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Lavoro e lavori minorili L’inchiesta Cgil in Italia

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Academic year: 2021

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Lavoro e lavori minorili

L’inchiesta Cgil in Italia

Gianni Paone, Anna Teselli (a cura di)

Per quanto le stime sul lavoro minorile provenienti da diverse organizzazioni

siano diversificate, esse hanno però il pregio di offrire indicazioni su un fenomeno ancora esistente che necessita di essere indagato anche da un punto di vista qualitativo. Da questa esigenza nasce l’indagine della Cgil sul lavoro minorile illegale in Italia, che prende avvio da un’altra indagine condotta nel 1996 di tipo più

prettamente ricognitivo.

L’obiettivo principale è quello di esplorare le caratteristiche, le tipologie del fenomeno attraverso una ricerca fondata sulle dirette esperienze sul campo e realizzata avendo come contesto di riferimento non solo la scuola ma anche il territorio.

Nell’indagine sono incluse esclusivamente quelle attività definite illegali in cui si realizza uno scambio effettivo tra produttività e salario.

Non sono prese in considerazione le attività illecite (afferenti all’area della criminalità) e informali (svolte sulla base di rapporti di affetto o parentela come le attività di cura).

Vari sono stati gli strumenti metodologici utilizzati, comprensivi di griglie e questionari volti a indagare sia il territorio di indagine sia i diversi aspetti dell’attività lavorativa del minore e dell’ambito relazionale nel quale il ragazzo è inserito.

I territori dell’inchiesta risultano localizzati soprattutto al Sud: Roma, Pescara, Bari, Napoli, Catanzaro, Cosenza, Crotone, Lecce, Brindisi, Palermo, Catania, Ragusa. Fa eccezione la provincia di Brescia.

Attraverso un’analisi di dati quantitativi vengono individuate diverse tipologie, caratteristiche e connotazioni relative al minore che lavora che concorrono a definire alcuni profili. Tali profili sono delineati a partire dalla storia lavorativa del ragazzo, nello specifico dallo svolgimento del lavoro nel tempo, dal datore di lavoro (presso terzi o in famiglia) e dal rapporto con la scuola (precoce uscita o mantenimento dell’impegno scolastico). È rispetto a questi diversi profili e figure-tipo che avviene l’analisi e la lettura dei dati.

Le conclusioni riprendono riflessioni sul rapporto del lavoro con i tre contesti principali, territorio, scuola, famiglia, che definiscono i vertici di un triangolo attraverso cui leggere il fenomeno e riportano tre chiavi di lettura: il lavoro minorile tra povertà materiale e povertà culturale, il lavoro minorile tra socializzazione ed esclusione, il lavoro minorile tra sviluppo dell’individuo e patologia.

In particolare, viene sottolineato come esista una connessione tra povertà materiale e povertà culturale, che definisce un meccanismo di domanda-offerta del lavoro minorile; come il lavoro precoce non rappresenti uno strumento di formazione e di socializzazione professionale, non fornendo competenze e abilità qualificanti; come esso sia strettamente connesso a forme e modalità di sfruttamento e come sia un sintomo di malessere; come l’ambito lavorativo non costituisca un contesto di socializzazione fra i pari.

Per quanto riguarda il rapporto lavoro minorile e frequenza scolastica si sottolinea come si tratti di percorsi che nel tempo tendono ad escludersi, più che a convivere: chi ha una storia lavorativa consolidata, rispetto a chi lavora da poco tempo, ha più esperienza di difficoltà e insuccessi scolastici, lo stesso vale per chi lavora in modo continuativo rispetto a chi lavora in modo saltuario.

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Nel testo è soprattutto messo in evidenza l’impatto negativo del lavoro minorile sullo sviluppo di crescita del ragazzo.

Sulla base dei profili qualitativi emersi si è tentato anche di definire statisticamente il numero dei minori che lavorano illegalmente individuati intorno alle 400 mila unità, con diverse oscillazioni a seconda degli ambiti presi in considerazione.

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