Stiamo celebrando i 20 anni dall’annuncio della nascita del World Wide Web (Ginevra, Cern 1991) e forse è giunta l’ora di cominciare a interrogarci – con una certa dose di preoccupazione – sul suo stato di salute. Il timore deriva dalle grandi trasformazioni che stanno alterando radicalmente le caratteristiche strutturali di questo stra-ordinario ambiente tecnologico e comunicativo, che si interseca con la nostra vita quotidiana fino a rendersi quasi indistinguibile, nel lavoro e nel tempo libero, quando cerchiamo conoscenza o intrattenimento, gestiamo le nostre relazioni o ci immergiamo nelle memorie digitali e nei repertori on-line. Un ambiente che ha assorbito progressivamente – operando un processo di rimediazione [1] – tutte le precedenti forme mediali (stampa, ci-nema, televisione ma anche comunicazione interpersonale) fino a trasformarsi nell’interfaccia culturale del mondo contemporaneo [2] e a imporre “ontologia”, “estetiche”, modalità di interazione proprie degli artefatti tecnologici (dal Pc all’iPad alle connected television) che fungono da terminali di accesso.
Per una quindicina d’anni, internet e la sua principale applicazione il www [3], sono rimaste ferme, ancorate alle nostre scrivanie, imprigionate in computer pesanti e ostili per chi non avesse al-meno una conoscenza di base dell’informatica. Negli anni successivi la gran parte degli utenti è stata invece proiettata in un contesto comunicativo profondamente rivoluzionato: da strumento “fuori di noi” internet e il web sono diventati una nostra appendice. Ancor di più: viviamo nel web (e nei social network) quasi senza soluzione di conti-nuità, in tempo reale e da ogni luogo [4]; acce-diamo ai contenuti digitali quando vogliamo e con il supporto tecnologico che preferiamo; diamo espressione a quelle forme di cultura partecipativa [5] grassroot, che esprimono le nuove modalità in cui gli utenti condividono, commentano, rieditano i contenuti dando così espressione alla loro creatività. E soprattutto, la rete internet tende a diventare diffusa e accessibile non solo in casa o in ufficio ma in modalità wireless in qualsiasi contesto fisico esterno, attraverso una pluralità di device trasportabili (e indossabili).
Negli ultimi cinque anni, progressivamente, le tecnologie on-line stanno transitando da un ambiente ampio e quasi del tutto aperto come il web a piattaforme che, pur facendo ricorso al protocollo IP – e dunque a internet – per il trasporto dei dati, tendono a configurarsi come ambienti semi-chiusi o comunque non assimilabili alla na-vigazione attraverso i browser. Il modello delle App, che origina dalla geniale intuizione di Apple rispetto alle in-La nascita del web viene comunemente fatta risalire al
6 Agosto 1991 quando, presso il Cern di Ginevra, Tim Berners Lee mise on-line il primo sito. Da quel giorno sono passati venti anni, o poco più. Alla luce di ciò l’ar-ticolo prende in analisi l’evoluzione della rete, interro-gandosi sullo stato di salute di questo straordinario ambiente tecnologico e comunicativo che caratterizza la vita di ciascuno di noi.
IL WEB: UN MERAVIGLIOSO GIARDINO...
APERTO O CHIUSO?
Alberto Marinelli
Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale, Sapienza Università di Roma
ANNU
AL REPOR
terfacce del mobile computing e che si diffonde con iPhone e iPad [6], è stata integralmente accolta dai due principali concorrenti nel mercato dei dispositivi mobili, Google/Android/Motorola da un lato e Microsoft/Nokia dall’altro, ed entra nei connected device televisivi attraverso la widget tv di Yahoo o la smart tv di Samsung. Di fatto, questa strategia tecnologica sembra consolidarsi come lo standard di riferimento per tutti gli operatori (commerciali) che, a vario titolo, sono coinvolti nella filiera dell’aggregazione e della di-stribuzione di beni digitali: dalla musica (il mercato forse più ma-turo) ai libri (dove gli e-book conquistano quote rilevanti di mercato), dalla stampa (che aspira a remunerare i contenuti
on-line) ai prodotti audiovisivi (dove operatori come Netflix rinunciano all’intermediazione fisica).
Con parole ferme ed equilibrate, Tim Berners Lee ha rivendicato la straordinaria “diversità” nelle scelte tec-nologiche che hanno dato origine al web “aperto”: «Non tutte le tecnologie portano innovazione. Una tecnologia può essere di “fondamenta” o di “soffitto”. La prima è la base che supporterà sviluppi sempre più importanti. L’altra no: è progettata per creare un valore immediato e quindi denaro al suo fornitore. Il web è una tecnologia di fondamenta». Se la resistenza di Berners Lee è fondata sulla intrinseca forza della scelta radicale posta alle origini del web – «un giardino meraviglioso ma chiuso non può competere con la bellezza di una folle e indomita giungla» [7] – altri intravedono nella trasformazione in atto un futuro assai pericoloso per il web e chiamano a raccolta le forze intellettuali ed economiche, che finora hanno prosperato con il modello aperto della rete, a cooperare per arginare questa pericolosa deriva. E non hanno paura di imputare al “grande innovatore” appena scomparso Steve Jobs, la responsabilità di aver alterato radicalmente le priorità strategiche rispetto alla sviluppo degli ambienti di rete, rinnegando lo spirito della originaria “rivoluzione” Mac. Nelle espressioni di Jonathan Zit-train «L’iPhone è l’opposto. È sterile. Più che una piattaforma che favorisce l’innovazione l’iPhone nasce pre-programmato. L’utente non è autorizzato ad aggiungere programmi al device all-in-one venduto da Steve Jobs. […] Apple minaccia di trasformare l’iPhone in “iBrick”» [8]. Correttamente Zittrain sottolinea che sulla base di questa scelta strategica in favore della “chiusura” sia dei device che di servizi e contenuti – condivisa, almeno in parte, anche da altri leader di mercato come Google e YouTube – rischia di essere del tutto depotenziata la pulsione generativa che ha consentito al web di affermarsi come un ambiente aperto e cooperativo.
La ricerca di un nuovo equilibrio sembra però una strategia obbligata perché, mettendo momentaneamente da parte le dispute su cosa significhi innovazione o le opzioni ideali rispetto all’apertura dei sistemi di rete, rimane il fatto che la grande maggioranza dei consumatori sembra trovarsi in sintonia rispetto alle trasformazioni cui stiamo assistendo. E non perché rifiutino ideologicamente il web e le sue culture, ma piuttosto perché la ri-voluzione annunciata dalle nuove interfacce, che frammentano il lavoro affidato ai browser e consentono un accesso diretto ai contenuti, premia l’immediatezza e il divertimento, è meno dispendiosa in termini di carico cognitivo e più consona a stili di vita rilassati, a contesti d’uso lontani dalla vita d’ufficio e legati alla normali at-tività quotidiane.
È opportuno che gli interventi di regolamentazione (pensiamo al tema strategico della net neutrality) e anche le politiche di mercato riescano a contemperare esigenze diverse, finalizzate a obiettivi fortemente differenziati, per trovare lo stesso diritto di cittadinanza sulle reti digitali. Anche perché possiamo rassegnarci a perdere la gratuità dei contenuti e cominciare a frequentare curati e variopinti “giardini” (a pagamento) ma non vorremmo mai rinunciare del tutto alla bellezza e alla forza generativa di una «folle e indomita giungla».
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
[1] Bolter, J.D., Grusin, R. (1999). Remediation. Understanding New Media, The MIT Press; tr. it. Prefazione e cura di Marinelli, A. (2002). Remediation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi, Guerini e Associati.
[2] Manovich, L. (2001). The Language of New Media, The MIT Press, Boston; tr. it. (2002). Il linguaggio dei nuovi media, Edizioni Olivares.
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[3] Marinelli, A. (2008). Internet e World Wide Web. Scienza e tecnica, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 339-349.
[4] Wellmann, B., Rainie, L. (2012). Networked. The new social Operating System, The MIT Press.
[5] Jenkins, H. (2006). Convergence culture: where old and new media collide, New York University Press; tr. it. (2007). Cultura convergente, Apogeo.
[6] Anderson, C., Wolf, M. (2010). The Web is dead. Long Live the Internet, Wired, 17 August. http://www.wired.com/magazine/2010/08/ff_webrip/all/1.
[7] Berners Lee, T. (2011). Così ho regalato il web al mondo, intervista di R. Luna in la Repubblica, 14 novembre, http://www.repubblica.it/tecnologia/2011/11/14/news/intervista_berners_lee-24969134/.
[8] Zittrain, J. (2008). The Future of the Internet and how to stop it, Yale University Press.