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LE SERIE NUMERICHEDALLA STORIA ALLA DIDATTICADELLA MATEMATICA

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LE SERIE NUMERICHE

DALLA STORIA ALLA DIDATTICA DELLA MATEMATICA

Giorgio T. Bagni Dipartimento di Matematica, Università di Roma “La Sapienza”

Summary. In this paper some examples of infinite series from History of Mathematics are studied and their utility is investigated in the learning of Mathematics in classroom practice, referred to Italian High School (Liceo scientifico, pupils aged 16-18 years). We conclude that, as regards the educational passage from an early stage of a concept to the mature one, we can point out, in pupils’

minds, some doubts and some reactions that we can find in the historical passage from the early stage to the mature one, as regards the savoir savant.

1. La storia per la didattica della matematica: le serie numeriche

“Come ogni progetto educativo, quello di intendere la storia della matematica come una componente dell’insegnamento della matematica implica un’aspettativa più o meno esplicita in termini di un migliore apprendimento. La ricerca sull’uso della storia della matematica nell’insegnamento è quindi una parte importante della ricerca in didattica della matematica” (Fauvel & van Maanen, 1997, p. 8).

Una prima introduzione alle serie deve tenere conto che una somma di infiniti addendi viene spesso intuitivamente recepita dagli allievi come “infinitamente grande” (D’Amore, 1996). La storia della matematica può aiutarci ad orientare correttamente gli allievi1[1]; in particolare, possiamo riferirci a Zenone d’Elea (490-430 a.C.) e al celebre paradosso di Achille e della Tartaruga: la sua analisi, com’è noto, porta alla considerazione di una serie geometrica convergente. Questo esempio può essere didatticamente utile: in esso viene implicitamente presentata un’addizione con infiniti addendi la cui somma non potrà mai superare, per quanti addendi siano considerati, un numero finito.

Possono però sorgere alcuni equivoci: ad esempio, qualche allievo potrebbe notare che gli addendi così sommati sono “sempre più piccoli” (anzi, indefinitamente piccoli): e c’è il rischio di interpretare tale condizione (che prevede che il termine generale sia infinitesimo) come sufficiente affinché una serie sia convergente. Per evitare la formazione di questa errata concezione, come vedremo, potrà essere utile un altro esempio tratto dalla storia: la serie armonica, la cui divergenza è stata provata nel XIV secolo da Nicola d’Oresme (e per essa, come per la serie precedente, il termine generale è infinitesimo: Bagni, 1996, I). Gli allievi potranno allora capire che la sola condizione che prevede il termine generale infinitesimo non basta a garantire la convergenza di una serie.

Presentiamo innanzitutto un sommario di esempi tratti dalla storia della matematica riferiti alle serie numeriche (segnaliamo inoltre: Arrigo, 1997).

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Riferimenti storici e ricadute didattiche - Serie convergenti

Zenone d’Elea (V sec. a.C.) propone il paradosso di Achille e della Tartaruga. L’introduzione dei paradossi è considerata una delle cause dell’avversione della filosofia greca nei riguardi dell’infinito attuale.

L’esempio di una serie associata al paradosso di Achille e della tartaruga può essere utilmente proposto agli allievi.

Aristotele di Stagira (384-322 a.C.) in Fisica, si rende conto che alcune serie (serie geometriche con ragione minore di 1) hanno somma finita.

Una somma di infiniti addendi può essere limitata.

Archimede di Siracusa (287-212 a.C.), nella Quadratura della parabola, fa riferimento alla serie geometrica di ragione 1/4.

La somma di una serie geometrica può essere calcolata.

Gregorio da San Vincenzo (1584-1667) in Opus geometricum (1647) riconduce il paradosso di Achille e della Tartaruga ad una serie geometrica (convergente).

La rincorsa di Achille alla tartaruga nel celebre paradosso può essere calcolata (considerando una serie geometrica convergente).

Riferimenti storici e ricadute didattiche - Serie divergenti

Nicola d’Oresme (1323-1382) nelle Quæstiones super Geometriam Euclidis (1360) dimostra la divergenza della serie armonica.

Il solo fatto che il termine generale di una serie sia infinitesimo non è sufficiente per la convergenza.

Jakob Bernoulli (1654-1705) in alcune memorie (del 1692 e del 1696) ritiene di dimostrare nuovamente la divergenza della serie armonica. Egli considera “paradossali” alcuni risultati (errati) riguardanti serie divergenti.

La dimostrazione di non convergenza non equivale alla dimostrazione di divergenza: alcune serie possono essere indeterminate.

Riferimenti storici e ricadute didattiche - Serie indeterminate

Guido Grandi (1671-1742) nella Quadratura circuli et hyperbolæ (1703) sviluppando 1/(1+x) conclude che 1-1+1-1+... converge a 1/2.

Alcune serie a segni alterni non sono convergenti né divergenti. Ciò può essere proposto inizialmente come semplice constatazione.

Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716) e Christian Wolf (1678-1754) introducono l’argomento probabilistico. Anche Joseph Louis Lagrange (1736-1813) accetta tale modo di procedere.

L’argomento probabilistico di Leibniz-Wolf, pur presentando alcuni aspetti intuitivi, può portare a dei risultati “paradossali”.

Leonhard Euler (1707-1783), nella Introductio in Analysin Infinitorum (1748) opera sulle serie senza preoccuparsi della convergenza e considera sistematicamente l’infinito come il reciproco di 0;

nelle Institutiones calculi differentialis (1755) difende l’uso di serie non convergenti. Anche Sylvestre-François Lacroix (1765-1843), nel Traité du Calcul differentiel et Integral (1810-1819),

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(dove abs(z) indica il valore assoluto di z), ma afferma che il collegamento tra la funzione e la serie sussiste ovunque.

La serie di Grandi può essere proposta per evidenziare la necessità di limitare mediante opportune condizioni l’impiego di alcuni sviluppi in serie.

Una serie, dunque, non può essere considerata sempre equivalente alla funzione originaria.

Jacopo Riccati (1676-1754) nel Saggio intorno al sistema dell’universo (1754) afferma che la serie di Grandi è “una serie tra quelle, che [...] si chiamano parallele, dalle quali, come altresì dalle divergenti, nulla ci vien fatto di concludere”. Anche Jean Baptiste Le Rond D’Alembert (1717- 1783) critica l’uso di serie non convergenti (1768).

La considerazione di serie indeterminate e divergenti come quantità finite può portare a dei risultati inaccettabili e “paradossali”.

Le serie indeterminate: la serie di Grandi

Una delle più celebri serie indeterminate della storia della matematica è la serie di Grandi. Nel 1703, Guido Grandi (1671-1742) affermò:

“Mettendo in modo diverso le parentesi nell’espressione 1-1+1-1+... io posso, volendo, ottenere 0 o 1. Ma allora l’idea della creazione ex nihilo è perfettamente plausibile” (citato in: Silov, 1978, I, p. 185).

La constatazione di Grandi è riferita alla situazione seguente:

(1-1)+(1-1)+(1-1)+(1-1)+... = 0+0+0+0+... = 0 1+(-1+1)+(-1+1)+(-1+1)+... = 1+0+0+0+... = 1 La serie a segni alterni  

0

1

i i

= 1-1+1-1+... veniva eguagliata da Jakob Bernoulli (e, come vedremo, da molti altri matematici del XVIII secolo) al valore 1/2. Secondo Grandi, la

“dimostrazione” di ciò può essere ricondotta allo sviluppo seguente (che modernamente sappiamo essere valido soltanto per -1<x<1):

1

1 1

0

2 3

    



x x i x x x

i

( ) ...

Ponendo in tale formula x = 1 (ed evidentemente tale posizione non rispetta la condizione sopra ricordata) seguirebbe infatti: 1-1+1-1+... = 1/2.

Dal punto di vista didattico, osserviamo che lo stesso risultato potrebbe essere ottenuto anche nel modo seguente:

s = 1-1+1-1+... da cui s = 1-(1-1+1-...) quindi s = 1-s e infine s = 1/2

Ovviamente si tratta di un procedimento inaccettabile, in quanto basato sull’implicita ammissione che la scrittura 1-1+1-1+... indichi un numero s2[2].

Della serie di Grandi3[3] si occupò anche Gottfried Wilhelm Leibniz, il quale assunse talvolta una posizione prudente, come possiamo rilevare dalla seguente lettera a Jacopo Riccati (1676-1754; si veda inoltre: Riccati, 1761, I):

“Giudizio del Sig.r Leibnizio intorno la Dissertazione del Co. Jacopo Riccati [...] Io vi supplico Signore di ringraziare il Sig.r Conte Riccati, ed il Sig.r Zendrini della bontà, che mostrano per me.

2

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Io vorrei loro poter essere utile in qualche cosa. Frattanto io desidero che essi continuino ad introdurre in Italia le scienze profonde. Io non so s’eglino abbiano veduto quello ch’ho notato sopra la questione se 1-1+1-1 etc. all’infinito è uguale a 1/2 come il R. P. Grandi ha asserito, e in qualche maniera con ragione. Imperciocché 1/(1+x) è 1-x+xx-x3+x4-x5 etc. ed allora che la lettera x si eguaglia ad 1, ne vien 1/(1+1) = 1-1+1-1+1-1 etc. = 1/2. In questo mentre sembra, che questo sia un assurdo manifesto. Negli Atti di Lipsia io credo di aver dato lo scioglimento di questo enigma della scienza dell’infinito” (la lettera, trasmessa a Riccati tramite Bourguet, è senza data; probabilmente venne scritta intorno al 1715: Michieli, 1943, p. 579).

Come ricordato alla fine di questa citazione, Leibniz si occupò della serie di Grandi anche in alcune lettere a Christian Wolf (1678-1754) del 1713, nelle quali veniva introdotto un interessante argomento probabilistico che influenzò tra gli altri Johann Bernoulli (1667-1748) e Daniel Bernoulli (1700-1782).

Leibniz osservava che “interrompendo” la serie 1-1+1-1+... dopo un numero qualsiasi di addendi, è possibile ottenere come risultato 0 o 1 con la stessa “probabilità” (0 considerando un numero pari di addendi; 1 considerando un numero dispari di addendi). Dunque il valore che può essere ritenuto più “probabile” dell’intera somma sarebbe la media aritmetica tra 0 e 1, ovvero 1/24[4]. Citiamo a tale riguardo la testimonianza del matematico veneziano G. Grones, che nel 1831 scrisse (ricordando proprio le lettere di Leibniz a Wolf pubblicate negli Acta Eruditorum Lipsiae, V. ab an.

1711 ad an. 1719 Epist. G.G.L.):

“Rinnovellatosi dal preclarissimo geometra p. Guido Grandi la quistione se 1-1+1-1 etc. sia = 1/2, e come si possa evitare l’assurdo, mentre essendo 1-1 = 0 sembra che tutta la serie a null’altro debba ridursi che a zero; quantunque non si possa altronde negare che se nella serie 1/(1+x) è 1- x+xx-x3... si faccia x = 1 non abbiasi 1/2 = 1-1+1-1 etc.; il dottissimo Wolf chiese al Leibnitz la spiegazione dell’enimma. Questo sommo matematico, poi che ha osservato che se la serie è finita, consti d’un numero pari di membri e termini in meno, siccome sarebbe 1-1 ovvero 1-1+1-1 dà zero per risultamento: e se consti d’un numero dispari di membri e termini in più siccome 1 ovvero 1- 1+1 etc. dà sempre l’unità, stabilisce: E quando la serie è infinita, ovvero quando 1-1+... etc.

supera un qualsivoglia numero di addendi, allora, non potendosi più assegnare il numero degli addendi, diviene impossibile dare a tale numero la qualifica di pari o di dispari: dunque [...] il passaggio dal finito all’infinito corrisponde a quello dai valori 0 e 1 (che vengono meno) all’unica media tra di essi” (Grones, 1831, pp. 37-38; l’originale leibniziano è in latino: la traduzione è libera).

Osserviamo che argomentazioni di questo genere saranno considerate accettabili anche da matematici molto profondi tra il XVIII ed il XIX secolo, come Joseph Louis Lagrange (1736-1813) e Siméon Denis Poisson (1781-1840)5[5].

Un breve studio sperimentale

L’introduzione di richiami storici nella didattica della matematica, particolarmente nella didattica intesa come divulgazione delle idee, deve essere attentamente controllata. Infatti, se da un lato la storia della matematica fornisce un ricco serbatoio di esempi stimolanti (utili anche per quanto riguarda l’aspetto metacognitivo)6[6], d’altro canto un pieno sfruttamento delle possibilità collegate alla presentazione di importanti concetti matematici mediante esempi storici non può prescindere dal transfer cognitivo (D’Amore & Frabboni, 1996).

4

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Abbiamo ritenuto opportuno esaminare le reazioni degli allievi di fronte alla serie di Grandi;

abbiamo esaminato quattro classi del liceo scientifico (a Treviso, in Italia) per un totale di 88 studenti, 45 della III classe (allievi di 16-17 anni) e 43 della IV (allievi di 17-18 anni). Tutti avevano seguito un corso tradizionale di matematica, nel quale non erano state incluse le serie numeriche.

A tutti gli allievi è stata proposta la seguente domanda (tempo: 10 minuti; non è stato concesso l’uso di calcolatrici, di libri o di appunti):

Nel 1703, il matematico Guido Grandi si occupò della scrittura: 1-1+1-1+... (gli infiniti addendi seguenti sono sempre +1 e -1, alternati).

Qual è la tua opinione su di essa?

Osserviamo che il test non richiede un risultato, bensì un’opinione (senza una griglia di possibili risposte), per evidenziare l’approccio spontaneo al problema.

Risultati del test (le percentuali sono arrotondate all’unità)

il risultato è 0 26 29%

il risultato è 1 3 4%

il risultato può essere sia 0 che 1 18 20%

il risultato è 1/2 4 5%

il risultato è infinito 2 2%

il risultato non esiste 5 6%

risposte non significative o nessuna risposta 30 34%

Osserviamo che la grande maggioranza degli allievi ha interpretato la domanda del test come un’implicita richiesta di calcolare la “somma” della serie.

Possiamo rilevare che soltanto 5 allievi (6% del totale) hanno esplicitamente dichiarato impossibile la determinazione della somma della serie di Grandi (a fianco di questi potrebbero forse essere considerati i 18 allievi, 20% del totale, che hanno indicato un “doppio risultato”): ben 35 allievi (40% del totale) hanno indicato un unico “risultato” (finito o infinito). Il numero degli allievi che non ha risposto è rilevante (un terzo del totale).

In alcune interviste che hanno seguito il test, tra gli allievi che hanno affermato che la serie 1- 1+1-1+... ha somma 0, alcuni hanno fatto riferimento ad una giustificazione presente in Grandi:

“Se si deve aggiungere sempre 1 e -1, si può scrivere (1-1)+(1-1) e quindi abbinare tutti gli 1 ai -1: quindi è come se sommassi infiniti zeri e questo fa sempre 0” (Marco, classe III; analogamente altri 15 allievi).

È interessante osservare che i quattro allievi che hanno affermato cha la somma della serie data è 1/2 hanno fatto riferimento a giustificazioni vicine all’argomento probabilistico di Leibniz-Wolf.

Ad esempio:

“Facendo la somma ottengo 1, 0, 1, 0 e andando avanti è sempre così. Ho fatto la media tra questi due numeri” (Mirko, classe IV).

Possiamo rilevare che le giustificazioni fornite riflettono spesso alcune motivazioni tratte dalla storia: l’atteggiamento dei matematici del XVIII secolo secondo il quale una serie numerica poteva essere con siderata ed operativamente trattata alla stregua di un polinomio (senza l’analisi critica delle questioni di convergenza) si ritrova, talvolta esplicitamente, nelle risposte degli allievi:

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serie numeriche algebra dei polinomi

per le modalità operative

Sarebbe invece accettabile la situazione schematizzata nella figura seguente:

serie numeriche algebra dei polinomi

per le modalità operative convergenti

Ma la nozione di convergenza non sembra presentarsi spontaneamente alla mente dei nostri allievi, così come non si presentò spontaneamente alla mente di molti grandi matematici prima di Gauss (ciò sembra in parte confermare una tesi di Piaget & Garcia, 1983, secondo la quale c’è una stretta connessione tra lo sviluppo storico e quello individuale, a livello di meccanismi cognitivi).

Può essere utile riferirsi ad un’osservazione di A. Sfard, la quale afferma che “se vogliamo parlare di oggetti matematici, dobbiamo essere in grado di riferirci ai prodotti di certi processi senza preoccuparci di quegli stessi processi [...] Sembra quindi che l’approccio strutturale possa essere visto come lo stadio più avanzato dello sviluppo concettuale. In altri termini, abbiamo buone ragioni per attenderci che nel processo di formazione dei concetti, la concezione operativa preceda quella strutturale” (Sfard, 1991, p. 10).

Nel caso delle serie numeriche, il decisivo passaggio dalla concezione operativa a quella strutturale sembra essere particolarmente arduo, anche a causa della necessità di una corretta precisazione di alcuni concetti fondamentali (come quello di limite, riferito alla successione delle somme parziali).

4. Conclusioni

Per quanto riguarda il savoir savant, lo sviluppo storico di un concetto matematico può essere considerato come una sequenza in due fasi: una prima fase in cui il concetto è percepito intuitivamente, ed una seconda fase matura; come abbiamo potuto constatare, molti secoli possono dividere tali fasi.

Nella fase iniziale, l’approccio è principalmente operativo; il punto di vista strutturale non è primariamente considerato. Ad esempio, per quanto riguarda le serie, nella fase iniziale (che può essere considerata estesa nel tempo, almeno fino a Gauss) le questioni di convergenza non erano pienamente considerate.

Dal punto di vista didattico, può essere rilevata una situazione analoga (ricordiamo ancora:

Sfard, 1991): naturalmente, in una prima fase, gli allievi si accostano intuitivamente ad un concetto

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matematico, senza avere di esso una comprensione completa e sviluppata. Solo in un secondo momento l’apprendimento si fa più pieno e maturo.

Prove sperimentali come quelle sopra presentate mostrano che il passaggio in àmbito didattico dalla fase iniziale alla fase matura puà rivelare, nella mente degli allievi, dubbi e reazioni che possiamo trovare nel corrispondente passaggio per quanto riguarda la formazione del savoir savant.

Naturalmente il processo di insegnamento-apprendimento ha luogo oggi, dunque dopo il pieno sviluppo del savoir savant, sia per quanto riguarda la fase iniziale che per quanto riguarda quella matura. Pertanto la stessa transposition didactique, che inizialmente deve rendere possibile una corretta conoscenza intuitiva, può saldamente basarsi anche sui risultati raggiunti nella fase matura dello sviluppo del savoir savant.

Inoltre il processo di insegnamento-apprendimento e la transposition didactique devono tenere conto che, come precedentemente notato, le reazioni degli allievi sono spesso straordinariamente simili a quelle dei grandi matematici della storia della nostra disciplina. Una chiara e corretta considerazione di questa corrispondenza può essere molto importante per l’insegnante7[7].

Visualizziamo dunque la situazione sopra descritta nella figura seguente:

inizialefase

inizialefase

maturafase

maturafase savoir savant

àmbito didattico

Per quanto riguarda la nostra ricerca, sottolineiamo che l’esiguità del campione considerato (peraltro non individuato mediante particolari tecniche di campionamento) non consente di formulare risultati o indicazioni generali. Indubbiamente, comunque, alcuni episodi tratti dalla storia della matematica hanno consentito l’introduzione di un argomento importante e delicato (anche se la semplice proposta di aneddoti può non essere sempre sufficiente a determinare l’apprendimento degli allievi).

Abbiamo osservato che molte questioni influenzano l’apprendimento: problemi di comprensione linguistica, difficoltà collegate alla struttura logica delle frasi, l’azione delle clausole del contratto didattico e del contratto sperimentale, la necessità di gestire le contraddizioni e le incoerenze.

Riteniamo che tali influenze possano essere messe in luce mediante test ed interviste (D’Amore, 1991).

In una recente ricerca affermiamo: “il limite della didattica della matematica come divulgazione delle idee consiste nell’incertezza degli effetti (sull’apprendimento) delle scelte del docente. Tale incertezza riguarda in particolare il transfer cognitivo, che deve essere stimolato dall’insegnante ed i suoi effetti devono essere verificati” (Bagni, Barbin, Grugnetti, Kronfellner, Lakoma & Menghini, 1999). I risultati sperimentali sopra presentati confermano tali considerazioni.

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L’impiego di spunti e di riferimenti tratti dalla storia della matematica, dunque, può essere sorprendentemente utile per l’introduzione di contenuti matematici anche impegnativi: ma deve essere controllato con attenzione, al fine di ottenere una corretta transposition didactique ed un pieno apprendimento.

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