famiglia non è stato facile vedere in sei mesi chiudere un’azienda ventennale e lasciare solamente un edificio vuoto.

Ileana è potuta partire con una sola valigia e ha dovuto scegliere tra le sue cose quelle più importanti da portare via: tra queste, ricorda, il dizionario spagnolo/inglese, indispensabile per chi decide di cominciare una nuova vita oltre confine; ha poi dovuto salutare tutti i suoi conoscenti e il paese che l’ha vista nascere. Arrivati in Arizona, la famiglia Salinas ha trovato assistenza nella casa del fratello della madre, che ha offerto loro vitto e alloggio per i primi sei mesi, durante i quali la valigia è stata l'unico armadio che aveva a disposizione. In seguito al suo arrivo negli Stati Uniti si è iscritta al liceo ed è riuscita ad accedere alla Arizona State University. Ileana prosegue raccontando che durante gli anni in cui frequentava la scuola, ha dovuto affrontare alcuni problemi legati alle decisioni politiche dell’amministrazione dell’epoca e le conseguenze dell’emanazione di alcune leggi discriminanti per gli immigrati.

Una delle leggi approvate dall’amministrazione dell’Arizona è stata la Proposition 300 che prevede per gli studenti stranieri non in possesso di documenti dimostranti che l’immigrazione negli Stati Uniti è avvenuta in maniera legale, una tassa di iscrizione superiore rispetto agli altri studenti. Nel caso di Ileana la tassa d'iscrizione iniziale di 3.500 dollari è passata a 10.000, non avendo l'Università tenuto conto delle scuole precedentemente frequentate dalla ragazza nello Stato dell'Arizona. La giovane, nonostante avesse accesso a differenti borse di studio, è riuscita a coprire solo la tassa richiesta per l’iscrizione, mentre non ha avuto alcun aiuto, spiega, per le ulteriori spese dovute al vitto, all'alloggio e ai libri. Nel 2008 infine le è stato tolto l’accesso a una delle borse di studio di maggiore entità.

In seguito ad una modifica della legge, a coloro che non possono dimostrare lo status di immigrato regolare, la legge nega anche l’accesso alle borse di studio statali, indipendentemente dal merito del singolo studente.

(29)

Nell’estate 2008, ricorda, l'associazione locale Chicanos Por la Causa (CPLC) ha organizzato una raccolta di denaro che ha aiutato molti degli studenti che, come Ileana, non erano in possesso dei documenti legali per l’istanza negli Stati Uniti. Grazie al mantenimento di voti positivi e allo svolgimento delle 40 ore di servizio comunitario ogni anno, Ileana ha potuto mantenere la borsa di studio. Negli anni universitari ha potuto partecipare alla creazione di una raccolta di storie dei giovani immigrati che lottavano per il diritto a un’educazione.

Grazie alla volontà di Jose Magaña, tra ottobre 2008 e febbraio 2009 è stata creata un’organizzazione i cui principali obiettivi sono la considerazione complessiva delle 40 ore di servizio alla comunità, dell'organizzazione di eventi per la collettività e di lavorare affinché vengano fatte pressioni alla classe politica per l’emanazione del DREAM Act.

Durante l’estate del 2009 il gruppo di Ileana aveva organizzato un campo di lavoro a Payson (Arizona) e lungo il viaggio, racconta, vennero fermati dalla polizia che procedette nei suoi confronti. Una volta chiamato il personale responsabile dell’immigrazione, l’Immigration Customs

Enforcement (I.C.E.), Ileana e altri tre ragazzi vennero detenuti dalla polizia locale in attesa

dell’arrivo del personale dell'I.C.E. Durante la notte passata in prigione Ileana si è posta alcune domande senza risposta: “Why would a University honors student with clean criminal record would be locked up sharing a cell with people that had criminal and domestic violence charges? Why did all the work I have done to better myself and help others did not matter there? When did the true actions of citizenship I had shown throughout the years were worthless compared to a 9 digit number (SSN)? And why did I feel so degraded to think that the answer to these questions was in the color of my skin, my accent, and in the consequences of being brought to the U.S. – a choice I did not make?”34

34

“Perché uno studente universitario senza precedenti penali dovrebbe condividere una cella con persone che hanno accuse di crimini e violenza domestica? Perché tutto il lavoro che ho fatto per migliorare me stessa e per aiutare gli altri non ha importanza qui dentro? Quando le buone azioni della cittadinanza che ho mostrato nel corso degli anni furono inutili comparate a 9 numeri (SSN) ? E perché mi sento cosi umiliata a pensare che le risposte a queste domande erano

(30)

Ileana continua l’intervista spiegando che solamente grazie al programma Know your rights, con le informazioni che le erano state date dal procuratore, ha potuto essere rilasciata il giorno dopo. Ileana e tutti coloro che sono in attesa dell’approvazione del DREAM Act sono conosciuti come i

DREAMers: sono giovani nati in altri Paesi ma cresciuti negli Stati Uniti, e crescendo sono

diventati cittadini di seconda generazione. Hanno ricevuto un’educazione negli Stati Uniti, però son discriminati per la mancanza di documenti di migrazione regolare.

Grazie all’aiuto ricevuto da altri DREAMers e da simpatizzanti, il gruppo di lavoro, il cui scopo è fare pressione sulla società per l’approvazione del Dream Act, inizialmente era composto da quaranta persone: ora è diventato uno dei gruppi più grandi di tutto l’Arizona.

L’Arizona DREAM Act Coalition35

(ADAC) è composta da diverse sezioni:

Phoenix DREAMers: Studenti delle scuole superiori senza immigrati;

DREAM Guardians: Genitori degli studenti immigrati;

QUIP: Progetti sospetti di immigrati non autorizzati;

I Dreams: Racconto delle storie personali e rappresentazione delle storie tramite l’arte;

SUFFRAGE: Studenti universitari immigrati;

CADENA: Professionisti, procuratori e avvocati che aiutano con la causa. Inoltre collabora con un’organizzazione di Tucson (Arizona) la Scholarships A-Z.36

nel colore della mia pelle, il mio accento e nelle conseguenze di essere stata portata negli U.S.A., una scelta che non ho fatto io?”. (traduzione mia).

35 L’ Arizona DREAM Act Coalition è un’organizzazione giovanile focalizzata sui diritti degli immigrati, in particolar

modo sul diritto all’educazione.

36 La Scholarships A-Z fornisce informazioni sulle borse di studio e risorse per gli studenti a prescindere dallo status

Figura

Figura 19:  Migranti centro americani in transito in Messico 1995-2010.

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