UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Sede Amministrativa del Dottorato di Ricerca
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UNIVERSITÀ CATTOLICA "SACRO CUORE" DI MILANO UNIVERSITÀ DI ROMA "LA SAPIENZA"
Sedi Convenzionate
XVIII CICLO DEL
DOTfORATO DI RICERCA IN DIRrrro DELL'UNIONE EUROPEA
Responsabilità del produttore e diritto comunitario
DOTTORANDO
Ilaria Maria PITTALUGA \ tt
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COORDINATORE DEL COLLEGIO DEI DOCENTI CHIAR.MO PROF. Stefano AMADEO
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RIASSUNTO ESPOSITIVO
La tesi si propone, da un lato, di delineare le problematiche connesse alla responsabilità del produttore allorché essa si manifesta - come sempre più di frequente accade - in una dimensione «internazionale» e, dall'altro, di illustrare le tecniche cui è possibile ricorrere a livello comunitario al fine di porre rimedio a tali problemi.
In tale prospettiva, quindi, il primo capitolo della tesi è innanzitutto dedicato - dopo un paragrafo introduttivo sulla rilevanza sociale ed economica della fattispecie - al carattere tipicamente «internazionale» della responsabilità (contrattuale ed extracontrattuale) del produttore: nell'ipotesi in esame, infatti, il danno è normalmente provocato da un bene prodotto con la specifica finalità di essere messo in commercio e utilizzato anche in Paesi diversi da quello in cui è stato fabbricato.
Il fenomeno, già di per sé naturalmente connesso, quindi, con la fattispecie in esame e incentivato dai moderni metodi di produzione e dallo sviluppo del commercio internazionale, è tanto più evidente in ambito comunitario, laddove l'esistenza di un mercato unico consente una rapida ed agevole circolazione di beni e persone moltiplicando, insieme al numero dei soggetti potenziali destinatari dei beni stessi, la distribuzione territoriale dei prodotti e i loro trasferimenti da un Paese all'altro all'interno dell'Unione e, di conseguenza, la possibilità che il danno si verifichi in un Paese diverso sia da quello dove il prodotto è stato commercializzato sia da quello dove è stato acquistato.
Tale fenomeno, di per sé sicuramente positivo, comporta tuttavia talune problematiche di non immediata soluzione. Il coinvolgimento di più di un ordinamento giuridico determina, infatti, la presenza di più fori astrattamente competenti a conoscere della controversia e di altrettanti sistemi di diritto internazionale privato tra loro diversi che, a loro volta, portano all'applicazione di normative nazionali disomogenee.
La situazione è ulteriormente aggravata, inoltre, dalla pratica del forum shopping, consistente, come noto, nella ricerca da parte dell'attore del tribunale che, attraverso il gioco delle norme di conflitto appena descritto, conduca all'applicazione della legge più favorevole ad una soluzione positiva della controversia.
Neppure l'unificazione delle norme sulla competenza giurisdizionale è, sotto questo profilo, risolutiva: se è vero, infatti, che la Convenzione di Bruxelles del 1968 (ora sostituita dal reg. 44/2001) ha abolito i fori esorbitanti, è pur vero, tuttavia, che essa non indica un unico foro competente per ciascuna controversia ma, al contrario, una pluralità di fori suscettibili di venire in rilievo in relazione alla medesima controversia.
Per quanto riguarda, in particolare, la responsabilità del produttore, i fori a disposizione dell'attore possono essere, in effetti, assai numerosi. Accanto al foro generale del domicilio del convenuto, infatti, possono venire in rilievo - sotto il profilo contrattuale - sia il foro speciale di cui all'art. 5 .1 sia i fori speciali in materia di contratti conclusi dai consumatori e in materia di assicurazioni mentre, per quanto riguarda la responsabilità extracontrattuale del produttore, l'art. 5.3 consente all'attore - secondo l'interpretazione fornita dalla Corte di giustizia nel noto caso Mines de Potasse - di rivolgersi tanto al giudice del luogo dove è avvenuto il fatto generatore del danno quanto al giudice del luogo dove si è manifestato il danno.
Ora, tale varietà di fori, affiancata da altrettanto numerosi sistemi di diritto internazionale privato, rende pressoché impossibile compiere una ragionevole previsione in ordine alla disciplina sostanziale applicabile al rapporto giuridico controverso e determina una situazione di incertezza giuridica che crea intralcio al commercio internazionale.
I successivi paragrafi del primo capitolo sono dedicati, quindi, alle tecniche utilizzabili in ambito comunitario allo scopo di «prevenire» o «risolvere» i conflitti di legge in materia di responsabilità del produttore.
La prima tecnica tende a «sdrammatizzare» il problema tramite l'elaborazione di un diritto materiale comune: si può infatti immaginare che, in presenza di una normativa uniforme da applicarsi con identico contenuto nei vari ordinamenti o, in un'ipotesi più realistica, di normative nazionali armonizzate sulla base di principi comuni, l'individuazione del diritto applicabile alla fattispecie diventi un problema di secondo piano.
A tale tecnica - che opera quindi in via «preventiva» rispetto all'insorgere di un conflitto di leggi - è riconducibile innanzitutto la dir. 85/374/CEE sul ravvicinamento delle discipline nazionali in materia di responsabilità del produttore, alla quale sono dedicati i capitoli secondo e terzo.
Nell'ambito del primo capitolo, invece, si è ritenuto opportuno dar conto anche delle numerose iniziative che, promosse soprattutto da gruppi di studiosi (si pensi, ad esempio, alla Commissione Lando o al Gruppo di studio coordinato da V on Bar) ma senz'altro stimolate dalle istituzioni comunitarie, perseguono la finalità di elaborare, anche attraverso la riorganizzazione delle direttive già in vigore, un «diritto privato europeo» comprensivo, tra l'altro, anche della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale del produttore. Si tratta, peraltro, di iniziative che non sembrano destinate, almeno per il momento, ad incidere direttamente sul livello di armonizzazione conseguito dalla direttiva, dal momento che, in mancanza di un'appropriata base giuridica nel Trattato, esse non sembrano andare oltre uno strumento non vincolante, oggetto, al limite, di una recezione privata.
La seconda tecnica è volta a «risolvere» i conflitti di legge in materia di responsabilità del produttore attraverso l'elaborazione di norme uniformi di diritto internazionale privato tali per cui la legge applicabile ad una determinata controversia sia la medesima a prescindere dal foro adito.
In relazione alla responsabilità del produttore vengono in rilievo, da un lato, la Convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile e alle obbligazioni contrattuali e, dall'altro, la proposta di regolamento sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali - alla quale è specificamente dedicato il quarto capitolo - destinata, nell'intenzione del legislatore comunitario, ad affiancarsi alla Convenzione di Roma in modo tale da «coprire», sotto il profilo della legge applicabile, il medesimo ambito di applicazione del sistema di Bruxelles.
Il primo capitolo si chiude con l'esame del rapporto che intercorre tra le due tecniche: ci si è chiesti, infatti, se le tecniche descritte nei paragrafi precedenti possano operare in via alternativa e, in particolare, se l'attuazione della tecnica che consiste nell'unificazione del diritto sostanziale comporti l'inutilità del diritto internazionale privato - e, a maggior ragione, della sua unificazione - in considerazione del fatto che, in presenza di una legislazione materiale uniforme, parrebbe essere risolto alla radice il problema del conflitto di leggi. Le argomentazioni a favore dell'inadeguatezza del diritto internazionale privato - consistenti soprattutto nel rilievo che la norma di conflitto, limitandosi ad individuare la legge applicabile, lascia sopravvivere le disomogeneità legislative e quindi le distorsioni della concorrenza - si scontrano,
peraltro, con la «nuova strategia dell'armonizzazione» che, teorizzata da alcuni importanti atti adottati in ambito comunitario (Libro Bianco sul completamento del mercato interno, Atto unico europeo), manifesta, rispetto al passato, un mutato atteggiamento delle istituzioni comunitarie nei confronti delle autonomie nazionali.
La «nuova strategia», infatti, privilegia un'armonizzazione di carattere minimo in virtù della quale la Comunità si propone di intervenire solo nella misura in cui ciò sia effettivamente necessario per assicurare l'esistenza di un mercato comune, lasciando per il resto ampio spazio di operatività alle normative statali. Ora, in una simile prospettiva - pienamente conforme, del resto, ai principi di sussidiarietà e proporzionalità - le differenze nel diritto privato degli Stati membri, se non sono discriminatorie e non falsano la concorrenza, non costituiscono un ostacolo al funzionamento del mercato interno sul quale la Comunità debba intervenire. D'altro canto, la permanenza di tali differenze - che non vi è alcun motivo di eliminare - fa sì che la questione relativa all'individuazione della legge applicabile alla fattispecie mantenga tutta la rilevanza che le è propria.
In definitiva, quindi, sembra maggiormente condivisibile la tesi di coloro che ritengono che tra «diritto privato europeo» e diritto internazionale privato intercorra un rapporto di complementarità: infatti, se è vero che qualunque intervento normativo comunitario incide in qualche misura sull'identità di ciascuno Stato membro, laddove tale intervento sia necessario ma sia altresì possibile soddisfare le esigenze che lo richiedono con una normativa che - senza intervenire sulle discipline materiali nazionali - si limiti a regolarne l'efficacia nello spazio, quest'ultima deve essere preferita in quanto meno invasiva di una misura che, viceversa, intervenga direttamente sulle discipline materiali nazionali.
Nel secondo capitolo viene esaminata la disciplina di diritto materiale in tema di responsabilità per danno da prodotti difettosi elaborata in ambito comunitario. L'esame della direttiva 85/374/CEE è preceduto, tuttavia, dall'analisi di alcune esperienze nazionali dalle quali i redattori della direttiva hanno avuto modo di trarre importanti suggerimenti: si dà conto, innanzitutto, dell'esperienza statunitense che, sebbene estranea al contesto geografico europeo, costituisce sicuramente un modello imprescindibile in tema di responsabilità del produttore: ad essa si deve, infatti, sia l'affermazione del principio della strict liability sia la successiva elaborazione di
soluzioni più equilibrate - poi accolte nel terzo Restatement of Torts, specifcamente dedicato alla product liability - volte a «correggere» le conseguenze negative che l'applicazione indiscriminata di tale principio ha provocato sul sistema economico statunitense.
Gli ordinamenti giuridici europei, privi di una normativa specifica in materia di responsabilità del produttore, si sono rivolti alle norme codicistiche nel tentativo di
«adattarle» al fenomeno del tutto nuovo della produzione e distribuzione di massa privilegiando un modello di responsabilità extracontrattuale - caratterizzato, però, da una sorta di inversione dell'onere della prova a carico del produttore (Germania e Italia) - ovvero rimanendo fedeli ad una responsabilità di tipo contrattuale, adeguatamente corretta, tuttavia, dalla possibilità accordata al consumatore di rivolgersi al produttore con una action directe nell'ambito della quale, comunque, la colpa del produttore viene presunta (Francia).
A fronte di una situazione così diversificata, l'intervento comunitario in materia di responsabilità del produttore si è reso necessario, innanzitutto, per evitare che la disomogeneità delle soluzioni adottate nei singoli Stati membri influisse sul funzionamento del mercato incidendo sulla politica dei prezzi esercitata dai produttori e sulle scelte dei consumatori e determinando, in definitiva, distorsioni della concorrenza e ostacoli alla libera circolazione delle merci.
Ma tra gli obiettivi enunciati nel preambolo della direttiva - ed esaminati nel secondo paragrafo - emerge altresì la protezione del consumatore che, sebbene non fosse contemplata all'epoca tra le competenze comunitarie (è stato solo con l'Atto unico europeo e soprattutto con i Trattati di Maastricht e di Amsterdam, infatti, che la protezione del consumatore ha cessato di essere considerata strumentale rispetto al perseguimento di altri obiettivi comunitari per acquistare il ruolo di obiettivo autonomo ed indipendente dell'azione comunitaria), era già comparsa, tuttavia, in alcuni atti delle isituzioni comunitarie. Si pensi, ad esempio, alla risoluzione del Consiglio del 14 aprile 197 5 che, avvalendosi anche dell'opera di sensibilizzazione intrapresa dalla Carta europea di protezione dei consumatori emanata dal Consiglio d'Europa, enuncia un programma assai ricco di interventi a favore del consumatore, tradottosi poi, negli anni successivi, in numerose direttive.
Pertanto, sebbene all'epoca della direttiva la protezione dei consumatori fosse ancora di là da venire nelle forme in cui è attualmente perseguita, essa era comunque ben presente al legislatore comunitario, anzi, proprio la ricerca di un equilibrio tra esigenze dei consumatori e dei produttori ha reso la redazione della direttiva particolarmente lunga e difficoltosa. L'elaborazione della direttiva ha richiesto, in effetti, dieci anni di lavoro e numerosi progetti intermedi, ispirati, in parte, alla Convenzione sulla responsabilità derivante da fatto dannoso elaborata dal Consiglio d'Europa (mai entrata in vigore) e fortemente osteggiati dalle associazioni di produttori perché ritenuti troppo sbilanciati a favore dei consumatori: non stupisce, quindi, che la versione definitiva, in seguito alle pressioni delle associazioni imprenditoriali, presenti, rispetto ai propositi iniziali, un generale abbassamento della soglia di tutela del consumatore.
La direttiva, come noto, prevede una responsabilità di tipo oggettivo a carico del produttore e degli altri soggetti indicati all'art. 3.1. Il danneggiato, esonerato dall'onere di provare dolo o colpa del produttore, è tenuto tuttavia a provare il danno, il difetto e il nesso causale tra difetto e danno, il che non ha mancato di suscitare alcune perplessità relative alla difficoltà per il danneggiato di dimostrare, come richiesto dall'art. 6, che il prodotto in questione non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere.
Per altro verso, sembrano maggiormente orientate alla tutela del consumatore le disposizioni relative all'ambito di applicazione soggettivo ed oggettivo della normativa in esame: l'ambito di applicazione oggettivo, in particolare, già piuttosto ampio nella versione originaria della direttiva, è stato ulteriormente esteso dalla dir. 99/34/CE fino a comprendere anche i prodotti agricoli naturali.
Il risarcimento cui può aspirare il soggetto danneggiato non è, tuttavia, altrettanto ampio: sugli almeno tre tipi di danno che un prodotto dannoso può cagionare - danno da morte o da lesioni personali, danno al prodotto, danno a cose diverse dal prodotto difettoso - solo il primo e, in misura ristretta, il terzo (sottoposto, tra l'altro, ad una franchigia di 500 euro) sono contemplati dall'art. 9 della direttiva.
Ma non solo. La responsabilità del produttore è limitata anche sotto il profilo temporale (artt. 10 e 11) e quantitativo, posto che l'art. 16 consente agli Stati membri di stabilire un limite massimo all'entità del risarcimento.
Le limitazioni più rilevanti derivano tuttavia dall'art. 7, che consente al produttore di ottenere l'esonero dalla responsabilità in svariati modi, alcuni dei quali dal contenuto piuttosto incerto. In proposito, la Corte di giustizia, interpellata circa l'ambito di applicazione delle clausole previste dalla lett. a) e dalla lett. c) - che prevedono l'esonero da responsabilità per il produttore che provi di non aver messo in circolazione il prodotto ovvero di non aver fabbricato il prodotto per la vendita o altra forma di distribuzione a scopo economico né nel quadro della sua attività professionale - ne ha fornito una lettura restrittiva, affermando, da un lato, che il liquido di perfusione utilizzato per la conservazione di un rene in vista del trapianto si considera messo in circolazione anche se non è uscito dalla sfera di controllo del produttore allorquando è utilizzato per la prestazione di un servizio medico e, dall'altro, che l'esenzione di cui alla lett. c) non si applica in relazione ad un prodotto difettoso fabbricato ed utilizzato nell'ambito di una prestazione medica interamente finanziata dal servizio sanitario nazionale e per la quale l'assistito non deve versare alcun corrispettivo (Corte di giustizia, 10 maggio 2001, causa C-203/99, Veedfald).
Assai problematica, già in sede di approvazione della direttiva, si è rivelata la clausola di esonero relativa al cd. rischio da sviluppo, al punto che il legislatore comunitario non ha potuto fare altro che adottare una soluzione di compromesso in virtù della quale, se la responsabilità per rischi da sviluppo viene in linea di principio esclusa ex art 7, lett. e), è peraltro concessa a ciascuno Stato membro la possibilità di optare per la previsione di tale responsabilità a carico del produttore (art. 15, par. 1, lett. b).
La clausola in esame, peraltro, si è rivelata complessa anche in fase di trasposizione della direttiva ed è costata al Regno Unito una procedura d'infrazione conclusasi con una sentenza che, benché di rigetto del ricorso presentato dalla Commissione, sembra tuttavia un monito rivolto ai giudici inglesi affinché, nonostante la lettera ambigua della normativa d'attuazione, interpretino la normativa nazionale alla luce dello spirito della direttiva e procedano quindi ad una valutazione della condotta del produttore particolarmente rigorosa, utilizzando, quale parametro della conoscibilità del difetto, le conoscenze di un «esperto del settore» senza dare alcun rilievo al fatto che, nel settore industriale di riferimento, nessuno adotti gli accorgimenti necessari ad eliminare o prevenire il difetto, se essi siano, in effetti, adottabili (Corte di giustizia, 29 maggio
1997, causa C-300/95, Commissione c. Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord).
Il terzo capitolo ha ad oggetto la valutazione del livello di armomzzaz10ne effettivamente conseguito dalla dir. 85/374/CEE: in effetti, dal momento che la direttiva in esame lascia ai legislatori nazionali ampia facoltà di scelta in merito ad alcune questioni assai rilevanti (responsabilità del produttore anche in caso di rischio da sviluppo, previsione di un limite massimo al danno risarcibile), il conseguimento di un'effettiva convergenza delle discipline nazionali appare tutt'altro che scontato e ampiamente dipendente dalle scelte operate nelle normative nazionali di attuazione della direttiva medesima.
La disamina delle soluzioni accolte in alcuni paesi europei prende avvio dall'esperienza del Regno Unito, ove si è provveduto a dare attuazione alla direttiva addirittura in anticipo; la normativa inglese di recepimento, tuttavia, è stata oggetto di alcuni rilievi critici, il più evidente dei quali - relativo, come si è appena illustrato, alla clausola di esonero da responsabilità per rischio da sviluppo - è stato poi affrontato e risolto dai giudici inglesi in modo conforme alle indicazioni fomite dalla Corte di giustizia.
Anche nei Paesi di civil law, del resto, le disposizioni nazionali di attuazione della direttiva relative alla difesa dei rischi da sviluppo sono state sottoposte ad alcuni procedimenti giudiziari - peraltro non particolarmente numerosi - con gli esiti più diversi. Del tutto particolare, invece, è la situazione che si riscontra in Spagna e in Francia, dove si è provveduto alla trasposizione della direttiva solo con ampio ritardo e con molte difficoltà, dovute soprattutto al fatto che un fedele recepimento della direttiva avrebbe comportato una «regressione» del livello di tutela generalmente accordato al consumatore dalla dottrina e dalla giurisprudenza nazionali. Le difficoltà sono tali per cui, nel 2004, il legislatore francese è nuovamente intervenuto sul code civil nel tentativo - peraltro non del tutto riuscito - di rendere le disposizioni nazionali maggiormente coerenti con la direttiva.
All'attuazione italiana, avvenuta con d.p.r. n. 224 del 1988 (ora trasposto nella Parte IV, Titolo II del d. lgs. n. 206 del 6 settembre 2005, il cd. «Codice del consumo»), è dedicato il quarto paragrafo, nell'ambito del quale - dopo aver sottolineato come il legislatore italiano si sia talvolta discostato dalla direttiva con l'intento di meglio
definire i termini utilizzati da quest'ultima (ad esempio, per quanto riguarda la nozione di messa in circolazione) e come, in altre occasioni, abbia invece alterato il senso della disciplina comunitaria (ad esempio, in relazione alla definizione di difetto) - l'attenzione si concentra soprattutto sulle decisioni emanate sulla base del decreto attuativo, dal ben noto caso deciso dal Tribunale di Monza in relazione alla rottura del telaio difettoso di una mountain bike fino alle più recenti sentenze Nissan e Aprilia.
All'esito dell'indagine relativa alle discipline nazionali di attuazione della direttiva e alla concreta applicazione delle medesime, si evidenzia quindi - nel quinto paragrafo - come, da una parte, le sentenze nazionali siano poco numerose e come, dall'altra, le normative nazionali in materia di responsabilità del produtore, sebbene basate sulla medesima normativa di origine comunitaria, continuino ad essere tra loro divergenti o tali, comunque, da dare adito a soluzioni giurisprudenziali talvolta addirittura opposte, sottolineando altresì come, in definitiva, la direttiva abbia ottenuto un risultato nel complesso fallimentare sia in ordine all'impatto sugli ordinamenti giuridici degli Stati membri sia in relazione all'armonizzazione effettivamente conseguita.
Del resto, anche a prescindere dalle disposizioni opzionali che, proprio nei punti maggiormente controversi della direttiva, consentono agli Stati membri di adottare una disciplina parzialmente difforme da quella indicata, dalla rinuncia ad occuparsi della risarcibilità dei danni morali - integralmente «delegati» alle normative nazionali - e dall'utilizzo da parte del legislatore comunitario di concetti scarsamente o per nulla definiti (sulla nozione di messa in circolazione, ad esempio, si è da ultimo pronunciata la Corte di giustizia nella sentenza 9 febbraio 2006, causa C-127 /04, Master Declan O'Byrne c. Sanofi Pasteur SA), nessuna piena armonizzazione può essere perseguita fintanto che l'art. 13 della direttiva assicura la coesistenza dei sistemi nazionali di responsabilità basati sulla responsabilità contrattuale o extracontrattuale o su reg1m1 speciali di responsabilità con il regime delineato dalla direttiva, il quale finisce per essere, in tale prospettiva, solo uno tra gli elementi che compongono il produci liability system proprio di ogni Paese
La concreta efficacia della direttiva, quindi, pare in larga misura dipendere dall'ambito di applicazione che si intende riservare in via interpretativa all'art. 13 e dal rapporto intercorrente tra (leggi di recepimento della) disciplina comunitaria in materia di responsabilità del produttore e diritto interno.
Secondo la prevalente dottrina, la direttiva prevede una normativa speciale che non esclude la normativa di fonte interna ma, al contrario, lascia impregiudicata la possibilità di attivare la normativa generale preesistente: la responsabilità introdotta dalla direttiva, in altre parole, si affiancherebbe alla normativa comune senza pretesa di sostituirsi ad essa, cosicché il danneggiato, effettuando una comparazione tra i benefici e i sacrifici cui andrebbe incontro attivando l'una o l'altra delle normative in questione, potrebbe scegliere - optando, presumibilmente, per quello che gli si prospetta più favorevole - il titolo sulla base del quale proporre la propria azione. Ora, il carattere meramente suppletivo della normativa in esame - che si limiterebbe, quindi, a fissare una soglia minima di tutela da garantire al consumatore - e il concorso di azioni che ne deriva hanno suscitato alcuni dubbi del tutto legittimi sullo spazio concretamente riservato alla direttiva, dal momento che la maggior tutela accordata al danneggiato dalle normative preesistenti in numerosi Stati membri fa sì che quest'ultima rischi di rimanere - come in parte si è già verificato - sostanzialmente inutilizzata.
È di contrario avviso, tuttavia, la Corte di giustizia che, nelle tre note sentenze emesse il 25 aprile 2002 a conclusione di due procedure d'infrazione promosse nei confronti di Francia e Grecia per la non corretta trasposizione della direttiva 85/374/CEE e all'esito di un rinvio pregiudiziale proposto dal giudice spagnolo in relazione all'art. 13, ha affermato che la direttiva - che ha la propria base giuridica nell'art. 94 TCE - persegue «un'armonizzazione globale» che non lascia agli Stati membri, al di là delle deroghe espressamente autorizzate, la possibilità di mantenere un regime generale di responsabilità per danno da prodotti che differisca dalla disciplina prevista dalla direttiva neppure qualora - come nel caso della legge spagnola del 1984 sulla tutela dei consumatori e degli utenti - sia rivolto alla realizzazione di un livello di protezione del consumatore più elevato.
L'art. 13, quindi, come la Corte ha altre sì ribadito nella recentissima sentenza Skov AEG (Corte di giustizia, 1 O gennaio 2006, causa C-402/03), andrebbe interpretato nel senso che esso non esclude l'applicazione di altri regimi di responsabilità contrattuale o extracontrattuale soltanto nella misura in cui si tratti di sistemi basati su presupposti diversi da quelli indicati dalla direttiva - come, ad esempio, la garanzia per i vizi occulti o la colpa - ovvero si tratti di regimi speciali di responsabilità, limitati, cioè, ad un settore produttivo determinato.
Il terzo capitolo si chiude con alcune considerazioni critiche relative alle pronunce della Corte di giustizia che, in effetti, manifestano una preoccupante inversione di tendenza rispetto ai progressi compiuti dal diritto comunitario in materia di tutela del consumatore, smentendo altresì la prevalente dottrina che non aveva mai dubitato del fatto che, a prescindere dalla base giuridica, la principale finalità della direttiva fosse identificabile nella protezione del consumatore.
In tale prospettiva, quindi, la direttiva 85/374/CEE sarebbe stata oggetto di un clamoroso equivoco durato quasi vent'anni: infatti, non solo la protezione del consumatore non sarebbe affatto lo scopo principale perseguito dal legislatore comunitario, ma i diritti dei consumatori eventualmente riconosciuti dagli Stati membri in misura superiore rispetto a quanto previsto dalla direttiva andrebbero sacrificati alla
«armonizzazione globale» delle legislazioni nazionali in materia di responsabilità oggettiva del produttore.
Si sottolinea inoltre che, oltre a non tenere in alcun conto l'evoluzione della politica comunitaria in materia di protezione del consumatore, l'interpretazione della Corte di giustizia rischia di compromettere ulteriormente la già di per sé scarsa applicazione della direttiva, di non rispondere affatto alle esigenze dei soggetti in qualche modo interessati alla disciplina della responsabilità del produttore - che, almeno a giudicare dagli studi predisposti su incarico della Commissione, non sembrano affatto interessati ad ottenere una forma più intensa di armonizzazione ma, al contrario, sembrano più favorevoli al mantenimento di più sistemi di responsabilità - e, infine, di creare una situazione di potenziale tensione tra Comunità e Stati membri. In tale prospettiva, infatti, è stato osservato come l'atteggiamento della Corte nell'interpretazione dell'art. 13 della direttiva definisca una prospettiva di armonizzazione globale che si pone in contrasto sia con i principi di sussidiarietà e di proporzionalità sia con la strategia dell'armonizzazione minima a suo tempo introdotta dal Libro Bianco sul completamento del mercato interno e recentemente confermata da quella tendenza ad un approccio maggiormente rispettoso delle tradizioni giuridiche nazionali di cui si è dato conto nel primo capitolo. Sembra quindi che le pronunce della Corte, tutte rivolte a preservare ed incentivare una strategia di armonizzazione ormai superata laddove, invece, la tendenza va nel senso opposto di favorire, attraverso l'armonizzazione minima, la differenziazione e la conservazione delle tradizioni giuridiche nazionali
compatibilmente con il buon funzionamento del mercato comune, non contribuiscano affatto a rendere più gradita una direttiva che già aveva riscosso scarso successo ma, al contrario, possano suscitare fenomeni di insofferenza nei confronti di tale strumento, con il che compromettendo definitivamente il raggiungimento degli obiettivi prefissati dal legislatore comunitario.
Nell'ultimo capitolo - constatato l'esito tutto sommato fallimentare della direttiva 85/3 7 4/CEE - si affronta la seconda delle tecniche illustrate nel primo capitolo con specifico riferimento, innanzitutto, alla Convenzione dell'Aj a sulla legge applicabile alla responsabilità per danni derivati da prodotto del 2 ottobre 1973, alla quale aderiscono alcuni Stati membri.
La Convenzione si basa su un meccanismo piuttosto complesso, caratterizzato - sulla scia della teoria del «grouping of contacts», in base alla quale è applicabile la legge che presenta i maggiori punti di contatto con la fattispecie - dalla presenza di una pluralità di criteri di collegamento variamente combinati tra loro e ordinati secondo un criterio gerarchico.
In particolare, in virtù dell'art. 4, la responsabilità del produttore è disciplinata dalla legge dello Stato nel quale si è verificato l'evento dannoso purché tale Stato sia altresì quello della residenza abituale del danneggiato ovvero lo Stato dello stabilimento principale del presunto responsabile ovvero lo Stato dove il prodotto è stato acquistato dal danneggiato; il successivo art. 5, tuttavia, esclude l'applicazione della legge sopraindicata in favore di quella dello Stato di residenza abituale del danneggiato qualora in tale Stato si trovi altresì lo stabilimento principale del presunto responsabile oppure il luogo dove il danneggiato ha acquistato il prodotto.
Ove poi non ricorra alcuna delle riferite combinazioni, la legge applicabile è, in virtù dell'art. 6, quella in vigore nello Stato in cui si trovi lo stabilimento principale del presunto responsabile, sempre che l'attore non preferisca agire sulla base della legge dello Stato nel quale è avvenuto l'evento dannoso. L'art. 7, infine, prevede una «clausola di prevedibilità» ai sensi della quale né la legge del luogo dell'evento dannoso né la legge del Paese di residenza abituale del danneggiato previste dagli artt. 4, 5 e 6 possono trovare applicazione allorché il presunto responsabile dimostri di non aver potuto ragionevolmente prevedere che il prodotto in questione o altri suoi prodotti del medesimo tipo sarebbero stati commercializzati in quello Stato.
La Convenzione - che si distingue, tra l'altro, per aver assegnato al criterio tradizionale in tema di illecito, la lex foci delicti, un ruolo del tutto secondario rispetto alla legge del luogo di residenza del danneggiato - prevede, quindi, un meccanismo piuttosto complesso che ha contribuito non poco al successo assai modesto della normativa in esame. Essa, in effetti, sebbene abbia avuto quanto meno il pregio di porre il luce la necessità di una norma ad hoc in tema di legge applicabile alla responsabilità del produttore, ha ottenuto un numero molto limitato di ratifiche né sembra destinata a riscuotere in futuro un successo maggiore di quello riscontrato fino ad ora, tanto più, poi, in considerazione dei significativi avvenimenti che sono attesi, per quanto riguarda l'unificazione delle norme di conflitto in materia di obbligazioni extracontrattuali, sul versante del diritto comunitario.
L'analisi si sposta, a questo punto, sulla proposta (dapprima di convenzione e poi) di regolamento sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali (cd. Roma II) della quale vengono messe in luce, da un lato, le caratteristiche generali e, dall'altro, laddove presenti, le disposizioni specificamente previste in tema di responsabilità del produttore.
In effetti, mentre il progetto del 1972 e quello del 1998 non prevedevano alcuna disposizione specifica in tema di responsabilità del produttore - che ricadeva così nell'ambito di applicazione della regola generale in materia di illecito - il progetto preliminare pubblicato nel 2002 e la proposta di regolamento presentata dalla Commissione nel 2003, affiancano alla regola generale di cui all'art. 3 (che prevede l'applicazione della lex foci damni) una serie di norme specifiche in materia di concorrenza sleale, violazione della vita privata e dei diritti della personalità, danni arrecati all'ambiente, violazione dei diritti di proprietà intellettuale e, rispettivamente all'art. 5 e all'art. 4, in materia di responsabiltà per danno da prodotti difettosi.
Tuttavia, se ai sensi dell'art. 5 del progetto preliminare la responsabilità del produttore è regolata dalla legge nel Paese nel quale si trova il luogo di residenza o di stabilimento principale della persona che subisce direttamente il danno, sempre che questo Paese sia altresì lo Stato ove si trova lo stabilimento principale della persona di cui viene invocata la responsabilità o il Paese nel quale il prodotto è stato acquistato, ovvero - nel caso in cui tale condizione non si avveri - dalla legge del Paese nel quale l'illecito è avvenuto, l'art. 4 della proposta del 2003, alla luce delle critiche e dei
suggerimenti emersi dalla consultazione avviata sul progetto preliminare, prevede l'applicazione della legge del Paese in cui la parte lesa risieda abitualmente a meno che il presunto responsabille non provi che il prodotto è stato commercializzato in quel Paese senza il suo consenso, nel qual caso la legge applicabile è quella del Paese di abituale residenza del danneggiante; sono fatti salvi, comunque, i commi secondo (residenza abituale comune) e terzo (collegamento più stretto) dell'art. 3.
Neppure la versione del 2003, peraltro, è risultata indenne da critiche: si è lamentata, in particolare, la scarsa attenzione prestata, da un lato, alle esigenze della vittima dell'illecito - alla quale, in effetti, diversamente da quanto previsto dalle norme di conflitto in tema di responsabilità del produttore previste da alcuni ordinamenti giuridici nazionali, non è concessa alcuna facoltà di scelta in merito alla legge applicabile - e, dall'altro, al rapporto tra la norma in esame e la Convenzione del 1973, sbrigativamente risolto - con una disposizione generale che lascia spazio, in effetti, a diverse letture - nel senso che il regolamento non osta alle convenzioni internazionali cui gli Stati membri hanno aderito e che, in materie particolari, disciplinano i conflitti di leggi inerenti ad obbligazioni extracontrattuali.
La questione, tuttavia, è passata in secondo piano in seguito all'intervento del Parlamento che, nelle versioni elaborate dalla Commissione giuridica ( 15 marzo 2004, 5 aprile 2004, 11 novembre 2004 e 22 giugno 2005) e nel testo approvato nella seduta del 6 luglio 2005, ha eliminato - insieme alla maggior parte delle regole specifiche - anche l'art. 4 relativo alla responsabilità del produttore in favore di un'unica norma generale fornita della flessibilità necessaria per consentirne 1' adattamento ai singoli casi.
L'intervento del Parlamento, che ha apportato modifiche anche ad altri aspetti del regolamento idonei ad incidere sulla materia in esame (norme di sicurezza e di comportamento, punitive damages, rapporto con altre convenzioni internazionali), rivela come siano le stesse linee guida che hanno ispirato Commissione e Parlamento nella redazione dei rispettivi documenti ad apparire tra loro assai distanti.
La Commissione, infatti, al fine di eliminare nella maggior misura possibile il fenomeno del forum shopping, avrebbe proposto una soluzione di <<pre-visibility with some flexibility» caratterizzata dalla previsione di criteri di collegamento che, individuando con certezza la legge applicabile alla fattispecie e lasciando poco spazio
alla valutazione discrezionale del giudice volta a volta chiamato a decidere della controversia, dovrebbero rendere superfluo per l'attore - almeno per quanto riguarda il profilo della legge applicabile - scegliere se adire l'uno o l'altro dei fori disponibili. La soluzione accolta dal Parlamento, per contro, sarebbe ispirata ad una logica di maggiore flessibilità e caratterizzata piuttosto da <<flexibility with some pre-visibility».
Tuttavia, come messo in luce nelle battute conclusive dell'ultimo capitolo, il testo adottato dal Parlamento non ha incontrato il favore della dottrina - contraria all'eliminazione delle norme speciali - né ha in alcun modo mutato la prospettiva della Commissione che, nella proposta modificata presentata il 21 febbraio 2006, ha affermato una volta di più la necessità di prevedere nel futuro regolamento alcune norme speciali dedicate a singole fattispecie di illecito e, respingendo gli emendamenti relativi alla loro soppressione, ha riproposto - con alcune modifiche e precisazioni - le disposizioni originariamente previste nella proposta del 2003, riservando alla responsabilità per danno da prodotti difettosi l'art. 6, che poco si discosta dall'art. 4 della precedente versione.
INDICE - SOMMARIO
Abbreviazioni . . . Pag. V
CAPITOLO PRIMO
IL DIRITTO COMUNITARIO IN TEMA DI RESPONSABILITÀ DEL
PRODUTTORE: NORME DI DIRITTO MATERIALE, NORME SUI CONFLITTI DI LEGGE E LORO RECIPROCO COORDINAMENTO IN SEDE APPLICATIVA
1. Alcune considerazioni preliminari in ordine alla rilevanza sociale ed
economica della fattispecie in esame . . . Pag. 1 2. Il carattere tipicamente «internazionale» inerente alla responsabilità
del produttore ... . 3. La responsabilità del produttore tra responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale ... . 4. L'insorgenza di conflitti di giurisdizione e di legge e gli effetti negativi sul mercato interno: in particolare, il forum shopping ... . 5. Le tecniche utilizzabili m ambito comunitario allo scopo di
«prevenire» o «risolvere» 1 conflitti di legge m materia di responsabilità del produttore: la «prevenzione» dei conflitti di legge mediante l'elaborazione di un diritto materiale «comune» ... . 6. (segue) l'elaborazione di una «soft law» in materia di diritto delle obbligazioni ... . 7. La «soluzione» dei conflitti di legge in base a norme uniformi di diritto internazionale privato ... . 8. Il coordinamento tra le due tecniche ... .
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83 94
CAPITOLO SECONDO
LA NORMATIVA COMUNITARIA IN MATERIA DI RESPONSABILITÀ PER DANNO DA PRODOTTI DIFETTOSI
1. La situazione precedente la direttiva 85/374/CEE: alcune esperienze
nazionali a confronto . . . .. . . .. . . .. .. .. . . .. .. . . .. .. Pag. 105 2. Gli obiettivi della direttiva sulla responsabilità per danno da prodotti
difettosi ... . 3. I progetti per una disciplina materiale uniforme della responsabilità del produttore e la genesi della direttiva 85/374/CEE ... . 4. Il modello di responsabilità accolto dalla direttiva 85/374/CEE ... . 5. L'ambito di applicazione della normativa m esame e la sua estensione in vista di una più intensa tutela del consumatore ... . 6. La responsabilità del produttore e i suoi «limiti»: il danno risarcibile e le limitazioni temporali e quantitative ... ..
7. (segue) le cause di esclusione della responsabilità del produttore .... .
CAPITOLO TERZO
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126
143 155 166
172 178
L'ATTUAZIONE DELLA DIRETTIVA 85/374/CEE NEGLI ORDINAMENTI GIURIDICI NAZIONALI E L'ARMONIZZAZIONE DEL DIRITTO:
UN OBIETTIVO (PARZIALMENTE) MANCATO
1. Le attuazioni nazionali della direttiva e la prassi applicativa negli
Stati membri . . . Pag. 197 2. L'esperienza maturata nel Regno Unito ... .
3. Le soluzioni accolte in alcuni Paesi di civ il law ... ..
4. (segue) l'attuazione italiana: il d.P.R. n. 224 del 24 maggio 1988 ... ..
5. L'impatto della direttiva sugli ordinamenti giuridici nazionali e l'armonizzazione effettivamente conseguita ... .
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200 210 221 238
6. La natura dell'armonizzazione delle legislazioni nazionali in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi secondo la Corte di giustizia delle Comunità europee ... . 7. Alcune considerazioni conclusive sull' «armonizzazione globale» e
sugli aspetti problematici ad essa sottesi ... .
CAPITOLO QUARTO
)) 255
)) 267
LA SOLUZIONE DEI CONFLITTI DI LEGGE IN MATERIA DI RESPONSABILITÀ DEL PRODUTTORE IN BASE A NORME UNIFORMI
DI DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO
1. La soluzione dei conflitti di legge in base a norme di conflitto uniformi in ambito internazionale: la Convenzione dell'Aja sulla legge applicabile alla responsabilità per danni derivati da prodotto
del 2 ottobre 1973 . . . Pag. 277 2. Le alterne fortune della responsabilità del produttore nel diritto
internazionale privato comunitario: il progetto di convenzione sulle obbligazioni contrattuali ed extracontrattuali del 1972 ... ..
3. (segue) il progetto del Gruppo europeo di diritto internazionale privato ... ..
4. (segue) la proposta di regolamento «Roma Il» ... . 5. I criteri di collegamento in materia di responsabilità del produttore:
dall'art. 5 del progetto preliminare della Commissione all'art. 4 della proposta di regolamento «Roma Il» ... .
Bibliografia ... · · ·
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292
297 301
314
329
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