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CORTE DI CASSAZIONE

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CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 febbraio 2014, n. 3187

La Corte d’appello di Roma, per quanto ancora interessa in questa sede, dichiarava la inefficacia della cartella di pagamento notificata dall’Inps alla srl R.P., in relazione alle somme richieste per interessi e somme aggiuntive per i contributi dovuti dal gennaio 2001 al dicembre 2003, ritenendo che il regime sanzionatorio non fosse quello di cui alla “evasione contributiva” , ma quello meno grave della “omissione contributiva” giacché la società aveva regolarmente proceduto alla iscrizione dei dipendenti nel libro matricola, aveva presentato le denunce annuali ed aveva inviato i modelli DM 10 relativi appunto al periodo gennaio 2001 – dicembre 2003, sia pure in ritardo, giacché la spedizione era avvenuta nel corso dell’accertamento ispettivo del 2006.

Avverso detta sentenza l’Inps ricorre sostenendo che le sanzioni da applicare non dovevano essere quelle concernenti la omissione contributiva, ma quelle più gravi concernenti la evasione.

La Società resiste con controricorso.

Letta la relazione resa ex art. 380 bis cod. proc. civ. di manifesta infondatezza del ricorso;

Ritenuto che i rilievi di cui alla relazione sono condivisibili;

Infatti il ricorso è ammissibile ma manifestamente infondato;

In tema di distinzione tra evasione e omissione contributiva, ai fini del calcolo di interessi e somme

aggiuntive, è stato da ultimo affermato ( Cass. n. 10509 del 25/06/2012 e n. 4188 del 20/02/2013 ) che « In tema di obblighi contributivi verso le gestioni previdenziali e assistenziali, l’omessa o infedele denuncia mensile all’INPS attraverso i modelli DM10 circa rapporti di lavoro e retribuzioni erogate integra “evasione contributiva” ex art. 116, comma 8, lett. b), della legge n. 388 del 2000, e non la meno grave “omissione contributiva” di cui alla lettera a) della medesima norma, in quanto l’omessa o infedele denuncia fa

presumere l’esistenza della volontà datoriale di occultare i dati allo specifico fine di non versare i contributi o i premi dovuti. Ne consegue che grava sul datore di lavoro inadempiente l’onere di provare l’assenza d’intento fraudolento e, quindi, la propria buona fede.» In quel caso, in applicazione del principio, la S.C. ha respinto il ricorso dell’INPS avverso la decisione di merito che, con motivazione congrua, aveva qualificato “omissione contributiva”, anziché “evasione contributiva”, la condotta dell’imprenditore il quale, pur avendo spedito i modelli DM10 con ritardo, peraltro mai superiore a quattro mesi, aveva tenuto regolarmente le scritture contabili e regolarmente inviato il modello 770 contenente la denuncia riepilogativa annuale, circostanze, queste, complessivamente idonee a vincere la presunzione d’intento fraudolento.

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Anche nel caso di specie l’invio tardivo dei mod. DM 10, nonché la completa regolarità delle scritture, di talché gli stessi ispettori Inps avevano rilevato che “il debito risultava già dal confronto tra due diversi archivi dell’lnps: l’archivio DM 10 e l’archivio Cud che evidenzia le somme annualmente pagate ai

dipendenti in forza”, induce a superare la presunzione di ogni intento fraudolento nel mancato (ritardato) invio dei modelli DM 10.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro tremila per compensi professionali e cento per esborsi, oltre Iva e CPA.

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