1 Introduzione
Le circostanze che portarono il conflitto afghano alla sua, seppur non ufficiale, deflagrazione sono molteplici e complesse nonché strettamente legate all’evoluzione della situazione politica del tempo.
Gli Stati Uniti, a causa dello scandalo Watergate, esploso nell’estate del 1972, erano entrati in una crisi istituzionale e di leadership da cui riuscirono ad uscire soltanto con l’arrivo alla Casa Bianca di Ronald Reagan nel 1981, sia per quanto riguarda la politica interna ma soprattutto quella estera.
Negli stessi anni, l’Unione Sovietica di Brežnev perseguiva una politica estera d’espansione nel continente asiatico ed in quello africano. Tramite aiuti economici, forniture militari, assistenza tecnica e trattati ufficiali, il governo di Mosca era riuscito a diminuire sensibilmente, ed in alcuni casi a scalzare, la presenza della CIA e di Washington da alcuni paesi. In questo scenario, l’Afghanistan costituiva un caso particolare.
Il paese, confinante con l’Unione Sovietica, occupava una posizione strategica molto importante, essendo infatti ubicato tra India e Iran con gran parte del confine orientale condiviso con il Pakistan. L’India era un paese che, nonostante affermasse la sua neutralità, da anni si era avvicinato a Mosca. In Iran il debole governo filostatunitense dello Scià venne rovesciato dalla rivoluzione di Khomeini annullando l’influenza di Washington, infine il Pakistan, tradizionalmente instabile, nel 1978 aveva subito un golpe militare da parte del generale Muhammad Zia ul-Haq che si era fatto nominare presidente. Anche in questo caso, dato lo scarso appeal che la presidenza Carter aveva dimostrato avere con i dittatori violatori dei diritti umani, a Mosca previdero la scomparsa dell’influenza di Washington. Oltre alla presidenza, anche la CIA attraversava un momento di crisi, avendo perso una visione chiara dei suoi obbiettivi a medio e lungo termine.
Questo insieme di cause rendeva per l’Unione Sovietica la possibilità di espandere la sua influenza nell’area decisamente allettante.
2 Mosca però non intendeva superare una certa soglia di coinvolgimento,
così da poter continuare ad espandersi senza il pericolo di essere accusata di mire imperialistiche.
Il caso dell’Afghanistan sta a testimoniare questa linea politica: i vertici del partito comunista di Kabul richiesero, ufficialmente ed ufficiosamente, svariate volte l’intervento dell’Armata Rossa. D’altra parte Mosca si decise ad agire per evitare di perdere completamente l’influenza acquisita nel paese e confidando in una reazione contenuta della debole presidenza Carter. Paradossalmente proprio questa mossa decretò gran parte dell’esito finale della Guerra fredda.
La mossa azzardata di Mosca generò diverse conseguenze: fece uscire la CIA dalla fase prevalentemente difensiva in cui era entrata da quando Nixon aveva abbandonato la Casa Bianca, contribuì all’elezione, nel 1980, di un presidente che, per due mandati, avrebbe assestato i colpi più violenti e decisivi all’Unione Sovietica nel corso della Guerra fredda.
Oltre a ciò l’avversione ai progetti sovietici riuscì nella difficile impresa di accomunare gli intenti del Pakistan e degli Stati Uniti. In ultima analisi, i sovietici sottostimarono le potenzialità e la feroce resistenza dei mujaheddin, in seguito rinominati da Reagan “combattenti della libertà”.
A questi uomini toccò sostenere la parte di Guerra fredda, che fredda più non era, affrontando l’esercito convenzionale più imponente del mondo.