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CLASSIFICAZIONE DI FORMAZIONI TROMBOTICHE SU VALVOLE CARDIACHE MECCANICHE BILEAFLET

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Academic year: 2021

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Università degli Studi di Padova

Facoltà di Ingegneria

CLASSIFICAZIONE DI FORMAZIONI

TROMBOTICHE SU VALVOLE CARDIACHE

MECCANICHE BILEAFLET

Tesi di Laurea Specialistica in Bioingegneria

Relatore:

Ch.mo Prof. Andrea Bagno

Correlatori:

Prof. Gino Gerosa

Prof. Vittorio Pengo

Ing. Roberto Buselli

Laureando: Andrea Cambi

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INDICE

SOMMARIO...9

INTRODUZIONE...11

1 IL CUORE...13

1.1 ANATOMIA DEL CUORE...13

1.2 IL CICLO CARDIACO...14

1.3 LE VALVOLE CARDIACHE...15

1.4 LE PRINCIPALI PATOLOGIE VALVOLARI...17

1.5 I TONI CARDIACI...18

2 LE PROTESI VALVOLARI CARDIACHE...21

2.1 LE PROTESI MECCANICHE...21

2.1.1 La Valvola St. Jude Regent...25

2.1.2 La Valvola Sorin Bicarbon Overline...26

2.2 LE PROTESI BIOLOGICHE...27

2.2.1 Gli ultimi sviluppi: impianto transcatetere della valvola aortica (TAVI)....29

3 MATERIALI E METODI...31

3.1 IL PULSE DUPLICATOR...31

3.2 MYOTIS 3C...32

3.3 LO SPETTRO DI POTENZA...34

3.4 LE RETI NEURALI ARTIFICIALI...37

3.4.1 Le reti feed-forward e l'algoritmo di backpropagation...39

3.4.2 Aspetti implementativi...44

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3.5.1 I classificatori bayesiani...49

3.5.2 I classificatori k-nn...50

4 LA CLASSIFICAZIONE IN VITRO...51

4.1 IL SET-UP SPERIMENTALE...51

4.2 APPLICAZIONE DELLE RETI NEURALI...58

4.2.1 Reti neurali a 257 ingressi...59

4.2.1.1 Reti neurali a 257 ingressi e 2 uscite...60

4.2.1.2 Reti neurali a 257 ingressi e 3 uscite...61

4.2.1.3 Reti neurali a 257 ingressi e 6 uscite...65

4.2.2 Reti neurali di dimensioni ridotte...68

4.2.2.1 Reti neurali a 2 uscite...71

4.2.2.2 Reti neurali a 3 uscite...73

4.3 APPLICAZIONE DI UN CLASSIFICATORE BAYESIANO...77

4.4 APPLICAZIONE DI UN CLASSIFICATORE K-NN...78

5 LA CLASSIFICAZIONE IN VIVO...83

5.1 MODALITA' DI SCELTA DEI PAZIENTI...83

5.2 APPLICAZIONE DELLE RETI NEURALI A 257 INGRESSI...84

5.3 APPLICAZIONE DELLE RETI NEURALI DI DIMENSIONI RIDOTTE...91

5.4 APPLICAZIONE DI UN CLASSIFICATORE BAYESIANO...94

5.5 APPLICAZIONE DI UN CLASSIFICATORE K-NN...96

5.6 ANALISI DEI RISULTATI...98

6 CONCLUSIONI E SVILUPPI FUTURI...101

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SOMMARIO

Il lavoro sperimentale realizzato per la presente tesi di laurea è consistito nella messa a punto di un nuovo metodo per il monitoraggio di valvole cardiache meccaniche. Come noto, i principali rischi per i portatori di questo tipo di protesi sono legati a possibili eventi tromboembolici che, oltre a compromettere la funzionalità del dispositivo, potrebbero avere conseguenze anche letali.

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INTRODUZIONE

Ogni anno nel mondo, gravi patologie a carico delle valvole cardiache native costringono circa 250000 persone ad interventi di sostituzione valvolare. Nonostante sia in crescita la tendenza all'utilizzo di valvole biologiche, più della metà delle protesi impiantate sono di tipo meccanico [1].

Le valvole biologiche possono essere di origine porcina o bovina, sono altamente biocompatibili e non trombogeniche ma peccano in fatto di durata: esse infatti incorrono in fenomeni di calcificazione e irrigidimento dei lembi valvolari che ne limitano la corretta funzionalità a circa 10 anni dall'intervento.

Le valvole meccaniche, invece, hanno durata decisamente superiore (anche 30 anni) e sono dunque maggiormente indicate nei soggetti con maggiore aspettativa di vita. Di contro, esse necessitano di un monitoraggio più attento, in quanto hanno la tendenza a formare trombi o un eccesso di tessuto endoteliale (panno) sulla superficie esposta al flusso sanguigno [2]. Tali eventualità ostacolano la corretta apertura e chiusura della valvola e possono costringere il paziente a sottoporsi ad un nuovo intervento di sostituzione valvolare. Inoltre, possono provocare eventi trombo-embolici con esiti talvolta letali.

Il paziente con valvola cardiaca meccanica (MHV), oltre a sottoporsi a vita ad una terapia anticoagulante orale (TAO), deve effettuare quasi settimanalmente esami del sangue dai quali, tramite l'osservazione di opportuni indici quali il tempo di protrombina (PT), si estrae un'indicazione indiretta della tendenza del sangue alla formazione di coaguli: ciò permette al medico di regolare la TAO.

L'effettivo movimento degli occlusori (leaflet) e la prestazione fluidodinamica non vengono mai valutate, se non in occasione degli eco-doppler di controllo, che però hanno cadenza annuale [3].

Da queste considerazioni si evince l'importanza dello sviluppo di un metodo alternativo per il controllo del funzionamento della valvola, che consenta al paziente un monitoraggio pressoché continuo, efficace, rapido, non invasivo e soprattutto autonomo. Ciò permetterebbe di diagnosticare precocemente formazioni trombotiche o di panno sulla valvola, oltre che di aumentare la qualità della vita del paziente e diminuire i costi a carico del sistema sanitario.

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viene registrato da un microfono apposto al petto del paziente.

Il Dipartimento di Scienze Cardiologiche, Toraciche e Vascolari dell'Università di Padova ha in dotazione lo strumento Myotis 3C prodotto dalla Cardiosignal GmbH, che effettua un'analisi nel tempo del suono prodotto da una valvola meccanica. Partendo dalla constatazione che gli occlusori di una protesi valvolare bileaflet chiudono in maniera asincrona, il Myotis 3C procede prima ad individuare gli eventi di chiusura in una sequenza temporale, poi a classificarli come singoli o doppi “click”. Il “doppio click” è dunque indice di funzionamento corretto della protesi.

Esportando il segnale registrato dal Myotis 3C, si sono potute constare le potenzialità dell'analisi del suono di chiusura nel dominio della frequenza.

Gli obiettivi di questo lavoro saranno dunque:

la caratterizzazione in vitro, quindi in condizioni controllate e riproducibili, del suono prodotto da valvole cardiache meccaniche in diverse condizioni simulate, fisiologiche e patologiche;

− lo sviluppo e il confronto di algoritmi in grado di classificare il suono registrato;

la valutazione delle prestazioni dei classificatori utilizzati con dati acquisiti in

vivo.

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CAPITOLO 1 - IL CUORE

1.1 ANATOMIA DEL CUORE

Il cuore è l'organo centrale dell'apparato cardiocircolatorio. Costituito prevalentemente da tessuto muscolare, si localizza nella cavità toracica tra i polmoni, dietro lo sterno e al di sopra del diaframma. Esso è costituito da due pompe separate: quella di destra che spinge il sangue verso i polmoni e quella di sinistra che lo spinge verso gli organi periferici. Il cuore è contenuto in un sacchetto sieroso, detto pericardio, ed è formato principalmente da tre tipi di miocardio: atriale, ventricolare e le fibre specializzate nelle proprietà dell'eccitabilità e della conducibilità [4].

Internamente, ciascuna pompa si compone di due cavità: atrio e ventricolo. Atri e ventricoli delle diverse pompe sono separati tra loro da setti denominati rispettivamente interatriale e interventricolare. L'atrio destro è situato superiormente al ventricolo destro e comunica con esso attraverso la valvola tricuspide, mentre l'atrio sinistro, collocato superiormente al ventricolo sinistro, comunica con esso tramite la valvola mitrale. Nell'atrio di destra sboccano le vene cave superiore e inferiore attraverso due fori non regolati da valvole. Nell'atrio sinistro invece sboccano le quattro vene polmonari, sempre attraverso fori non regolati da valvole. Dal ventricolo di destra si diparte l'arteria polmonare attraverso un foro regolato dalla valvola polmonare. Dal ventricolo sinistro, infine, ha origine l'aorta ed il flusso viene regolato tramite la valvola aortica. La parete degli atri è più sottile di quella dei ventricoli e lo spessore della muscolatura del ventricolo sinistro è molto maggiore di quella del ventricolo destro, dal momento che deve sopportare valori pressori molto più elevati.

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Figura 1.1: anatomia del cuore.

1.2 IL CICLO CARDIACO

Il ciclo cardiaco è l'insieme dei fenomeni che intercorrono tra l'inizio di un battito cardiaco e l'inizio del successivo e può essere suddiviso in due fasi: diastole e sistole. Durante la fase di diastole, temporalmente più lunga, gli atri si contraggono e spingono il sangue nei ventricoli mentre nella fase di sistole, che ha inizio circa 0.1 secondi dopo, il sangue passa dai ventricoli al circolo polmonare e sistemico.

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lenta via via che la contrazione inizia ad esaurirsi e la pressione aortica (o polmonare) aumenta. Ciascuno dei due ventricoli espelle ad ogni battito un volume di sangue pari a 80 ml circa, che rappresenta il 65% del volume di fine diastole (volume telediastolico) [5]. Il volume che resta in ciascun ventricolo alla fine della sistole è detto invece volume telesistolico. Con la caduta delle pressioni dovuta allo svuotamento ventricolare, le valvole semilunari si chiudono ma quelle atrio-ventricolari restano ancora per un po' chiuse (rilasciamento isovolumetrico). Al termine di questa fase re-incomincia il riempimento del ventricolo. La Figura 1.2 riassume le fasi del ciclo cardiaco, analizzate parallelamente al tracciato ECG e all'evoluzione delle pressioni di atrio sinistro, ventricolo sinistro ed aorta.

Figura 1.2: dall'alto al basso sono visibili: tracciato ECG, apertura e chiusura della valvola mitrale e aortica, andamento delle pressioni in aorta, ventricolo sinistro e atrio sinistro. La linea continua rossa denota la fase di diastole mentre quella azzurra indica la sistole. Le linee in verde scuro e chiaro mostrano rispettivamente i periodi di contrazione e rilassamento isovolumetrico.

1.3 LE VALVOLE CARDIACHE

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e dall'arteria polmonare ai rispettivi ventricoli durante la diastole. I lembi delle valvole A-V sono sottili e dunque non necessitano praticamente di un flusso retrogrado per la chiusura. Al contrario, le S-L hanno lembi molto spessi ed hanno bisogno di un flusso più forte e di durata più prolungata. Le valvole A-V sono collegate, tramite corde tendinee, ai muscoli papillari che si contraggono simultaneamente al ventricolo e hanno la funzione di tirare i lembi delle valvole stesse verso il ventricolo, per prevenire un rigonfiamento troppo consistente verso gli atri. Se una corda tendinea si rompe o un muscolo si paralizza, le valvole possono diventare gravemente incontinenti. Il funzionamento delle valvole S-L è invece molto diverso da quello A-V. Gli alti valori pressori presenti nelle arterie alla fine della sistole infatti, portano le valvole a chiudersi di scatto. L'apertura inoltre è più ridotta rispetto alle valvole A-V, dunque la velocità di eiezione del sangue è più alta e tutto ciò concorre ad un aumento dell'abrasione meccanica delle valvole stesse. Le valvole semilunari infine, non sono sostenute da corde tendinee. Una schematizzazione dell'anatomia di queste valvole è visibile in Figura 1.3.

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1.4 LE PRINCIPALI PATOLOGIE VALVOLARI

La causa di gran lunga più frequente delle lesioni valvolari cardiache è la febbre reumatica, malattia autoimmune originante da un'infezione streptococcica che facilmente danneggia o distrugge le valvole.

Le valvole più soggette al danneggiamento sono, in ordine, mitralica ed aortica, quindi le valvole del cuore sinistro, in quanto sottoposte a maggiori sollecitazioni meccaniche. Le lesioni tissutali, col passare del tempo, possono portare ad una fusione permanente dei lembi valvolari. In questo modo viene impedito un sufficiente flusso di sangue e la valvola viene detta stenotica [4]. Le stenosi valvolari causano un aumento di pressione a monte della valvola malata. In caso di interessamento delle valvole aortica e polmonare, i ventricoli vanno incontro a ipertrofia (aumento di spessore della parete) che li rende in grado, per un certo periodo, di generare una pressione più elevata. In caso di interessamento mitralico o tricuspidale invece, gli atri, la cui parete presenta spessori molto ridotti, vanno incontro a dilatazione, facendo spesso insorgere fibrillazioni che peggiorano ulteriormente la funzionalità cardiaca. Quando i ventricoli non sono più in grado di aumentare i loro spessori, iniziano anch'essi a dilatarsi in modo esagerato [6]. Se invece i bordi valvolari sono così compromessi da non assicurare la chiusura valvolare, si ha un ritorno del flusso di sangue e la valvola è detta insufficiente. Nelle insufficienze valvolari, le camere cardiache interessate ricevono una quantità eccessiva di sangue, dovuta al rigurgito attraverso la valvola che chiude in maniera imperfetta, e reagiscono dilatandosi. Quando la dilatazione è troppo marcata, il cuore non riesce più a contrarsi adeguatamente e si verifica un ristagno di sangue nel letto vascolare polmonare (edema polmonare), a livello del fegato (epatomegalia, gonfiore addominale) e degli arti inferiori (edemi o gonfiori).

Molto spesso, stenosi e insufficienza si manifestano contemporaneamente: si parla dunque di stenoinsufficienza.

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soggetti anziani, poi, le valvole possono andare incontro a degenerazione mixomatosa o calcifica; la prima è dovuta ad una serie di cambiamenti metabolici e porta ad una perdita di elasticità della valvola mitrale o alla rottura dei legamenti che ne controllano l'apertura. La seconda invece è dovuta a depositi di calcio sui leaflet della valvola aortica, che ne causa la stenosi [7].

Solitamente, ogni valvulopatia attraversa due fasi: una prima di compenso durante la quale il cuore mette in atto una serie di meccanismi per far fronte al problema, e una seconda che evolve verso l'insufficienza cardiaca, quando i meccanismi di adattamento non sono più sufficienti a mantenere una portata cardiaca adeguata. Molto spesso il paziente rimane asintomatico anche per anni.

Il trattamento risolutivo delle valvulopatie è solitamente l'intervento chirurgico. La terapia medica (vasodilatatori, diuretici) contribuisce alla stabilizzazione clinica delle valvulopatie acute e al rallentamento dei sintomi nelle valvulopatie congenite e acquisite a lenta evoluzione. In taluni casi si può ricorrere alla dilatazione della valvola stenotica tramite un catetere a palloncino introdotto attraverso un vaso sanguigno. Questo intervento può risolvere temporaneamente il problema, procrastinando l'intervento chirurgico. Se la disfunzione è particolarmente grave però, l'unica strada percorribile è la sostituzione della valvola stessa con una protesi biologica o meccanica.

1.5 I TONI CARDIACI

I toni cardiaci rappresentano l'insieme delle vibrazioni acustiche che si registrano in ogni ciclo cardiaco. In condizioni fisiologiche si avvertono due toni che si susseguono ritmicamente. Tra tono I e tono II vi è un pausa di durate inferiore a quella presente tra tono II e tono I. Il primo tono corrisponde all'inizio della sistole ventricolare, ha durata compresa tra 0,08 e 0,15 secondi e viene generato dal contributo di tre diverse componenti:

− la vibrazione dei lembi valvolari durante la chiusura delle valvole atrio-ventricolari, nella fase iniziale della sistole ventricolare,

− la vibrazione delle fibre muscolari durante la contrazione ventricolare,

− la vibrazione dei grossi vasi, in particolare l'aorta, per l'ingresso della massa di sangue proveniente dai ventricoli.

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possono distinguere i contributi delle singole valvole aortica e polmonare, che in fase di inspirazione possono distanziarsi fino a 0,02-0,04 secondi, mentre in fase di espirazione possono addirittura risultare fusi. Il secondo tono presenta intensità minore e durata più breve del primo (0,10 secondi) e cade in prossimità dell'onda T del tracciato ECG. In pazienti con elevata frequenza cardiaca, la durata delle due pause tende ad avvicinarsi per cui può essere necessario ricorrere ad ulteriori ausili (per esempio, la palpazione del polso carotideo) per identificare il primo tono. Nei bambini e nei giovani adulti è possibile apprezzare, in condizioni fisiologiche, un terzo tono che compare mediamente 150 ms dopo il tono II e che è di intensità debole e a bassa frequenza. Tale tono si genera per la brusca decelerazione del sangue durante il flusso dall'atrio al ventricolo sinistro; è legato alla fase di riempimento rapido ventricolare e, se fisiologico, scompare aumentando la frequenza cardiaca. Nell'adulto invece, la presenza di un terzo tono è associata a condizioni patologiche caratterizzate da aumentato flusso attraverso le valvole atrio-ventricolari. Eccezionalmente, in condizioni fisiologiche può essere udito un quarto tono, o tono atriale, assai più frequente però in condizioni patologiche. Anch'esso è a bassa frequenza ed è generato dalla vibrazione delle pareti ventricolari distese dal sangue che fluisce rapidamente in ventricolo per effetto della contrazione atriale. È di fondamentale importanza tenere presente che diversi focolai di auscultazione possono far percepire in maniera completamente differente le caratteristiche acustiche dei toni cardiaci. In Figura 1.4 sono mostrate le principali locazioni anatomiche per l’ascolto delle valvole cardiache. L'intensità dei toni è ovviamente influenzata anche da eventuali patologie valvolari. Come visibile in Figura 1.5, in presenza di vizi valvolari si manifestano anormali rumori cardiaci identificati come “soffi”.

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Figura 1.5: soffi cardiaci in presenza di anomalie a carico delle valvole cardiache.

Nella stenosi aortica, il sangue passa dal ventricolo sinistro (con una pressione che può arrivare ai 300 mmHg) all'aorta attraverso un orifizio più stretto del normale; durante la sistole si genera dunque una turbolenza udibile tramite un forte soffio, in rare e molto gravi circostanze percepibile pure a qualche metro di distanza dal paziente.

Nell'insufficienza aortica, invece, il soffio è udibile durante la diastole; esso è dovuto alla turbolenza del sangue che torna indietro dall'aorta al ventricolo sinistro provocando un rumore a frequenze relativamente alte.

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CAPITOLO 2 - LE PROTESI VALVOLARI CARDIACHE

2.1 LE PROTESI MECCANICHE

La necessità di sostituire le valvole cardiache native ha portato nel corso degli anni allo sviluppo di protesi sempre più avanzate, sia sotto il profilo dei materiali che sotto il profilo fluidodinamico. Clinicamente, le protesi meccaniche sono state le prime ad essere utilizzate. Esse sono tutte costituite da tre componenti principali: occlusore, alloggiamento (housing) ed anello di sutura. L'occlusore è la parte mobile della protesi: deve essere in grado sia di aprire e chiudere senza interferenze, che di assecondare le differenze di pressione del flusso ematico. Il movimento dell'occlusore sull'housing incide invece sul moto del sangue: un'attenta progettazione della valvola deve minimizzare le turbolenze del flusso, al fine di diminuire il lavoro cardiaco ed evitare la formazione di trombi o la comparsa di fenomeni emolitici. L'anello di sutura, infine, è il punto di congiunzione della protesi con i tessuti del ricevente.

Le valvole cardiache meccaniche furono utilizzate per la prima volta nel 1952, quando il dottor Charles Hufnagel impiantò, nel tratto discendente dell'aorta toracica di un paziente, un contenitore in plexiglas che racchiudeva un occlusore a forma di palla [6]. Otto anni più tardi, nel 1960, la Starr-Edwards mise in commercio un modello di protesi “caged-ball” (a palla ingabbiata) che, grazie alla comparsa della macchina cuore-polmone, fu per la prima volta impiantato nella corretta sede anatomica. In Figura 2.1 è possibile osservare un modello di tale protesi, espiantato a 30 anni dall'intervento. L'occlusore è a forma di palla ed è costituito da gomma siliconica (Silastic), materiale con proprietà elastiche tali da permettere l'attenuazione degli urti, mentre la gabbia inizialmente era in acciaio inossidabile, sostituito poi dalla Stellite 21, una lega contenente cobalto (61-63%), cromo (25.5-29%), molibdeno (5-6%) e una piccola percentuale di nichel (1.75-3.75%). Alla gomma siliconica fu inoltre aggiunto solfato di bario per rendere l'occlusore radio-opaco.

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valvole spiantate, hanno evidenziato la presenza di frammenti di silicio sull'housing, segno di un processo di usura abrasiva che rende le superfici meno lisce e quindi più propense alla formazione di trombi. Ci fu un tentativo di sostituire la palla con un disco ingabbiato ma anche questa opzione, utilizzata esclusivamente in posizione atrio-ventricolare, fu presto abbandonata.

Figura 2.1: a sinistra, modello caged-ball espiantato; a destra, corrispondente ricostruzione del flusso ematico.

Nel 1967 fecero la prima comparsa sul mercato le valvole tilting-disc, cioè a disco oscillante. La prima fu la Bjork-Shiley, riportata in Figura 2.2.

Figura 2.2: a sinistra, un modello tilting-disc; a destra, la corrispondente ricostruzione del flusso ematico.

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l'occlusore dal profilo inizialmente piano-convesso e poi concavo-convesso, poteva aprire fino ad un angolo di 60°. Esso era composto da poliossimetilene, noto anche con il nome commerciale di Delrin (Figura. 2.3), una resina acetalica biocompatibile, a basso rischio trombogenico e con una durata stimata attorno ai 50 anni [8]. Per alcuni modelli in Delrin tuttavia, si sono registrati casi di deformazione o cedimento dell'occlusore, con conseguente ritiro dal mercato della protesi (Figura 2.4). Nel frattempo, il Delrin è stato sostituito dal carbonio pirolitico, a tutt'oggi il materiale più utilizzato nelle protesi meccaniche [9]. Possiede infatti fondamentali caratteristiche meccaniche quali basso coefficiente di attrito (che si traduce in minor rischio emolitico e in una riduzione delle turbolenze), ed elevata resistenza all'usura (durata maggiore). Può essere depositato in strati molto sottili e viene considerato il materiale antitrombogenico per eccellenza.

Nel 1977 vennero introdotte le prime valvole Medtronic-Hall, con housing in titanio ricoperto da carbonio pirolitico ed occlusore incernierato centralmente, in grado di aprire fino a 70° per le protesi mitrali e fino a 75° per quelle aortiche. In tali protesi veniva nettamente migliorato il rapporto tra diametro esterno della valvola ed effective

orifice area (EOA).

Un anno dopo, nel 1978, fu introdotta nella pratica clinica la valvola Lillehei-Kaster, che presenta un caratteristico perno che fuoriesce dall'housing e che funge da guida per l'occlusore, costituito da carbonio pirolitico. Con questa struttura, il leaflet può raggiungere un angolo di apertura di 80°. A valvola chiusa, la Lillehei-Kaster ha un volume di rigurgito di molto inferiore alle altre valvole tilting-disc. Nel 1984, l'evoluzione di questa protesi portò alla creazione del modello Omniscience.

Nel 1977 la St.Jude Medical introdusse sul mercato il primo modello di valvola bileaflet (Figura 2.5), attualmente la tipologia di protesi meccanica più impiantata al mondo, in cui non c'è più un unico disco a ruotare. Vi sono invece due semidischi che fungono da occlusori i quali, interferendo solo minimamente con il flusso sanguigno, lo rendono molto più simile a quello fisiologico rispetto ai modelli precedenti. Talvolta si verifica un lieve rigurgito a valvola chiusa, necessario per assicurare maggiore pulizia in corrispondenza dei cardini ed evitare la formazione di trombi [7].

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Figura 2.3. Da sinistra a destra e dall'alto in basso: modello Bjork-Shiley (Delrin); modello Lillehei-Kaster; modello Omniscience; modello Medtronic-Hall.

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Figura 2.5: a sinistra, un modello bileaflet; a destra, la corrispondente ricostruzione del flusso ematico.

2.1.1 La valvola St. Jude Regent

Le valvole St. Jude Medical (St. Paul, Minnesota, USA) furono impiantate per la prima volta nel 1977. Esse sono le valvole più impiantate nel mondo e rappresentano il “gold standard” con cui vengono paragonate le prestazioni delle altre protesi.

Housing e leaflets sono in grafite, con l'aggiunta di tungsteno per la radio-opacità, e

rivestiti di carbonio pirolitico. Nel modello Regent, utilizzato per la prima volta nel 2000, l'angolo di apertura è di 85° e i cardini sono interamente collocati su un bordo in carbonio posto in posizione sotto-anulare rispetto all'anello. Tale modello conserva le ottime proprietà di emocompatibilità e stabilità strutturale dei modelli precedenti, ma migliora dal punto di vista fluidodinamico: l'EOA del modello Regent risulta infatti incrementata del 46% rispetto al modello standard. L'anello di sutura, costituito in PET o PTFE, è estremamente flessibile: questo è molto importante, specie in campo pediatrico, per la limitata presenza di protesi di piccole dimensioni. Il chirurgo può infatti far in modo che la valvola segua le variazioni del miocardio durante la crescita del bambino.

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Figura 2.6: valvola meccanica bileaflet: il modello St. Jude Regent.

2.1.2 La valvola Sorin Bicarbon Overline

Le protesi valvolari della Sorin Biomedica (Saluggia, Italia) sono disponibili sul mercato dal 1990. Hanno il marchio CE ma non sono ancora state approvate dalla Food and Drug Administration [7].

Le caratteristiche principali di questa valvola sono due: gli elementi mobili concavo-convessi e la totale supra-anularità rispetto al ring di sutura (Figura 2.7). I leaflet, costituiti da carbonio pirolitico depositato su un substrato di grafite radio-opaca, si inseriscono tramite perni in un'apposita cavità ricavata sulla gabbietta anulare di contenimento (housing). La loro escursione è basata solo su un movimento rotatorio, senza scivolamenti e dunque con un minor attrito. L'housing è in lega di titanio (Ti6Al4V), dotata di elevata rigidezza così da evitare possibili deformazioni dopo l'impianto, e rivestito in CarbofilmTM, un film sottile di carbonio la cui struttura è sostanzialmente identica a quella del carbonio pirolitico cui sono costruiti gli occlusori. Il rivestimento conferisce al substrato caratteristiche di biocompatibilità, senza modificarne le proprietà fisiche e strutturali.

L'anello di sutura, invece, è in materiale polimerico (polietilene tereftalato), rivestito in CarbofilmTM nelle zone a contatto col sangue ed assemblato tramite cuciture su un anello di resina acetalica che si inserisce in un'apposita scanalatura ricavata sull'housing; pur essendo l'anello stabilmente ancorato alla protesi, questa è facilmente rotabile dopo l'impianto.

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Figura 2.7: valvola meccanica bileaflet: il modello Sorin Bicarbon Overline.

2.2 LE PROTESI BIOLOGICHE

Esistono diversi tipi di protesi valvolari biologiche; esse possono essere di origine eterologa (tessuto valvolare prelevato da maiale o pericardio di provenienza bovina) oppure omologhe, ovvero valvole umane aortiche prelevate da cadavere. In Figura 2.8 si possono osservare queste 3 diverse tipologie. Le valvole ottenute da radici aortiche porcine possono essere stented o stentless, a seconda che siano montate o meno su un supporto rigido, generalmente metallico o polimerico. Quelle di origine bovina, invece, sono assemblate a partire da 3 lembi di pericardio che vengono montati su un telaio ultraleggero ricoperto da un panno di PTFE. Entrambi i tipi di valvole, prima dell'impianto, devono subire un processo di pre-trattamento con gluteraldeide, al fine di aumentare la resistenza del tessuto alla degradazione chimica ed enzimatica e di ridurre l'immunogenicità del tessuto stesso. Dopo il fissaggio, che rappresenta una delle prime cause di calcificazione del tessuto biologico, viene effettuata l'estrazione della gluteraldeide residua, seguita poi da un processo di detossicazione. Successivamente vengono applicati diversi trattamenti anticalcificanti.

Gli homograft ottenuti da cadaveri umani invece, sono sottoposti a crioconservazione a -196°C; la qualità della valvola dipende dal protocollo di crioconservazione adottato, dal tempo intercorso tra il prelievo e l'impianto e da eventuali sbalzi di temperatura che si possono presentare in fase di preparazione.

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Figura 2.8: in alto a sinistra, protesi porcina stented; in alto a destra, protesi porcina stentless: modello Biocor; in basso a sinistra: protesi modello Carpentier-Edwards in pericardio bovino; in basso a destra, valvola aortica prelevata da cadavere.

Complessivamente si può concludere che la protesi biologica risulta particolarmente adatta per il paziente anziano, in cui la durata dell'impianto può raggiungere i 15 anni, o nei pazienti che non possono o non vogliono essere trattati a vita con la terapia anticoagulante orale (TAO). Esse hanno un bassissimo potenziale trombogenico ma l'inevitabile progressiva calcificazione dei lembi sconsiglia l'impianto di tale bioprotesi in pazienti giovani e con metabolismo del calcio attivo, in quanto risulterebbe necessario un intervento sostitutivo entro 8-10 anni al massimo.

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Figura 2.9: applicazione delle tecniche di ingegneria tessutale alla valvole cardiache; da sinistra a destra: valvola ottenuta con miofibroblasti, valvola ottenuta con cellule midollari e valvola ottenuta con cellule staminali.

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CAPITOLO 3 - MATERIALI E METODI

3.1 IL PULSE DUPLICATOR

In questo lavoro, le acquisizioni dei dati in vitro sono state possibili grazie al Pulse

Duplicator, sviluppato dall'Università di Sheffield presso il Royal Hallamshire Hospital

ed in dotazione al centro di Cardiochirurgia “V. Gallucci” di Padova.

Lo strumento rispetta le direttive ISO5840: 1980 (E) <<Cardiovascular Implants-Cardiac Valve Prothesis>> e gli standard ISO/WD 5840 <<Implants-Cardiac Valves>> e CEN 285 WG3 <<Non Active Surgical Implants. Part 1: Cardiac Valves>> Marzo 1994. Esso consente di simulare il flusso pulsatile cardiaco allo scopo di testare in vitro protesi valvolari sia di tipo meccanico che biologico [7].

La struttura, riprodotta in maniera schematizzata in Figura 3.1, comprende un modello della parte sinistra del cuore, un modello delle resistenze sistemiche ed un elaboratore. Nel serbatoio indicato con la lettera R si può osservare la camera mitralica (M), in cui il flusso entra attraverso la sede di posizionamento della valvola mitrale (MV) dopo aver attraversato i raddrizzatori (S). A questo punto il fluido viene raccolto nel ventricolo (V) e nuovamente raddrizzato prima del suo ingresso nella sezione di posizionamento della valvola aortica (AV). Il battito cardiaco è simulato da una pompa elettromeccanica a pistone (Figura 3.2) comandata da terminale secondo una funzione tempo-volume con

cardiac output, heart rate e stroke volume specificati dall'operatore. I raddrizzatori di

flusso sono necessari per rimuovere le turbolenze prodotte dall'azione del pistone, in modo che il profilo delle velocità all'entrata delle sedi di test sia il più possibile prossimo a quello del regime laminare [13]. Il modello della circolazione sistemica (SA) comprende una capacità C realizzata tramite una camera chiusa contenente un volume d'aria che viene compressa o espansa durante le fasi del ciclo cardiaco, ed una resistenza periferica Rp costituita da un tratto di tubi in nylon larghi 3 µm. A valle della resistenza

c'è una valvola a palla (FCV) che permette all'operatore di controllare il valore della resistenza stessa. Al computer sono connessi trasduttori di flusso e di pressione che, in Figura 3.1, sono indicati rispettivamente con EMF e Vp, Ap (pressione ventricolare e aortica).

L'intero set di misure effettuate dallo strumento durante ogni acquisizione può essere salvato sull'hardware in file .dat esportabili tramite unità floppy disc per l’analisi

(32)

Figura 3.1: schema della struttura del Pulse Duplicator.

Figura 3.2: pompa elettromeccanica a pistone del Pulse Duplicator.

3.2 MYOTIS 3C

(33)

convenzionale (7), una per la fonocardiografia ad ultrasuoni (6) e un elaboratore contenuto all'interno di (8) da cui è possibile esportare i dati registrati. L'apparecchiatura è interamente montata su un supporto mobile (5).

Figura 3.3: il Myotis 3C.

(34)

Figura 3.4: (a) il tracciato fonocardiografico di una valvola normofunzionante; (b) il tracciato corrispondente a una valvola con un leaflet non correttamente funzionante.

Il filtraggio passa alto effettuato dal software consente di eliminare il contributo dei toni cardiaci e dei murmuri polmonari e di isolare la sole frequenze comprese tra 10 e 22 kHz.

Il riconoscimento dei doppi click avviene attraverso un algoritmo che opera un filtraggio passa basso al modulo dei dati registrati. Il riconoscimento dei picchi viene fatto sia tramite soglia, definita in funzione del valore massimo del tracciato, che tramite verifica della distanza e dell'ampiezza relativa dei picchi isolati. A seconda dei risultati di questi confronti, l'algoritmo classifica l'evento sonoro localizzato attorno al picco come “click singolo” o “doppio click”. Le soglie su cui si basa il riconoscimento sono state definite in maniera euristica dalla ditta Cardiosignal GmbH e vengono ricalcolate per ogni singola sessione di analisi [2].

3.3 LO SPETTRO DI POTENZA

Lo spettro di potenza può essere ottenuto sia attraverso metodi FT che attraverso metodi

parametrici. I metodi FT sono basati sulla Fourier Transform e considerano sequenze di

(35)

Periodogramma, facente parte dei metodi FT diretti. La formula corretta per il calcolo

dello spettro sarebbe:

che prevede dunque l'aspettazione e il passaggio al limite. Dal momento però che la sequenza è di durata finita (N = 1.323.000 campioni nel caso in esame) queste operazioni vengono omesse e si definisce lo “stimatore periodogramma” come:

che risulta essere un'approssimazione distorta della densità spettrale di potenza (PSD). I metodi basati sulla FT producono una stima dello spettro che non è consistente, ovvero la varianza dello stimatore non tende a zero per N che tende all'infinito. Per migliorare la stima, è opportuno suddividere i dati a disposizione in L intervalli, ciascuno di dimensione K (KL=N), calcolare lo spettro su ciascun intervallo e poi mediare gli spettri ottenuti. I valori di L e K devono essere scelti accuratamente, al fine di soddisfare tre esigenze contrastanti: la prima è mantenere L elevato, in maniera da limitare i fenomeni di distorsione; la seconda è avere K sufficientemente elevato per ridurre la varianza dello stimatore; la terza è tenere limitato l'intervallo KL, per soddisfare l'ipotesi di processo stazionario.

(36)

Figura 3.5: finestra di Nuttal nel dominio del tempo (a sinistra)e nel dominio della frequenza (a destra).

Operando in questo modo la risoluzione in frequenza peggiora, ma la maggior regolarità della stima finale la rende preferibile, ai fini della classificazione, a quella ottenuta con il metodo del periodogramma tradizionale [7]. Questo metodo presuppone inoltre la stazionarietà del segnale, ma la limitazione dell'analisi alla serie di dati in cui avviene il singolo evento di chiusura e la priorità di ottenere il lobo principale dello spettro del segnale rendono congruo il suo utilizzo [3]. In Matlab, lo spettro di potenza con metodo di Welch si calcola attraverso l'istruzione:

[Pxx, f] = pwelch(x, w, noverlap, nfft, fc)

dove x è la sequenza di dati nel dominio del tempo, w è la finestra utilizzata, noverlap indica la sovrapposizione tra due segmenti adiacenti, nfft sono i campioni della Fast Fourier Transform, mentre fc è la frequenza di campionamento del Myotis. Nello specifico, x contiene come detto 1.323.000 campioni, la finestra w viene definita col comando:

w=window(@nuttalwin, 64)

(37)

impostato al 50% (valore di default di Matlab), nfft è stato impostato a 512 (di conseguenza ogni spettro avrà (512/2)+1 campioni equispaziati tra 0 e fc/2) mentre fc sarà uguale a 44100.

L'istruzione pwelch crea i vettori f e Pxx: f è l'asse delle frequenze e contiene i 257 campioni equispaziati tra 0 e 22050 Hz mentre Pxx contiene il valore dello spettro di potenza per ciascun campione dell'asse delle frequenze.

3.4 LE RETI NEURALI ARTIFICIALI

Le reti neurali artificiali (ANN) si possono definire modelli matematici che traggono ispirazione dal funzionamento del complesso sistema neuronale del cervello umano, in grado di effettuare operazioni di apprendimento, riconoscimento, memorizzazione e generalizzazione. Esse sono formate da un certo numero di unità computazionali (neuroni) suddivise in strati e interconnesse da collegamenti pesati.

Esistono varie tipologie di reti neurali, differenziate soprattutto dal modo in cui i neuroni sono collegati tra loro. Nelle reti di Hopfield, ad esempio, ogni neurone è connesso a tutti i rimanenti neuroni; nelle reti ricorrenti, invece, si hanno risposte di uno o più strati che vengono conservate e fornite come ingresso in istanti successivi, facendo così assumere alla rete un comportamento dinamico in grado di modellare sistemi complessi.

Ci sono poi le reti competitive, che si auto-organizzano in modo da essere in grado di individuare gli aspetti che caratterizzano o differenziano gli esempi di un dato insieme e che strutturano i propri neuroni in modo che ciascuno rappresenti un sottoinsieme degli esempi presentati alla rete in apprendimento.

Le reti che verranno utilizzate in questo lavoro sono dette feed-forward multistrato. Ad una loro dettagliata descrizione è dedicato il successivo paragrafo.

Indipendentemente dal tipo di rete, si può affermare che ciascun neurone (schematizzato in Figura 3.6) ha il compito di effettuare una somma pesata dei valori ricevuti dai neuroni adiacenti (input) e trasformare il valore di input in un output attraverso una

funzione di attivazione (g in Figura 3.6). Le funzioni di attivazione più utilizzate sono

elencate in Figura 3.7. La funzione logistica, utilizzata in questo lavoro, può anche essere chiamata sigmoide.

(38)

sviluppi un'adeguata capacità di generalizzare il comportamento dagli esempi che le vengono presentati.

Esistono in letteratura diversi algoritmi di addestramento, che possono però essere raggruppati in due macro categorie: addestramento supervisionato e addestramento non

supervisionato. Nel primo caso sono fornite alla rete neurale le coppie composte

dall’insieme degli esempi da applicare agli ingressi della rete stessa e dai corrispondenti valori che si desidera siano prodotti in uscita. Nel secondo caso invece è fornito solo l’insieme degli esempi da applicare agli ingressi ed è la rete neurale che autonomamente organizza la propria configurazione.

Sempre nel prossimo paragrafo, verrà descritto l'algoritmo di backpropagation, usato in tutte le reti presentate e facente parte dell'insieme degli algoritmi di addestramento supervisionato.

(39)

Figura 3.7: elenco delle principali funzioni di attivazione utilizzate nel campo delle reti neurali.

3.4.1 Le reti feed-forward e l'algoritmo di backpropagation

Le reti feed-forward multistrato sono le più semplici e conosciute; in esse il flusso di informazioni tra i neuroni procede in modo unidirezionale, senza dunque la presenza di cicli o “stati interni” diversi dai pesi stessi. Si tratta di reti parzialmente connesse nelle quali i neuroni sono organizzati in sottoinsiemi, detti strati (layer). Gli strati sono ordinati e solo i neuroni di due strati consecutivi sono direttamente connessi. Il primo strato (quello che riceve gli stimoli dall’esterno) viene detto strato di ingresso, mentre l’ultimo strato (quello che fornisce la risposta della rete) viene detto strato di uscita. Gli strati intermedi vengono detti strati nascosti (hidden layers). Si può dimostrare che reti neurali a tre strati e con funzione di attivazione sigmoidale sono in grado di approssimare ogni tipo di funzione continua. In Figura 3.8 si ha un esempio di rete

(40)

Figura 3.8: esempio di rete neurale feed -forward a struttura 4-5-3-2

Al fine di spiegare in maniera più dettagliata il processo di aggiornamento dei pesi tramite retro-propagazione dell'errore, si consideri la semplice rete neurale di Figura 3.9 [16].

Figura 3.9: rete feed-forward a struttura 4-3-1; x è un vettore contenente 4 neuroni di ingresso, h è un vettore contenente i 3 neuroni dell'unico strato nascosto, mentre o indica il solo neurone dello strato di uscita; wh indicherà l'insieme delle connessioni tra primo e secondo strato, mentre wo indicherà le connessioni tra strato intermedio e terzo strato.

In essa, per semplicità, è presente un solo strato nascosto e, per ipotesi, ciascun neurone ha funzione di attivazione sigmoidale:

(1)

(41)

(2) Nella rete sono presenti n neuroni di input

x

0

,...,x

n che, opportunamente pesati,

forniranno al j-esimo neurone dello strato intermedio l'input:

(3) La funzione di attivazione fornirà in output, per lo strato intermedio, i valori:

(4)

Tali output verranno a loro volta pesati e il risultato:

(5) sarà l'input dello strato di uscita della rete (m è il numero di neuroni dello strato

intermedio). L'output della rete sarà dunque:

(6) L'errore, ovvero la differenza tra output ottenuto e output desiderato, che si chiamerà y, è definito dalla formula:

(7) La retro-propagazione dell'errore si propone di aggiornare i pesi delle connessioni tramite la formula:

(8)

(42)

dell'errore rispetto al peso della connessione può essere riscritta come:

(9) in cui i tre fattori, deducibili rispettivamente dalle formule (7), (2), e (5) si possono esplicitare nella forma:

(10)

(11)

(12)

da cui si può riscrivere la (9) come:

(13) Tornando al riferimento (8) si può dunque affermare che l'aggiornamento del peso sarà:

(14)

Completato l'aggiornamento delle connessioni tra uscita e strato nascosto, bisogna aggiornare i pesi delle connessioni tra strato nascosto e strato in ingresso; nella formula (8) questa volta, la derivata dell'errore rispetto al peso della connessione si può scrivere come:

(15)

(43)

(16)

(17)

(18)

(19) da cui, sostituendo (16), (17), (18), (19) nella (15) si ricava:

(20)

e, per finire, l'aggiornamento delle connessioni tra primo e secondo strato:

(21)

Una volta presentato alla rete l'intero training set, si conclude un'epoca dell'addestramento. La decisione di re-iterare il procedimento tramite una nuova epoca viene valutata sulla base dell'errore totale commesso dalla rete. Tale errore è definito come la media, su ogni elemento del training set, dell'errore definito dalla (7) ed è per questo detto errore quadratico medio (mean square error, MSE). Si capisce come l'errore E si configuri come una funzione dei pesi wij, e come l'obiettivo

(44)

Figura 3.10: esempio di errore E come funzione di due parametri. Si notano un minimo locale (A) ed un minimo assoluto (B).

Va detto che l'algoritmo di backpropagation soffre di alcuni inevitabili problemi. Innanzitutto vi è la possibilità che termini in un minimo locale, credendo di aver trovato un valore ottimo dei pesi e, in secondo luogo, è molto influenzato dal valore che si assegna alla α citata in formula (8): se è troppo piccolo l'addestramento risulta molto lento mentre se è troppo grande si creano numerose oscillazioni attorno al punto di minimo. Quanto appena illustrato viene detto algoritmo di backpropagation standard, o metodo della discesa del gradiente (gradient descent). Esistono numerose varianti a questo metodo che, tuttavia, rappresenta il generale modus operandi di ogni tecnica di retro-propagazione dell'errore.

3.4.2 Aspetti implementativi

In Matlab, la creazione di una backpropagation artificial neural network avviene tramite comando:

net = newff(MM, [DIM], {TF},'BTF');

dove MM è un vettore contenente valore massimo e minimo del training set, DIM è un vettore che specifica il numero di neuroni di ogni strato intermedio e dello strato di uscita (lo strato di ingresso è legato alla dimensione di ciascun vettore del training set),

TF specifica le funzioni di trasferimento di ogni strato della rete e BTF è la funzione di backpropagation training. Il comando newff crea l'elemento net che rappresenta una

(45)

richiamabili tramite i comandi:

net.trainParam.epochs: massimo numero di epoche prima di terminare

l'addestramento (valore di default uguale a 10);

net.trainParam.goal: mostra il MSE che deve essere raggiunto dalla rete (valore

di default uguale a 0);

net.trainParam.min_grad: mostra un valore minimo del gradiente dell'errore E,

sotto il quale viene terminato l'addestramento in quanto l'aggiornamento del peso porterebbe ad un ridottissimo miglioramento della performance (valore di default uguale a 1e-10);

net.trainParam.max_fail: oltre al training set, in fase di addestramento,

l'operatore può optare per servirsi di un validation set, composto da elementi non appartenenti al training set. Tale validation set ha il compito di stabilire quando la rete sta iniziando ad imparare a memoria il training set anziché sviluppare un'adeguata capacità di generalizzazione. Solitamente, il processo di aggiornamento dei pesi porta ad una diminuzione dell'errore di formula (7) sia sul training che sul validation set. Procedendo con l'addestramento, però, può succedere che l'errore sul training set cali mentre quello sul validation set inizi a salire. Se questo accade per max_fail epoche di seguito, l'addestramento viene interrotto in quanto la rete si sta limitando a memorizzare i dati. A tale evento si associa il nome di “early stop”. Verranno poi restituiti i pesi delle connessioni precedenti l'inizio della fase di memorizzazione (il valore di default per questo parametro è 5);

net.trainParam.lr: mostra il learning rate, ovvero il parametro α di formula (8),

(valore di default uguale 0.01).;

Una volta specificate eventuali variazioni ai parametri di default, la rete net può essere addestrata tramite l'istruzione:

net1 = train(net, TrS, TTrS, [],[], VS,TeS)

in cui TrS, VS e TeS sono matrici contenenti rispettivamente training, validation e test

set mentre TTrS è una matrice contenente gli output desiderati cui far corrispondere ogni

(46)

stesso andamento. Ciò significa aver suddiviso in maniera opportuna i dati a disposizione nei tre sottoinsiemi.

Figura 3.11: esempio di addestramento di una rete con error goal impostato a 0 e terminato dopo 206 epoche.

Un più importante utilizzo del test set lo si ha attraverso l'istruzione:

out = sim(net1,TeS);

in cui net1 è la rete addestrata. La matrice out dice a quale classe viene assegnato ciascun elemento del test set. Ovviamente, il numero di neuroni dello strato di uscita deve essere pari al numero di classi che la rete si propone di distinguere.

Nel presente lavoro sono state implementate due tipologie di reti neurali: le prime hanno 257 parametri in ingresso che riproducono una forma d'onda corrispondente, come già detto, allo spettro di potenza del segnale acquisito; le seconde, invece, utilizzano in input un ridotto numero di parametri estratti dallo spettro stesso e risultano di dimensioni più ridotte. I due differenti approcci richiedono diversi algoritmi di apprendimento.

(47)

gradiente: come esposto in precedenza, esso richiede una learning rate costante che può causare problemi sia se è scelto troppo elevato che se è scelto troppo ridotto. Nella variante al metodo esposto, la learning rate viene incrementata se al termine di un'epoca la performance migliora. Se invece si nota che i nuovi pesi provocano un peggioramento della performance, allora si decrementa la learning rate e si ri-addestra la rete. Oltre ad avere una learning rate (α) variabile, si introduce nella formula (8) un termine chiamato

momentum che serve a tenere conto, in una certa misura, della variazione del peso

durante l'epoca precedente (quindi del

∆w

i-1). Tali accorgimenti consentono una

convergenza al minimo molto più veloce e con meno oscillazioni. Il comando per utilizzare questo tipo di addestramento è 'traingdx'.

Nelle reti neurali di dimensioni ridotte, invece, non viene richiesta una pattern

recognition, ovvero un riconoscimento di forma d'onda, per cui 'traingdx' risulta

scarsamente efficace nel far apprendere il training set alla rete. Verrà dunque utilizzata l'istruzione 'trainlm', che aggiorna i pesi delle connessioni secondo le regole di ottimizzazione di Levenberg-Marquardt. Tale algoritmo si propone di risolvere l'equazione:

(22)

dove J è una matrice Jacobiana di dimensione N x W (N numero di esempi del training

set e W numero totale di connessioni), λ è un fattore di smorzamento, I è una matrice

identità, δ è il vettore contenente l'aggiornamento dei pesi (ciò che si vuole determinare) ed E è un vettore contenente, per ogni input, l'errore citato in formula (7). Ad ogni epoca dunque, l'algoritmo esegue i seguenti passi:

1) calcolo dello jacobiano

J

2) calcolo del gradiente

JtE

3) calcolo di un'approssimazione dell'Hessiano

H= JtJ

4) risoluzione dell'equazione (22) e determinazione di

δ

5) aggiornamento dei pesi

w

tramite

δ

6) ricalcolo del vettore

E

7) se l'errore non decresce, si scartano i nuovi pesi, si incrementa

λ

e si torna al punto 4

(48)

Il fattore di smorzamento è il corrispettivo del learning rate degli algoritmi precedentemente descritti. Avere però un fattore di smorzamento elevato equivale ad avere una learning rate piccola [17]. Si capisce che le migliori performance con reti di dimensioni ridotte sono dovute al fatto che la matrice J ha un numero inferiore di colonne (ci sono pochi pesi), con conseguente risparmio di onere computazionale.

3.5 IL SOFTWARE RAPIDMINER

Il software Rapidminer è un ambiente di sviluppo appositamente creato per il data

mining (DM). Non è facile fornire una definizione di data mining: citando quanto detto

da Holshemier e Siebes nel 1994, il DM è una “ricerca di soluzioni e modelli globali che sono presenti in grandi database, ma che sono nascosti nell'immenso ammontare di dati, come le relazioni tra i dati dei pazienti e le loro diagnosi mediche [...] ”.

Rapidminer permette dunque di creare sistemi di identificazione della conoscenza

partendo da un database fornito al software dall'utente stesso (Knowledge Discovery

Database, KDD). L'informazione viene estratta dal database tramite l'utilizzo di una

serie di operatori (blocchi) messi a disposizione dal programma ed assemblabili in maniera intuitiva tramite una semplice interfaccia grafica. Con questo programma si è deciso di implementare due differenti classificatori: un bayesiano ed un k-nearest

neighbour. Il database passato al software comprenderà una serie di parametri estratti

dagli spettri di potenza. Tali parametri sono esattamente gli stessi che vengono passati in ingresso alle reti neurali di dimensioni ridotte. Ciò consente di operare pure un confronto tra le potenzialità di diversi strumenti di classificazione. I parametri sono estratti dagli spettri attraverso un opportuno codice sviluppato in Matlab e sono poi inseriti in un file Excel. Ogni riga del foglio elettronico corrisponderà ad una acquisizione di una valvola in una precisa condizione di funzionamento. Accanto ad ogni riga, l'utente deve provvedere all'inserimento di una label che dia la possibilità al software di identificare la classe di appartenenza della riga stessa.

(49)

con un subset mentre con l’altro vengono valutate le prestazioni del classificatore addestrato. Queste prove multiple di cross-validazione portano a risultati che vengono mediati sul numero di prove effettuate. Il programma consente 3 tecniche di suddivisione del database in training set e test set. Quella utilizzata nel presente lavoro è la leave-one-out che utilizza una singola istanza del database come test set e le rimanenti come training set. Addestramento e test vengono ripetuti finché ogni riga dell’intero database è stata usata una volta come test set. Computazionalmente questa tecnica è però molto onerosa.

I classificatori sono stati infine implementati in maniera tale da consentire la creazione di un modello addestrato che può essere richiamato in qualsiasi momento, qualora vi sia la necessità di classificare un nuovo elemento.

3.5.1 I classificatori bayesiani

I classificatori bayesiani sono allenati attraverso la stima delle distribuzioni di probabilità condizionali di ciascun attributo, data la classe di appartenenza, del database [18]. L'algoritmo si appoggia al teorema di Bayes in cui la probabilità a posteriori dell'evento da classificare è data dalla formula:

in cui c è una determinata classe e x uno specifico vettore di parametri. Quando si presenta un nuovo caso da assegnare, viene calcolata la probabilità a posteriori che un vettore di parametri ha di appartenere ad una data classe. Ciò ovviamente richiede la conoscenza della probabilità a priori delle classi e dei parametri nelle varie classi. L'assegnazione del caso viene decisa in base al valore più alto tra le probabilità stimate.

3.5.2 I classificatori k-nn

I classificatori k - nearest neighbour (k-nn) mappano l'intero training set a disposizione su un piano N-dimensionale, con N pari al numero di parametri scelti per la classificazione. Quando si presenta una nuova istanza, l'algoritmo cerca i k elementi del

training set (la cui classe di appartenenza è nota) più vicini a tale esempio. La classe

(50)

classificazione può dunque dipendere fortemente dal k selezionato dall'utente, come spiegato graficamente in Figura 3.12. Vi è inoltre una dipendenza dal modo in cui si calcola la distanza tra il nuovo esempio e gli elementi già mappati. In questo lavoro si è scelto di calcolare la semplice distanza euclidea e di testare le performance di classificazione per k=1,3,5,7,9,15 e 25. Si sono scelti k dispari per scongiurare il caso che un'istanza sia vicina allo stesso numero di elementi di differenti classi.

(51)

CAPITOLO 4 - LA CLASSIFICAZIONE IN VITRO

4.1 IL SET-UP SPERIMENTALE

Nella fase di acquisizione dei dati in vitro, sono stati indagati 2 differenti modelli di protesi valvolari meccaniche bileaflet: St. Jude Regent e Sorin Bicarbon Overline. Per ciascuna protesi valvolare si sono simulate 6 differenti condizioni di funzionamento: oltre ad una condizione perfettamente normofunzionante ed una estremamente patologica (blocco completo di un leaflet), sono state ricreate 3 situazioni intermedie con presenza di panno endoteliale disposto in maniera tale da non interferire direttamente con il movimento dei leaflet, ma in modo da modificarne l'inerzia; infine, si è simulata la presenza di un trombo sull'housing della valvola, senza dunque modificare né il movimento né l'inerzia dei leaflet. Le formazioni di panno e il trombo sono state create con l'uso di un materiale gommoso opportunamente sagomato. Su entrambe le valvole, a parità di condizione, è stata apposta la medesima quantità di materiale, con precisione al centesimo di grammo. In dettaglio, il blocco completo del

leaflet è stato realizzato usando 0.75 grammi di materiale, le tre situazione intermedie

tramite rispettivamente 0.36 g, 0.15 g e 0.07 g posizionati sul lato aortico della valvola, mentre il trombo sull'housing attraverso 0.29 g di materiale.

Il trasduttore ad alta frequenza del Myotis 3C è stato posizionato al di sopra della camera aortica del Pulse Duplicator, con il sostegno montato diversamente da quanto fatto nei precedenti lavori, al fine di ridurre le vibrazioni meccaniche che potevano inficiare i risultati della misura (Figura 4.1).

(52)

Al fine di coprire un ampio range di situazioni fisiologiche, sono state impostate al Pulse Duplicator 10 differenti condizioni di funzionamento, variando sia lo stroke

volume che il beat rate. Queste condizioni sono elencate in Figura 4.2.

Figura 4.2: elenco delle dieci condizioni di funzionamento simulate al Pulse Duplicator. Il flow rate si ottiene moltiplicando beat rate per stroke volume.

D’ora in avanti ci si riferirà alla condizione normofunzionante con la sigla Nf, alle 3 condizioni intermedie rispettivamente con I3, I2, I1 (I3 panno da 0.36 g, I2 da 0.15 g e I1 da 0.07 g), al trombo simulato sull'housing con la sigla Hg e alla condizione di blocco completo del leaflet con la sigla Bk. Prima di tali abbreviazioni, comparirà la dicitura sjr se ci si sta riferendo alla valvola St Jude Regent o sor se si vuole invece indicare la Sorin Bicarbon Overline.

Nella Figura 4.3 è possibile osservare il posizionamento dei trombi simulati sulla valvola St. Jude Regent. Allo stesso modo, in Figura 4.4 sono visibili i trombi posizionati sulla valvola Sorin Bicarbon Overline: in quest'ultima immagine si apprezzano bene i caratteristici leaflet concavo-convessi.

Per ciascuna delle 6 condizioni di funzionamento di ogni valvola si sono registrate 40 sequenze audio da 30 secondi l'una, ovvero 4 sequenze per ogni condizione riassunta in Figura 4.2. In totale si hanno dunque a disposizione 240 sequenze audio per valvola. In Figura 4.5 sono visibili gli spettri di potenza relativi alla valvola St.Jude Regent mentre in Figura 4.6 sono presenti quelli relativi alla valvola della Sorin.

(53)

eccezione della condizione sor_Hg, hanno tutti un considerevole picco subito dopo i 10 kHz, cosa che nella valvola St.Jude Regent non si verifica. È sempre presente il picco attorno ai 17 kHz, caratteristico di ogni condizione simulata, indipendentemente dalla tipologia della valvola.

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(55)
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0 0.5 1 1.5 2 2.5 x 104 0 50 100 150 A frequency [Hz] u .a . 0 0.5 1 1.5 2 2.5 x 104 0 50 100 150 B frequency [Hz] u .a . 0 0.5 1 1.5 2 2.5 x 104 0 50 100 C frequency [Hz] u .a . 0 0.5 1 1.5 2 2.5 x 104 0 50 100 150 D frequency [Hz] u .a . 0 0.5 1 1.5 2 2.5 x 104 0 10 20 30 40 E frequency [Hz] u .a . 0 0.5 1 1.5 2 2.5 x 104 0 50 100 F frequency [Hz] u .a .

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0 0.5 1 1.5 2 2.5 x 104 0 20 40 60 A frequency [Hz] u .a . 0 0.5 1 1.5 2 2.5 x 104 0 10 20 30 40 B frequency [Hz] u .a . 0 0.5 1 1.5 2 2.5 x 104 0 10 20 30 C frequency [Hz] u .a . 0 0.5 1 1.5 2 2.5 x 104 0 20 40 60 D frequency [Hz] u .a . 0 0.5 1 1.5 2 2.5 x 104 0 20 40 60 E frequency [Hz] u .a . 0 0.5 1 1.5 2 2.5 x 104 0 10 20 30 40 F frequency [Hz] u .a .

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0 0.5 1 1.5 2 2.5 x 104 0 10 20 30

Spettro ottenuto con finestratura larga 64 campioni

0 0.5 1 1.5 2 2.5 x 104 0 10 20 30

Spettro ottenuto con finestratura larga 384 campioni

Figura 4.7: in alto è visibile un esempio di spettro sor_Hg ricavato con una finestra di 64 campioni mentre in basso si vede l'equivalente spettro ottenuto con una finestra temporalmente più lunga (384 campioni).

4.2 APPLICAZIONE DELLE RETI NEURALI

Con i dati a disposizione si sono volute implementare diverse tipologie e topologie di reti neurali, al fine di valutarne le prestazioni nella classificazione degli spettri ottenuti. Inizialmente si è optato per l'utilizzo di reti neurali a 257 parametri di ingresso, ovvero tanti quanti sono i campioni di ogni spettro di potenza. Successivamente, si è deciso di indagare quale classificazione fosse possibile raggiungere con reti di dimensioni inferiori, attraverso l'uso di specifici parametri estratti dagli spettri di potenza. Indipendentemente dal tipo di rete neurale implementato, si deve tenere presente che per ciascun gruppo di 4 acquisizioni effettuate, 2 sono state inserite nel training set, 1 nel

validation set ed 1 nel test set. In ogni caso dunque, vi sarà un training set di

dimensione doppia rispetto a validation e test set. Tutti e tre i sottoinsiemi sono però completamente disgiunti e, allo stesso tempo, in grado di coprire l'intera variabilità simulata. Inoltre, una tale suddivisione consente di testare le reti con elementi completamente sconosciuti alle reti stesse.

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contro, quanto più l'output è vicino a 0, tanto più l'elemento non viene associato alla classe corrispondente al relativo neurone. Nelle figure che mostreranno gli output delle reti neurali, si evidenzierà in grassetto il valore di uscita più elevato, corrispondente alla classe alla quale la rete associa l'elemento del test set.

4.2.1 Reti neurali a 257 ingressi

Nelle molteplici soluzioni tentate per la creazione di una rete neurale ottimale, si è constatato che i risultati migliori si ottengono passando in ingresso lo spettro di potenza normalizzato al valore massimo dell'acquisizione. Per tutte le reti a 257 ingressi che verranno proposte in seguito, dunque, si considererà sottintesa l'assunzione di spettro normalizzato.

Nel corso del lavoro, sono state implementate tre tipologie di rete neurale a 257 ingressi, ciascuna in grado di fornire un differente grado di informazione. Come già detto, attualmente il gold standard nella valutazione funzionale di una valvola cardiaca meccanica è rappresentato dell'ecocardiografia. Dal momento che un tale esame è perfettamente in grado di riconoscere la differenza tra una condizione del tipo Nf e una condizione tipo Bk, ci si è inizialmente chiesto se anche la rete neurale fosse uno strumento altrettanto valido. Come primo tentativo, dunque, sono state create reti neurali a 2 uscite, con lo scopo di distinguere solamente queste due opposte condizioni di funzionamento.

Successivamente, si sono suddivisi i dati a disposizione per ciascuna valvola in 3 sottoinsiemi, uno rappresentante la situazione Nf, uno rappresentante una severa formazione trombotica (Bk e Hg) ed uno a racchiudere una serie di situazioni intermedie (I3, I2 e I1). Lo scopo di tale prova è valutare la capacità della rete di captare differenze nel suono di valvole con conservata mobilità dei leaflet, al fine di fornire al medico un'indicazione di probabile formazione trombotica in corso, quando gli attuali strumenti diagnostici non sono in grado di percepire malfunzionamenti e soprattutto, quando il paziente si mostra ancora asintomatico.

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4.2.1.1 Reti neurali a 257 ingressi e 2 uscite

L'indagine delle sole condizioni Nf e Bk porta ad avere a disposizione, per l'addestramento della rete, 80 spettri di potenza, ovvero 40 per ciascuna classe. In questo caso dunque, il training set si compone di 40 elementi (20 Nf + 20 Bk) mentre

validation e test set hanno 20 elementi ciascuno (10 Nf + 10 Bk). Per entrambe le

valvole, le reti non faticano a distinguere le due condizioni estreme. La performance è del 100% di corretta classificazione già con la struttura di minimo 257-2. Le reti terminano per minimum_gradient_reached, il che significa che la variazione dei pesi non porta ad un significativo aumento delle prestazioni. In Figura 4.8 sono riportati gli output della rete relativa alla valvola St.Jude Regent, mentre in Figura 4.9 sono indicati quelli relativi alla valvola Sorin Bicarbon Overline.

condizione NETWORK OUTPUT

sjr_Nf sjr_Bk SV50 BR60 0,9986 0,0002 SV50 BR70 0,9998 0,0000 SV50 BR80 0,9984 0,0006 SV50 BR90 0,9997 0,0001 sjr_Nf SV50 BR100 0,9998 0,0004 SV60 BR60 0,9996 0,0003 SV60 BR70 0,9997 0,0005 SV60 BR80 0,9958 0,0062 SV60 BR90 0,9997 0,0004 SV60 BR100 0,9999 0,0001 SV50 BR60 0,0001 1,0000 SV50 BR70 0,0000 1,0000 SV50 BR80 0,0000 1,0000 SV50 BR90 0,0003 0,9997 sjr_Bk SV50 BR100 0,0000 1,0000 SV60 BR60 0,0000 1,0000 SV60 BR70 0,0005 0,9992 SV60 BR80 0,0000 1,0000 SV60 BR90 0,0000 1,0000 SV60 BR100 0,0021 0,9982

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