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(1)9 2.1 NEOPLASIA DELLA MAMMELLA IN RAPPORTO ALLO STILE DI VITA L’incidenza del cancro della mammella è aumentata drammaticamente nel corso dell’ultimo secolo

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2.1 NEOPLASIA DELLA MAMMELLA IN RAPPORTO ALLO STILE DI VITA

L’incidenza del cancro della mammella è aumentata drammaticamente nel corso dell’ultimo secolo. In Italia l’incidenza cumulativa entro i 75 anni è aumentata da 2-3% per le donne nate nei primi anni del 1900 a 8- 9% per le donne nate negli anni ’40. L’aumento di incidenza ha poi quasi arrestato la sua crescita nelle generazioni successive, è ripreso negli anni 90’ in seguito alla diffusione dei programmi di screening, per poi riavere una nuova flessione intorno agli anni 2000 per effetto della saturazione dell’incidenza determinata dagli screening stessi.

Le ragioni di questo aumento di incidenza nell’ultimo secolo sono probabilmente da ricercare nel cambiamento dello stile di vita e dell’ambiente sociale e culturale in cui vivono oggi le donne. Le donne oggi si iscrivono all’università, lavorano fuori casa, usano contraccettivi orali, ritardano sempre più l’età della prima gravidanza, scelgono di avere meno figli, fanno una vita sedentaria, il cibo è cambiato e l’obesità aumenta.

Conosciamo relativamente poco i fattori capaci di alterare gli oncogeni e gli oncosoppressori che regolano la proliferazione delle cellule epiteliali mammarie. Il loro DNA può essere infatti danneggiato da fattori esterni (radiazioni ionizzanti, virus, sostanze cancerogene) ma anche da fattori interni (i radicali liberi o metaboliti mutageni degli ormoni sessuali).

Probabilmente molte sostanze chimiche cancerogene per la mammella negli animali di laboratorio (idrocarburi aromatici policiclici, ammine eterocicliche, n-nitrosocomposti, composti organo clorurati) 6,7, lo sono anche per l’uomo, ma i dati epidemiologici sono ancora scarsi. Si sospetta che interferenti endocrini (come certi pesticidi, in particolare il DDT, le diossine e certi plastificanti, come il bisfenolo A e gli ftalati), favoriscano i tumori mammari per la loro attività ormonale estrogenica.

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Su altri cancerogeni, invece, i dati epidemiologici sono convincenti. E’ noto ad esempio che le radiazioni ionizzanti sono un importante fattore di rischio per il carcinoma mammario soprattutto se l’esposizione si è verificata in giovane età. Le bambine sopravvissute alla bomba di Hiroshima hanno poi avuto un rischio doppio di ammalarsi di carcinoma mammario una volta diventate adulte. Le bambine e le ragazze irradiate per un linfoma di Hodgkin mediastinico hanno poi avuto un rischio altissimo di sviluppare un carcinoma mammario: fino al 30% delle pazienti irradiate entro l’età di 20 anni si sono ammalate nei successivi 30 anni. Il rischio aumenta anche nelle donne irradiate a 30 e 40 anni, ma apparentemente non oltre. Le adolescenti controllate frequentemente con schermografie per tubercolosi hanno avuto un rischio doppio di carcinoma mammario negli anni successivi. Le donne che lavoravano come tecnici di radiologia fino agli anni ’50 si sono ammalate di più delle loro coetanee. Le ripetute radiografie della colonna vertebrale per il controllo clinico della scoliosi aumentano il rischio fin quasi a raddoppiare nelle ragazze che hanno ricevuto una dozzina o più di radiografie. E’ la dose dell’esposizione che ha un impatto sul rischio e dunque esami radiologici ripetuti nelle adolescenti dovrebbero essere effettuati solo se strettamente necessari. Verosimilmente tuttavia, i tumori causati da radiazioni non sono che una piccola minoranza dei carcinomi della mammella totali. Inoltre è importante ricordare che per il carcinoma mammario sporadico diagnosticato entro i 45 anni, la radioterapia nel trattamento del carcinoma primario non si associa ad un aumentato rischio di tumore secondario.

Solo recentemente e stato chiarito che il fumo di tabacco e cancerogeno anche per la mammella. La relazione del tabacco con il cancro della mammella e stata a lungo oscurata da un effetto duplice del fumo di tabacco:

da un lato il tabacco espone a sostanze cancerogene che possono causare tumori, come dimostrato dalla capacita di idrocarburi aromatici policiclici,

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nitrosammine e ammine aromatiche di causare tumori mammari in modelli animali;dall’altro riduce il rischio esercitando un effetto tossico sull’ovaio, riducendo la produzione di estrogeni e anticipando la menopausa. Lo studio EPIC (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition), con 300.000 donne reclutate in 10 paesi europei, ha mostrato che rispetto alle donne che non hanno mai fumato e che non sono state esposte a fumo passivo, il rischio di sviluppare un tumore mammario e del 16% più alto nelle fumatrici, del 14% più alto nelle ex-fumatrici e del 10% più alto nelle donne esposte a fumo passivo.

Molto sappiamo oggi su come l’ambiente interno, ormonale e metabolico, possa favorire la crescita dei tumori mammari: le donne con alti livelli plasmatici di ormoni sessuali, sia maschili sia femminili, di insulina,

di glucosio, di fattori di crescita (in particolare di IGF-I, fattore di crescita insulino-simile di tipo uno) e di molecole dell’infiammazione, si ammalano di più, sia prima che dopo la menopausa. Dopo la menopausa le donne sovrappeso e obese si ammalano di più di carcinoma mammario, con un rischio dell’ordine del 50% in più rispetto alle donne normopeso.

Gran parte del rischio è spiegato dall’ associazione del sovrappeso con una maggiore produzione periferica di estrogeni e con una maggiore biodisponibilità degli estrogeni. L’obesità addominale, generalmente valutata misurando la circonferenza vita, contribuisce verosimilmente al rischio aumentando i livelli di insulina.

Oggi sappiamo che il dismetabolismo e l’insulino-resistenza con elevati livelli di insulina favoriscono la comparsa di molte patologie cronico- degenerative tra cui il carcinoma mammario. La sindrome metabolica è definita dalla presenza di almeno tre dei seguenti fattori: adiposità addominale (circonferenza vita maggiore di 80 cm),iperglicemia (maggiore di 100mg/100ml), ipertrigliceridemia (maggiore di 150 mg/100ml), bassi

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livelli plasmatici di colesterolo HDL (inferiori a 50 mg/100ml), pressione arteriosa maggiore di 85/130 mm Hg.

Ciascuno dei fattori che definiscono la sindrome metabolica è stato riscontrato e associato alla malattia neoplastica in molti studi epidemiologici.

La glicemia elevata, pur entro l’intervallo di normalità, aumenta sia il rischio di sviluppare il carcinoma mammario, sia, in chi si e ammalata, il rischio di sviluppare metastasi.

L’iperinsulinemia caratterizza la sindrome metabolica ma anche in assenza di sindrome metabolica aumenta il rischio di ammalarsi e in chi si e ammalata il rischio di recidiva. L’insulina stimola la sintesi di androgeni nell’ovaio e numerosi studi hanno coerentemente dimostrato che alti livelli plasmatici di androgeni, in particolare di testosterone, sono associati a un alto rischio di ammalarsi, sia prima sia dopo la menopausa.

Le pazienti con testosterone alto, inoltre, hanno un rischio doppio di

recidiva. Tutti questi fattori metabolici, antropometrici ed ormonali che agiscono sul rischio e la prognosi del carcinoma mammario possono essere modificati agendo sullo stile di vita.

Studi prospettici hanno suggerito ad esempio che i principali alimenti che favoriscono l’obesità sono, in ordine di importanza, patatine, patate, carni lavorate, carni rosse fresche, bevande zuccherate, dolciumi e farine raffinate, succhi di frutta, mentre aiutano a non ingrassare frutta, verdura, cereali integrali e semi oleaginosi.

Numerosi studi hanno coerentemente mostrato che le donne che praticano regolarmente esercizio fisico si ammalano di meno. Sommando tutti gli studi mediamente le donne in menopausa riducono il loro rischio del 3% per un impegno settimanale pari a un’ora di camminata molto veloce (7 MET-ora alla settimana), quindi circa del 10% per mezz’ora al giorno. Almeno sette studi hanno riscontrato una prognosi migliore, con rischi relativi di mortalita

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del 30-50% inferiori per le pazienti che praticano attività fisica con intensità fra 9 e 21 Met/h per settimana.

Il meccanismo protettivo e complesso, verosimilmente include l’effetto dell’attività fisica sulla sensibilità insulinica, ma non solo. Importante è poi adottare uno stile alimentare atto a tenere bassa l’insulina ed a ridurre l’insulino-resistenza.

Le raccomandazioni nutrizionali AICR/WCRF23, oggi riprese dal Codice Europeo per la Prevenzione del Cancro, riguardano la prevenzione del cancro in generale, ma molte sono pertinenti alla neoplasia alla mammella (Fig. 2):

· Mantenersi snelli per tutta la vita.

· Mantenersi fisicamente attivi tutti i giorni.

· Limitare il consumo di alimenti ad alta densità calorica ed evitare il consumo di bevande zuccherate.

· Basare la propria alimentazione prevalentemente su cibi di provenienza vegetale, con cereali non industrialmente raffinati e legumi in ogni pasto e un’ampia varietà di verdure non amidacee e di frutta.

· Limitare il consumo di carni rosse ed evitare il consumo di carni conservate.

· Limitare il consumo di bevande alcoliche.

· Limitare il consumo di sale e di cibi conservati sotto sale. Evitare cibi contaminati da muffe.

· Assicurarsi un apporto sufficiente di tutti i nutrienti essenziali attraverso il cibo.

· Allattare i bambini al seno per almeno sei mesi.

· Non fumare

L’aderenza alle raccomandazioni WCRF, d’altro canto, è associata a una minore prevalenza di sindrome metabolica, che è uno dei principali fattori di rischio di carcinoma mammario.

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3. ATTIVITÀ FISICA E CANCRO

Esiste una solida dimostrazione su base epidemiologia che una regolare attività fisica riduce significativamente l’incidenza del cancro. In tutti gli studi sull’uomo sono stati paragonati soggetti portatori o non di cancro tenendo in considerazione la passata attività fisica. Questi studi hanno cercato di dare un peso ad altri fattori come l’età, le condizioni nutrizionali e socioeconomiche, il sesso e la razza. Si possono avanzare molte ipotesi circa il ruolo preventivo giocato dall’attività fisica nel prevenire lo sviluppo del cancro. Ad esempio, questo potrebbe essere correlato all’elevato livello degli ormoni corticosteroidi che si verifica nell’esercizio nel corso del quale si ha anche tendenzialmente ipoglicemia e riduzione della secrezione di insulina. L’attività fisica aumenta anche la produzione di citochine, che sono sostanze antinfiammatorie, inoltre aumenta l’espressione dei recettori insulinici nei linfociti di tipo T coinvolti nella distruzione delle cellule cancerose. Si sa anche l’attività fisica aumenta la produzione di interferone, stimola la glicogeno sintetasi, aumenta il metabolismo dell’acido ascorbico, tutte modificazioni che rallentano lo sviluppo dei tumori.

Esiste un ampio corpus di evidenze epidemiologiche che ritengono che coloro che partecipano a livelli più elevati di attività fisica hanno una ridotta probabilità di sviluppare una varietà di tumori rispetto a quelli che si impegnano in livelli più bassi di attività fisica. Nonostante questa evidenza osservativa, la via causale alla base dell'associazione tra partecipazione all'attività fisica e riduzione del rischio di cancro rimane poco chiara.

L'attività fisica è inoltre un'aggiunta utile per migliorare le conseguenze deleterie sperimentate durante il trattamento del cancro. Queste conseguenze deleterie possono includere affaticamento, debolezza muscolare, capacità funzionale deteriorata e molti altri. I benefici dell'attività fisica durante il trattamento del cancro sono simili a quelli sperimentati dopo il trattamento.

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L’ attività fisica regolare è associata a un minor rischio di morte, mortalità per tutte le cause, recidiva del cancro, e diverse malattie croniche, tra cui il diabete di tipo 2 e malattie cardiovascolari, comorbidità comune condizioni nelle persone che hanno sopravvissuto al cancro. L'attività fisica è anche una componente centrale della gestione del peso. La letteratura disponibile suggerisce che l'attività fisica sia sicura ed è associata positivamente con il controllo del peso, la forma fisica, l’apparato cardiorespiratorio, la resistenza, la qualità di vita, la stanchezza ed altri fattori psicosociali nei sopravvisuti al cancro.

Sono stati effettuati studi su pazienti sottoposti a radioterapia e chemioterapia, utilizzando l’attività fisica come strumento per ridurre il dolore. È stato dimostrato come l’allenamento combinato di attività di controresistenza, attività aerobica e flessibilità sia stato efficace nel ridurre il dolore, aumentare il VO2MAX, la flessibilità e la forza statica.

Altri studi sostengono come l’attività fisica possa svolgere un ruolo fondamentale nel ridurre il rischio di morte. Ottenere almeno 300 minuti a settimana di attività fisica ad intensità moderata, può ridurre il rischio di morte per cancro al seno.

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3.1 ATTIVITÀ FISICA: CONCETTI GENERALI

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, per attività fisica si intende “qualunque sforzo esercitato dal sistema muscolo-scheletrico che si traduce in un consumo di energia superiore a quello in condizioni di riposo”.

L'attività può variare in relazione alla durata, all'intensità, alla frequenza, al numero di gruppi muscolari interessati, determinando adattamenti diversi a livello degli apparati e delle strutture coinvolte. In questa definizione rientrano quindi non solo le attività sportive ma anche semplici movimenti quotidiani come camminare, andare in bicicletta, ballare, giocare, fare giardinaggio e lavori domestici. L’attività fisica rappresenta nell’ambito della medicina, una branca delle cure preventive, nel settore sportivo una parte complementare alla metodologia dell’allenamento ed un fenomeno sociale che coinvolge trasversalmente la società sia in termini di età che di classi sociali. L'organismo umano non è nato per l'inattività: il movimento gli è connaturato e una regolare attività fisica, anche di intensità moderata, contribuisce a migliorare tutti gli aspetti della qualità della vita.

Al contrario, la scarsa attività fisica è implicata nell'insorgenza di alcuni tra i disturbi e le malattie oggi più frequenti: diabete di tipo 2, malattie cardiocircolatori (infarto, miocardico, ictus, insufficienza cardiaca), tumori.

In Italia il 30% degli adulti tra 18 e 69 anni svolge, nella vita quotidiana, meno attività fisica di quanto è raccomandato e può essere definito sedentario. In particolare, il rischio di sedentarietà aumenta con il progredire dell'età, ed è maggiore tra le persone con basso livello d'istruzione e difficoltà economiche. La situazione è migliore nelle regioni del nord Italia, ma peggiora nelle regioni meridionali (Rapporto PASSI 2011).

Secondo i dati ISTAT, nel 2010 in Italia il 38% delle persone da 3 anni in su ha dichiarato di non praticare, nella vita quotidiana, né sport né altre forme di attività fisica.

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Secondo i dati del sistema di monitoraggio Okkio alla salute, soltanto 1 bambino su 10 fa attività fisica in modo adeguato per la sua età e circa 1 bambino su 4 (26%), al momento della rilevazione, dichiarava di non aver svolto alcuna attività fisica il giorno precedente l'indagine.

Come in altri paesi europei, l'attività motoria della popolazione in Italia è diminuita di pari passo con i grandi cambiamenti del lavoro e dell'organizzazione delle città. Da una parte lo sviluppo dell'automazione, anche nel lavoro domestico, e il deprezzamento sociale del lavoro manuale, dall'altra la dominanza del trasporto motorizzato e la riduzione di spazi e sicurezza per pedoni e ciclisti. Assieme a questi fattori, si sono sempre più ristretti gli spazi per il gioco libero dei bambini e per i giochi e gli sport spontanei e di squadra; queste attività hanno ora luoghi deputati la cui accessibilità è limitata ed ha un costo, non solo monetario. Inoltre, giocano un ruolo il valore che viene socialmente assegnato alle attività motorie ed altri fattori come i modelli genitoriali e il peso attribuito all'attività motoria nel curriculum scolastico. Questi ostacoli rendono difficili i comportamenti motori attivi.

Muoversi quotidianamente produce effetti positivi sulla salute fisica e psichica della persona. Gli studi scientifici che ne confermano gli effetti benefici sono ormai innumerevoli e mettono in luce che l'attività fisica:

migliora la tolleranza al glucosio e riduce il rischio di ammalarsi di diabete di tipo 2

previene l'ipercolesterolemia e l'ipertensione e riduce i livelli della pressione arteriosa e del colesterolo

diminuisce il rischio di sviluppo di malattie cardiache e di diversi tumori, come quelli del colon e del seno

riduce il rischio di morte prematura, in particolare quella causata da infarto e altre malattie cardiache

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previene e riduce l'osteoporosi e il rischio di fratture, ma anche i disturbi muscolo-scheletrici (per esempio il mal di schiena)

riduce i sintomi di ansia, stress e depressione

previene, specialmente tra i bambini e i giovani, i comportamenti a rischio come l'uso di tabacco, alcol, diete non sane e atteggiamenti violenti e favorisce il benessere psicologico attraverso lo sviluppo dell'autostima, dell'autonomia e facilità la gestione dell'ansia e delle situazioni stressanti

produce dispendio energetico e la diminuzione del rischio di obesità.

Non esiste un livello di attività fisica che sia valido per ogni persona.

Né è semplice misurare la quantità di movimento svolto.

Nel 2010 l'Oms ha comunque tentato di dare indicazioni chiare valide per tutti, stabilendo la quantità minima di attività fisica per tre gruppi di età:

bambini e ragazzi (5 - 17 anni): almeno 60 minuti al giorno di attività moderata - vigorosa, includendo almeno 3 volte alla settimana esercizi per la forza che possono consistere in giochi di movimento o attività sportive

adulti (18 - 64 anni): almeno 150 minuti alla settimana di attività moderata o 75 di attività vigorosa, con esercizi di rafforzamento dei maggiori gruppi muscolari da svolgere almeno 2 volte alla settimana

anziani (dai 65 anni in poi): le indicazioni sono le stesse degli adulti, con l'avvertenza di svolgere anche attività orientate all'equilibrio per prevenire le cadute. Chi fosse impossibilitato a seguire in pieno le raccomandazioni, dovrebbe fare attività fisica almeno 3 volte alla settimana e adottare uno stile di vita attivo adeguato alle proprie condizioni.

In ogni caso è stato evidenziato che in verità non esiste una precisa soglia al di sotto la quale l'attività fisica non produce effetti positivi per la salute.

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Risulta quindi molto importante il passaggio dalla sedentarietà ad un livello di attività anche inferiore ai livelli indicati dalle linee guida.

Importante anche impegnarsi personalmente per modificare il contesto in cui si vive al fine di sostenere i cambiamenti necessari per rendere più facile l'adozione di uno stile di vita sano e attivo nella propria città, nei luoghi di lavoro e di studio.

L’attività fisica può produrre numerosi benefici:

A livello cardiovascolare

- Migliora la funzionalità cardiaca: aumentano le cavità (atri e ventricoli), le pareti diventano più spesse e forti, quindi il cuore pompa più sangue ad ogni contrazione

- Si riducono le resistenze dei vasi a livello periferico, con miglioramenti importanti sulla pressione sia diastolica che sistolica

- Migliora lo scambio, il trasporto e l'utilizzo dell'ossigeno

- Aiuta a prevenire patologie cardiovascolari, quali l'ipertensione arteriosa, l'ictus, la malattia coronarica, le cardiomiopatie

A livello muscoloscheletrico

- Migliora la forza, il trofismo muscolare e la flessibilità

- Migliora la coordinazione, l'equilibrio e si riduce il rischio di cadute

- Migliora la percezione del sé

- Ritarda l'insorgenza dell'osteoporosi e ne rallenta l'avanzamento A livello del metabolismo e della composizione corporea

- Aumenta la massa muscolare, parte metabolicamente attiva, e di conseguenza anche il dispendio energetico nelle 24 ore

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- Se combinata con una corretta alimentazione, l'attività fisica intacca le riserve adipose riducendole

- Previene patologie metaboliche, quali il diabete mellito e la sindrome metabolica .

A livello psicologico

- L'esercizio fisico garantisce benefici a livello emotivo, incrementando l'energia e rafforzando la prospettiva ottimistica della vita e l'immagine positiva di sé

- Riduce i livelli di stress e di tensioni nervose - Favorisce e potenzia il riposo notturno

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22 3.1.1 SPORT - ATTIVITÀ FISICA MOTORIA SPONTANEA -

ATTIVITÀ FISICA PROGRAMMATA

Lo sport è l'insieme di attività che impegna a livello agonistico oppure di esercizio, le capacità psicofisiche dell'atleta, il quale svolge una disciplina con finalità amatoriali oppure di professione.

L'allenamento inteso come processo finalizzato al miglioramento delle prestazioni sportive ha, fino ad oggi, considerato due aspetti principali, quello tecnico-tattico e, in un secondo tempo, quello relativo alla preparazione fisica degli atleti. I piani di allenamento, le programmazioni annuali e pluriennali, erano elaborate mettendo in posizione centrale, in veste di obiettivo primario, la preparazione tecnica e tattica degli atleti, elevando queste due componenti a fattori unici ed indispensabili per l'ottenimento della miglior prestazione raggiungibile.

Negli ultimi anni, il movimento sportivo, si è reso conto che la prestazione ottimale di un atleta non può basarsi solo sul bagaglio di conoscenze tecnico- tattiche, ma che l'ottimale preparazione fisica rappresenta il miglior presupposto per ottimizzare le prestazioni.

Per sviluppare questo filone ecco l'arrivo degli specialisti della preparazione atletica ed il loro inserimento negli staff tecnici della maggior parte dei club.

A partire dagli anni 80 si è assistito quindi ad una specializzazione delle funzioni e ad una necessaria suddivisione dei compiti tra l'allenatore, che programma il lavoro tecnico-tattico, ed il preparatore atletico che si preoccupa di sviluppare i presupposti organici per il raggiungimento di prestazioni massimali.

Un'analisi ulteriormente approfondita della prestazione sportiva, evidenzia con sconcertante chiarezza che il modello di prestazione dei giochi di squadra ma anche degli sport singoli, non era rappresentato da un binomio

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di fattori ma piuttosto da una triade che può essere rappresentata graficamente in questo modo:

L'aspetto mentale della prestazione sportiva rappresenta proprio l'elemento che chiude il triangolo di fattori che determinano il successo di un programma di allenamento.

Malgrado dal punto di vista etico e fisiologico tutti gli sport presentino caratteristiche comuni, le discipline possono venire suddivise in base agli aspetti intrinseci delle stesse.

In base al campo di gara:

o Indoor - discipline praticate al coperto (in arene apposite o palestre)

o Outdoor - sport praticati all'aperto, in cui la denominazione è generalmente omessa

o Sport acquatici - discipline praticate in acqua

o Sport invernali - praticati su ghiaccio o neve

o Sport estremi - si svolgono in luoghi ritenuti estremi quali l'alta quota, il mare aperto, l'ambiente subacqueo e le aree climatiche polari o desertiche. Questi sport richiedono, oltre a capacità fisiche, specifiche conoscenze dei luoghi in cui si praticano

o Sport da combattimento - praticati sul ring

In base al numero di praticanti:

o Sport individuale - l'atleta gareggia per proprio conto (alcune discipline prevedono la variante di coppia)

o Sport di squadra - gli atleti gareggiano insieme componendo una squadra

Con utilizzo di animali:

o Sport equestri - in cui competono i cavalli

o Sport cinofili - in cui competono i cani

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In base all'attrezzatura:

o Sport della racchetta - in cui agli atleti è data in dotazione una racchetta

o Sport con palla - il cui svolgimento prevede l'uso di una palla, rientrando talvolta sotto la definizione di sport sferistici

o Sport motoristici - in cui sono usati veicoli a motore

o Sport remieri - in cui sono utilizzate imbarcazioni a remi[26]

o Sport velici/nautici - sono impiegate imbarcazioni sospinte dal vento

o Sport aerei - che richiedono conoscenze di base di meteorologia e aerodinamica.[27]

Una menzione a parte meritano i cosiddetti «sport della mente» (gestiti dalla Mind Sports Organization) quali scacchi e bridge, quest'ultimo in particolare affiliato al CONI e in attesa di ottenere il riconoscimento olimpico. La classificazione delle attività sportive più utilizzata in Italia è quella del Prof.

A. Dal Monte che si basa sulle sorgenti energetiche, utilizzate nel lavoro muscolare e sulle caratteristiche biomeccaniche proprie dei gesti sportivi delle singole discipline sportive. Il presupposto per le classificazioni delle attività sportive è lo studio delle modificazioni fisiologiche indotte dallo sport. Le attività sportive vengono classificate in base:

- Alle sollecitazioni di vari organi ed apparati

- All’impegno muscolare in funzione dell’intensità e dei gruppi muscolari impegnati

- Alla possibilità di valutare l’attitudine e l’efficienza in funzione dell’esercizio fisico effettuato

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Classifichiamo le attività sportive in questo modo:

- Attività ad impegno prevalentemente aerobico: sono discipline che durano più di quattro minuti e non impegnano il metabolismo anaerobico (marcia, nuoto, sci di fondo…).

- Attività ad impegno aerobico-anaerobico massivo: sono discipline che durano tra i 40” e i 4-5 minuti. Sono caratterizzate da un grande impegno cardiocircolatorio e dalla capacità di sopportare elevati carichi lattacidi (nuoto 100 m, 200 m, atletica leggera 400 m - 800 m, canottaggio…).

- Attività di tipo prevalentemente anaerobico: sono discipline che durano tra i 20” e i 45” in funzione del debito lattacido che lo sportivo può contrarre, dalla velocità e dal tipo di movimento (atletica leggera 200 m – 400 m piani, ciclismo su pista, pattinaggio di velocità…).

- Attività ad impegno aerobico-anaerobico alternato: sono discipline che alternano impegno aerobico ed anaerobico (sport di squadra, lotta, judo, pugilato…).

- Attività di potenza: sono discipline che presuppongono grandi accelerazioni di masse muscolari anche contro gravità con una rilevante forza muscolare (lanci, salti, bob …).

- Attività di destrezza: sono discipline che presuppongono la sollecitazione di apparati sensoriali e che richiedono atti motori estremamente precisi (pattinaggio artistico, ginnastica artistica, tiro con l’arco, tiro a segno, tiro a volo …).

Per attività fisica motoria spontanea si intende quel tipo di attività svolta in modo autonomo dall’individuo, utilizzando gli schemi motori di base, si intendono attività come, camminare, correre (…) attività spontanee svolte durante la giornata (le attività domestiche, la spesa, il lavoro, il gioco) rappresenta l’attività motoria propriamente detta.

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L’attività motoria spontanea, su cui s'innesta l'attività psicomotoria, è il punto di partenza di un adeguato curricolo di educazione motoria che procede verso lo sviluppo e l'affinamento delle attività motorie di base e delle capacità coordinative e condizionali, configurandosi come gioco-sport, inteso come utilizzazione organizzata e finalizzata delle abilità motorie, per l'arricchimento del patrimonio motorio.

L’attività fisica programmata comprende l’esercizio fisico (attività basata su movimenti corporei ripetuti finalizzati a migliorare la forma fisica) e lo sport (attività fisica che comporta situazioni di competizione strutturate e sottoposte a regole).

L’attività fisica programmata viene assegnata, in base alle problematiche dell’individuo. Ogni persona, stando all’età, al sesso, alle patologie necessità di un programma di allenamento specifico.

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27 3.1.2 ESERCIZIO FISICO AEROBICO E NEOPLASIE: PARAMETRI DI FISIOLOGIA APPLICATA

L’esercizio aerobico è un tipo di attività in cui l'ossigeno tramite la respirazione è portato ai muscoli dandogli l'energia necessaria per sostenere lo sforzo. Qualsiasi esercizio richiede energia; quando esercitiamo aerobicamente il nostro corpo esso utilizza glicogeno e grasso come combustibile. Questo livello di sforzo, da basso a moderato può essere sostenuto per lunghi periodi e infatti sotto sforzo il respiro si fa più pesante per permettere di espellere dal corpo velocemente l'anidride carbonica. I tipi comuni di esercizio aerobico includono l'esecuzione ad un ritmo confortevole (si dovrebbe essere in grado di parlare senza respirare troppo affannosamente) come la corsetta leggera, la camminata veloce o la bicicletta, oppure l'esecuzione ad un ritmo più pesante quali il nuoto o la parte dell'allenamento della resistenza in uno sport da combattimento.

Durante il lavoro aerobico il rendimento del muscolo cardiaco aumenta:

questo particolare adattamento funzionale dimostra come l’organo si trovi più a suo agio nella condizione di lavoro muscolare rispetto a quella di riposo. Il miocardio ha quindi, un’enorme resistenza allo sforzo e compie nell’arco della vita un lavoro di dimensioni eccezionali. Per compierlo deve disporre di molte energie: queste sono legate primariamente all’afflusso di sangue al miocardio stesso, tramite le arterie coronarie.

La funzionalità del cuore e di tutto il sistema vascolare è efficacemente mantenuta e migliorata dall’esercizio fisico adeguato: per questo tecnicamente si parla e ci si riferisce ad un condizionamento cardio- respiratorio, come ruolo e obiettivo fondamentale di un allenamento che tenda all’efficienza fisica.

L’ esercizio fisico aerobico, imponendo un carico di lavoro supplementare, rispetto alla situazione di riposo, costituisce lo stimolo che innesca le

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modificazioni funzionali o risposte di adattamento (sindrome di supercompensazione) tipiche di ogni allenamento, che per definizione sia tale, e quindi riscontrabili anche per il cuore come per gli altri muscoli.

Sostanzialmente l’allenamento deve portare al miglioramento della funzionalità del sistema di captazione – trasporto - utilizzo dell’ossigeno, che rappresenta il fulcro del concetto di esercizio cardio-respiratorio e che identifica un individuo sano da uno a rischio, per le patologie correlate all’insufficienza di tale sistema.

Il peggior nemico del sistema cardiovascolare è la vita sedentaria, intesa come mancanza di movimento e attività, correlata anche ad una cattiva alimentazione, che può portare a patologie importanti ( infarto del miocardio, ischemia cardiaca).

Le attività motorie da considerarsi vantaggiose per il condizionamento cardiovascolare sono quindi gli esercizi aerobici: attività che generino un buon aumento della frequenza cardiaca e che impegnino un grande numero di distretti muscolari corporei, come camminare, correre, pedalare ecc.

Queste ultime determinano, dal punto di vista fisiologico, un impegno che si può definire di resistenza ed un conseguente aumento di questa qualità.

Questo tipo di lavoro permette di liberare energia per la contrazione muscolare, servendosi di processi ossidativi.

Con un’attività di questo tipo, si riduce al minimo il fenomeno della fatica muscolare, perché non viene prodotto lattato in dosi significative.

È importante sottolineare che la mancanza di continuità e di costante applicazione nell’esercizio fisico vanifica o rende blandamente consistenti gli effetti del condizionamento aerobico. Programmare ed impostare intelligentemente e in modo mirato un’attività fisica che porti verso la condizione di salute, significa sia migliorare la condizione cardiovascolare,

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sia andare verso altre qualità che completano il quadro del benessere: forza, agilità, mobilità articolare, giusta composizione corporea, equilibrio psico- fisico.

Secondo l’ACSM (American College Sport Medicine) l’intensità iniziale di un esercizio aerobico per soggetti apparentemente sani va dal 40% - 50% al l’85% VO2R.

Esercizi di intensità più bassa (30% VO2R) possono essere sufficienti per fornire importanti benefici di salute per soggetti sedentari e per persone anziane, con livelli di fitness cardiorespiratoria iniziali bassi.

Un esercizio di intensità almeno moderata (da 40% al 60% VO2R) è raccomandato come esercizi di intensità minima per coloro che vogliono raggiungere benefici in termini di salute e forma fisica.

Tuttavia una combinazione di esercizi di intensità moderata e vigorosa ( > = 60% VO2R) è l’ideale per il raggiungimento di un miglioramento in termini di salute e forma fisica per la maggior parte degli adulti.

Non è mai semplice dimostrare che un certo stile di vita apporta davvero dei benefici tangibili in termini di prevenzione delle malattie, perché i fattori confondenti possono essere molti. L'esercizio non fa eccezione. Eppure diversi studi epidemiologici sono riusciti a fornire una prova della sua utilità nei confronti di specifici tumori.

Sono stati effettuati studi secondo cui, almeno 10 settimane di lavoro aerobico di intensità moderata, migliora la qualità della vita e il funzionamento fisico dei sopravvissuti con cancro al seno.

Disponiamo di più di 50 studi specifici di buona qualità che dimostrano una riduzione del rischio di ammalarsi, proporzionale all'intensità, durata o frequenza della pratica sportiva. Alcuni studi stimano che le persone attive abbiano un rischio di sviluppare questo tipo di tumore inferiore del 30-40%

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rispetto alle persone sedentarie. I benefici massimi si ottengono con 30-60 minuti di attività fisica intensa (come una corsa ad andatura sostenuta) al giorno, ma anche un impegno minore apporterà benefici in proporzione, purché sia un'attività continuativa e non spezzata nell'arco della giornata.

L'effetto protettivo è dimostrato con certezza per il colon, un po' meno per il cancro del retto. Muoversi riduce la massa corporea (e l'obesità è un fattore di rischio importante per questo tumore), ma anche il tempo di contatto tra le sostanze di scarto e la parete intestinale, riducendo quindi gli effetti tossici e infiammatori.

Per quanto riguarda la neoplasia alla mammella disponiamo di oltre 60 studi eseguiti in tutto il mondo e i risultati sono piuttosto chiari: un'attività fisica frequente e intensa riduce anche il rischio di sviluppare questo tumore (Fig.3). Alcuni studi hanno verificato cosa accade alle donne che dopo la menopausa, nel momento di maggior rischio di ammalarsi, iniziano ad allenarsi, dimostrando che anche in questo caso vi è un beneficio in termini di riduzione del rischio se confrontato con quello delle donne sedentarie. Una mezz'ora di attività intensa giornaliera (come mezz'ora di corsa) sembra sufficiente per attivare i meccanismi protettivi tra i quali la riduzione del peso, degli ormoni circolanti (nelle donne prima della menopausa) e del fattore di crescita insulino simile (IGF-1), migliorando così anche l'attività del sistema immunitario.

Gli studi sul cancro dell'endometrio, sebbene meno numerosi, dimostrano anch'essi una riduzione di questo tumore del 20-40%, proporzionale all'intensità e frequenza dell'impegno fisico. I benefici sono presenti in tutte le età. I meccanismi protettivi principali dipendono dalla riduzione del peso e dalla conseguente diminuzione degli ormoni femminili in circolo.

Alcune ricerche si sono concentrate sul cancro del polmone. In questo caso sembra che l'attività sportiva riduca del 20% circa il rischio di ammalarsi,

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ma non è in grado di contrastare gli effetti negativi del fumo, specialmente nelle donne.

(Fig.3)

Infine vi sono numerosi studi sul cancro della prostata che non sono però riusciti a dimostrare una riduzione significativa del rischio, benché i ricercatori ipotizzino che gli effetti positivi ci possano essere, perché si tratta di un cancro sensibile agli ormoni, che vengono ridotti dalla pratica sportiva.

Sono però necessarie ulteriori ricerche per confermarlo, anche se uno studio del 2005 ha dimostrato un rallentamento della progressione della malattia in uomini che, pur malati, praticano un'attività sportiva regolare.

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32 3.1.3 ESERCIZIO FISICO CONTRO RESISTENZA: MECCANISMI

TERAPEUTICI E INDICAZIONI NELLE NEOPLASIE

L’esercizio fisico contro resistenza utilizza una resistenza esterna intesa come sovraccarico. Per adattamento fisiologico al lavoro contro resistenza si intende: “Una risposta cronica che avviene più lentamente e che risulta persistente nel tempo”.

Quindi il nostro corpo se ben allenato può offrirci la possibilità di migliorare e diventare sempre più forti per imparare a sostenere un carico di lavoro che al primo allenamento sembra essere impossibile da portare a termine ma poi con continuità e progressione non sembrerà più così complesso.

Quando noi ci alleniamo in modo costante e in maniera duratura, andiamo incontro ad adattamenti fisiologici, uno dei principali adattamenti è rappresentato dall’aumento del volume di scarica sistolica del cuore che nei soggetti allenati aumenta sia durante la fase di riposo sia durante la fase di esercizio fisico.

Questo è legato ad un cambiamento che si manifesta nel cuore che gli fa acquisire uno stato che prende il nome di ipertrofia benigna del miocardio, la quale ipertrofia si evince in modo particolare nel ventricolo sinistro e nei setti cardiaci (nome delle pareti muscolari che nel cuore separano tra di loro i due atri (setto interatriale) o i due ventricoli (setto interventricolare)).

Questo adattamento andrà ad incidere sul vigore della contrazione ed inciderà anche sulla frequenza di contrazione del miocardio che in situazione di riposo risulterà più bassa rispetto al periodo di pre-allenamento.

L’adattamento all’allenamento contro resistenza permette di sollevare un peso con minore sforzo, poichè a parità di carico rispetto al periodo di pre- allenamento lo sforzo cardiaco risulterà inferiore perchè il cuore dovrà sopportare una pressione minore.

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Adattamenti ottenibili con un tipo di allenamento contro resistenza sono:

Iperplasia: aumento del numero delle fibre muscolari

Aumento del volume delle miofibrille e del reticolo sarcoplasmatico

Aumento del numero di mitocondri (ma non della loro densità)

Aumento del numero di capillari (ma non della densità capillare)

Aumento delle riserve di ATP e fosfocreatina

Riduzione del “Low back pain” meglio conosciuto come mal di schiena

Con un tipo di allenamento contro resistenza anche gli organi endocrini subiscono degli adattamenti che modificano l’entità del rilascio di alcuni ormoni, questi sono:

Aumento del livello di testosterone e progesterone, che svolge un ruolo fondamentale per il recupero e l’adattamento muscolare

Aumento dell’ormone GH (chiamato anche ormone della crescita) che è correlato alla natura anaerobica dell’allenamento e ai livelli di lattato ematico

Aumento della sensibilità all’assorbimento dell’insulina

IGF1 ormone di natura proteica, la cui risposta ritardata è legata alla secrezione di GH

Aumento dei livelli di cortisolo che è correlato alla natura anaerobica dell’allenamento

Nel complesso tutti questi adattamenti riducono l’esposizione del soggetto ai fattori di rischi per le patologie cardiovascolari aumentando la tolleranza ai cambiamenti di pressione, riducendo anche il rischio di problemi metabolici e riducendo i fattori di rischio legati al trauma sportivo.

Si è sempre creduto che l'allenamento di resistenza potesse solo indurre la crescita muscolare quando l'intensità dell'allenamento è maggiore del 65%

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di 1 RM . Tuttavia, più recentemente, l'uso di esercizi di resistenza a bassa intensità ha messo in discussione questa teoria e ha costantemente dimostrato che gli adattamenti ipertrofici possono essere indotti con intensità di esercizio molto inferiori (<50% 1-RM) ( Sport and Rehabilitation Sciences Research, 2015).

L’allenamento di contro resistenza permette di migliorare la funzione cognitiva globale e mantenere tali benefici per almeno 18 mesi (Journal of the American Medical Director Association, 2014).

I protocolli di lavoro contro resistenza nelle donne in post menopausa, risultano efficaci nel preservare la densità ossea del collo e del tratto lombare nella colonna vertebrale ( Osteoporosis international, 2015).

Gli esercizi di controresistenza in donne in gravidanza, effettuati per tre giorni a settimana per 30 minuti, risultano efficaci per ridurre l’incidenza di diabete mellito gestazionale ed ipertensione ( Journal of physical activity &

health, 2014).

L’esercizio contro resistenza ha un ruolo di fondamentale importanza nel trattamento delle neoplasie post intervento, soprattutto per quanto riguarda il tumore al seno.

Successivamente all’intervento chirurgico è noto come la mancanza di forza nell’arto operato, possa essere destabilizzante e creare problemi nella quotidianità.

In questo caso, gli esercizi di mobilità articolare, gli esercizi con elastici possono avere un ruolo importante per riacquistare la forza nell’arto leso.

Alcuni studi sul rapporto tra neoplasia alla mammella ed esercizio contro resistenza sostengono, come questo tipo di attività sia un intervento sicuro che non accellera l’invecchiamento biologico (Journal of functional morphology and kinesiology, 2018).

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Altri studi sostengono come gli esercizi contro resistenza svolti almeno due volte a settimana, da donne sopravvissute al cancro al seno, sono fattori predittivi significativi (Supportive care in cancer, 2014).

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36 3.1.4 PRESCRIZIONE DELL’ESERCIZIO FISICO: LO STATO

ATTUALE DELLE CONOSCENZE

Per prescrizione dell’esercizio fisico, si intende quel programma, all’interno del quale viene normalmente stabilita l’intensità, la durata e la tipologia dell’esercizio stesso calcolato e personalizzato utilizzando tutti quei parametri cardiovascolari.

All’ interno di programma PEF sono normalmente arruolati tutti quei soggetti a rischio o potenzialmente a rischio dal punto di vista dei fattori cardiovascolari, quindi dal sano attivo a quello affetto da malattie cronico degenerative come l’ipertensione, l’obesità, il diabete ecc. Studi randomizzati e controllati hanno evidenziato come sia proprio l’attività fisica a determinare un miglioramento della prognosi in molte patologie e tra queste sono oggi annoverate in aggiunta a quelle già citate, anche altre più recente acquisizione, come le neoplasie e la sindrome metabolica del post trapianto sono suscettibili di essere trattate. E’ dimostrato invece come il sedentarismo determini invece un aumento del rischio cardiovascolare globale.

L’attività fisica promuove il benessere, la salute fisica e mentale, previene le malattie, migliora le relazioni sociali e la qualità della vita: ma esistono anche molte evidenze sull’efficacia dell’esercizio fisico nelle diverse condizioni patologiche, ed esistono esperienze riguardanti l’uso corretto di questo nuovo strumento nella pratica clinica.

La sua introduzione nel Servizio sanitario richiede tuttavia di approntare concrete modalità organizzative all’interno delle quali possano avvenire sia la prescrizione di attività fisica, ovvero l’individuazione del tipo di attività fisica, della sua intensità e della sua durata in relazione al problema di salute

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37

della persona; sia la sua “somministrazione”, vale a dire la possibilità di svolgere concretamente l’attività fisica prescritta, attraverso percorsi che garantiscano il raggiungimento e il mantenimento nel tempo dei livelli di attività fisica necessari per ciascuno.

L’esercizio fisico è un intervento sanitario efficace nel trattamento di numerose patologie croniche, e, in termini di riduzione della mortalità, determina benefici simili a quelli ottenuti con interventi farmacologici, nella prevenzione secondaria di patologie coronariche, nella riabilitazione post ictus, nello scompenso cardiaco e nel diabete, Anche in patologie meno severe come il mal di schiena e l’artrosi, i benefici dell’esercizio fisico sui sintomi e sulla qualità della vita sono molto rilevanti.

Le evidenze scientifiche, documentano che l’esercizio fisico è efficace in numerose patologie croniche, ma al tempo stesso è un intervento sottoutilizzato.

L’esercizio fisico deve essere sempre personalizzato secondo esigenze e patologie del paziente. Tuttavia se gli interventi basati sull’esercizio, vengono erogati con modalità troppo differenti, rispetto a quelli degli studi clinici (intensità, durata…) la loro efficacia può essere compromessa.

La discrezionalità fisica sull’intensità dell’esercizio e sulla scelta del setting, deve essere affidata a professionisti esperti, in grado di monitorare progressi ed esiti e gestire al meglio le frequenti comorbidità.

Creare un percorso dedicato alla valutazione funzionale dei soggetti affetti da varie patologie e prescrivere l’esercizio fisico come terapia, nasce dalla necessità, da un lato di mettere a disposizione del Servizio Sanitario le competenze della Medicina dello Sport e dall’altro di collegare questo atto tipicamente medico a un intervento non sanitario, che è quello della pratica del corretto esercizio fisico. Durante la PEF, al paziente si propone di aderire

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a un “percorso diagnostico-valutativo” da realizzare con appuntamenti e contatti periodici con la struttura sanitaria, in tempi diversi dell’anno (da 3, 4, o 6 mesi a secondo la tipologia dell’utente), secondo i protocolli di valutazione clinica e funzionale. Lo scopo è di mettere gradualmente il paziente nelle condizioni di imparare a gestire il suo stato di salute e di efficienza fisica, mentre la struttura sanitaria assume funzione di monitoraggio e sorveglianza per ogni singolo individuo. La valutazione prende inizio con un’accurata visita medica e una serie di esami clinico funzionali non solo lo stato di salute e di efficienza del soggetto in quel determinato momento, ma anche lo “status” di eventuali patologie preesistenti. Considerando gli apparati interessati dal punto di vista funzionale all’esercizio fisico, è necessaria una conoscenza approfondita non solo alle problematiche relative alla cardiologia, ma anche a particolari aspetti della medicina interna, del metabolismo energetico e della fisiatria.

La visita medica nella PEF in questo caso deve prevedere tre importanti momenti:

1. L’esclusione di patologie in fase acuta: queste, se presenti, potrebbero temporaneamente controindicare qualsiasi esercizio fisico.

Nel caso in cui i pazienti siano già sotto trattamento terapeutico, sarà importante confermarne in buon andamento terapeutico prima di prescrivere una attività fisica.

2. La valutazione dell’apparato locomotore del soggetto: utile per individuare l’integrità funzionale sui principali distretti articolari, indirizzando verso la miglior tipologia di attività coloro i quali

abbiano alterazioni anatomiche - funzionali più o meno gravi.

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3. La valutazione funzionale dello stato di efficienza fisica e delle capacità motorie del soggetto attraverso protocolli di test diretti oppure indiretti.

È importante che vengono definiti in modo chiaro e comprensibile per il paziente, gli interventi da adottare nel proprio stile di vita allo scopo di indurre un sensibile miglioramento nella qualità della vita in termini di efficienza fisica. Questo viene reso tangibile con la consegna al paziente di un foglio “scheda prescrizione” che riporta obiettivi e target di riferimento personalizzati da raggiungere o da mantenere, secondo la tipologia del paziente. La persona in carico diventa l’elemento centrale, e il suo pieno coinvolgimento diventa essenziale per il progetto terapeutico di benessere e di efficienza fisica che un programma di PEF intende realizzare. Al paziente, infatti, sia esso persona malata o sana, si propone di aderire a un training preventivo o terapeutico che dovrà diventare un progetto di vita verso la sua piena autonomia e auto realizzazione. Il paziente non è un elemento passivo che esegue o subisce una cura, ma deve appropriarsi di certi metodi e strumenti, per imparare a saper gestire la sua condizione. Momento importante di questo approccio è dunque la piena consapevolezza del problema da parte del paziente, e la sua precisa volontà a condividere quanto gli viene proposto. Allo scopo di verificare periodicamente gli effetti benefici dell’esercizio fisico prescritto, e parimenti per evitare il perpetuarsi di possibili danni dovuti alla cattiva pratica di questo, nonché allo scopo di seguire la completa e costante adesione dei soggetti scelti al programma terapeutico è previsto un programma di follow-up ad intervalli regolari e quindi ogni tre mesi circa.

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40 3.1.5 L’IMPORTANZA DEI PARAMETRI ANTROPOMETRICI E DELLA

SARCOPENIA NEL PAZIENTE NEOPLASTICO

“L’antropometria è il metodo più applicabile, economico e non invasivo per determinare le dimensioni, le proporzioni e la composizione del corpo umano. Inoltre, poiché le dimensioni corporee ad ogni età riflettono lo stato generale di salute e di benessere degli individui e delle popolazioni, l’antropometria può essere impiegata per stimare la funzionalità, lo stato di salute e la sopravvivenza”: l’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) non avrebbe potuto essere più chiara sull’importanza dell’antropometria per la valutazione dello stato nutrizionale per l’assenza d’invasività, la semplicità d’esecuzione, la portabilità, il basso costo e la disponibilità di valori di riferimento.

L’antropometria è infatti la tecnica di riferimento per la valutazione dello stato nutrizionale nella pratica clinica e nella ricerca epidemiologica.

Ai fini didattici, è utile distinguere la valutazione antropometrica dello stato nutrizionale in quattro fasi: 1) misurazione di peso e statura, con il calcolo degli indici pondero-staturali; 2) misurazione di pliche e circonferenze, con il calcolo delle aree muscolo-adipose degli arti e la definizione della distribuzione del tessuto adiposo sottocutaneo; 3) misurazione dei diametri, con la definizione della taglia corporea; 4) misurazione delle lunghezze segmentali, per una valutazione più accurata dell’accrescimento.

Il peso è un indicatore grossolano della composizione corporea e del bilancio energetico. Al livello “molecolare”, il peso rappresenta la somma di acqua proteine minerali glicogeno e grassi. Pertanto, una modificazione di peso può dipendere dalla modificazione di uno o più di cinque compartimenti corporei.

Utilizzata congiuntamente al peso, la statura consente di valutare le dimensioni corporee. La combinazione di statura e peso nella forma degli

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indici pondero-staturali consente una prima valutazione obiettiva della malnutrizione per eccesso o difetto. L’indice di massa corporea [BMI, body mass index = peso (kg) / altezza (cm)2] è l’indice pondero-staturale più impiegato nella pratica clinica in ragione del suo valore prognostico nella malnutrizione per eccesso e per difetto.

Il BMI non è però un buon indicatore della composizione corporea a livello individuale perché il suo numeratore, il peso, include sia massa grassa che massa magra. Anche se il calcolo del BMI è irrinunciabile dal punto di vista clinico, deve essere ben chiaro che esso non consente una valutazione sufficientemente accurata della composizione corporea.

Le pliche consentono una valutazione obiettiva del grasso sottocutaneo. Esse possono essere utilizzate: 1) come indicatori di adiposità, 2) per il calcolo delle aree muscolo-adipose degli arti, 3) come indicatori del rischio di malattia e 4) per la predizione della massa grassa.

Le pliche più utilizzate nella pratica clinica sono la plica sottoscapolare e quella tricipitale. La plica sottoscapolare è un indicatore dei depositi adiposi sottocutanei della regione posteriore del torace ed è la plica meglio correlata con la pressione arteriosa e la colesterolemia. La plica tricipitale è un indicatore dei depositi adiposi sottocutanei della regione posteriore del braccio. Essa è la plica più frequentemente misurata, in ragione della sua accessibilità e del valore prognostico nella malnutrizione per difetto.

Le circonferenze sono indicatori delle dimensioni trasversali dei segmenti corporei. Esse possono essere utilizzate: 1) come indicatori della distribuzione del tessuto adiposo sottocutaneo, 2) per il calcolo delle aree muscolo-adipose degli arti, 3) come indicatori del rischio di malattia e 4) per la predizione della massa grassa. Le circonferenze più utilizzate nella pratica clinica sono la circonferenza della vita e la circonferenza del braccio. La circonferenza vita è un indicatore del tessuto adiposo sottocutaneo addominale. Essa è una componente standard della valutazione

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antropometrica del soggetto in sovrappeso in ragione della sua associazione col rischio metabolico e cardiovascolare. Assieme alla circonferenza del braccio, la circonferenza vita è una componente standard della valutazione antropometrica dello stato nutrizionale nella malnutrizione per difetto.

Mentre la mortalità dovuta a coronaropatia e colpo apoplettico va diminuendo, il cancro è ancora una priorità in materia di salute pubblica. Per una migliore prevenzione e terapia del cancro, la ricerca oncologica si è estesa a nuove aree direttamente correlate alla biologia umana, come la dieta e la nutrizione.

La dieta è oggi ritenuta un fattore di primaria importanza nella cancerogenesi, essendo il rischio medio di malattia neoplastica ad essa attribuito pari al 35% (10-70%) (DolI & Peto, 1981). Il potenziale valore dell'antropometria in campo oncologico risiede nella sua essenza di strumento di valutazione indiretta dello stato nutrizionale. Considerata la difficoltà di applicazione di altre tecniche di valutazione e controllo dello stato nutrizionale (Block, 1982), l'antropometria potrebbe aggiungere una nuova utile dimensione all'investigazione dei rapporti tra cancro e dieta.

L'epidemiologia umana e la sperimentazione animale suggeriscono che l'eccesso di macronutrienti (grassi, proteine, calorie totali) e il difetto relativo di certi micronutrienti (carotenoidi, selenio) si associ ad una aumentata morbilità e mortalità per alcuni tumori specifici. Evidenza scientifica e statistica vi è pure di una relazione tra l'alimentazione nell'infanzia ed il rischio successivo di malattia neoplastica ( Buell e Dunn, 1995).

Poiché il cancro è attualmente considerato una malattia multifattoriale con un lungo periodo di latenza, l'alimentazione dell'infanzia e della giovinezza potrebbe influenzarne, condizionando la crescita dell'organismo, il rischio.

In linea teorica, i parametri auxologici misurabili nell'adulto (ad es., statura, altezza da seduto, taglia corporea, massa magra) possono essere ritenuti espressivi di un modello di nutrizione infantile responsabile di un aumentato

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rischio di cancro. Le variabili antropometriche suscettibili di correlazione con i costumi o modelli nutrizionali dell'individuo (ad es. grasso corporeo totale o percentuale), sono inoltre associate con il rischio di talune neoplasie (Miller et al., 1978).

Nel corso degli studi antropometrici di controllo dei tumori, il sito di misurazione dovrebbe essere sempre quello non affetto dalla malattia, data la possibilità di effetti fisiopatologici della malattia, del trattamento medico e chirurgico. Durante il trattamento chemioterapico la nutrizione può essere molto compromessa e più fattori possono determinare la perdita di massa magra ed incremento della massa grassa. Il tessuto adiposo rappresenta la sede di accumulo dei fattori della flogosi, implicati nella genesi e nella progressione della malattia neoplastica. Con l’obesità ed il sovrappeso corporeo si accumulano poi fattori di rischio che contribuiscono alla genesi di comorbilità, che aggravano la prognosi e spesso condizionano negativamente la possibilità di ulteriori terapie.

Lo stato di idratazione, valutato attraverso il calcolo bioimpedenziometrico, è necessario, con altri esami, per la corretta valutazione dell’equilibrio idrico, che in corso di neoplasia diventa spesso molto precario.

La sarcopenia è la perdita di massa muscolare, con riduzione consequenziale di forza muscolare e/o performance fisica (Fig.4)

Questa riduzione è minima fino ai 45 anni, quando il tasso di declino aumenta rapidamente ( tra i 60 e 90 anni la forza muscolare diminuisce di circa il 2% all’anno) ed è maggiore negli uomini rispetto alle donne. La riduzione della massa muscolare è conseguente principalmente ad una diminuzione delle fibre muscolari e principalmente a carico delle fibre FT (veloci), con mantenimento parziale di quelle ST (lente). La patogenesi della sarcopenia è multifattoriale: si riconoscono infatti nella sua genesi, cause legate sia a ridotta sintesi proteica a livello muscolare (Welle 1993, Nair

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1995, Lexell 2000), sia all’importante aumento della sedentarietà, sia a deficit nutrizionali, estremamente comune negli anziani.

(Fig.4) Sarcopenia

È importante ricordare come nel soggetto anziano esiste una ridotta sensibilità anabolica alle proteine, per cui anche eventuali supplementi proteici non vengono facilmente assorbiti. Altra cause alla base della sarcopenia sono da ricercarsi nella diminuita efficienza dell’apparato endocrino, con conseguente riduzione dei livelli di ormoni circolanti, quali androgeni, estrogeni, GH e insulina che sono importanti per il mantenimento della massa muscolare ( Roubenoff e Hughes 2000), alla degenerazione e perdita dei neuroni del midollo spinale che innervano i muscoli determinando una atrofia delle fibre e riduzione del numero di unità motorie ( Doherty 1992, Brown 1993) ed infine uno sbilanciamento tra fattori lesivi e capacità di riparazione del muscolo, causati principalmente dalla presenza

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di uno stato infiammatorio e dallo stress ossidativo. Questi due potenti stimoli, legati in genere alla presenza di patologie di tipo cronico, provocano un aumento di enzimi infiammatori con stimolazione della degradazione proteica ed un danno nel sistema immunitario ( Mecocci 1999).

Le conseguenze della sarcopenia sono:

- Diminuzione di forza, potenza e resistenza muscolare - Diminuzione di massa ossea

- Ridotto equilibrio

- Ridotta produzione di calore - Diminuzione di acqua

- Diminuzione del metabolismo basale

Le implicazioni cliniche sono:

- Aumento della disabilità - Aumento osteoporosi

- Aumento il rischio di cadute - Aumento il rischio di fratture - Aumenta il rischio di ipotermia - Aumento del tessuto adiposo

- Aumenta il profilo di rischio vascolare

La sarcopenia è legata alla neoplasia, infatti è una condizione tipica del paziente oncologico, anche giovane che si manifesta soprattutto se la malattia è a carico del tratto digerente (esofago, stomaco, pancreas) e del distretto testa-collo. In questi pazienti, infatti, è più rilevante il calo del peso dovuto sia a disturbi digestivi e a sintomi che condizionano l’alimentazione, sia alle alterazioni metaboliche indotte dalla malattia stessa: aumento delle citochine infiammatorie, della proteolisi (cioè della degradazione della

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massa muscolare) e della lipolisi (cioè della degradazione della massa grassa). In queste situazioni capita spesso che i pazienti siano sarcopenici già al momento della diagnosi. Anzi, spesso arrivano alla diagnosi proprio perché hanno perso peso, sono affaticati e cercano la causa di questo deperimento. Più dell’80% dei pazienti con tumore del pancreas o dello stomaco, in effetti, riporta un calo ponderale significativo alla diagnosi. Nel carcinoma del colon, nelle neoplasie dell’esofago e in quelle del distretto testa-collo, l'incidenza della sarcopenia è del 50-60%. Il fatto è che la malattia oncologica di per se stessa favorisce uno stato catabolico dell’organismo, cioè si associa a un aumento del consumo di energia. Questo accade perché le cellule tumorali producono, e fanno produrre alle nostre cellule, sostanze (le citochine infiammatorie) che stimolano la degradazione delle proteine e del tessuto adiposo e quindi consumano più energia delle cellule sane. È chiaro quindi che a parità di alimentazione nel paziente oncologico si verifichi una perdita di massa magra in percentuale maggiore che non nelle persone sane. La situazione si aggrava con l’avanzare dello stato di malattia e a questo bisogna aggiungere che chi ha un tumore spesso ha poco appetito, si nutre meno, anche per gli effetti collaterali delle chemioterapie. E si muove di meno per lo stile di vita al quale il cancro e le cure, almeno in alcuni casi, costringono.

È quindi importante che fin dal momento della diagnosi e per tutta la durata delle terapie, al follow up oncologico si associ una valutazione nutrizionale.

Nel caso un paziente sia a rischio nutrizionale va intrapreso un counseling personalizzato,e non bisogna farsi ingannare dal sovrappeso o dall’obesità.

Anche chi è in sovrappeso o obeso va strettamente seguito, perché un calo di peso, soprattutto se repentino, implica sempre una perdita di massa muscolare, dannosa in questi pazienti. È quindi importante rivedere il loro stile alimentare e, se possibile, favorire l’esercizio fisico.

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La sarcopenia è un importante fattore prognostico per i malati di cancro avanzato. È associato a scarse prestazioni, tossicità da chemioterapia e minor tempo di controllo del tumore.

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