Tesi di Laurea Magi st ral e
Rel at ore: Prof. ssa Il da Vagge
Laureando: Gobbi Frat t i ni El i sa Mat ri col a 4395315
Sessi one di Laurea: marzo 2019
Pause urbane: dall’incertezza all’identità.
Il caso delle ex-Officine Meccaniche di Milano
Corso di Laurea Magistrale interateneo in Progettazione delle aree verdi e del Paesaggio
Università degli studi di Genova - Università degli studi di Torino Università degli di Milano - Politecnico di Torino
Relatore: Prof.ssa Ilda Vagge
Indice dei contenuti
Premessa….………...01
1 Aree dismesse 1.1 Nascita: la crisi della città post-industriale………...03
1.2 Evoluzione: la città “dismessa”………...07
2 Identità della dismissione 2.1 Perdita del luogo……….12
2.2 Perdita d’uso e di significato………...16
3 Rinnovamento urbano 3.1 Luogo relazionale………20
3.2 Ricerca di luoghi identitari……….………….21
4 Quadro normativo 4.1 Pianificazione e vincoli………..26
4.2 Aree dismesse………31
5 Esperienze……….34
6 Area di progetto 6.1 Analisi……….42
6.2 Evoluzione storica……..……….49
6.3 Confronto Stato di fatto e Area di progetto……….51
6.4 Masterplan………..54
6.5 Vegetazione………59
Bibliografia e Sitografia………...61
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PREMESSA
“Se si smette di guardare il paesaggio come l’oggetto di un’attività umana subito si scopre una quantità di spazi indecisi, privi di funzione sui quali è difficile posare un nome. Quest’insieme non appartiene né al territorio dell’ombra né a quello della luce. Si situa ai margini. […]
Un solo punto in comune: tutti costituiscono un territorio di rifugio per la diversità. […] Questo rende giustificabile raccoglierli sotto un unico termine. Propongo Terzo paesaggio, terzo termine di un’analisi che ha raggruppato i principali dati osservabili sotto l’ombra da un lato, la luce dall’altro”
Gilles Clement All’interno delle città sono presenti molti spazi con queste caratteristiche, che prima erano utilizzati e vissuti e ora sono abbandonati e dismessi. Spazi che creano discontinuità all’interno del tessuto urbano, spazi vuoti.
Con il termine vuoto si intende qualcosa “che è privo del contenuto che dovrebbe o potrebbe contenere […] Che manca di sostanza, di contenuto […] Spazio completamente privo di materia […] Spazio libero non occupato da corpi solidi […] Spazio vuoto, cavità vuota.”1 Il termine porta con se una accezione negativa, ma questi spazi da problema possono trasformarsi in risorsa preziosa per la collettività.
Queste aree incerte, senza più funzione, le troviamo a partire dal momento di crisi del periodo post-industriale e ogni volta che la città si espande verso l’esterno creando così delle aree dismesse. Esse hanno perso funzione e utilizzo, quindi identità. Rimangono degli spazi incerti nel tessuto urbano, spesso a margine tra periferia e centro.
Il recupero di queste aree comporta lo studio su svariati piani, architettonico, urbanistico, ambientale, paesaggistico, culturale, economico e sociale. Tema principale dell’azione del recupero rimane però la qualità non relativa alla validità del progetto, bensì al piano paesaggistico e ambientale, che si riflette di conseguenza sul piano sociale.
Dopo aver cercato informazioni sull’argomento, aver analizzato i piani di governo del territorio di regione e comune e aver studiato l’area di interesse nel suo complesso, è stato redatto questo elaborato, che affronta il tema della dismissione da un punto di vista fisico, storico, culturale e sociale. Il progetto rimane in linea con le idee di riuso presenti nel Piano di Gestione del Territorio di Milano.
L’obiettivo del progetto è quello di riqualificare le superfici dismesse presenti nel luogo e di metterle in connessione sia con le aree verdi presenti in prossimità che, a scala più vasta, a sistema con il verde urbano presente e ancora da progettare, in modo da creare una rete in grado di aumentare i servizi ecosistemici forniti.
1 Zingarelli N., Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli, 2006
2
Capitolo 1 : AREE DISMESSE
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1.1 Nascita: la crisi della città post-industriale
Intorno al 1970 si assiste ad una trasformazione del sistema economico, produttivo, sociale ed istituzionale mondiale: la de-industrializzazione. Questo processo è avvenuto in modo lento e scostante nell’arco di circa vent’anni in concomitanza al trend recessivo dell’economia occidentale, associato all’ammodernamento di infrastrutture e servizi e a una nuova distribuzione della popolazione sul territorio.
Affianco a questo fenomeno troviamo una progressiva ri-articolazione del sistema produttivo attraverso la decentralizzazione delle attività produttive verso le zone periferiche della città o al di fuori del Paese: la contro-urbanizzazione. Ciò comporta una nuova mobilità verso queste aree, diminuendo il potere attrattivo delle grandi aree urbane che avevano assunto un ruolo centrale nello sviluppo nel secondo dopoguerra.
Questo fenomeno a scala italiana si manifesta secondo alcuni fattori tra cui “la ristrutturazione delle grandi imprese nelle aree forti, il decentramento produttivo, la crescita di una industria periferica sommersa, ma anche altri segnali di tipo strutturale, come l’innovazione tecnologica e la multi-localizzazione delle imprese”2.
La contro-urbanizzazione e il decentramento, in relazione con lo sviluppo tecnologico sono stati il motore dei nuovi assetti spaziali del territorio. Grazie appunto alle innovazioni tecnologiche, vengono ridotti i problemi dati dalla distanza per la circolazione delle informazioni e si abbassa il bisogno di mano d’opera e di spazi. I flussi commerciali, fisici e virtuali, avvenivano all’interno dell’area urbana ma grazie alle nuove reti di comunicazione si riesce a valicare i confini, materiali ed immateriali, creando l’internazionalizzazione dell’economia.
In questo quadro si instaura il fenomeno della dismissione dei luoghi della produzione industriale, cambiando così l’assetto spaziale della città, arrestando la crescita urbana interna e favorendo lo sviluppo incontrollato delle periferie. L’assetto della città storica cambia, da un agglomerato compatto si passa a una struttura dispersiva che mostra non solo la crisi della struttura urbanizzata ma anche del sistema economico in atto, che fino ad allora era cresciuto costantemente. Questa frammentazione del tessuto urbano crea delle occasioni per la modificazione di edifici e, a volte di quartieri interi che non hanno più la loro funzione originaria.
Questa crisi del settore industriale produce una crisi anche nei sistemi di pianificazione fino ad ora utilizzati in quanto nati in relazione ad una crescita urbana continua. Il problema della dismissione non viene affrontato con un confronto tra le potenzialità dei piani urbanistici e il progetto di architettura ma in sede disciplinare autonoma. La creazione di vuoti urbani porta a riprogettare l’assetto della città perché “non si dà nuova architettura senza modificazione dell’esistente, la condizione futura sarà quella di costruire nel costruito”3. A questo punto si pone il problema del ridisegno di queste ampie aree che possono diventare una risorsa per la modificazione della città. Negli anni ’80 si diffonde una nuova tendenza che vede come soluzione per le aree in trasformazione progetti puntuali, strumenti per una rapida ri-costruzione. Strumento di trasformazione diventa così il progetto urbano che opera con una maggiore attenzione alla geografia urbana, ricca di elementi identitari e specificità. Riesce inoltre a superare la frattura creatasi precedentemente tra urbanistica ed architettura per quanto riguarda la scala di intervento sulla città, andando a creare una scala intermedia e nuovi strumenti di indagine e analisi. Inizia a delinearsi l’idea di conservazione, di storia e di relazione con il tessuto urbano. Ciò comporta un cambio di visione di edifici e
2De Matteis G., Le reti urbane fra decentramento e centralità, in “Nuove forme di organizzazione territoriale”, Ed. Franco Angeli, 1989
3Gregotti V., Architettura come modificazione, in Casabella n° 498, 1984
4 quartieri, da meri serbatoi per un incremento del valore immobiliare a elementi con valore strategico per il recupero dell’identità dei luoghi. Le aree dismesse diventano qualcosa da recuperare per il proprio carattere distintivo e permanente in relazione con la parte storica della città in quanto fanno parte del patrimonio urbano collettivo. L’idea di conservazione assume così valore di metodo operativo capace di mantenere la memoria storica del passato di ciò che ha realmente un valore per la collettività. Questa idea si contrappone a quella di modernizzazione che tende a demolire e distruggere non solo le preesistenze ma la loro memoria e il loro valore intrinseco. Nascono due tipologie diverse di pensiero, la dimenticanza e la memoria; la prima tende a superare il passato secondo l’idea del progresso tipica delle scoperte scientifiche e si attua attraverso la demolizione, la seconda invece fonda le sue radici sulla preesistenza e la relazione con il passato attuata attraverso il recupero.
I vuoti d’uso e di identità, che si presentano nella città esprimono il potenziale del recupero in quanto possono presentare un elemento di continuità con il passato e rimanere come permanenza nei nuovi processi di sviluppo urbano.
“Ri-usare ciò che la città industriale ha dismesso prima di ricostruire”4 significa rileggere l’identità dei luoghi in modo da creare un legame tra la comunità e la città. Quando il valore della dismissione assume caratteri condivisi e non soggettivi, allora il riuso assume valore di partica sociale e collettiva; comporta però una interpretazione difficile in quanto “consiste nel reintrodurre un monumento privo delle sue funzioni originarie nel circuito degli usi viventi, nello strapparlo a un destino museale”5. La questione del riuso non si basa sul singolo edificio, che facilmente è riadattabile, ma sull’insediamento industriale che, come un tessuto urbano, è ricco di principi insediativi e identità che hanno lascito traccia sul territorio e quindi ricco di potenzialità. In questa prospettiva, oltre al valore architettonico ed estetico di un manufatto, il patrimonio industriale diventa risorsa quando viene valorizzato dal recupero tramite un progetto che faccia riaffiorare i caratteri culturali di appartenenza alla tradizione del luogo. Le aree dismesse sono da considerarsi parte effettiva della città e del suo patrimonio in quanto hanno caratteri visibili, morfologici e sociali specifici. La pratica del riuso, dopo aver riconosciuto alla città dismessa valori intrinseci, ha fatto da apripista per il recupero e la riqualificazione urbana che si basano su una dimensione collettiva e condivisa e che danno qualità al sistema urbano.
In quest’ottica la conservazione non si concentra solo sui valori intrinsechi dei beni e del loro rapporto con la città, individua un piano strategico per il mantenimento e la continuità, in relazione al valore assunto dalle tracce del passato rispetto alle nuove esigenze e alle nuove socializzazioni. L’ampliamento di questo concetto connette i valori storici con l’idea di progetto e quindi di trasformazione. Necessarie per i sistemi insediativi sono proprio la trasformazione e la conservazione quando queste hanno un legame di interscambio e ne acquisiscono i tratti peculiari l’una dell’altra.
Studiando il fenomeno della dismissione si denota un carattere problematico, legato alle conseguenze sia dirette che indirette che questo ha sulla realtà urbana che lo circonda. Si pone quindi la questione dell’individuazione del “problema”, del suo processo di definizione e di conseguenza la messa a punto di una soluzione. La definizione di un programma di intervento deve costituire il problema all’interno di una strategia che sia finalizzata alla definizione di rapporti di interazione con ciò che è coinvolto. Le aree dismesse spesso per le politiche territoriali vengono definite come “problema speciale” con l’intento di dare legittimità ad interventi di tipo anomalo. Tornando all’individuazione del problema, possiamo trovare una delle cause proprio all’interno del fenomeno stesso della dismissione,
4Piemontese F., Aree dismesse e progetto urbano, Gangemi editore, 2008
5Choay F., L’allegoria del patrimonio, Officina, 1995
5 ovvero alla cessazione dell’attività, al suo declino; un’altra causa è legata alla mancata sostituzione dell’attività abbandonata, cioè al riuso.
Alla base del declino di un’area troviamo la crisi di un settore produttivo, legata a fattori esogeni e non locali, che produce necessariamente effetti endogeni e di perdita dell’identità locale. Una soluzione possibile può essere l’affiancamento a questo fenomeno di declino un processo positivo di “produzione d’identità”6.
Già dai tempi più antichi si nota che il continuo cambiamento di usi nelle diverse architetture e parti della città è un fenomeno tipico della espansione e contrazione urbana. La crescita della città non è riconducibile solo all’aumento di popolazione o all’espansione dell’area edificata, ma anche ad un continuo ricambio di usi nelle diverse zone. Ad oggi nelle aree marginali possiamo assistere a fenomeni di grande instabilità d’uso in quanto sono presenti più usi diversi che portano ad una alta variabilità e indeterminazione dello spazio.
Si può notare che ciò che costituisce il problema del riuso non è la sua mancata presenza bensì gli effetti che questo comporta, l’espulsione di attività e popolazioni più deboli dagli spazi riusati, tramite operazioni di cosiddetto risanamento delle aree.
Per molti anni le operazioni di riuso delle aree dismesse hanno avuto come promotore il mercato immobiliare, che rientrando in un quadro di mobilità dei capitali hanno permesso operazioni di rinnovo ambientale. Le operazioni più complesse e importanti sono nate a partire dalla completa dismissione delle aree, sia dal punto di vista fisico, sociale e culturale, in quanto la dismissione non completa viene considerata un fattore negativo in quanto ostacolo alla completa ri-destinazione d’uso dell’area. Negli anni ’80 questo ha prodotto conflitti tra operatori privati e pubblici in quanto questi progetti, e non piani, hanno legittimato decisioni economico-politche di operatori diversi. Solo nel periodo successivo viene data più attenzione alla vivibilità e qualità urbana, operando scelte accorte sulle funzioni da insediare nelle aree da riqualificare. Emerge in alcuni casi una sensibilizzazione verso l’integrazione di funzioni ed usi, sostenibili e compatibili, a favore dell’inserimento in contesti urbani strategici. Passando da un “sistema centrato di edifici monofunzionali, tipico delle aree industriali tradizionali, ad un nuovo sistema aperto, di spazi e luoghi polifunzionali”7.
Nel riuso delle aree industriali dismesse si affermano due tendenze: da un lato la rinnovata componente naturale ed ecologista attenta ai cambiamenti dell’ambiente; dall’altro la rinnovata importanza della componente collettiva e condivisa della città che rende nuovamente lo spazio pubblico urbano fulcro delle relazioni sociali ed economiche. “La maggiore qualità urbana si può raggiungere predisponendo spazi pubblici più ricchi e complessi, nonché più vari ed accoglienti, spazi collegati da mezzi di trasporto efficienti che consentono di mettere in relazione parti distinte della città in una dialettica coesistenza di continuità e discontinuità”8.
Nella nuova ottica di accessibilità e riuso delle aree dismesse possiamo trovare dei progetti che le vedano come centri, poli, in grado di rispondere alle crescenti esigenze di spazi pubblici come occasioni di socialità all’interno della maglia urbana. “Spazi che accolgano soprattutto musei, teatri, mediateche, quegli edifici che sono attualmente le fabbriche della merce più rara prodotta nell’età degli immateriali, ovvero la cultura”9. L’approccio innovativo è quello di restituire alle aree dismesse una dimensione condivisa, collettiva e sociale, in grado di costruire una nuova identità dei luoghi.
6Crosta P., Dismissione: la costruzione del problema, in Rassegna n°42, 1990
7Boeri S., Riconversione industriale e luoghi urbani, in Casabella n°517, 1985
8Purini F., Sette problemi, in Paesaggio Urbano n°6, 2004
9Purini F., Op.cit.
6 Per rimediare al degrado delle aree dismesse sono state effettuate due azioni con intenti simili, ma differenti per ragioni e secondi scopi: il recupero edilizio e la riqualificazione urbana.
Il primo si afferma negli anni ’70 durante la recessione economica e l’arresto dell’espansione urbana, con il concetto base di opposizione contro l’illimitata espansione urbana e le devastazioni ambientali prima e, l’arresto del meccanismo di crescita relazionato al rimedio del degrado urbano poi. Questa ideologia si affianca sostanzialmente a quella del riequilibrio delle risorse distribuite sul territorio. Le aree dismesse vengono così affiancate al fenomeno del degrado insito nella città e l’azione del recupero non è riuscita a contrastare la consolidata pratica di demolizione e successiva costruzione ex-novo.
Il secondo si sviluppa negli anni ’80 con l’intento di riconnettere e riqualificare parti intere di città laddove siano presenti le potenzialità delle risorse messe a disposizione dalla dismissione. Questa idea ha preso il sopravvento in quanto si lega con l’idea stessa di città, fatta di rapporti con il patrimonio in essa esistente, di valori e memorie. Le aree dismesse che fino ad allora erano considerate con l’accezione negativa di “vuoti” in quanto abbandonate e degradate, si rivelano ricche di preesistenze a volte di ampio valore storico e architettonico.
In questi anni intervenire sulla città dismessa vuol dire superare l’idea delle trasformazioni singole e affidarsi nuovamente al Piano come strumento strategico di riqualificazione urbana e territoriale.
La cessazione dell’attività industriale e di conseguenza la perdita d’uso è stato per anni il problema centrale delle aree dismesse, viste con accezione negativa. Sono il prodotto ciclico della trasformazione urbana, slegate dalla città storica a causa della perdita di identità e valori collettivi. La trasformazione degli assetti produttivi e spaziali della città industriale data dalla dismissione, ha coinvolto l’intera struttura urbana nelle sue dinamiche evolutive riguardanti un arresto generale della crescita e un declino delle strutture esistenti. La crisi della struttura produttiva, data la sua rilevanza, ha prodotto forti trasformazioni nell’ordinamento fisico-spaziale della città, aiutando a compromettere i modelli fino ad ora utilizzati per lo studio e l’interpretazione del fenomeno urbano. Questi modelli sono risultati obsoleti in quanto definivano il problema delle are dismesse in chiave settoriale, invece le cause sono da ricercarsi nel nuovo assetto dell’urbanizzato creatosi a partire dalla ristrutturazione industriale.
Un’alta indeterminazione spaziale è data dalle attuali tendenze urbanizzative, una specie di periferizzazione dovuta alla delocalizzazione di strutture e servizi importanti per la comunità che comporta una successiva urbanizzazione del territorio. Questo fenomeno avviene ciclicamente attraverso la produzione e ri-produzione urbana, ovvero un movimento di espansione e contrazione della citta, laddove vengono spostate o ricollocate attività si creano dei vuoti, che a volte sono riempiti da altre tipologie d’uso. Avviene quindi una riorganizzazione di attività e spazi per questo “le aree dismesse costituiscono un insieme specifico di natura transitoria poiché individuano una condizione difforme rispetto alla struttura urbana consolidata”10. Si manifestano quindi come una discontinuità temporale e spaziale all’interno del tessuto urbano, ma proprio per questo motivo riescono ad individuare e definire una struttura specifica nella sua identità spaziale.
Il problema delle aree dismesse e del loro recupero e riuso si trova nel rapporto complesso che esiste tra queste e la modificazione dei contesti in cui esse si trovano, ovvero la trasformazione della città moderna in quanto i suoi effetti si riflettono sia nell’ambito locale
10Piemontese F., Op.cit.
7 che in quello generale della struttura urbana. In questo sfondo, di sistema dinamico delle trasformazioni territoriali, dovrebbero essere proiettati i problemi delle aree dismesse.
La città di oggi non ha più una forma urbana, coesa e consolidata, bensì è il prodotto delle discontinuità temporali e spaziali, del rapporto conflittuale che esiste tra “l’effetto erosivo del tempo e un principio intrinseco di permanenza”11. Nonostante questa complessità, la presenza di vuoti spaziali e fratture temporali, la città mantiene struttura chiara e riconoscibile nella sua forma, una memoria urbana che tiene assieme il passato e che crea possibilità di nuove configurazioni urbane.
Elementi di solidità e stabilità nel tessuto urbano sono proprio le aree dismesse a cui viene affidato il ruolo di aree strategiche per il nuovo sviluppo della città, come permanenza storica della città industriale. Abbiamo quindi un rovesciamento del ruolo delle aree dismesse, da un’idea legata alla “perdita” di identità, significato e luogo, a una capacità intrinseca di trasformazione per la città, andando ad “occupare un ruolo strategico nella modificazione della forma urbana che si ristruttura a partire dal suo interno”12.
“Superati i modelli a-formali ed a-spaziali di spiegazione e descrizione dei processi urbani,[…], si è riconosciuto allo spazio fisico della trasformazione, determinato dalla dismissione, un ruolo strutturale e strutturante nella morfogenesi urbana”13. Le aree dismesse assumono quindi un ruolo cardine nella definizione della nuova forma urbana dato dalla loro capacità di relazionarsi con il contesto e dal loro mantenimento della struttura spaziale. In questo modo sono in grado di stabilire nuove connessioni e relazioni con questa città dinamica e in crescita che le circonda.
Per la comprensione della struttura urbana bisogna capire il ruolo svolto dalla descrizione morfologica, conoscere gli assetti urbani e i cambiamenti che condizionano le diverse configurazioni della città. Le aree dismesse diventano quindi una solida struttura all’interno del tessuto urbano, individuate attraverso le relazioni con il contesto e come contesto delle trasformazioni. Attraverso la morfologia sia passata che presente di queste aree, possiamo conoscere le possibili future configurazioni.
1.2 Evoluzione: la città “dismessa”
Il fenomeno della dismissione, si inserisce nella trasformazione della città contemporanea individuata nel declino dell’industria e arresto della crescita urbana. All’inizio degli anni ’80 l’espansione della città è avvenuta in modo disorganizzato e senza regole, creando così intorno alle città una zona degradata e senza qualità, caratterizzata dall’assenza di centralità ed identità, identificata con la periferia.
Negli ultimi anni queste aree vengono viste come aree di trasformazione legate al tessuto urbano ormai consolidato e il cambiamento all’interno della città avviene per parti. Negli anni ’80 queste aree “tematiche” divengono oggetto di complesse operazioni di trasformazione del territorio, sono quindi varianti dei piani vigenti.
Con il termine questione urbana intendiamo l’insieme dei sistemi e processi che ordinano le dinamiche della trasformazione della città contemporanea, questo vuol dire discutere sui criteri che guidano un progetto. Importante diventa il progetto moderno e il ragionamento sui caratteri che questo esprime, considerando la città come una realtà stratificata ricca di storia e valori. Esiste un percorso di ricerca legato ad “una tradizione culturale in cui i
11Crotti S., Luoghi urbani ritrovati, in Rassegna n°2, 1990
12Crotti S., Op.cit.
13Piemontese F., Op.cit.
8 concetti di memoria, storia, tradizione, delineano l’attività di progetto come processo di esplorazione, conoscenza e giudizio di una realtà il cui senso profondo appare sommerso e complesso”14. Il progetto diventa quindi un atto interpretativo in grado di diventare strumento operante sulla città e sul territorio, che venendo in contatto con la realtà perde il suo carattere progettuale assoluto.
“Progettare il territorio significa essenzialmente costruire rappresentazioni interpretative di contesti locali nel loro rapporto con le dinamiche globali. Il progettista del territorio rappresenta e allo stesso tempo interpreta, si pone in una posizione di ascolto, di esplorazione di nuovi significati, per scoprire possibilità già iscritte negli stati di cose esistenti”15. Il progettista fa una attività razionale con delle regole, è così capace di mettere assieme punti di vista differenti, mettendo in luce conflitti e contraddizioni. È un percorso articolato attraverso esplorazioni continue nel contesto delle dinamiche urbane, che cerca una possibile gerarchia tra i valori della città e della società, e nel loro rapporto. Individuare i valori presenti nella città dismessa è un’azione basata sulla scelta collettiva che implica una selezione e valutazione delle tracce e un riconoscimento della loro autenticità.
L’immagine della città, con i valori visibili e invisibili, con i segni e le memorie, diventa il centro della città fisica legata a morfologia, caratteri e contesto, è in grado di mettere in luce le possibili modificazioni dell’esistente. La città contemporanea è quindi il prodotto di tutti quei processi fisici e sociali derivanti dall’arresto della crescita urbana, da cui nasce la richiesta di valorizzazione e riqualificazione delle risorse storiche e ambientali.
Un grande valore di testimonianza e appartenenza viene dato alle forme della città industriale e ai territori abbandonati dalle attività produttive che assumono quindi la concezione di patrimonio, il cui mantenimento grazie a politiche coese di conservazione e cambiamento, può considerarsi strategico per la vita della città. il tessuto derivato dalla città industriale può considerarsi un segno storico, così fabbriche ed insediamenti diventano documenti e testimonianze presenti nell’immaginario e nella memoria, il loro riuso diventa quindi una attività di riqualificazione.
Si tende quindi a conservare l’immagine e la permanenza culturale nei valori della memoria, collegata all’idea di paesaggio; conservazione come equilibrio dell’ecosistema, intendendo con ambiente non solo tutte quelle forme di vita spontanee e naturali, ma anche quelle segnate dalla presenza dell’uomo.
Esistono differenti potenzialità che le politiche di riuso possono offrire alle aree dismesse:
l’arretramento della città costruita e il conseguente arresto del degrado lascia lo spazio al recupero delle valenze paesistiche e ambientali; il recupero e la valorizzazione di quelle aree che possono essere considerate come patrimonio per la collettività.
“Considerare le aree dismesse come risorsa per la ridefinizione dei caratteri di centralità urbana, e come luoghi per la produzione ed il rafforzamento di identità, può essere considerato come un orizzonte per possibili strategie, scelte e metodologie di intervento”16. Ciò sta ad indicare la scelta delle potenzialità del vuoto, non più visto come assenza, di identità, riconoscibilità e qualità, che ci fa pensare questo termine. Significa così ripensare il vuoto come spazio aperto, come pausa nella densità urbana, come ridefinizione degli spazi
“standard”, come spazi del verde e della riqualificazione. Attraverso questa scelta è possibile articolare una nuova qualità urbana, basata sulla nuova distribuzione dei valori sociali, un nuovo mercato che non sia orientato verso la speculazione edilizia o al terziario che ormai perdono in domanda e non soddisfano le nuove esigenze della città.
14Russo M., Aree dismesse. Forma e risorsa della città esistente, Edizioni Scientifiche Italiane, 1998
15De Matteis G., Progetto implicito, Franco Angeli, 1994
16Russo M., Op.cit.
9 Dare una nuova definizione agli spazi aperti all’interno città contemporanea non vuol dire solo attribuirgli la valenza di “infrastruttura, attrezzatura, verde, standard, area di rispetto, limite dell’edificato o generico eccipiente entro il quale collocare densità o rapporti di copertura determinati entro l’interazione sociale”17, ma significa anche recuperare le tracce della scrittura storica che ha lasciato sul suolo segni e tracciati di pratiche antiche. L’uso del vuoto, come progetto di luogo deve unire l’attenzione all’ambiente con il suo valore di preesistenza storica.
Il progetto degli spazi aperti per la riqualificazione dei vuoti, da una nuova funzione e significato agli spazi che la vita e la città contemporanea lascia come scarto, residuo all’interno della maglia urbana, possono diventare quindi un punto di parenza per un possibile sviluppo.
Una linea metodologica in grado di offrire degli scenari progettuali adeguati al nuovo sviluppo della città può essere un’azione combinata tra il ridisegno di grandi spazi aperti e il riutilizzo delle strutture industriali dismesse, questo potrebbe creare un nuovo mercato in grado di garantire contemporaneamente l’interesse pubblico e privato.
Per quanto riguarda le aree dismesse l’interesse generale è costituito dal valore urbano che queste hanno in se, dalle forme del riuso e nell’integrazione degli interventi con il tessuto territoriale che influiscono sulla trasformazione/conservazione dell’ambiente naturale ed antropizzato. Il valore urbano è un valore pubblico che nasce dall’equilibrio ambientale visto come qualità del sistema degli spazi pubblici, come valorizzazione dei caratteri identitari e delle risorse locali.
Il fenomeno della dismissione lascia sul territorio le “risorse” che si relazionano con i vari tipi di aree in cui si trovano e con il continuo cambiamento della città. Viene individuato come primo punto del problema proprio l’abbandono di queste aree che sono a prevalenza produttiva e industriale, diffuse e inserite spesso in tessuti consolidati e densi del territorio.
Bisogna innanzitutto far fronte al degrado prodotto dalle industrie, ma anche a quello successivamente prodotto dall’abbandono, che lascia dei vuoti, frammenta il tessuto urbano, modifica gli assetti sociali, produce delle perdite di identità e specificità del luogo.
Queste trasformazioni non hanno un sostegno adeguato all’interno delle prospettive urbanistiche a causa della loro scarsa flessibilità e adattabilità. Troviamo però delle occasioni di rilancio e sviluppo urbano quando si ha un nuovo approccio che valuta i diversi valori intrinsechi di queste aree.
Il piano urbanistico conferma, muta o precisa la natura di quei beni che sono oggetto di scelta quando, la redistribuzione sul territorio e la modifica delle relazioni con il contesto può modificare il significato e il valore, anche in rapporto all’identità del luogo, ai gruppi sociali, alla relazione e forma tra funzioni, attività e usi.
“Il riuso è la trasformazione dei modi di usare socialmente beni”18, questo vuol dire che il carattere specifico del luogo e della sua memoria collettiva deve essere protetto e conservato come valore; la trasformazione può produrre cambiamenti all’interno del sistema delle relazioni economiche, fisiche e sociali nel contesto in cui si trovano tali beni. Il carattere di
“risorsa” della dismissione è sottolineato dalla natura del riuso, che può produrre una elevata qualità urbana.
Il cambiamento del sistema di relazioni e della natura individuano l’idea di valore urbano dell’area dismessa, integrato con le sue caratteristiche ambientali, fisiche, comportamentali e funzionali. Possiamo quindi sottolineare il suo valore collettivo dove le politiche di riqualificazione sono in grado di valorizzare e trasformare i beni. Il valore della dismissione,
17Secchi B., Un’urbanistica di spazi aperti, in Casabella 597-598, 1993
18Russo M., Op.cit.
10 all’interno degli ambiti di trasformazione, si trova negli spazi interstiziali dei tessuti consolidati, dove scarseggia la disponibilità del territorio e lo spazio diventa una risorsa di trasformazione strategica della città. in questo senso le aree dismesse sono una risorsa insediativa in relazione alle aree inedificabili con i loro vincoli, e alla difficoltà di trovare all’interno del tessuto consolidato aree di nuovo impianto; questo determina la priorità di localizzare nelle aree dismesse nuove funzioni, soprattutto legate alla produzione di qualità urbana. Inoltre in queste aree possiamo trovare un forte valore storico-culturale e testimoniale dato dalla preesistenza del tessuto produttivo e industriale, che si lega con le pratiche sociali dell’ambiente circostante. Questo valore può aiutare a creare una struttura e un ordine degli spazi e delle funzioni della città, andando ad integrarsi, diventando parte, del tessuto storico urbano.
La valorizzazione delle aree dismesse, in grado di dare una nuova configurazione nel sistema
dei luoghi della città, è una strategia interessante di trasformazione del problema in risorsa;
l’eccesso di valore può tradursi in qualità urbana. La dismissione crea inoltre dei valori legati all’ambiente, ai modi di creare qualità nello spazio circostante; attraverso l’equilibrio di spazi aperti e chiusi, il controllo dei diversi livelli di densità, la presenza di parchi e aree libere. “Le aree dismesse seno dunque risorse urbane su diversi piani: la loro trasformazione è strategica per conferire qualità al sistema città, ma anche per catalizzare le trasformazioni territoriali”19. Attraverso le politiche può avvenire quella trasformazione, da problema in risorsa, delle aree dismesse; ad oggi queste politiche stanno cambiando e portano alla luce due aspetti: da un lato l’inefficacia del progetto per singole parti, basato su azioni puntuali e frammentate senza avere strategie più ampie; dall’altro possiamo notare come un carattere specifico della città esistente è la dismissione, come sua espressione morfologica e tipologica: in questo modo il problema viene affrontato con strategie di trasformazione, integrazione e riqualificazione nella struttura urbana, in modo da rafforzare i caratteri della risorsa urbana.
19Russo M., Op.cit.
11
Capitolo 2 : IDENTITÀ DELLA DISMISSIONE
12
2.1 Perdita del luogo
"Viviamo nell'epoca del simultaneo, nell'epoca della giustapposizione, nell'epoca del vicino e del lontano, del fianco a fianco, del disperso. Viviamo in un momento in cui il mondo si percepisce più come una rete che collega dei punti e che intreccia la sua matassa, che come una grande vita che si sviluppa nel tempo"20. È un’epoca in cui le forme spaziali si moltiplicano in funzione della moltiplicazione delle “trame di esistenza”, epoca nella quale si sta attuando il processo definitivo di dissolvimento dello spazio, che passa dalla categoria della localizzazione a quella della estensione, rivelando in questo modo le molteplici
“relazioni di dislocazione” di cui lo spazio è capace. Focault aggiunge anche “l’estensione, che aveva sostituito la localizzazione, è a sua volta seguita dalla dislocazione” che si definisce tramite un insieme di relazioni che contribuiscono alla definizione di spazi
“irriducibili gli uni agli altri”21 come per esempio le relazioni di circolazione e prossimità che si vengono a creare.
Questi spazi irriducibili vengono descritti come eterotropie, ossia come luoghi in cui una azione comincia ma diventa qualcosa di diverto rispetto alla realtà contingente.
Questo processo di dislocazione spaziale si avvicina molto alla naturale transitorietà dell’esistenza e degli spazi stessi, mettendo in evidenza quel carattere di accidentalità che li potrebbe contraddistinguere, ossia andando a definirli come contro-luoghi in cui avviene una negazione dello spazio creando appunto dei non-luoghi.
Si posso affermare in questo modo degli spazi critici, che vanno a sostituire la concezione tradizionale di spazio e che hanno come fondamento una crisi nella concezione di dimensione. Questa appare come "crisi dell'intero, crisi di uno spazio sostanziale (continuo ed omogeneo), a beneficio della relatività di uno spazio accidentale (discontinuo e disomogeneo) dove le parti, le frazioni (punti e frammenti diversi) tornano ad essere essenziali, come l'istante, frazione o piuttosto effrazione del tempo, fatto che non mancherà (...) di rimettere in discussione l'immagine del mondo, quella della città e la figura degli oggetti”22.
Tutto ciò si ripercuote immediatamente sullo spazio critico che tende a controllare il modo in cui esso si interfaccia ed interagisce con ciò che era la fisicità del luogo. Si assiste a una progressiva destituzione dell’identità nell’uso spaziale che colpisce in modo generalizzato tutto il tessuto urbano, dal centro alla periferia.
La città si trova quindi imbrigliata all’interno di un reticolo formato da spazi di transito permanenti, che hanno favorito lo sviluppo dell’edilizia diffusa sul territorio e formata dall’alternarsi di vuoti e pieni. Essa diventa un sistema discontinuo, formato da un complesso reticolo di parti diffuse sul territorio ma capace di descrivere attraverso la separazione delle sue parti una unità concettuale e spaziale che si identifica nella distanza e non attraverso la continuità.
Questa nuova dimensione viene interpretata a volte come perdita, a volte come creatrice di potenzialità e a volte come non-luogo, quest’ultimo inteso come negazione del luogo, definito da una assenza di valori che produce una spazialità casuale, disorganizzata, rasente il degrado e perciò “un luogo che non possa definirsi né identitario né relazionale, né storico, si definisce non luogo”23. Molto spesso i non-luoghi antropologici coincidono non le centralità dell’abitato diffuso, come nodi della rete, in cui contemporaneamente avvengono diverse funzioni, transito, incontro e scambio; questi posso essere i nodi del
20Focault M., Eterotropie, Conferenza al Cercle d'ètudes architecturales, in Pandolci A.,
"Archivio Foucault. Interventi, colloqui, interviste", voi. 3, 1978-1985.
21Piemontese F., Aree dismesse e progetto urbano, Gangemi editore, 2008
22Virilio P., Lo spazio critico, Edizioni Dedalo, 1988
23Ventura N., Lo spazio del moto, Laterza, 1995
13 trasporto pubblico, gli spazi e le strutture del tempo libero, i centri commerciali, i parchi tematici.
Possiamo notare come le eterotropie di Focault si manifestino nella spazialità dei non-luoghi proprio perché sono diventati luoghi abitati, come gli spazi accidentali e transitori, come incroci definiti dagli eventi e dalle relazioni, ovvero spazi continuamente de- territorializzati ma al tempo stesso territorializzati da ciò che avviene al loro interno, senza mai però caratterizzazione stabile del loro uso.
Questa contemporaneità legata alla sovrabbondanza e accelerazione di produzione di avvenimenti, produce una sovrabbondanza di spazi in cui vengono rappresentate una molteplicità di individualità mentre diventano sempre più labili i riferimenti della identificazione collettiva. In rapporto al cambiamento della qualità degli spazi troviamo una mutazione della appercezione temporale, la difficoltà di identificazione che rende questi spazi sfuggenti definisce una modalità relazionale con il luogo fortemente effimera, provvisoria, instabile.
Questa nuova concezione di spazio apporta un profondo cambiamento nella concezione dello stesso, rendendola complessa proprio in relazione alla presenza diffusa di spazi del presente e producendo una quantità estesa di tipologie spaziali diverse dalla ordinaria definizione storica, relazionale, identitaria di luogo, andando a definire una alterità dei non-luoghi, piuttosto che un contrario, rispetto alle categorie concettuali ormai consolidate.
I non-luoghi sono strutture spaziali autonome che non vengono definite dai caratteri di individualità o istantaneità, bensì “dall’omologazione, dai tempi di lettura lunghi, dalla tonalità media della figura”24.
Mentre la contraddizione ha costituito il termine della definizione per la città storica, da un lato lasciando una impronta nei grandi sistemi di pensiero del 900 e dall’altro dando una definizione allo spazio dell’abitare, definendo gli elementi di fondazione di un insediamento, le gerarchie e i valori urbani. Il collasso del sistema di pensiero dualistico ha creato un azzeramento che si esprime nello spazio attraverso la diffusione di una superficie equipotenziale in tutte le sue parti, modificando le differenze di capacità descrittiva e conoscitiva della realtà fisica.
Luoghi e non-luoghi convivono nella stessa realtà omogenea diventando parte della medesima sovrabbondanza spaziale e rendendo disponibile un alibi per realizzare e attuare operazioni incentrate esclusivamente sulle convenienze di un dato mercato come unica e possibile realtà.
È possibile indagare lo spazio de-territorializzato all’interno del sistema globale, rendendo necessaria l’attribuzione di un nuovo valore a quegli spazi discontinui e sparsi in modo da diventare fondamento per una ri-territorializzazione del luogo, che sia ideale o fisica.
Si rende quindi necessario il superamento e l’abolizione del termine non-luogo per definire l’eterogeneità degli spazi sparsi, con accezione negativa per inserirli in una diversa categoria rispetto a ciò che li circonda. Questi vuoti che caratterizzano le città vengono visti come dei prodotti di scarto, delle scorie della città stessa, che perdono di conseguenza la loro identità.
In realtà questi luoghi diventano degli spazi interstiziali, liberi all’interno della struttura urbana.
Questi spazi, “altro” da ciò che c’è intorno si esprimono con dinamiche differenti, che si contrappongono a quelle consolidate di continuità, creando un nuovo modo di interpretare i luoghi e i segni presenti in esso. Appare quindi necessario il riconoscimento come elemento
24Purini F., Luoghi della ricerca e non-luoghi della città, editoriale su Groma, 1993, pp. 29- 31
14 fondamentale: la differenza, capace di orientare la conoscenza, la risorsa e una nuova iniziativa progettuale all’interno della città.
“Il problema è restituire l'identità ed il carattere fisico architettonico agli spazi, ovvero, concettualizzare e non solo ricodificare gli spazi dell'oggi, poiché espressione di contraddizioni, conflitti latenti e forme nuove del vissuto”25, diventando quindi capaci di rappresentare “i nostri problemi, con la nostra storia e soprattutto con i nostri divenire”26. Il periodo industriale ha lasciato un segno, nel bene o nel male, nella organizzazione spaziale della città e del territorio, non solo nella struttura ma anche nella immagine, attraverso una fase di cambiamento durato per due secoli, che ha fatto diventare le scoperte tecnologiche il motore trainante della trasformazione della sua realtà. La produzione, vista in maniera generalizzata, ha riorganizzato e dato forma a una nuova struttura urbana, la città industriale divenne il luogo cardine del divenire storico, economico e culturale. Venne a costruirsi un vero e proprio paesaggio industriale rapidamente, dove si trovavano i confini tra città e periferia, metropoli e campagna, guidando lo sviluppo dei successivi insediamenti.
L’industria è quindi riuscita a produrre il proprio paesaggio artificiale, con le relazioni spaziali tipiche del luogo, come un sistema di riproduzione della logica fondante interna, ma è anche riuscita a svolgere un ruolo cardine all’interno dell’immaginario della architettura moderna.
Esiste infatti un rapporto tra la realtà dei processi della società industriale e l’espressione dei suoi contenuti intrinseci, che ha creato una nuova visione nell’immaginario della architettura della modernità.
La società industriale rompe definitivamente i rapporti tra cultura estetica e tecnica, creando il suo specifico territorio attraverso le forze produttive, sociali e politiche che l’anno creata, diventando espressione delle ideologie, valori e significati della società stessa.
“Un luogo possiede una sua struttura specifica descritta in termini di "paesaggio" e di
"insediamento" ed è analizzatale secondo le categorie di "spazio" e "carattere"”27. Possiamo inoltre definire “lo “spazio vissuto” come interdipendenza tra le due categorie di spazio e di carattere,
intendendo il primo in termini di "spazio concreto" saturo di differenze qualitative definite attraverso alcune sue proprietà quali il rapporto esterno-interno o su-giù, che fungono da sistema di orientamento”28. Questo rapporto tra interno ed esterno è fondamentale in quanto vuol dire che lo spazio possiede una varietà di chiusura ed estensione capace di definire l’appartenenza ad un determinato ambito spaziale.
Prendiamo ad esempio la fabbrica, come logo artificiale per eccellenza, in cui si svolge l’attività industriale, è caratterizzata da uno spazio fisico chiuso, separato e diviso dal contesto. La delimitazione diventa in questo caso fondamentale per descrivere la presenza del luogo, che crea così il suo paesaggio all’interno di uno spazio ben definito. Trovandosi al di fuori della città la fabbrica si distacca dal contesto come elemento autonomo, come nuovo centro per il contesto.
L’industria prende in prestito il concetto dell’insediamento dalla città, conformandosi come entità chiusa, delimitata, intrattenendo un rapporto di figura-sfondo con lo spazio circostante, proprio come accadde con la città storica. Essa ha quindi una sua estensione specifica all’interno del paesaggio rurale, periferico, periurbano o urbano, si stacca dallo sfondo, diventando altro rispetto la città circostante proprio nel momento in cui vanno a distruggersi
25Piemontese F., op. cit.
26 Deleuze G., GuttariI F., Geofilosofia, trad. di A.De Lorenzis, in Millepiani n°1, 1999
27Piemontese F., op. cit.
28Piemontese F., op. cit.
15 i limiti urbani storici. L’industria inizia così a diventare una entità a parte, ben configurata nello spazio nello stesso momento in cui l’insediamento storico urbano perde il suo carattere di identità e di ruolo nel paesaggio.
Un altro aspetto molto importante, parallelo a quello di luogo, è il concetto di carattere, inteso come qualificazione materiale e formale del luogo che ha delle proprietà ambientali concrete e specifiche, contemporaneamente in relazione alle azioni che corrispondono a luoghi con diverso carattere.
Il luogo viene quindi considerato sotto questo punto di vista come uno “spazio vissuto”29 in cui troviamo contemporaneamente i concetti di carattere e spazio, in un rapporto stretto di interdipendenza tra azioni di vita che in esso si svolgono e lo determinano e concretezza materiale. Questo spazio non può essere identificato solamente dal prodotto delle azioni di forze sociali, politiche e produttive, ma è anche il risultato di valori, ideologie, significati che gli vengono attribuiti.
L’industria vincola il suo carattere specifico al suo luogo, cioè il suo carattere di efficienza viene riportato anche nella sua organizzazione spaziale, ma viene anche influenzato da un aspetto che lega l’aver luogo al ruolo di rappresentazione. Questo concetto non viene inteso nel suo aspetto percettivo, bensì come creazione individuale o sociale di schemi spaziali, le rappresentazioni diventano la base delle ideologie spaziali, permettendo così agli individui o ai gruppi di simbolizzare e concettualizzare il reale per poter agire in modo più efficace.
Tramite l’attività di rappresentazione come simbolo del reale, le persone creano legami affettivi con i luoghi, che diventano i loro luoghi, rimandando direttamente all’uomo come abitante del luogo, all’esperienza ambientale della società e all’esistenza su quel territorio.
Uno spazio anonimo si modifica nel momento in cui si connota di riferimenti, simboli, oggetti umani, proponendosi come luogo di vita per la società, diventando uno spazio ricco di cultura e significato.
L’industria, come luogo di massima artificialità, diventa rappresentazione simbolica della società, atto di simbolizzazione che sott’intende un significato che una volta liberato dalla situazione si trasforma in oggetto culturale. La fabbrica diventa quindi un simbolo, un luogo ideologico pieno di significato che è stato cardine nello sviluppo sia all’interno dei suoi confini che della città stessa. Nello stesso modo la città ha avuto un ruolo simbolico per la fabbrica, in quanto dapprima quest’ultima si definisce nello spazio in relazione alla città che ha inizialmente svolto un ruolo importante, in un momento successivo l’industria si definisce come fatto urbano autonomo e specifico, creando una cesura dalla città e inserendo al suo interno la ragione stessa della sua esistenza. “Radunando in sé i significati di produzione, sviluppo e autonomia, liberati dall'appartenenza alla realtà fisica urbana e spostati all'interno dei suoi confini, essa organizza le sue parti spazialmente, articolandole formalmente in relazione al suo carattere di "funzionalità tecnica", creando una specifica spazialità e un linguaggio di forme simboliche proprie”30.
Da questo momento l’industria assume il compito di trasmissione di un nuovo ordine generale e astratto, che definisce il suo sistema spaziale come concretizzazione delle nuove strutture economiche politiche e sociali. In essa si manifestano una molteplicità di significati in quanto luogo culturale e simbolico per la società, diventa un luogo di identità per i gruppi sociali in essa rappresentati.
La fabbrica e l’industria hanno avuto quindi un ruolo forte nella costruzione del territorio e del paesaggio grazie alla loro organizzazione spaziale specifica che ha portato ad avere una forma ben rappresentata dalla funzione presente in esse, diventano quindi rappresentative per lo spazio in termini di rappresentazione e identità di una società.
29Norberg Shultz C., Esistenza spazio e architettura, Officina, 1975
30Piemontese F., op. cit.
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2.2 Perdita d’uso e di significato
La fabbrica ha svolto un ruolo fondamentale non solo come elemento urbano, ma anche come elemento culturale caratterizzato da una simbolizzazione che lo ha trasformato in luogo identitario. Come oggetto culturale viene connotato di carattere rappresentativo e reale, pieno di significato.
In essa sono presenti un gran numero di segni che possono essere raggruppati nel termine iconema, ossia “segno all’interno di un insieme organico di segni, come parte che esprime il tutto o che lo esprime con una funzione gerarchica primaria”31. Questo viene considerato come elemento visivo connotato da una forte carica semantica del rapporto culturale che una società instaura con il proprio territorio. I segni che vengono attribuiti alla fabbrica hanno un alto grado di riconoscibilità, sia perché sono stati capaci di modificare il territorio e i luoghi preesistenti, sia perché la città industriale è stata capace di creare un linguaggio nuovo di relazioni spaziali, segni e modalità costruttive.
Questo linguaggio tipico dell’industria diventa iconografia industriale, per le caratteristiche di ripetizione seriale del segno che per la differenza sostanziale delle forme e dei segni rispetto a quelle storiche consolidate. Gli elementi industriali, come il muro di cinta, la ciminiera, i silos, i serbatoi, le turbine, hanno lasciato sul territorio un segno formale e relazionale con esso.
La perdita delle relazioni andavano a definire quel rapporto specifico tra azioni umane e territorio, ha lasciato dei segni dietro di sé, diventando via via sempre meno sensati in quanto non
contenevano più un loro significato.
Alla dismissione della fabbrica, essa smette di rappresentare simbolicamente l’intenzionalità che l’aveva prodotta come simbolo, di conseguenza perde la capacità semantica, a favore di nuove forze storiche. La scomparsa della funzione pratica, del ruolo cardine sul piano produttivo, delle relazioni spazio-funzionali sposta la fabbrica in una situazione di crisi, cui segue una dismissione fisica del luogo e un definitivo detrimento di senso generale.
La fabbrica e l’intero complesso delle sue parti si riduce ad un oggetto-non-oggetto diventando un elemento insignificante e non culturale.
Così la fabbrica che era stata iconema per molti territori viene sostituita dalla cultura contemporanea con il sistema presente in esso della produzione industriale, nello stesso modo la rottura tra valore simbolico e funzionale di paesaggio riporta quegli oggetti simbolo presenti nella società industriale ad un livello di non corrispondenza con il funzionamento e il vivere del territorio stesso.
Sorge spontanea la domanda se un oggetto che era segno preponderante del proprio tempo ma di cui ora si è perso quel carattere iniziale di intenzionalità, possa conservare ed essere riconosciuto nella sua completa oggettualità, se continua nonostante tutto ad essere un riferimento comune. La fabbrica dismessa può quindi, come segno, entrare a far parte, trasformata, in un nuovo contesto segnico conferendo a quest’ultimo un valore di identità mediato però dalla stratificazione? Attraverso l’arte si è riusciti a interpretare la perdita di semanticità attraverso il riuso dell’oggetto o delle sue parti.
Il fondamento del Genius loci sono struttura e significato; la prima indica le proprietà formali di un insieme di relazioni, la seconda definisce il rapporto di un oggetto con altri oggetti. Il significato dipende dall’identità e dal senso di appartenenza a qualcosa, di
31Piemontese F., op. cit.
17 conseguenza la perdita di significato determina la perdita del luogo e costituisce il problema principale per le zone industriali dismesse.
La fabbrica dismessa da spazio vissuto si trasforma in spazio privo di attività e di vita e diventa parte di quel mondo vasto di oggetti di consumo, il cui uso una volta esauritosi, da oggetto di consumo diventa oggetto di scarto.
Di conseguenza il cambiamento produce sia una perdita d’uso che di identità, di significato e di carattere. Possiamo però trovare una forma di permanenza di identità o carattere nonostante la pressione di forze storiche? Bisogna fare una distinzione tra i due livelli di fruizione del luogo o dell’oggetto architettonico: il primo ordine è legato alla destinazione pratica dell’agglomerato dei segni che formano quel dato luogo o architettura; il secondo è connesso alla dimensione semantica, relativa al suo significato sia culturale che come presenza modificante, capace di istituire una relazione con l’immaginazione del gruppo, con l’inconscio collettivo e con gli elementi economico-sociologici che danno una definizione del gruppo sociale in un dato momento storico.
Questi due differenti aspetti della fruizione possono anche essere definiti come: “il segno è decifrabile per quanto riguarda la sua dimensione di significato come un uso-semantizzato, né si presentano usi collettivi non semantizzati sia pure a differenti livelli”32. Queste definizione contiene tutta la complessità del fenomeno designando il significato come unità minima semantica, “come incontro tra la serie degli usi della forma considerata nella frase e la serie degli usi che nell’ambito della comunità si fa della forma stessa”33. Si può verificare il collasso di uno dei due termini, uso o significato, senza che però l’architettura cessi di essere quella che è: la perdita della capacità di esposizione del messaggio architettonico, conservando allo stesso tempo la capacità di essere fruito; la perdita del significato designativo originale, ossia la perdita del rapporto tra significato e significante, senza che venga meno la capacità comunicativa dell’opera.
Di conseguenza possono esistere contemporaneamente architetture fruibili senza significanti e architetture con forte capacità significativa ma mancante del suo uso pratico, oppure essendo totalmente estraneo a noi l’uso. Tutto ciò può sussistere senza che si perda la capacità di trasmettere messaggi attorno alla propria struttura; addirittura può capitare che l’incertezza della destinazione aumenti il fascino del monumento.
Il cambiamento dei significati, come uso semantizzato, prende due direzioni differenti di sviluppo: mutamento nel tempo come attribuzione al luogo di nuovi significati o usi;
ambiguità dell’opera in quanto presenta contemporaneamente diversi significati. Bisogna però sottolineare come non accade mai che la completa perdita del significato in quanto uso, sia il cambiamento di destinazione che il consumo della capacità informativa non cessano di esistere ma si vanno a collocare a differenti livelli di informazione e contesto, così anche se spostati come rapporto reciproco restano comunque correlati saldamente. Questo vuol dire avere la capacità di comprendere per architetture abbandonate, la capacità di attualità d’uso sia come “legittimità del mutamento dell'uso originale, ma anche come nuova funzione nel contesto urbano e territoriale dell'architettura stessa (anche del rudere), come significazione speciale di quel contesto, come dialettica col tessuto circostante, come punto di accumulazione speciale”34.
La presenza di una architettura crea una relazione tra la presenza dell’uomo nel paesaggio delle azioni del mondo e l’atto di cambiamento fisico. Ecco perché la semanticità di una architettura si trova anche nelle sue connessioni tecnologiche e il suo essere materiale, che possono consentire la conoscenza del significato materico e visuale. Possiamo quindi
32Piemontese F., op. cit.
33Gregotti V., Il territorio dell’agricoltura, Feltrinelli, 1966
34Gregotti V., op. cit.
18 pensare che gli elementi dell’architettura industriale, come ciminiere, serbatoi, silos, hangar condotte forzate, siano un grande alfabeto di forme nuove, inedite.
È sempre presente però il rischio che queste architetture dismesse e non fruibili diventino
“lettera morta” per quanto riguarda la semanticità, tanto da retrocederli ad elementi asemantici formali. Di conseguenza si rende necessaria la semantizzazione dell’architettura, ovvero che questa sia in grado di mostrare chiaramente i rapporti tra uso, forma e significato attraverso la presenza fisica dei suoi segni, caratteri e connotati costruttivi.
I due concetti di fruizione e funzione si stanno velocemente mescolando con il continuo cambiamento di uso e significato per cui vengono a coincidere l’idea di variazione, trasformazione con l’idea stessa di uso; per cui il senso stesso dell’architettura diventa sempre più legato alla capacità di comprendere il significato della mutazione.
19
Capitolo 3 : RINNOVAMENTO URBANO
20
3.1 Ricerca di luoghi identitari
Come abbiamo già visto spazio contemporaneo è caratterizzato da processi di de- territorializzazione, de-specializzazione e omologazione dei luoghi, nello stesso momento si affermano due tendenze nella ricerca urbanistica e architettonica: la prima che vede inevitabile la condizione “omologata ed omologante degli spazi” derivante dal mercato globale; la seconda che tramite la ricerca di nuove condizioni abitative oppone una resistenza alla progressiva destituzione di identità dello spazio.
Solamente dopo il secondo dopoguerra inizia una nuova riflessione sul concetto di luogo come ricerca di nuove identità definendosi come reazione ai processi insediativi di omologazione, superando il concetto di “tabula rasa” e “spazio neutro”, nella “ricerca di una maggior complessità ed identità dei modelli urbani, di una relazione attenta alla forma fisica dei contesti”35, questa ideologia trova il suo riconoscimento nelle tendenze post moderne degli anni ’70.
Inizia a farsi strada una nuova idea di luogo, non più come spazio matematico e astratto, bensì come rapporto tra spazio e uomo, dando nuovamente un senso ai luoghi come espressione “dell’abitare pensato nella sua essenza”36.
Heidegger si appella al ritorno degli uomini a costruire ed abitare in modo consapevole il proprio ambiente. Rogers invece mette al centro della sua riflessione l’idea di appartenenza come ideologia cardine in grado di ridare all’architettura quel ruolo di “matrice dei luoghi”
dove si realizza un dialogo con le “preesistenze ambientali”37. Shultz, analogamente, individua nel lavoro dell’architetto la produzione di che in modo significativo siano in grado di aiutare l’uomo ad abitarli. Bachelard fonda e sue teorie sullo spazio poetico, in grado di restituire densità temporale e senso allo spazio; Frampton invece elabora il concetto di delocalizzazione come prevaricazione del progresso tecnologico, ponendo un limite alla eliminazione della specificità locale. Anche Gregotti più recentemente attribuisce all’architettura quel ruolo di “"formazione di senso del proprio ambiente fisico dove la figura, la concretezza e la storicità dei luoghi sono materiali preminenti del progetto, auspica un'architettura del "realismo critico che implica una condizione del progetto quale dialogo con le condizioni empiriche, affidando alla riflessione critica la scelta delle condizioni che si ritengono strutturali, considerando una idea di spazio, non omogeneo, dotato di densità differenziate, di depositi e detriti con cui è necessario entrare in relazione"38.
Il problema del rapporto con l’esistente assume per Secchi una maggiore profondità: “Se la storia della città europea è stata storia del lento modificarsi delle relazioni tra corpo e spazio, aperto e coperto, collettivo o privato, di un'idea di esperienza spaziale, cosa possiamo recuperare di questa tradizione, seppur in termini concettuali se non fisici di fronte al dramma delle trasformazioni attuali?”39. Chaoy affronta il tema della perdita del luogo come un aspetto legato in modo fondamentale allo spazio abitato della contemporaneità, e tale perdita è causata dal ruolo dominante dei mezzi tecnici, alla trasformazione dello spazio locale e tempo organico in cui gli edifici non hanno più relazioni con il contesto e, di conseguenza determinano una cesura tra il corpo e il mondo fisico.
Nasce anche l’idea di una corrispondenza tra de-materializzazione e de- istituzionalizzazione della società una volta che si approfondisce il rapporto dei fenomeni
35 Frampton K., Storia dell'architettura moderna, Zanichelli, 1982
36De Fusco R., Lenza C., Le nuove idee di architettura, Etas Libri, 1991
37Rogers E. N., La responsabilità verso la tradizione, in Casabella n°211, 1956
38Gregotti V., Modificazione, Casabella n°298-99, Milano, 1984
39Secchi B., Prima Lezione di urbanistica, Laterza, 2000