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Sabato 31 ottobre il cinema di qualità riparte dalla rete!

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Academic year: 2022

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Sabato 31 ottobre il cinema di qualità riparte dalla rete!

SABATO 31 OTTOBRE IL CINEMA DI QUALITÀ

RIPARTE DALLA RETE!

Le 40 sale cinematografiche del circuito #iorestoinSALA si “riaccendono” sul web.

Il 26 ottobre 2020 è la data che ha segnato la chiusura di tutti i cinema italiani. Questa nuova interruzione, dettata dall’ultimo Dpcm, segna anche l’inizio di un nuovo assetto per il mondo dell’esercizio cinematografico.

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Se gli investimenti fatti per trasformare le sale in luoghi sicuri; il rigoroso rispetto dei nuovi protocolli imposti dall’emergenza sanitaria; gli sforzi intrapresi per rimettersi in gioco e scommettere su un futuro (sempre incerto) appaiano oggi più che mai sensati e necessari, il presente impone un ulteriore sforzo di consapevolezza e un ulteriore imperativo di resistenza.

Ecco perché il cinema di qualità non si ferma e riparte immediatamente dalla rete. Ed ecco perché torna in scena

#iorestoinSALA, il circuito nazionale di sale cinematografiche di qualità, che raggruppa ora più di 40 cinema del territorio italiano.

Il progetto, lanciato lo scorso maggio grazie alla collaborazione tra un gruppo di esercenti e un gruppo di distributori, è ora nuovamente ai blocchi di partenza:

sabato 31 ottobre sarà operativo online, con un ricco calendario di prime visioni, anteprime, eventi, live streaming e incontri digitali con i filmmaker, per non privare il nostro Paese del proprio immaginario collettivo e della possibilità di varcare i confini del quotidiano.

Il compito di aprire le danze su www.iorestoinsala.it, il 31 ottobre, spetta a Cosa sarà di Francesco Bruni, seguito da Nomad: in cammino con Bruce Chatwin di Werner Herzog. Il 2 novembre, a 45 anni esatti dalla morte del poeta, sarà quindi la volta di In un futuro aprile – Il giovane Pasolini di Francesco Costabile e Federico Savonitto. Sarà invece disponibile dal 5 novembre Mi chiamo Francesco Totti di Alex Infascelli.

Protagonisti collegati in diretta streaming dalle stanze virtuali di Zoom saranno sabato 31 ottobre alle 20.30 Francesco Bruni moderato da Gian Luca Farinelli, per introdurre Cosa sarà, e lunedì 2 novembre alle 20.30 Francesco Costabile e Federico Savonitto per presentare In un futuro aprile.

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Se in marzo i cinema di #iorestoinSALA avevano immaginato e tracciato insieme il nuovo orizzonte web per le sale italiane di qualità, ora gli stessi cinema sono certi di intraprendere quella che non sarà più solo una avventura estemporanea ma una autentica rivoluzione, uno scenario possibile e proseguibile oggi e nell’immediato futuro.

La proposta si rinnova, dunque, mantenendo saldo l’obiettivo primario: difendere la cultura del cinema in sala anche attraverso il web. E rinsaldare così il rapporto con la comunità di spettatori anche – e soprattutto – in un periodo in cui viene negata la possibilità dell’esperienza di arricchimento culturale e sociale “sul grande schermo”.

A l l a l u c e d i q u e s t o , i l c a r a t t e r e i n t e r a t t i v o d i

#iorestoinSALA sarà potenziato rispetto al progetto iniziale:

in occasione degli incontri in streaming con gli autori, gli spettatori potranno infatti interagire, ponendo domande e commentando in diretta. Si andrà così a creare non solo un network tra spettatori accomunati dalla passione per il cinema e dalla stessa esperienza di fruizione – come accade all’interno di una sala cinematografica – ma anche un canale diretto di comunicazione con i protagonisti.

Dal 31 ottobre in poi #iorestoinSALA permetterà, quindi, ai cinema, anche in una prossima e tanto desiderata situazione di normalità, di proporre percorsi tematici, rassegne e live stream e di completare sul web la proposta del grande schermo.

Una coesistenza pacifica e complementare.

DOVE?

Per lo spettatore abituato a frequentare il cinema della propria città o del proprio quartiere, non cambierà nulla! Lo spettatore acquisterà il biglietto dal sito internet della sua sala cinematografica di riferimento e riceverà quindi un codice e un link per accedere alla sala virtuale. Dal primo click sono 48 le ore a disposizione per completare la visione.

QUANTO?

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I prezzi dei biglietti sono calibrati in base alle tariffe esistenti sulla rete e vanno, cioè, da un minimo di € 3,00 ad un massimo di € 7,90.

La prevendita avrà inizio sabato 31 ottobre.

Vercelli omaggia Fellini nel centenario della nascita

Domenica 25 ottobre si apre il XVI Festival di Poesia Civile

‘Città di Vercelli’ con lo spettacolo teatrale Felliniland – di immagini e poesia diretto da Federico De Manachino

ANTEPRIMA

L’Associazione Culturale “Il Ponte” di Vercelli propone un’anteprima del XVI Festival internazionale di Poesia civile

“Città di Vercelli”, rinviato alla primavera 2021, questa domenica 25 ottobre con lo spettacolo teatrale Felliniland – di immagini e poesia che si terrà presso l’Officina Teatrale Anacoleti a Vercelli (corso Gaspare De Gregori 28), con due repliche alle ore 17,30 e alle ore 21,00. Prenotazione obbligatoria: email spettacoli@anacoleti.org, cell.

335.5750907. Il presidente Luigi Di Meglio ha annunciato altri eventi di anteprima nelle prossime settimane per il festival che, causa emergenza sanitaria e ultimo DPCM, è rinviato per la parte complessiva all’aprile 2021.

Felliniland. Di immagini e poesia è scritto e diretto da Federico De Manachino, con la direzione artistica di Tonino Repetto e la consulenza organizzativa di Francesco Brugnetta.

Con Irene Panni e Marco Alberghini.

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Sono in scena una giovane aspirante attrice, fan di Fellini in attesa di un provino, e il Maestro che magicamente le appare nella sua casa-studio. Il dialogo fra questi due personaggi è intessuto di echi, rimandi, citazioni, allusioni al cinema di Fellini, le cui immagini proiettate su uno schermo accompagnano l’azione scenica e rievocano il mondo immaginario felliniano. Con la partecipazione straordinaria di… Giacomo Leopardi.

Il cinema di Fellini non è soltanto poetico nel senso convenzionale e usuale del termine per l’incanto, la suggestione, l’altissima tensione estetica delle immagini con le quali traduce mirabilmente il mondo interiore dell’Autore.

È poetico anche perché si nutre, direttamente attraverso citazioni e indirettamente mediante rimandi e allusioni, delle opere di poeti della tradizione letteraria italiana, classica e novecentesca. Tracce dantesche, ad esempio, sono numerose in molti film, che Fellini non a caso ha definito una volta come

“discese agli inferi”. Spesso Fellini ha chiesto e ottenuto la collaborazione di grandi poeti italiani del Novecento, che hanno arricchito con il loro contributo creativo alcuni suoi film. Sulla base di queste considerazioni, con l’intenzione di esplorare la componente poetica del mondo immaginario f e l l i n i a n o , è s t a t o c o s t r u i t o l o s p e t t a c o l o teatrale Felliniland – di immagini e poesia.

Il Festival internazionale di Poesia civile è ammesso alla UNESCO’s World Poetry Directory. Dal 2005 l’unico festival italiano su un aspetto importante della poesia contemporanea.

Con un premio alla carriera annuale che ha portato a Vercelli nelle passate edizioni Adonis, Luciano Erba, Evgenij Evtuschenko, Juan Gelman, Titos Patrikios, Lawrence Ferlinghetti, Maria Luisa Spaziani (con pubblicazioni di loro testi inediti a cura di Interlinea), con reading di poeti italiani e omaggi ad autori di riferimento (da Emily Dickinson a David Maria Turoldo, da Giovanni Raboni ad Alda Merini).

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Manifestazione culturale di eccellenza promossa da “Il Ponte”, associazione attiva a Vercelli da oltre quindici anni alla ricerca della modernità fra tradizione e innovazione.

Presidente Luigi Di Meglio.

La funzione della poesia nella vita civile è tema complesso e attuale: il festival ne offre un panorama vasto e ricco di stimoli.

The Boys 2: la recensione della seconda stagione della serie

La seconda stagione riprende la storia da dove si era

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interrotta alla fine della prima. Il punto di vista privilegiato è però ora quello dei supereroi, i Sette, che poi così eroi non sono, e cala di molto il ritmo, tanto che forse per chi vede questa serie per la prima volta, partendo dalla seconda stagione, è facile perdersi, all’inizio.

Questo rallentamento fornisce tuttavia l’opportunità per indagare più a fondo sui personaggi, che acquistano maggiore spessore. Se da un lato continua lo scontro tra i Sette e i Boys, dall’altro tra il gruppo dei supereroi e quello degli uomini ”normali” si crea una crescente rete di complicità e connivenze, che porta alla ricerca di un punto di equilibrio, per quanto debole e in perenne evoluzione.

Forse è ai due leader del gruppo, il misantropo Patriota e il mefistofelico Billy Butcher, che la seconda serie dedica maggiore tempo. Se il primo dimostrerà fino in fondo la sua strutturale incapacità a relazionarsi con gli altri e a evolversi, rimanendo prigioniero di sé stesso e della sua rappresentazione mediatica, il secondo invece prende consapevolezza di sé e decide di cambiare, tanto che è lecito chiedersi quale sarà il suo ruolo nella terza serie, di cui è già stata annunciata la realizzazione.

Boys contro i Sette, ma non a qualunque costo

All’inizio della seconda stagione sia gli uomini che i supereroi sono in crisi, ma mentre Billy Butcher è l’indiscusso capo dei Boys, i Sette stanno attraversando una profonda crisi di leadership. L’arrivo di Stormfront, supereoina eccezionalmente dotata sia in fatto di poteri che di capacità comunicative, oscura la figura del Patriota, che medita in cuor suo di farla fuori, anche se poi rimane preda del suo fascino. Il leader ammaccato dei Sette ha inoltre crescenti problemi con suo figlio Ryan, che vorrebbe educare come un supereroe. E alla faccia sua apparente monoliticità, in realtà ha forti dubbi su quale sia l’atteggiamento migliore da tenere. Anche perché la madre del piccolo è umana (trattasi

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di Rebecca, la moglie di Billy Butcher), e non condivide le idee del padre, cosa con la quale il Patriota deve venire a patti, in un modo o nell’altro, magari a denti stretti.

Si allargano ulteriormente le crepe nel gruppo dei Sette: dopo la cacciata di Abisso, è il turno di A-Train, che dietro le quinte è pronto a tutto pur di rientrare in gioco. Il Patriota scopre l’omosessualità di Queen Maeve, costringendola a un improbabile e non voluto coming-out, che gli mette contro la sua ex-preferita. Starlight ne ha le scatole piene di vivere una vita fatta di apparenze, e continua la sua ambigua relazione con il giovane Hughie, membro dei Boys, da sempre divorato da dilemmi morali e incerto sulle scelte fatte da Butcher.

Anche il gruppo dei Boys è quindi poco monolitico. Tra il Francese e la Femmina della Specie, unica donna del gruppo e unica a essere dotata di superpoteri, nasce del tenero, mentre il controllo del fratello di lei, superterrorista che viene catturato al suo ingresso negli States, si rivela essere molto più difficile del previsto.

Insomma la divisione dicotomica tra umani e superumani tende ad attenuarsi, mentre si crea una rete di interessi e connivenze che alla fine, piuttosto che all’annientamento reciproco, porterà alla ricerca di nuovi equilibri, capaci di tenere conto della molteplicità degli interessi in gioco.

Il mondo dei Supereroi come metafora del malessere nella società statunitense contemporanea

Nella prima serie la messa in scena del mondo dei supereroi, la cui vita non per niente ruota intorno allo svettante grattacielo della Vought, è occasione per rappresentare la vacuità del mondo moderno, che, dietro alla facciata di personaggi apparentemente integerrimi e votati al sacrifico e al bene dell’umanità, nasconde una quantità di marcio inimmaginabile. Questa dicotomia tra apparenza e sostanza prosegue nella seconda serie, nella quale è ormai chiaro che i

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Super non solo sono un ricettacolo di ipocrisia, crudeltà e cinismo, ma sono in realtà dei prodotti costruiti in laboratorio, ottenuti dalla perfida Vought inoculando il misterioso Composto V in bambini “normali”.

La novità è che viene dato maggiore spazio al Patriota, del quale viene palesato il profondo disprezzo per la gente che dovrebbe difendere e il livello mostruoso di narcisismo che lo pervade. Ma con la figura di Stromfront entra in modo esplicito il tema razziale. Questa finta eroina nasconde un passato oscuro che la lega al Nazismo, e nel secondo dopoguerra si è macchiata di atti di violenza gratuita apertamente razzista, sotto il nome di Liberty, rendendosi responsabile di azioni da fare impallidire le bande di suprematisti bianchi. Tra Stormfront e il Patriota scoppia la passione, a suggellare un idillio che bene rappresenta la pancia di una certa America, che sogna il ritorno del dominio WASP (White Anglo-Saxon Protestant), per non dire di peggio.

Il punto di forza di Stormfront è la sua capacità di ottenere il consenso grazie all’uso dei social media, sfruttando gruppi di volontari che non sono neanche pagati, ma lavorano come cani a gratis per la loro beniamina, ottenendo risultati molto migliori di quelli ottenuti con centinaia di milioni di dollari di investimenti in marketing da parte della Vought. Un immagine forse non troppo lontana da quello che può accadere nell’ambiente mediatico contemporaneo.

Il tentativo di Stormfront di creare una specie di Quarto Reich di supereroi, con a capo lei e il Patriota, va quasi in porto, anche perché la gente, in fondo, è con loro. Come lei spiega bene, “la gente ama quello che dico, solo non ama la parola nazista”. I nomi cambiano, le idee a esse sottese rimangono.

Fa sorridere, poi, l’attenzione maniacale che i media prestano in questa serie alla questione razziale e di genere nella composizione del gruppo dei Seven. Quella che preoccupa è però

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il giusto bilanciamento numerico tra le varie razze e generi, non alla sostanza dei fatti. Ancora una volta ciò che conta è l’apparenza, non la sostanza.

Il motto della campagna di marketing della Vought, “Le Ragazze ce la Fanno”, fa da patinata copertina a scene di massacri e combattimenti agghiaccianti, dove le eroine macellano l’odiato nemico con il sorriso sulle labbra, trovando poi magari il tempo per curare il proprio aspetto fisico, tra una esplosione l’altra. E saranno proprio le donne a darsela di santa ragione, nel finale, a dimostrazione di come il ruolo della donne venga finalmente rivalutato, con i maschi ridotti a funzione ancillare. Ma forse questa serie TV suggerisce che rivalutare il ruolo della donna è qualcosa di diverso dal fagocitare gli stereotipi maschili, iniettandoli nei personaggi femminili…

The Boys 2: una serie imperdibile per gli amanti del genere Più in generale, è il capitalismo moderno, rappresentato dalla Vought, che viene pesantemente criticato in questa serie, che di fatto ha un forte aspetto di denuncia sociale. Viene messo in scena un mondo dove tutto viene spettacolarizzato e mercificato, e coloro che vengono invidiati dalle masse, ridotte a vivere una vita precaria e vicaria, sono ancora più depressi e infelici dei loro fan, anche se supermiliardari.

Basti pensare a Queen Maeve, costretta a mettere sulla piazza i suoi fatti privati per risollevare l’audience, a Starlight, la cui unica occasione per godersi la vita è sgattaiolare fuori dalla torre-prigione dove vive per incontrarsi clandestinamente con Hughie, o allo stesso Patriota, di fatto un povero psicolabile onanista, che per tirare avanti deve raccontarsi continuamente di potere fare tutto quello che vuole, anche se in realtà nessuno dei suoi deliranti progetti va in porto, ed è lui il primo a doversi piegare ai voleri della Vought, alla faccia deu suoi tanto sbandierati superpoteri.

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Una società violenta, dove viene però viene fornito un nemico – i superterroristi che entrano illegalmente negli States, che la stessa Vought produce, per auto-giustificare la sua esistenza – e una speranza: l’avvento di una razza di supereroi senza macchia e paura, di cui bisogna fidarsi ciecamente. Nel frattempo la Vought guadagna fantastiliardi.

Ma è un gruppo di emarginati, di reietti della società, The Boys, che riescono alla fine a metter una pezza su una situazione disastrosa, con la connivenza di alcuni supereroi e, per alcuni aspetti, della stessa Vought, che in nome della sopravvivenza dei propri traffici sacrifica senza battere ciglio chiunque sia necessario. Anche i propri membri. Basta che il business continui.

In definita, The Boys è molto più di una semplice serie TV di intrattenimento, costruita con mestiere e ottimamente recitata. La seconda serie è indubbiamente un prodotto molto più maturo della prima. Certo, all’inizio mancano le incalzanti scene mozzafiato della prima edizione, i tempi sono molto più rilassati, c’è spazio per molti flash-back (forse troppi, a dire il vero).

Ma questo è il prezzo da pagare per dare spessore ai personaggi e, in definita, alla storia stessa. Che comunque a partire dal quinto episodio tende ad accelerare, convergendo verso un finale veramente ben costruito a appagante, che lascia aperte diverse finestre per l’inevitabile, terza serie.

Sarà dura aspettare un anno per vederla su Amazon Prime…

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Greenland: la recensione del disaster movie di Ric Roman Waught con Gerard Butler

Questo film mette in scena le vicende di una famiglia benestante statunitense, alle prese con un disastro epocale, destinato a provocare un’estinzione di massa sul nostro pianeta, causato dall’impatto di un gigantesco meteorite, più grosso di quello che presumibilmente ha spazzato via i dinosauri.

La famiglia all’inizio del film è in crisi. John Garrity (interpretato da Gerard Butler) è un ingegnere edile in fase di difficile riavvicinamento alla sua ex moglie Allison (Morena Baccarin). A complicare ulteriormente le cose, il loro figlioletto Nathan (Roger Dale Floyd) soffre di una grave forma di diabete.

La cometa Clark è in fase di avvicinamento alla Terra, ma l’evento viene inizialmente dipinto dai media come una

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piacevole curiosità. In realtà dal corpo celeste si staccano dei frammenti enormi, uno dei quali spazza via la Florida.

John riceve una chiamata di emergenza che lo informa che la sua famiglia è stata scelta per trovare riparo in un misterioso rifugio segreto. Comincia una corsa forsennata verso la base militare dalla quale partono gli aerei della speranza, mentre nuovi detriti, sempre più grandi e pericolosi, impattano sulla superficie terrestre…

Greenland: un disaster movie che narra una storia dal punto di vista della gente comune

A differenza di molte alte pellicole catastrofiche, che indugiano su come le autorità gestiscono la crisi, in questo film non ci viene dato sapere come le istituzioni hanno preso le loro decisioni. Vediamo solo il loro effetto nella vita della gente comune, in particolare sui membri della famiglia Garrity.

Il fatto che inizialmente i media cerchino di vendere un evento tanto catastrofico come una bagatella, di certo non fa fare una bella figura alle istituzioni che dovrebbero garantire l’obiettività dell’informazione.

Però nella pellicola vengono mostrati soldati, membri della protezione civile e sanitari che si fanno in quattro per aiutare i civili, che invece spesso si comportano in modo a dire poco scandaloso.

I protagonisti di Greenland si muovono in modo discutibile

John e Allison, messi alle strette dal precipitare degli eventi, non esitano a voltare le spalle agli amici, a cercare di intortare un ufficiale per fare imbarcare il loro figlio su un aereo e, più in generale, a mettere in pericolo la vita degli altri pur di salvare la propria.

Comportamenti che gettano una pessima aura attorno ai protagonisti, tanto che è difficile provare empatia per loro.

Il film, che ha ignorato ogni possibilità di salvare la Terra,

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tanto che la scienza non trova spazio nella pellicola, sembra volere immergere lo spettatore in un bagno della peggiore mediocrità umana.

La fine del mondo è solo un pretesto per mettere in scena il peggio che la gente comune può fare, e pensare, in una situazione di emergenza, in cui quello che sembra animare le persone è la volontà di salvare la ghirba. E se per raggiungere questo obiettivo gli altri devono lasciarci le penne, affari loro.

Solo chi indossa una divisa sembra conservare una tensione verso ideali superiori, mentre la gente comune è spinta dall’istinto di autoconservazione. Quanto a eroi che lottino per salvare il pianeta a rischio della propria vita, non se ne vede manco l’ombra, ma forse questo è un bene, perché ne abbiamo già visti a palate in innumerevoli pellicole del genere.

Greenland: un film a basso budget, e si vede

In effetti Greenland è un disaster movie abbastanza atipico, anche dal punto di vista degli effetti speciali, che non sono di certo esaltanti. In particolare, le scene catastrofiche dove il colore dominate è l’arancione risultano essere particolarmente piatte. Fatto che di certo non aiuta ad aumentare la spettacolarità di questo film.

Forse da una pellicola costata solo 34 milioni di dollari non ci si poteva aspettare di più. Ma se Waught voleva realizzare un prodotto che si differenziasse in modo netto da altri film catastrofici, doveva impegnarsi di più, per produrre qualcosa di cinematograficamente rilevante. Non basta raccontare una storia dal punto di vista della gente comune. Bisogna farlo bene.

Greenland: un film tutto sommato mediocre

Forse il vero punto debole di questa pellicola risiede proprio nella storia, troppo lineare e scontata, con alcune scene che

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rasentano il risibile, in fatto di prevedibilità di quanto accade nell’inquadratura successiva. E non bastano attori come Gerard Butler per dare spessore a personaggi piatti e stereotipati.

L’arco narrativo dei protagonisti può essere riassunto con il ritorno dell’amore nella famiglia Garrity, ottenuto grazie agli eventi che portano alla sparizione del 75% delle specie viventi sul pianeta e alla distruzione del continente europeo e di qualche altra nazione. Forse un prezzo un po’ troppo alto da pagare.

Se a questo aggiungiamo l’assenza di effetti speciali coinvolgenti e di scenari fantascientifici capaci di fare sognare lo spettatore, mantenere la sospensione della incredulità è veramente difficile, anche per gli amanti del genere, magari pronti a chiudere un occhio sui suoi limiti intrinseci. Ma sicuramente non vogliosi di guardare qualsiasi cosa, solo perché Gerard Butler interpreta il protagonista maschile del film.

Si poteva fare di meglio. Peccato, perché l’idea di base è buona.

Al Visionario dal 12 al 14 ottobre IL CASO PANTANI – L’OMICIDIO DI UN CAMPIONE.

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IL CASO PANTANI

L’omicidio di un campione

Al Visionario dal 12 al 14 ottobre.

Prevendita biglietti attiva

UDINE – A 16 anni dalla sua scomparsa, arriva al cinema IL C A S O P A N T A N I – L ’ O M I C I D I O D I U N C A M P I O N E : u n n o i r contemporaneo, un thriller, ma anche un film d’inchiesta, un biopic, un film drammatico che racconta gli ultimi cinque anni della vita del ciclista romagnolo, in particolare dal 5 giugno 1999, quando è stato sospeso dalle gare, al 14 febbraio 2004, giorno della sua morte. È il racconto di Marco e delle tre fasi della sua breve vita: tre anime, tre interpreti, un solo

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uomo. IL CASO PANTANI è la storia di un atleta che è diventato un mito. Un mito che è stato distrutto. Una vittima che non ha ancora avuto giustizia. È la storia di un uomo appassionato e tenace e delle sue contraddizioni. Il film sarà in programma al Visionario dal 12 al 14 ottobre alle ore 20.30. Prevendita biglietti attiva online e presso la cassa del cinema (biglietto intero €10, ridotto €8).

“Abbiamo pensato a questo film – dice il regista Domenico Ciolfi – con la volontà di raccontare al pubblico il dramma personale di un uomo. Marco Pantani è stato ed è ancora un fenomeno sociale, amato, seguito,invidiato, “chiacchierato”, come è inevitabile che accada a tutti i campioni sportivi capaci di appassionare un intero paese con le proprie gesta.

La storia di Pantani è un racconto che si snoda lungo la cronaca del nostro paese tra interessi economici, criminalità organizzata, traffico di stupefacenti, scommesse clandestine, leggende della malavita. Una storia di amicizia tradita, di amore perduto, di dipendenza e di immensa desolazione, come quella che lo ha accolto in un limbo senza vita lungo quasi cinque anni. Ma è anche la narrazione della vita di un semplice ragazzo di mare e delle sue imprese sulle vette più alte d’Europa. Dei suoi sogni, della sua incredibile voglia di vivere.”

Per maggiori informazioni sulla programmazione consultare www.visionario.movie oppure facebook.com/VisionarioUdine.

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IL CASO PANTANI

L’OMICIDIO DI UN CAMPIONE

di Domenico Ciolfi, Italia 2020, 90’

VISIONARIO

dal 12 al 14 ottobre ore 20.30

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biglietto intero €10, ridotto €8

Cinema: un faro di luce nel manifesto del 61/mo Festival dei Popoli, dal 15 al 23 novembre a Firenze

Firenze, 9 ottobre – Un faro con un fascio di luce che guarda lontano, come quello di una cabina di proiezione, che si allarga in prospettiva e si spande su un mondo nuovo, quello dell’emergenza sanitaria, con occhi diversi ma con un modo unico di guardare la realtà. È il rappresentativo e allegorico protagonista del manifesto della 61esima edizione del Festival dei Popoli – Festival Internazionale del Film documentario – a Firenze dal 15 al 22 novembre in vari luoghi della città, con la sala principale al cinema La Compagnia.

“In occasione della 61a edizione – hanno spiegato i co- direttori del festival Claudia Maci e Alessandro Stellino – abbiamo pensato di guardare al mondo con occhi diversi, dove il faro del cinema documentario getta una nuova luce per tutti, nella speranza di una ripresa che passi anche attraverso il potere di (ri)creare immaginari proprio dell’arte cinematografica”.

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Tizza Covi e Rainer Frimmel

Il festival, tra gli highlight del programma, prima di svelare il day by day completo, presenta la retrospettiva completa a Tizza Covi e Rainer Frimmel, tra i rappresentanti più significativi del documentario narrativo contemporaneo. Dopo il debutto con Babooska (2006, vincitore del Concorso italiano al Festival dei Popoli), hanno ottenuto il plauso della critica internazionale con La pivellina (2009), selezionato alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes e poi vincitore del Premio Miglior Film alla Mostra del Cinema di Pesaro (oltre alla ‘nomination’ all’Oscar per il miglior film straniero austriaco). “Il loro lavoro profondamente originale – spiega Daniela Persico, curatrice della retrospettiva e componente del comitato di selezione – indaga la dimensione del “cinema del reale” e si abbandona liberamente ad esso, con uno sguardo umano nei confronti dei protagonisti e la capacità di raccontare le loro vite marginali in modo empatico e coinvolgente”. Dopo The Shine of Day (2012) e Mister Universo (2016), il loro ultimo film Notes From the Underworld, presentato alla Berlinale 2020, è ambientato nel contesto della malavita viennese degli anni Sessanta dove, in un controverso processo, il cantante Kurt Girk e il suo leggendario amico Alois devono pagare la vicinanza al gioco di carte illegale “Stoss” con lunghe pene detentive. Una lettera d’amore a una Vienna del passato che è anche un ritratto sociale dell’Austria del dopoguerra. La retrospettiva è organizzata in collaborazione con la Austrian Film Commission e il Forum Austriaco di Roma.

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Il programma, oltre al Concorso Internazionale (18 film tra cortometraggi, mediometraggi e lungometraggi, tutti inediti in Italia) e al Concorso Italiano (7 i titoli, tutti inediti assoluti, per un viaggio appassionante nell’Italia di oggi), si articola in Eventi Speciali (i film spettacolari per il grande pubblico); nella sezione Let the Music Play dedicata alla musica; al focus Habitat dedicato all’ambiente, in streaming in esclusiva sulla piattaforma online di MYmovies.it e poi Doc Explorer, in collaborazione con la Fondazione Giacomo Brodolini, che si propone di indagare quei territori di confine in cui il cinema incontra altre forme di espressione e gli spazi (virtuali e non) messi a disposizione dalle novità tecnologiche. In programma anche una sezione dedicata ai giovani spettatori e alle famiglie (Popoli for Kids and Teens, in collaborazione con KinderDocs e Krakow Film Festival, Cinema Stensen e Lanterne Magiche) e una alla formazione, con il Doc at Work – Future Campus, protagonisti i nuovi talenti provenienti dalle principali scuole di cinema europee, realizzato con Toscana Film Commission e Cinema La Compagnia.

La 61/ma edizione del Festival dei Popoli è realizzata con il contributo di MiBACT – Direzione Generale Cinema, Regione Toscana, Comune di Firenze, Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze, Fondazione Sistema Toscana.

E.L.

PORDENONE Giornate del Cinema

Muto: Gran finale con “Laurel

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o Hardy”

LE GIORNATE DEL CINEMA MUTO – LIMITED EDITION

NEL PROGRAMMA “LAUREL O HARDY” CHE CHIUDE IL FESTIVAL LA PRIMA MONDIALE DEL RICOSTRUITO MOONLIGHT AND NOSES DIRETTO DA STAN LAUREL

Gran finale e risate garantite alle Giornate del Cinema Muto Limited Edition, e davvero in questi tempi tristi la comicità sembra la miglior panacea. E quali medici migliori dei mitici Stan Laurel e Oliver Hardy – o più familiarmente Stanlio e Ollio – non già come coppia ma quando ancora agivano separatamente. Grazie alla Lobster Films di Parigi e all’americana Library of Congress, saranno loro i protagonisti dell’evento speciale di chiusura “Laurel o Hardy”, in streaming sabato 10 ottobre (a partire dalle 20.30) con l’accompagnamento di Neil Brand, e della replica in presenza al Teatro Verdi di Pordenone domenica 11 ottobre alle 16.30 con l’accompagnamento dal vivo dei musicisti della Zerorchestra.

Fu davvero una misteriosa alchimia artistica quella che diede vita al duo comico più famoso di sempre perché personalità e caratteristiche – oltre a quelle fisiche – più diverse non si potrebbero immaginare. Britannico di nascita, famiglia di attori e lunga gavetta nel music-hall e nel vaudeville, Stan Laurel si distinse all’inizio non solo come attore ma anche come sceneggiatore e regista, mentre Oliver Hardy, americano della Georgia, nato in una famiglia di origini inglesi e scozzesi completamente estranea al mondo dello spettacolo, aveva da piccolo la passione per il canto. Il cinema arrivò più tardi, intorno ai 18 anni. Favorito anche dalla notevole stazza fisica, Oliver (all’epoca noto con il soprannome

“Babe”) Hardy non tardò a imporsi nelle comiche, all’inizio nel ruolo del grassone cattivo.

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Alle Giornate vengo presentati due film con Hardy, The Serenade, del 1916, e The Rent Collector, del 1921, diretto e interpretato nel ruolo principale da Larry Semon, uno dei maggiori comici di Hollywood, famoso anche in Italia come Ridolini. Semon, che era molto generoso con gli attori che lavoravano con lui, valorizzò da subito Oliver, di cui divenne grande amico e al quale trasmise l’amore per il golf, uno sport che per Hardy divenne un’ossessione.

Stan Laurel attore lo troviamo in Detained (1924) di Percy Pembroke e Joe Rock, con sceneggiatura di Tay Garnett (che diventerà il regista di Il postino suona sempre due volte) e nella parodia di Rodolfo Valentino, che diventa Rhubarb Vaselino, nell’unico rullo rimasto di When Knights Were Cold (1922), film in costume che, come si usava all’epoca, sfruttava i set già costruiti per altri film più fastosi e costosi. Piatto forte del programma è la prima mondiale del ricostruito Moonlight and Noses, del 1925, di cui Laurel è regista e sceneggiatore. Il film è stato restaurato integrando la copia esistente alla Library of Congress con una copia in 16 mm proveniente dal National Film & Sound Archive di Canberra, conservata forse per la presenza nel cast da protagonista di Clyde Cook, gloria del cinema australiano. Nel film appare anche Fay Wray, l’eroina del primo King Kong, indimenticabile ospite delle Giornate del Cinema Muto nel 1999, quando il festival si svolgeva a Sacile.

Il programma “Laurel o Hardy” è preceduto nel pomeriggio (dalle ore 17) da un’altra interessante proposta che arriva dal Danske Filminstitut di Copenaghen: il nuovo restauro di Ballettens Datter (La figlia del balletto), del 1913, diretto da Holger-Madsen, uno dei registi di punta della Nordisk Film nel periodo d’oro del cinema scandinavo.

Protagonista di questa “commedia moderna” – com’era definita nel programma danese dell’epoca – è l’attrice e ballerina Rita Sacchetto, tedesca di origine italiana (il padre era veneziano), famosa per aver portato negli anni ’10 del 900 sui

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palcoscenici di tutto il mondo i Tanzbilder, quadri danzanti ispirati ai dipinti di pittori come Botticelli, Velázquez e altri. Il film ne mette in risalto le doti sia di attrice che di ballerina, interpreta infatti la danzatrice Odette Blant di cui si innamora il conte de Croisset dopo averla ammirata in alcuni spettacoli. Per sposarlo Odette promette di abbandonare il palcoscenico ma ha nostalgia della propria arte e su invito dell’impresario del teatro finirà per accettare di sostituire una collega infortunata. Nel 1917 Rita Sacchetto sposò un conte polacco e la sua carriera di ballerina si interruppe bruscamente nel 1924, quando un amico del marito la ferì incidentalmente al piede con un colpo di pistola.

Per l’approfondimento live che segue la visione di Ballettens Datter, al direttore del festival Jay Weissberg si uniranno Mary Simonson della Colgate University (New York), Casper Tyberg dell’università di Copenaghen e, da Londra, il pianista John Sweeney, che ha accompagnato il film.

Al termine del programma “Laurel o Hardy” di sabato sera, Weissberg dialogherà con Rob Stone della Library of Congress (Culpeper, Virginia), Serge Bromberg della Lobster Films di Parigi; David Robinson, direttore emerito delle Giornate; la figlia di Fay Wray, Victoria Riskin, dal Massachusetts; il pianista Neil Brand da Londra.

IL PREMIO JEAN MITRY 2020 A VERA GYÜREY E J.B. KAUFMAN

Nell’ambito delle Giornate del Cinema Muto di Pordenone viene assegnato ogni anno a personalità e istituzioni che si sono distinte nell’opera di recupero e valorizzazione del

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patrimonio cinematografico il premio internazionale Jean Mitry. Istituito dalla Provincia di Pordenone nel 1986 e, dopo l’abolizione dell’ente nel 2017, sostenuto dalla Fondazione Friuli, il premio è giunto alla sua 35a edizione. Nonostante l’eccezionalità della situazione attuale che ha portato il f e s t i v a l o n l i n e , i l p r e m i o s a r à c o n s e g n a t o virtualmente venerdì 9 ottobre in attesa della cerimonia ufficiale in presenza l’anno prossimo al Teatro Comunale Giuseppe Verdi di Pordenone nel corso della 40a edizione del festival.

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I premiati 2020 sono la storica del cinema e archivista ungherese Vera Gyürey e il ricercatore indipendente americano J.B. Kaufman.

Come insegnante di lingua e letteratura ungherese, Vera Gyürey ha promosso fin dagli anni ’60, in un paese come l’Ungheria che per tradizione prediligeva la cultura letteraria, l’insegnamento del cinema nella scuola media s u p e r i o r e . D o p o e s s e r e s t a t a c h i a m a t a a f a r p a r t e dell’archivio cinematografico nazionale ungherese (Magyar Nemzeti Filmarchívum) nel 1985 dall’allora direttore István Nemeskürty, ne è stata la direttrice dal 1990 al 2011, svolgendo un ruolo fondamentale per la conservazione e il restauro del patrimonio cinematografico ungherese cui ha dato grande impulso, ampliando anche notevolmente le collezioni di cinema muto. Tra le opere restaurate durante la sua direzione il film del 1917, presentato nel 2002 a Pordenone, Az utolsó éjszaka [L’ultima notte] di Jenő Janovics, alla cui scuola si sono formati grandi registi come Kolozsvár, Mihály Kertész e Sándor Korda (di quest’ultimo l’archivio ha restaurato l’unico

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film ungherese conservatosi, Az aranyember [L’uomo d’oro], del 1918). Nel 2007, in occasione dei 50 anni del Magyar Nemzeti Filmarchívum, le Giornate del Cinema Muto hanno ospitato una retrospettiva e una mostra. Insieme al marito, il regista István Szabó, Vera Gyürey è tuttora fra gli spettatori più assidui del festival.

J.B. Kaufman, storico del cinema, fra i maggiori conoscitori dell’opera di Walt Disney e autore di numerosi libri, ha inaugurato la fortunata serie di pubblicazioni con il volume, vincitore del prestigioso Kraszna Krausz, Walt in Wonderland – Nel paese delle meraviglie, firmato con Russell Merritt (premio Jean Mitry nel 2018) e pubblicato dalle Giornate del Cinema Muto nel 1992, in occasione della retrospettiva dedicata alla produzione muta di Disney. Altrettanto fortunato il loro secondo volume, dedicato alle Silly Symphonies, pubblicato dalla Cineteca del Friuli nel 2006. Le ricerche su Disney hanno condotto J.B. Kaufman alla figlia di Walt, Diane, che lo ha successivamente coinvolto in numerosi progetti, affidandogli la stesura di diversi libri fra cui South of the Border with Disney, e le storie “definitive” di due dei capolavori disneyani, Biancaneve e Pinocchio. È inoltre coautore di alcuni volumi pubblicati dalla Taschen e della prima di una nuova serie di monografie sui lavori di Disney meno conosciuti. Alla passione per l’animazione, Kaufman unisce l’interesse per il cinema muto e numerosi sono i suoi c o n t r i b u t i a l l a r i v i s t a d e l l a C i n e t e c a d e l Friuli Griffithiana e soprattutto al pluriennale Progetto Griffith delle Giornate. Da anni sta conducendo approfondite ricerche sulla vita e la carriera dell’attrice e produttrice Blanche Sweet.

dall’inviato

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Giornate del Cinema Muto:

Brigitte Helm, la diva che disse no a Hitler,

La diva scoperta da Fritz Lang con Metropolis (il ruolo della donna robot è una delle icone più famose del cinema di tutti i tempi) è la protagonista di giovedì 8 ottobrealle Giornate del Cinema Muto – Limited Edition (www.giornatedelcinemamuto.it), con Abwege (Crisi), del 1928, diretta da Georg Wilhelm Pabst.

Brigitte Helm, qui alla seconda delle tre collaborazioni con il grande regista austriaco, entra nella galleria delle figure femminili – accanto ad Asta Nielsen, Greta Garbo e soprattutto Louise Brooks – lanciate da Pabst, che incarnano, secondo Lotte Eisner, i grandi sogni romantici e i grandi incubi weimariani. Helm fu interprete di una decina di film muti e sedici sonori, quasi sempre nel ruolo di “femme fatale”.

Lasciò presto e definitivamente il cinema in aperto contrasto con il regime nazista. La relazione di Pabst con il Terzo Reich rimane invece un tema controverso, sebbene il suo film del 1955 Der letzte Akt (L’ultimo atto) sia chiaramente antinazista.

In Abwege, che viene presentato (on line, a partire dalle 20.30) n e l r e s t a u r o d e l M ü n c h n e r F i l m m u s e u m , u n a c o p i a s p l e n d i d a m e n t e i m b i b i t a , Brigitte Helm è una signora ricca e annoiata in crisi con il marito, che decide di aprire un l o c a l e n o t t u r n o p e r u n a clientela altrettanto ricca e annoiata. Il film è un kammerspiel concentrato sugli attori e sulle atmosfere, con movimenti di macchina e un montaggio che mettono ancora una volta in risalto l’eleganza dello stile

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pabstiano. Di Abwegeesistevano poche didascalie e solo il ritrovamento della sceneggiatura originale presso la Cinémathèque française e lo studio di tutte le recensioni tedesche e dei programmi di sala hanno permesso la ricostruzione dei cartelli originali, essenziali per comprendere le dinamiche tra i personaggi.

Un’ultima curiosità: il protagonista maschile è il viennese Gustav Diessl, che dalla seconda metà degli anni ’30 e fino al 1948 lavorò in Italia anche con Carlo Campogalliani, presente nel programma delle Giornate con la commedia La tempesta in un cranio.

Per parlare del film di Pabst, del restauro che ne ha rivelato p i e n a m e n t e s i g n i f i c a t o e o r i g i n a l e b e l l e z z a e dell’accompagnamento musicale eseguito per le Giornate, seguirà la conversazione di Jay Weissberg con Stefan Drössler, direttore del Filmmuseum di Monaco, e con il pianista pordenonese Mauro Colombis da Sydney.

A svelare i segreti dell’arte di creare la musica per il cinema muto nella masterclass di giovedì 8 ottobre, in programma dalle ore 16, sarà il pianista e compositore canadese Gabriel Thibaudeau. Nello spazio dedicato ai libri (dalle ore 17) Richard Abel, autore di Motor City Movie Culture, 1916-1925, ci parlerà della nascita della cultura cinematografica a Detroit, la capitale statunitense dell’automobile. Il colore nel cinema degli Anni Venti e l’influenza delle diverse tecniche di colorazione sulla cultura visiva di un secolo fa saranno oggetto del secondo incontro con gli autori di Chromatic Modernity: Color, Cinema, and Media of the 1920s, Sarah Street in collegamento da Bristol e Joshua Yumibe dal Michigan.

Le Giornate del Cinema Muto sono realizzate grazie al sostegno della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, del Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Direzione Generale per il Cinema, del Comune di Pordenone, della Camera di Commercio

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Pordenone-Udine e della Fondazione Friuli.

Enrico Liotti

Pordenone Giornate del Cinema Muto: lunedì 5 ottobre è il giorno di Sessue Hayakawa, sex symbol di Hollywood prima di Valentino

Dalla maggiore cineteca giapponese, il National Film Archive of Japan di Tokyo, arriva la proposta del film di lunedì 5 ottobre per le Giornate del Cinema Muto Limited Edition, Where Lights are Low (Il principe T’su), del 1921, per la regia di Colin Campbell. Il film è in programma a partire dalle 20.30e rimane disponibile alla visione in streaming per 24 ore.

Tratto da un racconto di Lloyd Osbourne, figliastro di Robert Louis Stevenson, il film offre l’occasione di ammirare, e forse conoscere, l’arte di un grande attore, Sessue Hayakawa, oggi quasi dimenticato ma che all’epoca rivaleggiava per popolarità con Chaplin, Douglas Fairbanks e John Barrymore, e che anticipò il mito erotico di Rodolfo Valentino presso il pubblico femminile.

Nato da una famiglia agiata – il padre era governatore della regione – Hayakawa dovette rinunciare alla carriera militare per un difetto all’udito. Si trasferì negli Stati Uniti per

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motivi di studio dove fu notato dal regista Thomas H. Ince, che lo fece debuttare nel cinema. Con uno dei suoi primi film, The Cheat (I prevaricatori) di Cecil B. DeMille del 1915 ottenne uno straordinario successo di pubblico e critica nel ruolo di un personaggio negativo e fascinoso che per lui diventerà uno stereotipo. Anche per liberarsene, Hayakawa, che era tra i divi più pagati a Hollywood, fondò la Haworth Pictures Corporation con la quale produsse una ventina di film fino ai primi anni ’20, quando il sentimento antigiapponese determinò il fallimento economico della compagnia. Hayakawa tornò in Giappone e poi tentò la fortuna in Francia e in Inghilterra. A Parigi trascorse gli anni della seconda guerra mondiale in ristrettezza economica vendendo i suoi acquerelli per sostentarsi. La sua presa di posizione contro il nazismo gli consentì il ritorno in America dove girò un film con Humphrey Bogart e, nel 1957, Il ponte sul fiume Kwai di David Lean per il quale ottenne la nomination all’Oscar come miglior attore non protagonista, primo attore asiatico della storia.

La morte della moglie Tsuru Aoki, anche lei attrice, sposata nel 1914, lo spinse ad allontanarsi definitivamente da Hollywood e a ritornare in Giappone per diventare monaco buddista. Morì a Tokyo nel 1973 e la sua stella è oggi impressa nella Hollywood Walk of Fame.

Nel film presentato alle Giornate, Where Lights are Low, Hayakawa è un principe cinese, il cui amore per una ragazza di umile estrazione sociale viene osteggiato. Nel ruolo dell’eroina cinese l’attrice americana Gloria Payton e in quello del capobanda della malavita cinese nella Chinatown di San Francisco, dov’è ambientata la storia, l’attore giapponese Togo Yamamoto che, tornato in patria nel 1925 avrebbe lavorato con registi come Yasujiro Ozu e Hiroshi Shimizu.

Considerato a lungo perduto, Where Lights are Low è stato ritrovato alla Jugoslovenska Kinoteka a Belgrado, con didascalie in lingua croata, e data l’importanza di Hayakawa come divo di origine giapponese, il National Film Archive of

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Japan si è incaricato del restauro.

Il film è preceduto da un cortometraggio comico di dieci minuti, Toodles, Tom and Trouble diretto da Lloyd F. Lonergan nel 1915, una scatenata commedia degli equivoci con protagonisti una neonata, un giovanotto e un cane.

Fra gli esperti che interverranno nella discussione live dopo la visione del film: Daisuke Miyao, docente all’Università della California a San Diego e autore dell’unica biografia accademica di Sessue Hayakawa; Ned Thanhouser, nipote del fondatore del mitico studio Thanhouser; e il musicista e storico Philip Carli.

Non solo film. Anche in questa edizione on line non mancano gli eventi collaterali del festival. Il pomeriggio di lunedì 5 ottobre partono le masterclasses (dalle ore 16.00) preparate dai musicisti delle Giornate, un momento importante per chi vuole intraprendere l’arte dell’accompagnamento dei film muti o anche solo affinare la propria conoscenza dei meccanismi del cinema. La prima lezione è a cura di Donald Sosin. Le presentazioni di libri, a partire sempre da lunedì (dalle 17.00), si aprono con Rediscovering Roscoe: The films of

“Fatty” Arbuckle di Steve Massa, un libro esaustivo su questo attore comico americano all’epoca famosissimo ma la cui carriera fu distrutta da uno scandalo; e Film’s First Family.

The Untold Story of the Costellos di Terry Chester Shulman, un altro studio su fama e oblio condotto attraverso la storia della famiglia Costello, star pionieristiche le cui vite turbolente si incrociarono con quelle dei Barrymore.

Le Giornate del Cinema Muto sono realizzate grazie al sostegno della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, del Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Direzione Generale per il Cinema, del Comune di Pordenone, della Camera di Commercio Pordenone-Udine e della Fondazione Friuli.

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