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VETRERIA DA LABORATORIO

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Academic year: 2022

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VETRERIA DA LABORATORIO

Il vetro è il materiale più utilizzato in laboratorio; poiché è dotato di particolari proprietà, quali trasparenza, scarsa reattività con i reagenti chimici, ecc., ci presta egregiamente all’uso.

Tra le diverse qualità di vetro, usate per esigenze particolari in laboratorio, si annoverano il vetro Pyrex o il vetro Duran. Questi particolari vetri sono dotati di basso coefficiente termico di dilatazione, sono in grado di resistere a sbalzi termici e inoltre sono particolarmente resistenti agli alcali, ali acidi come pure al cloro, allo iodio, alle sostanze organiche.

Il vetro usato in laboratorio viene aggredito in superficie, man mano che aumentano la temperatura e la concentrazione, dall’a- cido fluoridrico e dall’acido fosforico.

3.1. VETRERIA DI USO COMUNE

* Provette o tubi da saggio

Sono tubi di vetro (speciale e comune) chiusi a un’estremità con un fondo tondo o conico. Con o senza orlo, con o senza tappo a vite. A seconda dell’uso esistono provette 16 x 100 (più usate in laboratorio di chimica) e quelle 16 x 160 (più usate in laboratorio di microbiologia), ma anche 8 x 80, 12 x 100, 18 x 180, 30 x 200, dove il primo numero si riferisce al diametro e il secondo alla lunghezza.

* Beute o matracci di Erlenmeyer

Sono recipienti a forma conica con capacità che varia tra 25 e 5000 ml. In vetro o in policarbonato, possono avere il collo stretto o largo, liscio o smerigliato, con tappo o senza. Sono particolarmente indicati per preparare soluzioni, specialmente a caldo, e per decantare i liquidi senza disturbare il precipitato, ma anche per conservare soluzioni, mezzi di coltura ecc.

* Bicchieri o bechers

Sono contenitori cilindrici in vetro, in polipropilene, in teflon, in polimetilpentene, con gradazione o senza, con orlo svasato e con becco. La capacità varia da 5 ml fino a 10.000 ml e per la loro versatilità sono adatti a molteplici usi: decantazione, titolazione ecc.

* Palloni a fondo piatto

Hanno varie dimensioni (da 50 ml a 10.000 ml) e possono essere a collo lungo oppure corto, smerigliato o non, con tappo o sen- za. Sono generalmente usati per preparare e conservare soluzioni.

* Palloni a fondo sferico

Simili ai precedenti, sono molto usati nella distillazione e quando si opera sotto vuoto.

* Imbuti

In vetro, polipropilene, acciaio, hanno dimensioni varie sia come diametro (si va da 3 cm fino a 20 cm) che come gambo (corto o lungo). Quelli a gambo lungo sono usati per filtrazioni quantitative rapide.

3.2. VETRERIA TARATA

Visto che l’attendibilità del risultato di una prova d’analisi dipende in gran parte dalla precisione con la quale si misurano i volume dei campioni, è necessario prestare molta attenzione durante l’uso.

La vetreria tarata serve per misure volumetriche di precisione. Essa infatti è stata misurata con la massima accuratezza a una determinata temperatura (20°C) e la capacità è riportata in ml. Va usata assolutamente asciutta; qualora ciò non fosse possibile, occorre procedere alla cosiddetta “avvinatura”, cioè a un risciacquo, ripetuto tre volte, con il liquido da misurare.

* Cilindri graduati

Sono recipienti di forma cilindrica provvisti di base d’appoggio circolare o esagonale. Sono graduati in ml con striscia di Schellbach o senza, di varia capacità (da 10 ml a 2000 ml), con tappo (in vetro o in polietilene) o senza, con becco o senza, in vetro, in polipropilene o in polimetil pentene.

Il loro uso corretto prevede che: – venga scelto il cilindro la cui capacità sia molto vicina al volume da misurare; – il travaso avvenga lentamente; – la lettura del volume avvenga con il cilindro posto su piano orizzontale.

* Palloni tarati (matracci)

Sono palloni a fondo piano e con collo lungo e stretto, usati generalmente per preparare soluzioni titolate.

Sul collo del pallone è presente una tacca di taratura corrispondete al volume tarato. Per una misurazione esatta del volume occorre far corrispondere la tangente del menisco con la tacca. Se la sostanza da sciogliere è difficilmente solubile, evitare di riscaldare il pallone sulla fiamma diretta, potrebbe stararsi. È più corretto non riempire completamente il pallone, portarlo a bagnomaria a circa 50°C procedendo alla solubilizzazione e poi aggiungere il solvente fino alla tacca.

* Pipette graduate

Sono tubi di vetro forgiati appositamente per aspirare (con perette, pompette a tre valvole o palle di pileo, aspiratori automa- tici) volumi ben definiti. Essi terminano a punta con un foro tanto più piccolo quanto maggiore è la precisione della pipetta.

La capacità varia tra 0,1 ml e 100 ml. La graduazione divide la capacità della pipetta in ml, decimi di ml e, a volte, anche in centesimi di ml. Possono essere a svuotamento completo oppure la scala graduata può terminare a una certa distanza dalla punta (pipette con spazio morto).

* Pipette tarate o a bolla

Sono pipette tarate ma non graduate. Presentano al centro una bolla di riempimento. Servono per trasferire determinati volumi e presentano, rispetto alle normali pipette, il vantaggio di una maggiore precisione.

Quando si devono pipettare liquidi caustici, acidi o particolari solventi, è necessario fare uso della peretta, della pompetta a tre valvole o palla di pileo. Il loro uso è comunque necessario anche per evitare di portare pipette alla bocca.

* Burette

Sono tubi di vetro chiusi all’estremità da un rubinetto che può essere di vetro o di teflon. I primi funzionano bene solo se si ingras- sano le superfici smerigliate del rubinetto e se non si lasciano a lungo a contatto con soluzioni alcaline; quelli in plastica non han-

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no bisogno di particolare manutenzione. Recentemente sono state messe a disposizione anche burette digitali per titolazioni automatiche e semiautomatiche. La loro capacità varia da 10 a 50 ml, presentano graduazioni da 1 ml e da o,1 ml con lo zero in alto. Dalla parte opposta a quella sulla quale sono incise le tacche di graduazione, si nota una strisce verticale blu su smalto bianco (riga di Schellbach), che serve per misurare più accuratamente i liquidi trasparenti. Essendo la buretta utilizzata per misure di precisione (titolazioni), si richiedono le stesse regole d’uso della vetreria tarata. Si raccomanda pertanto la verticalità e la perfetta pulizia, oltre ad accertarsi che non ci siano bolle e’aria. In tal caso far defluire il liquido fino a eliminare le bolle, agendo delicatamente sul rubinetto. Di uso più pratico, nelle analisi di routine, le burette semiautomatiche di Pellet e, in particolare, le più moderne burette digitali, che consentono misurazioni precise e semplici anche nelle titolazioni più accurate.

3.4 RECIPIENTI DI PORCELLANA

La porcellana è un materiale abbastanza presente in laboratorio per la sua resistenza alle temperature elevate (fino a 1400°C il tipo smaltato, fino a 1100°C quello non smaltato), per la durezza (VIII grado nella scala di Mohs) e la resistenza agli urti.

Gli acidi non attaccano la porcellana dura nemmeno alla temperatura di ebollizione (escluso l’acido fluoridrico e quello fosforico concentrato). Nell’operare con acido fosforico e con alcali concentrati, si raccomanda l’uso della porcellana dura non smaltata.

* Capsule

Recipienti a fondo piatto o a fondo semisferico, con o senza becco per travaso, di militato spessore, a concavità variabile e diame- tro tra i 4 e i 18 cm. Vengono utilizzate per portare a secco le soluzioni (far evaporare completamente il solvente) e nelle calcina- zioni. Oltre che in porcellana, le capsule possono essere in vetro di laboratorio, in acciaio, in nichel, in platino, in PTFE (politetra fluoroetilene).

* Crogioli

Recipienti a forma tronco-conica, di spessore consistente e, a volte, provvisti di coperchio. Hanno diametro fra 3 e 7 cm e capaci- tà variabile tra 15 e 160 ml. Si usano per la fusione delle sostanze che richiedono elevate temperature e, quelli adatti, anche per filtrare. Anche i crogioli sono disponibili in acciaio, platino, zirconio, nichel, quarzo e vetro speciale.

* Mortai

Recipienti a pareti spesse, muniti di pestello, utilizzati per frantumare e mescolare intimamente sostanze solide. Variano tra i 70 e 1000 ml di capacità. Sono in acciaio, vetro, agata.

3.5 MATERIALE VARIO

In un normale laboratorio è necessaria una dotazione di materiale vario, che qui di seguito viene brevemente elencato:

porta pipette / porta provette / spatole di varia grandezza / pinze di metallo e di legno di varia dimensione / reticelle spargifiamma con inserto di ceramica nella zona centrale / triangolo di ferro rivestito di ceramica / cucchiai / rubinetti a pina e a vite / bacchette di vetro / sostegni e supporti (stativi) vari / spruzzette / vetrini d’orologio / bottiglie con contegocce / ancorette magnetiche / parafilm / forbici varie / vetrini portaoggetto e coprioggetto / contaminuti / bacinelle varie / etichettatrice / fogli di alluminio / pennarelli per vetro e per porcellana / tripodi di sostegno / palline di vetro per ebollizione / pinzetteria varia

PULIZIA DELLA VETRERIA

La pulizia ha un’importanza fondamentale nel laboratorio, in quanto qualsiasi fonte di alterazione e d’inquinamento inficia l’attendi- bilità del risultato. Per ottenere i migliori risultati nella pulizia della vetreria è necessario precisare che occorre evitare le soluzioni alcaline (salvo particolari casi) perché corrodono il vetro. Meglio usare soluzioni acide e sostanze detergenti.

Tra le soluzioni acide si ricordano:

a) Miscela solfocromica La miscela solfocromica si prepara ponendo in una beuta da 500 ml 10 g di bicromato di potassio e 15 ml di acqua distillata. Si aggiunge poi, molto lentamente, acido solforico concentrato agitando la soluzione tra un’aggiunta e l’altra. Il contenuto della beuta si presenta di un colore rosso molto denso con fase solida; si aggiunge acido solforico fino a disciogliere la fase solida, si lascia raffreddare e poi si trasferisce in una normale bottiglia di vetro o di politene con tappo a tenuta.

Si usa, con molta precauzione (guanti resistenti agli acidi), per la pulizia finale e completa della vetreria. Occorre innanzitutto eliminare i residui eventualmente presenti e poi immettere un po’ di miscela nel contenitore; roteare per far sì che la miscela bagni le superfici e scolare poi la miscela nella sua bottiglia. Lasciare a riposo il tempo necessario e poi sciacquare abbondantemente con acqua distillata. Se lo sporco è particolarmente resistente, si può operare immergendo per un certo tempo la vetreria nella miscela o addirittura operando con miscela calda (70-80°C). La soluzione può essere usata fino a quando non assume il colore verde del cromo, dopo si può eliminare. Va manipolata con molta cautela, perché è una miscela altamente corrosiva.

b) Soluzioni diluite di acido cloridrico o di acido nitrico Sono preparate partendo dagli acidi commerciali, utilizzandoli in soluzioni che vanno dal 5 al 20%.

c) Solventi Lo sporco dovuto a grassi, sostanze organiche, ecc. è facilmente rimovibile usando opportuni solventi. I più utilizzati sono l’alcool etilico, l’acetone, l’etere etilico ecc. Si consiglia, dopo il lavaggio, di sciacquare il contenitore dapprima con acetone (solvente idrosolubile) e poi con acqua distillata.

d) Sostanze detergenti Sono molte in commercio. Vengono sciolte in acqua calda (2-10%) e l’azione detergente viene coadiuva- ta dall’uso di spazzolini e scovolini adatti. La scelta del detergente deve cadere su prodotti altamente biodegradabili, esenti da fo- sfati, possibilmente schiumogeni. Seguire attentamente le indicazioni per l’uso. Non usare assolutamente spugne metalliche e abrasivi duri. Per pulire molta vetreria esistono in commercio particolari lavavetrerie. Per le pipette occorre innanzitutto

immergerle, appena usate, in un cilindro contenente acqua con piccole quantità di detergente e poi utilizzare il lava pipette. In ogni caso è necessario, dopo il lavaggio, sciacquare abbondantemente con acqua distillata per allontanare anche la più piccola traccia di soluzione acida o di detersivo. Dopo aver sistemato la vetreria capovolta negli appositi cestelli, questi vengono portati in stufa, a 110°C, per l’operazione di asciugatura. Conservare la vetreria pulita al riparo dalla polvere.

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ANALISI PER VIA SECCA

I saggi per via secca costituiscono prove preliminari e di orientamento; vengono eseguiti direttamente sulla sostanza in esame allo stato solido. I più didattici sono: – saggi alla fiamma: basati su principi di ordine fisico; – saggi alla perla: basati su principi di ordine chimico.

Oltre ad attrezzature particolari, descritte di volta in volta, hanno come base comune l’utilizzo della fiamma.

Tra varie attrezzature necessarie, la più usata è la lampada di Bunsen, più conosciuta come becco Bunsen. Esso è costitui- to da una base collegata lateralmente alla sorgente di gas, mentre la parte superiore è provvista di un foro attraverso il quale fuo- riesce il gas. La parte superiore della base è avvolta da un cilindretto forato il cui compito, a seconda della posizione, è di regolare il flusso dell’aria. Lo strumento termina con un tubo avvitato sulla base che convoglia la miscela aria-gas fino all’uscita dove, in presenza di una scintilla, si sviluppa la fiamma.

Il becco Bunsen ha subito modifiche nel corso degli anni e, pur presentando l’identica configurazione di base, si è arricchito di accessori per renderlo più comodo, più idoneo e più sicuro nell’uso. Ecco quindi la presenza della fiammella pilota, del regolatore del gas e, in particolare, di una più efficiente regolazione dell’aria, per giungere fino ai più moderni Bunsen con accensione elettronica, timer incorporato, pannello lampeggiante in caso di pericolo, design avveniristico, ecc.

Nella fiamma dal becco Bunsen, in linea generale, possiamo distinguere un cono interno e un mantello esterno.

Il cono interno è la zona dove il gas risulta non ancora combusto. Dal punto di vista applicativo si distinguono:

a) la zona riducente superiore o vertice luminoso, con sede presso la sommità del cono; essa è dovuta alle particelle carboniose che, liberatesi per decomposizione termica dall’idrocarburo, si arroventano (la temperatura è di circa 1400°C) e producono lu- minosità; il vertice luminoso, maggiormente evidente con il regolatore dell’aria chiuso, ha elevato potere riducente;

b) la zona riducente inferiore, identificabile come posizione tra la metà e 1/3 dalla base del cono interno.

Il mantello esterno costituisce la zona interessata dalla combustione della miscela aria-gas. I punti più utilizzati dal punto di vista applicativo sono:

a) zona di ossidazione superiore, sulla punta del mantello, caratterizzata da elevato potere ossidante, maggiormente espresso in condizioni di massima apertura del regolatore d’aria;

b) zona di ossidazione inferiore, posta sull’orlo esterno del mantello a circa 1/3 dalla base della fiamma;

c) zona di massima temperatura (circa 1550°C) situata in posizione intermedia tra il limite interno ed esterno del mantello, a poco più di 1/3 dalla base della fiamma;

d) zona di minima temperatura (circa 300°C) localizzata, sempre nel mantello, quasi alla base della fiamma.

ANALISI PER VIA UMIDA Filtrazione

È un procedimento atto a separare il precipitato mediante passaggio attraverso un materiale poroso (filtro), che può essere di tela, di carta, di cartone, di porcellana non smaltata, ecc.

Un buon filtro deve: – essere inattaccabile dalle sostanze utilizzate; – avere i pori più piccoli delle particelle di particelle; – ave- re dimensione proporzionata alla quantità di precipitato e non al volume del solvente.

Nel laboratorio scolastico si usa normalmente la carta da filtro che, opportunamente piegata a cono, viene posta nell’imbuto di vetro. Si consiglia di:

– aumentare la superficie filtrante, usando il filtro a pieghe se le procedure prevedono la prosecuzione della prova sul filtrato; i filtri a pieghe sono sconsigliati se si usa il precipitato;

– fare scorrere il liquido da filtrare su una bacchetta di vetro; in tal modo si porta il liquido sul filtro evitando spruzzi e si dà rego- larità all’operazione;

– evitare l’intasamento dei pori del filtro, facendo prima avvenire la decantazione e poi iniziando la filtrazione con la parte più limpida del liquido;

– riempire il filtro fino a qualche centimetro dall’orlo dell’imbuto.

Per filtrazioni difficili è necessario operare con beute da vuoto collegate a una pompa ad acqua applicabile a qualsiasi rubinetto. In questi casi, e in relazione alla depressione provocata nella beuta, è preferibile usare filtri di porcellana oppure imbuti filtranti (Buchner) preparati con carta da filtro o con uno strato di materiale filtrante, a seconda delle condizioni.

Centrifugazione

Consente di separare il precipitato con maggiore efficacia e rapidità rispetto alla filtrazione.

Sostituisce la filtrazione nei procedimenti di semimicro, cambiandone anche l’operatività. Infatti, è meglio che le reazioni di precipitazione avvengano direttamente nella provetta da centrifuga. Questa si sistema nell’apposito loco della centrifuga e la si bi- lancia simmetricamente con un’altra provetta simile con lo stesso peso in acqua. La centrifuga va portata inizialmente a piccole velocità e poi, gradatamente, ad alte velocità, per 1-2 minuti per i precipitati cristallini e 78-8 minuti per i precipitati gelatinosi.

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ANALISI CHIMICA QUANTITATIVA ANALISI GRAVIMETRICA

Il termine gravimetrico si riferisce a una misura di peso, e il relativo metodo consiste nell’effettuare l’analisi per mezzo di una pe- sata. Si distinguono due metodi di analisi gravimetrica. Il primo prevede la separazione della sostanza da esaminare per formazio- ne di un precipitato insolubile che viene poi pesato. Nel secondo metodo si frutta la volatilità di una o più sostanze, e di conse- guenze si può pesare la sostanza separata per distillazione, oppure pesare il residuo. Il metodo più usato è quello per precipita- zione, che sfrutta, ai fini analitici, una reazione irreversibile il cui prodotto finale è un composto a bassa o bassissima solubilità.

Strumenti per l’analisi gravimetrica

Le attrezzature più usate in un’analisi gravimetrica sono la bilancia, il pesafiltro e l’essicatore, oltre alla normale attrezzatura in ve- tro e in porcellana già menzionata.

* Bilancia

Una delle caratteristiche della materia è quella di avere una massa e quindi un peso. La massa rappresenta la quantità di materia di un oggetto. Si misura valutando la forza con cui questo è attratto verso la Terra (forza di gravità) e il valore di tale misu- ra rappresenta il peso. Poiché la forza di gravità dipende dall’altezza sul livello del mare e dalla latitudine terrestre, il peso di un oggetto è una misura che varia con la posizione geografica, mentre la massa rimane invariata in qualsiasi punto geografico. Nella pratica quotidiana, la distinzione tra peso e massa non viene generalmente fatta. Infatti per pesata s’intende l’operazione di confronto tra massa e sia gli oggetti di massa nota che i risultati dell’operazione vengono detti pesi.

Per effettuare la pesata occorre la bilancia. Esistono diversi tipi di bilance, da quelle classiche alle più moderne elettroniche e computerizzate provviste di display, di ampia memoria, di microchips, ecc. La classificazione primaria è la seguente:

– bilancia tecnica, con portata fino a 2 kg; le miglio hanno una sensibilità di 1 mg;

– bilancia analitica, con portata fino a 200 g e presentato una sensibilità tra 0,5 e 0,1 mg;

– bilancia semimicroanalitica, con portata massima di 100 g e una sensibilità tra 0,05 e 0,01 mg;

– bilancia microanalitica, con portata massima di 50 g e una sensibilità compresa tra 0,01 e 0,001 mg.

Le più usate in un laboratorio scolastico sono le bilance tecniche e le bilance analitiche. Queste ultime hanno la necessità di essere collocate in una stanza asciutta, su un piano che non risenta dalle vibrazioni e lontano da fonti di calore. L’indispensabile posizione orizzontale deve essere controllata tramite la bolla di livello posta sul piano della bilancia e si corregge agendo sulle viti poste alla base. Gli sportelli della custodia in vetro dove è contenuto il piatto vanno tenuti sempre chiusi per evitare che polveri, vapori e umidità danneggino i delicati meccanismi. All’interno della custodia in vetro deve essere posto un piccolo becher (oppure bustine) con silica-gel, idonea ad assorbire l’eventuale umidità presente.

Vista la delicatezza della bilancia analitica, è utile riportare alcune norme, la cui osservanza può garantire la sicurezza della pesa- ta e il funzionamento corretto:

– controllare l’orizzontalità della bilancia; – durante la fase di caricamento del campione (e dei pesi, se la bilancia è a piatto dop- pio), usare gli sportelli laterali che devono restare aperti solo il tempo necessario per l’operazione; – contenitori, campioni, pesi, parti del piatto, ecc. non vanno assolutamente toccati con le mani ma con le apposite pinzette metalliche; – bloccare e sbloccare il giogo con estrema delicatezza, specialmente quando il piatto è carico; – durante le fasi di carico e scarico del piatto (o dei piatti) è assolutamente necessario che il giogo sia bloccato, al fine di proteggere il filo del coltello su cui poggia; – evitare di porre diretta- mente sul piatto la sostanza da pesare, meglio servirsi di recipienti di vetro o di porcellana; – i pesi e le sostanze da pesare devo- no essere sempre posti al centro del piatto; – prima di procedere all’uso della bilancia analitica, pulire sempre il piatto con un pen- nellino di setola (di visone o cammello).

Pesafiltro

Nell’analisi gravimetrica è opportuno operare su campioni essiccati. Dopo l’essicazione in stufa, conviene conservare le sostanze in apposite attrezzature dette pesafiltri. Questi sono contenitori cilindrici in vetro (o in polipropilene) con coperchio a incastro, di diverso diametro (da 4 a 8 cm). Le superfici smerigliate del contenitore e del coperchio assicurano una buona tenuta.

Essicatori

Gli essiccatori si usano quando una sostanza, già sottoposta a essicazione in stufa, deve raffreddarsi senza però assorbire l’umidità atmosferica. Sono contenitori cilindrici di vetro, di policarbonato, ecc. a pareti spesse e provvisti di coperchio. Il diametro varia tra i 15 e i 38 cm. L’essicatore, nel fondo, contiene una sostanza chimica disidratante, cioè capace di assorbire l’umidità del- l’aria contenuta nell’essicatore stesso. Le sostanze più usate sono il cloruro di calcio anidro, il solfato di calcio anidro, il perclorato di magnesio anidro, l’anidride fosforica e, molto usato negli ultimi anni, il gel di silice granulare. Il campione da essiccare viene po- sto su un disco di porcellana forato, sostenuto da un restringimento della parete dell’essicatore e posto a circa 3-6 cm dal fondo. Il coperchio, leggermente a cupola, può essere provvisto di rubinetto nella parte più alta. Serve a gestire il vuoto che si potrebbe creare all’interno dell’essicatore. Sia il bordo dell’essicatore che quello del coperchio sono smerigliati e, nell’uso, vengono cospar- si di grasso al silicone o di vasellina, al fine di assicurare una perfetta tenuta. Il coperchio si toglie o si rimette con un movimento di slittamento. Quando si mette un oggetto caldo nell’essicatore, è necessario che esso si raffreddi prima di chiudere il coperchio (oppure aprire il rubinetto e richiuderlo poco dopo).

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RICHIAMI UTILI (misurazioni e calcoli)

Dato che anche i fenomeni chimici sono governati da leggi matematiche, in laboratorio è ordinario dover affrontare situazioni che richiedono una più che sufficiente familiarità con i calcoli. Normalmente la maggior parte delle operazioni riguarda elementari espressioni algebriche, ma talvolta (tenendo conto che la soluzione di vari problemi deve essere trovata in breve tempo) è neces- sario applicare alcuni criteri pratici che semplificano notevolmente le operazioni di calcolo. Dipende chiaramente dall’uso che si fa del laboratorio, ma bisogna conoscere bene la matematica di base e i logaritmi e calcoli in forma esponenziale.

I calcoli matematici hanno come prima base le misure effettuate in laboratorio.

Ogni misura viene sempre espressa con due termini, dei quali uno è riferito al valore numerico e l’altro alla relativa unità di misura. Se, ad esempio, viene misurato un corpo che ha 4,23 di lunghezza, la misura del corpo rimane indefinita fino a quando non si aggiunge il secondo termine (cm, m, km, mm, ecc.). Qualunque grandezza misurabile risulta comprensibile se le dimensio- ni vengono espresse in funzione di unità fondamentali. Di tutte le unità di misura, vengono adoperati multipli e sottomultipli; essi vengono indicati facendo precedere l’unità con un prefisso che indica il fattore di moltiplicazione dell’unità considerata.

Accanto all’unità di misura, è riportato il valore numerico. Esso deriva da una misurazione diretta se si confronta la grandez- za da misurare con l’unità di misura (ad esempio, metro, strumenti tarati, bilancia a bracci uguali, ecc.), da una misurazione indi- retta se si ricava da misure di altre grandezze (la misura della densità, ad esempio, si ricava dal rapporto tra la misura della mas- sa e la misura del suo volume).

Misurando le grandezze si commettono errori che possono essere sistematici o accidentali.

Gli errori sistematici sono da attribuire allo strumento o all’attrezzatura utilizzata; imprecisione delle scale, errata taratura dello strumento o delle attrezzature, errata modalità d’uso, ecc. Essi determinano errori che si ripetono sistematicamente e, quando vengono individuati, deve essere ridotta al massimo la loro influenza.

Gli errori accidentali hanno cause diverse, sono imprevedibili e sono da attribuire generalmente all’operatore; errata lettura di un valore, scarsa attenzione in un’attribuzione di valore, ecc. Essi determinano errori che si discostano in modo evidente dai dati ammissibili. In tali occasioni si ripete più volte la misurazione con la massima attenzione e si può assumere come misura più attendibile la media aritmetica delle misure effettuate.

Il valore numerico esprime una misura che non può essere esatta in senso assoluto. La precisione della misura è limitata dalla riproducibilità dello strumento, che non è mai perfetta. Nel valore numerico è quindi insita un’approssimazione che può essere valutata considerando le cifre significative del numero. Con tale espressione si indicano le cifre sicure più un’ultima, approssi- mativamente esatta ma che si può discostare di un’unità o in più o in meno di quella segnata.

Così,ad esempio, un valore pari a 2,567 significa che lo strumento usato è sensibile al millesimo; cioè, delle quattro cifre significative, tre sono esatte (2,5, e 6) mentre la quarta (7) è definita con l’approssimazione di un millesimo (potrebbe essere un valore tra 6 e 8). Se invece il valore espresso è pari a 2,5670 significa che le cifre significative sono cinque, che le prime quattro sono numeri precisi e l’approssimazione di un decimo di millesimo è sulla quinta cifra significativa, cioè lo zero.

Normalmente lo zero che segue una cifra decimale costituisce cifra significativa. Quindi 12,10 ha 4 cifre significative; 12,120 ne ha cinque; 12,1230 ne ha sei. Lo zero che preceder la virgola o gli zeri che la seguono non sono cifre significati- ve. Per cui 0,12 ha due cifre significative così come 0,020, 0,00024 e 0,0000055, l’ultima delle quali indica sempre l’approssimazione. I numeri interi che terminano con uno o più zeri hanno indefinita l’approssimazione se non si conosce la precisione dello strumento di misura. Per questo motivo, un valore come 7900 è più opportuno scriverlo come 7,9 x 103 se la misurazione è stata effettuata con l’approssimazione del centinaio, 7,90 x 103 se l’approssimazione è alla decina e 7,900 x 103 se l’approssimazione è all’unità.

Nei calcoli in laboratorio è di norma richiesta una precisione di due-quattro cifre significative. I numeri con più cifre possono essere soggetti all’arrotondamento. Esso consiste nel ridurre le cifre, eliminando una o più cifre poste alla destra del numero secondo le seguenti regole:

– se si è eliminata una cifra inferiore a 5, l’ultima cifra rimasta non cambia;

– se si è eliminata una cifra superiore a 5, l’ultima cifra rimasta viene aumentata di 1;

– se la cifra eliminata è pari a 5, l’ultima cifra rimasta rimane invariata se è pari, mentre si aggiunge una unità se è dispari.

Quando si eseguono operazioni matematiche, il risultato finale non deve avere una precisione superiore a quella del dato meno preciso. Ad esempio, se occorre sommare 12,34 + 1,2 + 0,1234 la somma non può essere 13,6634 ma sarà 13,7.

Le misure ricavate in laboratorio vengono utilizzate nei calcoli matematici; essi devono essere sempre espressi come parte integrante delle grandezze considerate per essere trattati insieme nelle operazioni occorrenti.

A tale proposto è utile rammentare che le grandezze possono essere confrontate, sommate o sottratte soltanto se sono “omoge- nee”, cioè se hanno lo stesso significato fisico. Ad esempio: 230ml + 175ml + 15ml = 420ml; 13kg + 0,032kg + 0,1kg = 13,132kg.

Possono invece essere moltiplicate e divise le grandezze eterogenee, cioè di diverso significato fisico ed espresse con diverse unità di misura. In queste operazioni si applicano le regole algebriche di semplificazione, di elevazione a potenza ecc. Ad esempio: 12 m x 5 m2 = 60 m3; 40 l x 2 kg/l = 80 kg; 260 g / 3 g/ml = 120 ml (g / g/ml = g c ml / g = ml)

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