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4. LA VULNERABILITA’ SISMICA DEGLI EDIFICI IN CEMENTO ARMATO

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Academic year: 2021

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4. LA VULNERABILITA’ SISMICA DEGLI EDIFICI IN CEMENTO

ARMATO

Dagli anni ’50 fino agli anni ’80, in Italia, si è verificato un notevole sviluppo nel campo delle costruzioni in cemento armato, fino a quel momento inesistenti nel panorama nazionale. Molti di questi edifici sono stati realizzati secondo la L.64/74, prima legge in materia antisismica; crolli improvvisi di edifici realizzati a cavallo tra gli anni ’50 e ’60 hanno dimostrato come fino ad allora il controllo sulla qualità dei materiali da costruzione non fosse adeguato.

Ancor più critica appare la situazione per gli edifici in c.a. costruiti in zone che solo classificazioni più recenti hanno reso sismiche. Solamente dal 1982, infatti, è stata redatta una nuova classificazione sismica che ha interessato gran parte del territorio nazionale, che recentemente è stata superata con quella del D.M. 14 Gennaio 2008.

I risultati degli studi di vulnerabilità sismica su scala nazionale, ad oggi, hanno evidenziato, nella maggior parte dei casi analizzati, un elevato stato di degrado dei conglomerati cementizi, soprattutto per gli edifici di età superiore ai 40 anni, riscontrando le seguenti problematiche comuni a tali edifici:

− problemi di resistenza della struttura dovuti ai bassi valori dell’ Rck del

calcestruzzo;

− problemi di duttilità della struttura dovuti all’insufficiente presenza di staffature in acciaio e/o alla non accurata realizzazione delle stesse;

− assenza di adeguata staffatura;

− espulsione del copriferro per l’aumento di volume delle armature colpite fenomeni di corrosione a causa della carbonatazione;

− errori progettuali o di messa in opera;

− prescrizioni normative vigenti all’epoca di costruzione meno restrittive delle attuali;

− mancato rispetto delle normative vigenti all’epoca della costruzione e carenza di controlli sul cantiere;

mancata corrispondenza tra gli elaborati di progetto e lo stato di fatto dell’immobile.

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4.1 Generalità sui meccanismi di collasso delle strutture in c.a.

Il comportamento di una struttura durante un terremoto dipende, oltre che dalle caratteristiche dell’azione sismica, anche dalla qualità della struttura stessa, che determina il comportamento duttile dell’edificio e la capacità di trasferire in fondazione le forze orizzontali senza eccessive deformazioni. Il buon comportamento sismico di una struttura può essere raggiunto in generale seguendo i seguenti principi:

− semplicità strutturale;

− uniformità e simmetria;

− iperstaticità;

− adeguata resistenza e rigidezza flessionale secondo due direzioni ortogonali;

− adeguata resistenza e rigidezza torsionale;

− adeguata resistenza e rigidezza dei solai nel piano

− fondazioni adeguate.

I sistemi strutturali più frequenti per le strutture in c.a. che presentano un’adeguata rigidezza nei confronti delle azioni orizzontali indotte dal sisma sono:

a) telai resistenti a momento (Fig. 4.1a);

b) telai con controventi concentrici (Fig. 4.1b) o eccentrici (Fig. 4.1c); c) sistemi a parete singola o accoppiate (Fig. 4.1d);

d) sistemi telaio-parete (Fig. 4.1e).

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d) e)

Fig. 4.1 Sistemi strutturali

I meccanismi di rottura più favorevoli per le strutture in c.a. sono quelli in cui vengono evitate rotture fragili (taglio) dei nodi e degli elementi strutturali, dunque meccanismi determinati dalla plasticizzazione delle travi a tutti i piani ed alla base dei pilastri al solo piano terra (sistema a travi deboli e colonne forti), che coinvolgono il maggior numero possibile di cerniere plastiche permettendo così la massima dissipazione energetica. Le strutture che rispondono a tale cinematismo presentano una buona regolarità nella distribuzione di rigidezze e resistenza lungo l’altezza, che garantisce l’assorbimento delle forze laterali da parte dell’intera struttura, con una distribuzione uniforme del danno e conseguente minimizzazione delle deformazioni locali.

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Fig. 4.2 Meccanismo di deformazione di un telaio a travi deboli – colonne forti

La realizzazione di un tale meccanismo richiede però un’accurata progettazione basata sul principio di gerarchia delle resistenze, che verrà trattata nel successivo paragrafo.

I crolli verificatesi a seguito di eventi sismici hanno evidenziato come il meccanismo di collasso più frequente sia la formazione di un meccanismo di piano (telai shear type), con formazione di cerniere plastiche in testa ai pilastri di un piano, salvo sporadiche plasticizzazioni in alcune travi ed in alcuni pilastri di altri piani (sistema a travi forti e colonne deboli). Il coinvolgimento di un numero ridotto di elementi strutturali di un unico piano alla dissipazione di energia ed in particolare di pilastri soggetti, per la funzione che svolgono, a sforzi di compressione che ne riducono la duttilità, determina limitate capacità dissipative d’insieme della struttura e la possibilità di rotture fragili per schiacciamento. Questo tipo di meccanismo può essere accelerato ed aggravato dalla presenza dei cosiddetti "piani soffici" (Fig. 4.3). In questo caso si formeranno delle cerniere plastiche al piede e in testa ai pilastri del piano in oggetto rendendo la struttura estremamente vulnerabile: gli spostamenti ai piani alti saranno più grandi e le sollecitazioni al piede insostenibili, fino al raggiungimento del collasso per rottura dei pilastri.

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Fig. 4.3 Meccanismo di piano soffice

Un comportamento di questo tipo si può verificare anche quando le pareti di tamponamento in muratura o in calcestruzzo, pur non avendo compiti strutturali, non si sviluppano per l’intera altezza dell’elemento strutturale alle quali sono accoppiate. Questa configurazione limita la deformabilità delle colonne al solo tratto di altezza lasciato libero dai riempimenti (Fig. 4.4); l’accorciamento dei pilastri, che di conseguenza vengono definiti pilastri tozzi, può allora portare a fenomeni di frattura per taglio prima o immediatamente dopo lo sviluppo della resistenza flessionale nelle travi.

Fig. 4.4 Rottura di tipo fragile di pilastri

I più recenti criteri di progettazione hanno introdotto il concetto di duttilità dei nodi trave-pilastro, con l’obiettivo di determinare la seguente gerarchia di danno nel meccanismo di collasso di una struttura intelaiata sottoposta ad azioni taglianti:

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1. formazione di cerniere plastiche in corrispondenza delle estremità delle travi; ciò non comporta il crollo dei solai e la maglia strutturale rimane iperstatica. La formazione di cerniere plastiche alle estremità delle travi e non sui pilastri assicura la stabilità della struttura per carichi verticali e di conseguenza l'incolumità delle persone;

2. evitare la formazione di cerniere plastiche alle estremità dei pilastri; in quanto ciò rende la struttura labile per forze orizzontali e di conseguenza è frequente il crollo dell'edificio per rottura dei pilastri.

Tale comportamento può essere raggiunto, in via teorica, tramite il rispetto di alcuni concetti fondamentali:

1. gerarchia delle resistenze;

2. qualità dei materiali e dei dettagli costruttivi; 3. regolarità in pianta ed in altezza del fabbricato.

1. La gerarchia delle resistenze

Per gerarchia delle resistenze si intende l'insieme di regole da seguire nella progettazione degli elementi strutturali (travi, pilastri, nodi, etc.) in base al comportamento e all'importanza che essi assumono nella costruzione; essa consiste nell’assegnare, in fase di progetto, una resistenza differenziata ai diversi elementi strutturali, in modo che il cedimento di alcuni preceda e quindi prevenga quello di altri. Gli elementi da proteggere sono quelli il cui “cedimento” è critico nei confronti del collasso globale della struttura, come per esempio i pilastri di un edificio, che devono essere progettati per avere una resistenza superiore a quella delle travi in modo da favorire in esse la formazione di cerniere plastiche nelle sezioni di estremità. La crisi nel pilastro può essere raggiunta in corrispondenza della sezione di piede, dei pilastri del piano terra, evitando così la rottura dei nodi trave-pilastro.

Il metodo mira al conseguimento della massima capacità duttile del singolo elemento attraverso la calibrazione delle resistenze rispetto ai possibili meccanismi di rottura (flessione, taglio) che possono avvenire nell’elemento stesso; rotture a taglio sono di tipo

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preferibili perché non improvvisi come quelli per taglio.

Il concetto di duttilità è strettamente legato alla capacità dell’elemento di deformarsi anaelasticamente e quindi alla sua capacità di dissipare energia sismica. Affinché una struttura, soggetta ad azione sismica, abbia un comportamento di tipo globale è necessario che la duttilità sia progettata ad ogni livello (materiale, sezione, elemento strutturale, intera struttura).

La duttilità del materiale è la sua capacità a sopportare deformazioni anelastiche senza giungere a rottura improvvisa; come noto il comportamento dell’acciaio è duttile mentre quello del calcestruzzo è di tipo fragile, per migliorare la sua duttilità a compressione è necessario realizzare elevati livelli di confinamento (Fig. 4.5).

Fig. 4.5 Effetto del confinamento nel calcestruzzo

Una sezione si definisce duttile quando è capace di sopportare elevate domande di curvatura in campo anelastico senza eccessivo decremento del momento resistente. La duttilità di una sezione in c.a. dipende prevalentemente dall’armatura longitudinale presente, da quella trasversale e dal carico assiale; un dimensionamento corretto dell’armatura longitudinale compressa, incrementa notevolmente la duttilità della sezione in quanto riduce lo sforzo nel calcestruzzo compresso e quindi se si ha rottura, questa sarà lato acciaio. Per quanto riguarda l’armatura trasversale, se diffusa lungo tutto l’elemento con passo ridotto, aumenta il confinamento del calcestruzzo e di conseguenza aumenta anche la capacità deformativa della sezione. La duttilità a livello di materiale e a livello di sezione sono due presupposti dai quali non si può prescindere per poter considerare un elemento strutturale duttile; un elemento strutturale può essere considerato tale se ha la capacità di sopportare spostamenti o rotazioni in campo anelastico senza un eccessivo decremento della sua resistenza. In strutture in cemento armato lo spostamento ultimo si

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raggiunge principalmente o per schiacciamento del calcestruzzo o per instabilizzazione delle barre compresse; la duttilità dell’elemento strutturale dipende molto dalle caratteristiche di armatura e dal carico agente. Valori elevati del carico assiale favoriscono gli effetti del secondo ordine mentre una maggiore distribuzione di armatura trasversale diminuisce il rischio di instabilità delle armature compresse.

L’ultimo livello di duttilità è quello relativo all’intera struttura, la cui duttilità è definita come la capacità di spostamento ammissibile sotto azione sismica senza giungere al collasso globale del fabbricato; questo è conseguibile se i livelli di duttilità precedenti sono tutti rispettati.

2. La qualità dei materiali e dei dettagli costruttivi

Per garantire un comportamento globale della struttura, quindi evitando per esempio meccanismi di collasso quali piano soffice, è fondamentale porre in opera materiali di qualità certificata e realizzare dettagli costruttivi seguendo le prescrizioni normative. Un ruolo importante è ricoperto dall’armatura trasversale degli elementi strutturali. Il suo compito principale è quello di assorbire le forze di taglio sollecitanti l’elemento strutturale, per cui la non corretta progettazione e la non corretta disposizione dell’armatura trasversale è causa di gravi conseguenze, portando la struttura a comportamenti fragili. Oltre alla resistenza a taglio l’armatura trasversale come già riportato nel paragrafo precedente svolge il ruolo importante di confinare il calcestruzzo (Fig. 4.6)

a) b)

Fig. 4.6 Effetto del confinamento nel calcestruzzo in presenza di sforzo assiale, nel caso b) il braccio delle

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un regime tensionale triassiale, nel quale la deformazione ultima risulta più elevata; questo è raggiunto appunto tramite il corretto uso delle staffe, le quali devono essere con passo ridotto, specialmente nelle sezioni di estremità degli elementi, cioè dove deve avvenire la plasticizzazione. Negli elementi compressi, le staffe, ricoprono anche il ruolo di limitare l’instabilità delle barre lognitudinali.

Come già scritto i primi elementi che devono andare in crisi devono essere le travi, e devono andare in crisi per flessione che è un meccanismo duttile, e non per taglio; quindi la colonna deve essere sovraresistente rispetto la trave. Trave e pilastro convergono nel nodo il quale a sua volta deve essere sovraresistente rispetto ad entrambi e quindi in esso, se deve essere armato, devono proseguire le staffe con il minor passo tra quello degli elementi strutturali che vi convergono. I nodi trave – pilastro specialmente quelli esterni dei telai sono zone molto critiche in quanto in essi si concentrano elevate sollecitazioni indotte dall’azione sismica(Fig. 4.7). Nelle costruzioni esistenti, tuttavia tali prescrizioni progettuali richieste per edifici di nuova costruzione, raramente risultano presenti.

Fig. 4.7 Crisi del nodo trave – pilastro per assenza di armatura trasversale

Le staffe rappresentano un aspetto critico negli edifici esistenti; sotto l’azione sismica le staffe sono sottoposte a sollecitazioni di trazione e compressione alternate, risulta quindi indispensabile che esse per poter svolgere al meglio il loro ruolo debbano essere correttamente piegate attorno alle barre longitudinali. Nella maggior parte dei casi questo non avviene e le staffe tendono ad aprirsi portando cosi all’esplosione del copriferro.

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Particolare attenzione deve essere posta anche nella qualità del materiale impiegato. Il calcestruzzo presenta caratteristiche meccaniche variabili a seconda dell’ambiente in cui si trova, per esempio il calcestruzzo è particolarmente vulnerabile agli attacchi da cloruri e alla carbonatazione del conglomerato stesso che provoca danni alle armature i quali sono responsabili del degrado di molte strutture. A causa della progressiva corrosione delle barre di armatura c’è il rischio che la loro duttilità diminuisca sensibilmente riducendo cosi la capacità dissipativa dell’intera struttura investita dall’azione sismica. Spesso edifici in cemento armato, anche se non molto datati, presentano uno stato di degrado avanzato dovuto all’aggressività dell’ambiente dove sono stati costruite (ambienti marini, industriali, etc.).

3. La regolarità in pianta ed in altezza del fabbricato

Con il termine regolarità strutturale è da intendersi l’unione di due concetti distinti: semplicità strutturale e uniformità. La semplicità indica percorsi chiari e diretti per la trasmissione delle sollecitazioni, mentre l’uniformità concerne non solo la distribuzione del carico ma manche l’uniforme distribuzione degli elementi strutturali.

In generale una struttura può essere definita regolare in pianta se compatta ed approssimativamente simmetrica nella distribuzione delle masse e delle rigidezze. Il vantaggio di una concezione regolare della struttura è essenzialmente l’attenuazione degli effetti torsionali indotti dal sisma durante la risposta dell’edificio. È necessario ricordare che il centro di massa rappresenta il punto di ogni singolo piano in cui si può ritenere applicata la forza di inerzia derivante dall’accelerazione indotta dall’azione sismica. Il centro delle rigidezze può essere definito come il punto del piano in cui è applicata la reazione della struttura al sisma. Per le strutture di nuova costruzione il D.M. 14 Gennaio 2008 definisce una struttura regolare in pianta se soddisfa i seguenti requisiti:

− la configurazione in pianta è compatta e approssimativamente simmetrica rispetto a due direzioni ortogonali, in relazione alla distribuzione di masse e rigidezze;

− il rapporto tra i lati di un rettangolo in cui la costruzione risulta inscritta è inferiore a 4;

− nessuna dimensione di eventuali rientri o sporgenze supera il 25 % della dimensione totale della costruzione nella corrispondente direzione;

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− gli orizzontamenti possono essere considerati infinitamente rigidi nel loro piano rispetto agli elementi verticali e sufficientemente resistenti.

Una causa ricorrente di irregolarità strutturale è rappresentata dalla posizione del vano scala. Gli elementi che lo costituiscono (pilastri tozzi, travi ad asse inclinato, solette) conferiscono alla scala una notevole rigidezza che influenza quindi le caratteristiche dinamiche della struttura. Inoltre la presenza di elementi più rigidi aumenta il rischio di modalità di crisi fragili, per esempio quelle a taglio nei pilastri tozzi. Essendo un nucleo molto rigido il vano scala gioca un ruolo fondamentale nella determinazione del baricentro delle rigidezze che tende a collocarsi in prossimità della zona più rigida. In questa situazione il centro delle rigidezze tende ad allontanarsi dal centro di massa, accentuando gli effetti torsionali nei modi di vibrare della struttura.

Per quanto riguarda la regolarità in altezza, la norma prescrive che, per edifici di nuova costruzione, essa è assicurata se sono rispettate le seguenti condizioni:

− tutti i sistemi resistenti verticali si estendono per tutta l’altezza della costruzione;

− massa e rigidezza rimangono costanti o variano gradualmente, senza bruschi cambiamenti, dalla base alla sommità della costruzione (le variazioni di massa da un orizzontamento all’altro non superano il 25 %, la rigidezza non si riduce da un orizzontamento a quello sovrastante più del 30% e non aumenta più del 10%);

− nelle strutture intelaiate progettate in CD “B” il rapporto tra resistenza effettiva e resistenza richiesta dal calcolo non è significativamente diverso per orizzontamenti diversi (il rapporto fra la resistenza effettiva e quella richiesta, calcolata ad un generico orizzontamento, non deve differire più del 20% dall’analogo rapporto determinato per un altro orizzontamento); può fare eccezione l’ultimo orizzontamento di strutture intelaiate di almeno tre orizzontamenti;

− eventuali restringimenti della sezione orizzontale della costruzione avvengono in modo graduale da un orizzontamento al successivo, rispettando i seguenti limiti: ad ogni orizzontamento il rientro non supera il 30% della dimensione corrispondente al primo orizzontamento, né il 20% della dimensione corrispondente all’ orizzontamento immediatamente sottostante. Fa eccezione

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l’ultimo orizzontamento di costruzioni di almeno quattro piani per il quale non sono previste limitazioni di restringimento.

La presenza, per esempio, di ambienti a piano terra con ampie aperture (garage) o addirittura di pilotis (pilastri che formano porticati), può costituire un piano estremamente vulnerabile della struttura; la scarsa rigidezza del piano comporta una maggiore richiesta di deformazione dei pilastri che possono giungere rapidamente al collasso.

Un ruolo importante nel comportamento della struttura sotto l’azione sismica è rivestito dai tamponamenti, i quali interagendo con la struttura possono modificare in maniera sostanziale la distribuzione delle rigidezze e delle resistenze sia in pianta che in elevazione. Risulta pertanto necessario evitare una distribuzione non uniforme delle tamponature, oppure nel caso contrario, considerare in maniera esplicita nel calcolo la presenza di siffatte irregolarità.

Figura

Fig. 4.1 Sistemi strutturali
Fig. 4.2 Meccanismo di deformazione di un telaio a travi deboli – colonne forti
Fig. 4.3 Meccanismo di piano soffice
Fig. 4.5 Effetto del confinamento nel calcestruzzo
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Riferimenti

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