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La legittimità del divieto per le coppie same sex di accedere alla PMA: la Consulta tra qualche “chiarimento” ed alcuni “revirement”

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GIUSEPPE RECINTO

La legittimità del divieto per le coppie same sex di accedere alla PMA: la Consulta tra qualche “chiarimento” ed alcuni “revirement” Le questioni sottoposte al vaglio della Consulta e le soluzioni prospettate

La Corte costituzionale, con la decisione n. 221/20191, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate da due speculari ordinanze del 2 luglio 2018 del Tribunale di Pordenone e del 3 gennaio 2019 del Tribunale di Bolzano2, con riferimento agli artt. 5 e 12, commi 2, 9, 10 della L. n. 40/2004.

In particolare, ad avviso dei rimettenti, le disposizioni censurate violerebbero: - l’art. 2 cost., non garantendo il «diritto fondamentale alla genitorialità dell’individuo», sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove svolge la sua personalità, tra le quali rientrerebbero anche le unioni civili e le convivenze di fatto tra persone dello stesso sesso;

- l’art. 3 cost., sotto il profilo di una possibile disparità di trattamento basata sull'orientamento sessuale e sulle condizioni economiche dei cittadini, poichè potrebbero ricorre alla PMA soltanto le coppie omosessuali più abbienti, recandosi all’estero in quegli stati ove siffatte pratiche sono consentite anche alle coppie appartenenti allo stesso sesso;

- l’art. 31 cost., che imporrebbe l’«imperativo» di proteggere la maternità, favorendo gli istituti necessari a tale scopo;

- l’art. 32 cost., nella misura in cui il mancato accesso alla PMA per le coppie

same sex potrebbe tradursi in una lesione della salute psico-fisica di chi aspira

ad essere genitore, sia come singolo sia nella relazione di coppia;

- l’art. 117 cost., ponendosi in conflitto con gli artt. 8 e 14 CEDU, nel senso che l'impossibilità per le coppie dello stesso sesso di accedere alla PMA si sostanzierebbe in una discriminatoria interferenza nella loro vita familiare, basata esclusivamente sull’orientamento sessuale dei componenti.

A fronte delle richiamate censure, la Consulta ha, innanzitutto, riunito i due giudizi, posto che le ordinanze di rimessione prospettavano «questioni analoghe, relative in parte alle medesime norme», per, poi, provvedere a delimitare l'indagine sottoposta alla sua valutazione – così come, del resto, aveva sollecitato il Tribunale di Bolzano - alle coppie omosessuali femminili, rilevato che per le coppie omosessuali maschili «la genitorialità artificiale passa necessariamente attraverso […] la maternità surrogata (o gestazione per altri)».

Ciò detto, le ragioni che hanno indotto la Corte a ribadire la legittimità del divieto di accesso alla PMA per le coppie dello stesso sesso possono essere “sintetizzate” in quelle che la Consulta ha definito le due «coordinate di fondo» in materia della L. n. 40/2004, che verrebbero irrimediabilmente disattese, là dove si desse, invece, ingresso nel nostro ordinamento alla possibilità per le coppie same sex di ricorrere alla PMA.

1 Per delle prime riflessioni, in proposito, si veda Recinto, La Corte costituzionale e la

legittimità del divieto per le coppie dello stesso sesso di ricorre alla PMA: non può configurarsi nel nostro ordinamento un “diritto assoluto alla genitorialità”, su www.giustiziacivile.com (06/11/2019).

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La prima riguarda, in particolare, la «funzione delle tecniche considerate», che, secondo la Corte, nella logica di fondo che ispira la L. n. 40/2004 sono prospettate come «rimedio alla sterilità o infertilità umana avente una causa patologica e non altrimenti rimovibile», con la conseguenza, quindi, che una estensione di tali tecniche alla diversa, per molti aspetti, «infertilità “fisiologica”» della coppia omosessuale risulterebbe in contrasto con la suddetta «finalità (lato sensu) terapeutica» assegnata nel nostro sistema giuridico alla PMA.

La seconda si riferisce, invece, «alla struttura del nucleo familiare scaturente dalle tecniche in questione», considerato che per la Consulta il divieto di accesso alla PMA per le coppie dello stesso sesso di cui alla L. n. 40/2004 risponde alla prospettiva «sottesa alla disciplina in esame, che una famiglia ad instar naturae – due genitori, di sesso diverso, entrambi viventi e in età potenzialmente fertile – rappresenti, in linea di principio, il “luogo” più idoneo per accogliere e crescere il nuovo nato».

Sì che, per la Corte, l’ammissione «alla PMA delle coppie omosessuali [...] esigerebbe [...] la diretta sconfessione, sul piano della tenuta costituzionale, di entrambe le idee guida sottese al sistema delineato dal legislatore del 2004, con potenziali effetti di ricaduta sull’intera platea delle ulteriori posizioni soggettive attualmente escluse dalle pratiche riproduttive (oltre che con interrogativi particolarmente delicati quanto alla sorte delle coppie omosessuali maschili, la cui omologazione alle femminili – in punto di diritto alla genitorialità – richiederebbe [...] che venga meno, almeno a certe condizioni, il divieto di maternità surrogata)»3.

Il tutto con la conseguenza, quindi, che, secondo il giudice delle leggi, a differenza di quanto ipotizzato dai rimettenti, le disposizioni censurate non violerebbero:

- l’art. 2 cost., considerato che l’aspirazione ad essere genitore non può esplicarsi senza limiti «e ciò particolarmente quando si discuta della scelta di ricorrere a tecniche di PMA, le quali, alterando le dinamiche naturalistiche del processo di generazione degli individui, aprono scenari affatto innovativi rispetto ai paradigmi della genitorialità e della famiglia storicamente radicati nella cultura sociale, attorno ai quali è evidentemente costruita la disciplina degli artt. 29, 30 e 31 Cost.»;

- l’art. 3 cost., posto che - fermo restando, come visto, l’«insussistenza di […] una pretesa discriminazione fondata sull’orientamento sessuale» - «il solo

3 Come è noto, tra l'altro, con riferimento al tema della maternità surrogata si sono, di recente, espresse anche le Sezioni Unite della Cassazione, affermando che non può essere riconosciuta efficacia nel nostro ordinamento al provvedimento giurisdizionale emesso all'estero, che accerti il rapporto di filiazione tra il c.d. genitore d’intenzione e il minore di età, concepito all’estero da maternità surrogata, tenuto conto che il divieto penale di siffatte pratiche ai sensi dell’art. 12, comma 6, L. n. 40/2004, essendo posto a presidio di valori fondamentali - quali la dignità umana della gestante e l’adozione -, racchiude un principio di ordine pubblico: Cass., SS.UU., 8 maggio 2019, n. 12193, in questa Rivista, 2019, 1198 ss., con commento di Giunchedi, Materinità surrogata tra ordine pubblico, favor veritatis e dignità

della maternità; per osservazioni, al riguardo, cfr. Recinto, Con la decisione sulla c.d. maternità surrogata le Sezioni unite impongono un primo "stop" al "diritto ad essere genitori",

in Dir. e rel., 2019, 560 ss.; Id, La decisione delle Sezioni unite in materia di c.d. maternità

surrogata: non tutto può e deve essere "filiazione", in Dir. succ. e fam., 2019; Salanitro, Quale ordine pubblico secondo le Sezioni Unite? Tra omogenitorialità e surrogazione, all’insegna della continuità, su www.giustiziacivile.com.

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fatto che un divieto possa essere eluso recandosi all’estero non può costituire una valida ragione per dubitare della sua conformità a Costituzione»;

- l’art. 31 cost., sul presupposto che la disposizione ivi contenuta «riguarda la maternità e non l’aspirazione a diventare genitore»;

- l’art. 32 cost., in quanto la «tutela costituzionale della “salute” non può essere estesa fino a imporre la soddisfazione di qualsiasi aspirazione soggettiva o bisogno che una coppia (o anche un individuo) reputi essenziale, così da rendere incompatibile con l’evocato parametro ogni ostacolo normativo frapposto alla sua realizzazione», anche rispetto all'ipotesi - da cui ha tratto origine l'ordinanza di rimessione del Tribunale di Bolzano -, in cui entrambe le ricorrenti, parti di una unione civile, erano «incapaci di procreare naturalmente», tenuto conto che la presenza di patologie riproduttive nelle coppie omosessuali - diversamente da ciò che accade in quelle eterosessuali – rappresenta una variabile irrilevante, essendo, in ogni caso, la coppia «infertile»;

- l’art. 117 cost., rispetto al preteso conflitto con gli artt. 8 e 14 CEDU, rilevato che anche la C. Edu ha sottolineato che «una legge nazionale che riservi l’inseminazione artificiale a coppie eterosessuali sterili, attribuendole una finalità terapeutica, non può essere considerata fonte di una ingiustificata disparità di trattamento nei confronti delle coppie omosessuali, rilevante agli effetti degli artt. 8 e 14 CEDU: ciò, proprio perché la situazione delle seconde non è paragonabile a quella delle prime»4.

Un importante “chiarimento”: l’aspirazione ad essere genitore ed il necessario bilanciamento «con altri interessi costituzionalmente protetti»

Tuttavia, a parere di chi scrive, la sentenza in esame, che ovviamente può essere analizzata sotto diversi angoli di visuale, ci offre, altresì, qualche importante "chiarimento" ed anche alcuni significativi “revirement” in merito a talune precedenti indicazioni che la stessa Corte aveva espresso in materia, soprattutto nella ben nota sentenza n. 162/20145.

Invero nella pronuncia n. 162/2014 la Corte ha dichiarato «l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 [...], nella parte in cui stabilisce per la coppia di cui all’art. 5, comma 1, della

4 C. Edu, 15 marzo 2012, G. e D. contro Francia.

5 In questa Rivista, 2014, 1062 ss., con commento di Ferrando, La riproduzione assistita

nuovamente al vaglio della Corte costituzionale. L'illegittimità del divieto di fecondazione "eterologa"; in Fam. e dir., 2014, 753 ss., con nota di V. Carbone, Sterilità della coppia. Fecondazione eterologa anche in Italia; in Europa e dir. priv., 2014, 1105 ss., con nota di

Castronovo, Fecondazione eterologa: il passo (falso) della Corte costituzionale; in Dir. succ. e

fam., 2015, 511 ss., con nota di Annunziata, La libertà procreativa quale intima scelta individuale: la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale del divieto di fecondazione eterologa. Nella decisione in commento sono presenti, in considerazione del rilievo assunto

nel progressivo restyling della L. n. 40/2004 ad opera della Consulta, anche taluni riferimenti (seppure meno pertinenti rispetto ai temi che ci interessano) a Corte cost. 14 maggio 2015, n. 96, in questa Rivista, 2016, 186, con commento di Iannicelli, Diagnosi genetica reimpianto:

battute finali della “riscrittura costituzionale” della L. n. 40/2004, che ha dichiarato

«l’illegittimità costituzionale degli artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 […] nella parte in cui non consentono il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili, rispondenti ai criteri di gravità di cui all’art. 6, comma 1, lettera b), della legge 22 maggio 1978, n. 194 […] accertate da apposite strutture pubbliche».

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medesima legge, il divieto del ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, qualora sia stata diagnosticata una patologia che sia causa di sterilità o infertilità assolute ed irreversibili».

In quella occasione, a sostegno delle proprie soluzioni, i giudici della Corte avevano evidenziato, tra l'altro, che la scelta di diventare genitori «costituisce espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi, […] riconducibile agli artt. 2, 3 e 31 Cost., poiché concerne la sfera privata e familiare».

Nondimeno, tale assunto, nel tempo, è stato sovente “piegato” ad una logica prettamente “adultocentrica”6, volta ad intravedervi il riconoscimento nel nostro ordinamento giuridico di un ipotetico e dagli incerti confini “diritto assoluto alla genitorialità”. Del resto, ciò emerge, ad esempio, in una delle due ordinanze di rimessione da cui ha preso le mosse la decisione n. 221/2019, ovvero quella del Tribunale di Pordenone, che, traendo, per l'appunto, spunto dalla sentenza della Corte n. 162/2014, ha prospettato che il divieto di accesso alla PMA per le coppie delle stesso sesso sarebbe in contrasto con l'art. 2 cost., in quanto lesivo del «diritto alla genitorialità consistente nella aspirazione ad avere un figlio, che legittimamente nutre ogni soggetto, specie allorché ha costituito un legame di coppia stabile».

Ebbene la Consulta, nella decisione n. 221/2019, ha inteso, invece, chiarire l'esatta portata di quanto sostenuto in passato, sottolineando che l'«affermazione che [...] si rinviene nella sentenza n. 162/2014 – richiamata dal rimettente – deve intendersi calibrata sulla specifica fattispecie alla quale la pronuncia si riferisce», e cioè, come già rilevato, «la coppia eterosessuale cui sia stata diagnosticata una patologia produttiva di infertilità o sterilità assolute e irreversibili».

Senza considerare che per la Corte, nonostante con la decisione n. 162/2014 sia venuta meno «la necessità del legame biologico tra genitori e figli» per accedere alla PMA - almeno nei casi di coppie impossibilitate alla procreazione in ragione di una patologia della riproduzione -, non può, altresì, trascurarsi che con la medesima pronuncia si è anche confermato che «alla fecondazione eterologa restano, comunque sia, abilitate ad accedere solo le coppie che posseggano i requisiti indicati dall’art. 5, comma 1, della legge n. 40 del 2004, e dunque rispondenti al paradigma familiare riflesso in tale disposizione».

Ecco, dunque, che la Corte, come anticipato, ci fornisce un importante “chiarimento” rispetto a quanto delineato nella sentenza n. 162/2014. Una decisione, quest'ultima, alla quale, indubbiamente, si è forse tentato, per lungo tempo, di "fare dire troppo", e alla quale, invece, la Consulta con questo suo recente pronunciamento in materia sembra volere riassegnare il "giusto peso".

Del resto, come ricorda, sempre su questa linea, la Corte, nella stessa sentenza n. 162/2014 già si osservava che la «libertà e volontarietà dell’atto che consente di diventare genitori e di formare una famiglia [...] di sicuro non implica che la libertà in esame possa esplicarsi senza limiti».

6 Diffusamente, sul punto, Recinto, Le genitorialità. Dai genitori ai figli e ritorno, Napoli, 2016, 11 ss.; Id, Il superiore interesse del minore tra prospettive interne «adultocentriche» e

scelte apparentemente «minorecentriche» della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Foro it., 2017, 3669 ss.; Id, Con la decisione sulla c.d. maternità surrogata le Sezioni unite impongono un primo "stop" al "diritto ad essere genitori", in Dir. e rel., 2019, 560 ss.

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Pertanto, non sembra azzardato ipotizzare che una lettura, oramai, necessariamente “combinata” di queste due decisioni della Consulta - n. 162/2014 e n. 221/2019 - in una prospettiva sistematica volta a superare anche i confini della PMA, ci riconsegna un quadro di riferimento in materia piuttosto differente da quello che, viceversa, sino a poco fa sembrava destinato ad imporsi, tenuto conto che dette pronunce, unitamente all'ultima delle Sezioni Unite in tema di maternità surrogata7, sono destinate a porre seriamente in discussione il crescente "tentativo", come detto, di affermare l'operatività nel nostro sistema giuridico di un "diritto assoluto alla genitorialità".

Tant'è che nella sentenza n. 221/2019 la Consulta - dopo avere rilevato che la «possibilità – dischiusa dai progressi scientifici e tecnologici – di una scissione tra atto sessuale e procreazione, mediata dall’intervento del medico, pone […] un interrogativo di fondo: se sia configurabile – e in quali limiti – un “diritto a procreare” (o “alla genitorialità”, che dir si voglia), comprensivo non solo dell’an e del quando, ma anche del quomodo, e dunque declinabile anche come diritto a procreare con metodi diversi da quello naturale» - ha evidenziato, in virtù delle premesse innanzi richiamate, che la PMA non può «rappresentare una modalità di realizzazione del “desiderio di genitorialità” alternativa ed equivalente al concepimento naturale, lasciata alla libera autodeterminazione degli interessati».

Sì che, per la Corte, l’aspirazione ad essere genitore deve essere necessariamente «bilanciata con altri interessi costituzionalmente protetti». Un primo “revirement”: il superamento del "fuorviante accostamento" tra PMA eterologa e adozione

Eppure, la Consulta, sempre nella decisione n. 221/2019, ci riserva anche due significativi “revirement” rispetto ancora alla sentenza n. 162/2014, di cui il primo relativo ad un profilo, che, già in passato, aveva destato qualche perplessità8.

Invero, con quest'ultima pronuncia in materia la Corte ha sottoposto a revisione critica il "fuorviante accostamento" tra PMA eterologa e adozione, che, invece, era stato prospettato nella decisione n. 162/2014, nella quale si leggeva, per l'appunto, che «il progetto di formazione di una famiglia caratterizzata dalla presenza di figli, anche indipendentemente dal dato genetico, è favorevolmente considerata dall’ordinamento giuridico, in applicazione di principi costituzionali, come dimostra la regolamentazione dell’istituto dell’adozione».

Viceversa, nella sentenza n. 221/2019, il giudice delle leggi sul punto è sembrato volere "ritornare sui suoi passi", avendo rilevato che l’«adozione […] non serve per dare un figlio a una coppia, ma precipuamente per dare una famiglia al minore che ne è privo», posto che nel «caso dell’adozione […] il minore è già nato ed emerge come specialmente meritevole di tutela», diversamente dalla PMA, che è preordinata «a dare un figlio non ancora 7 Cfr., ancora, Recinto, Con la decisione sulla c.d. maternità surrogata le Sezioni unite

impongono un primo "stop" al "diritto ad essere genitori", in Dir. e rel., 2019, 560 ss.; Id, La decisione delle Sezioni unite in materia di c.d. maternità surrogata: non tutto può e deve essere "filiazione", in Dir. succ. e fam., 2019.

8 V. Recinto, Fecondazione eterologa, scambio di embrioni, maternità surrogata,

omogenitorialità: nel rapporto genitori/figli c’è ancora un po’ di spazio per i figli?, su www.dirittifondamentali.it (09/06/2015), 4.

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venuto ad esistenza a una coppia (o a un singolo), realizzandone le aspirazioni genitoriali».

Pertanto, mentre l'adozione, con «stampo evidentemente solidaristico»9, permette di superare il rilievo del dato biologico nella genitorialità proprio allo scopo di assicurare cura e protezione ad uno specifico minore di età, fatto di caratteristiche fisiche e psicologiche, di esigenze materiali ed esistenziali, al contrario la PMA, come sottolineato dalla Corte, guarda, e può guardare, soltanto alle istanze degli adulti ed alla loro aspirazione ad essere genitori, posto che un minore da tutelare "neppure esiste".

Di conseguenza, l'adozione prescinde del tutto dal “momento” della procreazione, operando prioritariamente sul piano della "soddisfazione dei bisogni" della persona di minore età, viceversa, la PMA è una tecnica di procreazione, che opera principalmente sul piano della "soddisfazione dei bisogni" degli adulti.

Quindi, l'avere “intravisto”, come sembra avere fatto la Consulta nel 2014, nell’adozione - che, ripetesi, è un "modello di genitorialità" svincolato dal profilo biologico in quanto fondato su ragioni solidaristiche - una sorta di "precedente tout court" nel nostro ordinamento di filiazione non ancorata al dato biologico, risulta, come detto, quantomeno forzoso, per cui il riferito “revirement” della Corte sul punto, appare, indubbiamente, persuasivo.

Del resto, il descritto "ravvedimento" risulta certamente “operoso”, mostrandosi foriero di significative ricadute applicative, posto che ha consentito al giudice delle leggi di superare il rilievo assegnato dai rimettenti sempre in vista di una possibile estensibilità alle coppie same sex della PMA -ai «recenti orientamenti della giurisprudenza comune sui temi dell’adozione di minori da parte di coppie omosessuali e del riconoscimento in Italia di atti formati all’estero». Invero, soprattutto riguardo al primo indirizzo, la Consulta ha sottolineato, muovendo dalle summenzionate esigenze di protezione del minore che sono alla base della disciplina dell'adozione, che nella «circoscritta ipotesi di adozione non legittimante ritenuta applicabile alla coppia omosessuale» deve tenersi conto dell’«interesse del minore stesso a mantenere relazioni affettive già di fatto instaurate e consolidate», mentre questo aspetto, ovviamente, per tutto quanto innanzi osservato, non può rilevare nell'ipotesi di PMA a favore di una coppia dello stesso sesso, tenuto conto che, come detto, non “esiste” alcun minore da tutelare.

Ebbene - di là dal richiamo "anacronistico" della Corte al concetto di «adozione non legittimante», da ritenersi, oramai, superato a seguito dell'ultima riforma della filiazione10, che ha inteso eliminare la distinzione tra 9 Recinto, ult. op. loc. cit., 4.

10 Il riferimento è, chiaramente, alla L. n. 219 del 10 dicembre 2012, rubricata «Disposizioni

in materia di riconoscimento dei figli naturali», e al DLGS n. 154 del 28 dicembre 2013, per la

«Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell'articolo 2 della legge

10 dicembre 2012, n. 219»: sui quali, ex multis, Ferrando, La nuova legge sulla filiazione. Profili sostanziali, in questa Rivista, 2013, 525 ss.; Salanitro, La riforma della filiazione dopo l’esercizio della delega (I parte), ivi, 2014, 540 e ss.; Id, La riforma della filiazione dopo l’esercizio della delega (II parte), ivi, 675 ss.; Al Mureden, La responsabilità genitoriale tra condizione unica del figlio e pluralità di modelli familiari, in Fam. e dir., 2014, 466; Recinto, Le genitorialità. Dai genitori ai figli e ritorno, cit., p. 11 ss.; Id, Responsabilità genitoriale e rapporti di filiazione tra scelte legislative, indicazioni giurisprudenziali e contesto europeo, in Dir. succ. e fam., 1475 ss.; Sesta, L’unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, in Fam. dir., 2013, 231 ss.; C.M. Bianca, La legge italiana conosce solo figli,

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figli legittimi e naturali - deve considerarsi che la Consulta, in virtù della prospettiva privilegiata, ha confermato, come già evidenziato in precedenza11, che, seppure il superiore interesse del minore è stato spesso evocato dai nostri giudici relativamente al tema della omogenitorialità, ciò è avvenuto soprattutto al fine di verificare se la conservazione di determinati rapporti affettivi, già sviluppatisi nel tempo, fosse o meno funzionale ad un pieno e sano sviluppo della personalità del minore stesso.

Su questa linea, si consideri, per tutte, la decisione n. 1296/2016 della Suprema corte12, che ha ribadito, dopo diverse pronunce di merito in tal senso13, che persone dello stesso sesso possono ricorrere alle c.dd. adozioni in casi particolari ai sensi dell'art. 44, comma 1, lett. d, L. n. 184/1983, posto che questa «particolare ipotesi normativa di adozione» mira «a dare riconoscimento giuridico, previo rigoroso accertamento della corrispondenza della scelta all'interesse del minore, a relazioni affettive continuative e di natura stabile instaurate con il minore e caratterizzate dall’adempimento di doveri di accudimento, di assistenza, di cura e di educazione analoghi a quelli genitoriali».

Tant’è che, al riguardo, si è, altresì, rilevato che il possibile ricorso in siffatte ipotesi all’adozione in casi particolari non avrebbe lo scopo «di creare un nuovo rapporto genitore-figlio, ma di prendere atto di una relazione già sussistente e consolidata» nella vita del minore, valutandone l’utilità14.

Dunque, si tratta di sentenze la cui ratio decidendi è quella di garantire, mediante la salvaguardia di relazioni positive per il minore, un armonico e completo sviluppo del minore stesso, unitariamente considerato in tutte le sue in Riv. dir. civ., 2013, I, 1 ss.; Dogliotti, Nuova filiazione: la delega al governo, ivi, 2013, 279 ss.; Pane (a cura di), Nuove frontiere della famiglia. La riforma della filiazione, Napoli, 2014,

passim; Aa.Vv., La riforma del diritto della filiazione, in Nuove legg. civ. comm., 2013, 437

ss.; Lenti, La sedicente riforma della filiazione, in Nuova giur. civ. comm., II, 2013, 202 ss.; A. Palazzo, La riforma dello status di filiazione, in Riv. dir. civ., 2013, 245 ss.; V. Carbone,

Riforma della famiglia: considerazioni introduttive, in Fam. dir., 2013, 225 ss.; Id., Il d.lgs. n. 154/2013 sulla revisione delle disposizioni vigenti in tema di filiazione, in Fam. dir., p. 447 ss.;

Aa.Vv., Filiazione. Commento al decreto attuativo. Le novità introdotte dal d.lgs. 28 dicembre

2013, n. 154, a cura di M. Bianca, Milano, 2014, passim; Schlesinger, Il d.lg. n. 154 del 2013 completa la riforma della filiazione, in Fam. dir., 2014, 443 ss.

11 Recinto, Il superiore interesse del minore tra prospettive interne «adultocentriche» e scelte

apparentemente «minorecentriche» della Corte europea dei diritti dell’uomo, cit.; Id, Con la decisione sulla c.d. maternità surrogata le Sezioni unite impongono un primo "stop" al "diritto ad essere genitori", cit.; più in generale, in merito alla necessità di “definire” il concetto di

superiore interesse del minore di età, ancorandolo al «diritto dello stesso allo sviluppo della sua personalità», Id, Stato di abbandono morale e materiale del minore: dichiarazione e

revoca della adottabilità, in Rass. dir. civ., 2011, 1169.

12 In questa Rivista, 2016, 1203 ss., con commenti di Morozzo Della Rocca, Le adozioni in

casi particolari ed il caso della stepchild adoption; e Attademo, La “stepchild adoption” omoparentale nel dettato dell’art. 44 comma 1, lett. d), L. n. 184/1983 e nella L. n. 218/1995;

in Foro it., 2016, I, 2368 ss., con nota di Casaburi, L'adozione omogenitoriale e la Cassazione:

il convitato di pietra.

13 Circa il diffuso orientamento volto a ricomprendere nella «constatata impossibilità di un affidamento preadottivo» richiamata dall'art. 44, comma 1, lett. d, della L. n. 184/1983, non soltanto le ipotesi di impossibilità materiale, ma anche i casi di impossibilità giuridica dovuta alla mancanza di uno stato di abbandono, con conseguente possibilità di accedere alle c.dd. adozioni in casi particolari anche da parte del partner, pure dello stesso sesso del genitore, cfr. Recinto, Le genitorialità. Dai genitori ai figli e ritorno, cit., 104 ss., ed ivi ampi riferimenti giurisprudenziali e dottrinali.

14 App. Roma, sez. minori, 23 dicembre 2015, su www.dirittocivilecontemporaneo.it, con nota di Long, L’adozione in casi particolari del figlio del partner dello stesso sesso.

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componenti - affettive, psicologiche, fisiche, relazionali e culturali -15, in cui, ad avviso della Corte16, si è “soltanto" confermato che «l’orientamento sessuale della coppia» non incide «sull’idoneità dell’individuo all’assunzione della responsabilità genitoriale».

A ciò deve aggiungersi, poi, che, in particolare, il Tribunale di Pordenone nella ordinanza di rimessione ha richiamato a supporto delle proprie argomentazioni anche l’introduzione nel nostro ordinamento della disciplina delle unioni civili ad opera della L. n. 76 del 201617. Nondimeno, come già sottolineato18, la normativa in oggetto al comma 20 dell’art. 1 esclude l’applicabilità alle unioni civili delle «disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184», nonchè delle norme del codice civile non espressamente richiamate, tra cui, per l’appunto, possono annoverarsi pure quelle in tema di filiazione.

Del resto, anche la Suprema corte nella sentenza n. 14878/201719 ha affermato che la c.d. clausola di salvaguardia, sempre presente nel comma 20 dell'art. 1 della L. n. 76 del 2016, in virtù della quale «resta fermo quanto previsto e consentito dalle norme vigenti in materia di adozione», deve essere intesa nel senso che non possono essere disposte a favore degli uniti civilmente «adozioni piene e neppure adozioni in casi particolari ex art. 44 L. n. 184, quanto alla lettera b): adozione del figlio del coniuge», restando «aperta una via già praticata da alcune pronunce di merito che [hanno] applicato la lettera d) dell’art. 44: impossibilità di affidamento preadottivo, secondo un’interpretazione estensiva, che attiene pure all’impossibilità giuridica, oltre a quella di fatto (ove ad esempio non vi siano adottanti disponibili), e può prescindere dunque dall’abbandono»20.

Sì che, per la Corte, anche il richiamo alle unioni civili, «quale specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione»21, non appare assolutamente dirimente per potere considerare, oramai, operante nel nostro ordinamento un "generale diritto ad essere genitori", fermo restando 15 Con riferimento a questa impostazione, cfr. Recinto, La situazione italiana del diritto

civile sulle persone minori di età e le indicazioni europee, in Diritto di famiglia e delle persone, 2012, 1295 ss.; Id, Legge n. 219 del 2012: responsabilità genitoriale o astratti modelli di minori di età?, cit., 1475 ss.

16 Specificamente, al riguardo, la Consulta ha richiamato, tra le altre, una delle prime decisioni in tal senso: Cass. 11 gennaio 2013, n. 601, in questa Rivista, 2013, p. 893 ss., con nota di Balestra, Affidamento dei figli e convivenza omosessuale tra “pregiudizio” e interesse

del minore, che, nel ribadire l’affidamento esclusivo della prole alla madre convivente con

altra donna sul presupposto che l’orientamento sessuale della stessa non poteva rilevare ai fini dell’idoneità genitoriale, ha stigmatizzato gli orientamenti contrari a tale impostazione, che, prescindendo da «certezze scientifiche o dati di esperienza», si fonderebbero esclusivamente sul «mero pregiudizio che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale».

17

Ex multis, Sesta (a cura di), Codice delle unioni civili e delle convivenze, Milano, 2017,

ed ivi ulteriori riferimenti bibliografici.

18 V. Recinto, Con la decisione sulla c.d. maternità surrogata le Sezioni unite impongono un

primo "stop" al "diritto ad essere genitori", cit.

19 In questa Rivista, 2017, 1161, con commento di V. Carbone, Adozione da parte di una

coppia omogenitoriale.

20 Su questa linea si era già espresso in letteratura, sin dall'approvazione della L. n. 76/2016, Balestra, Unioni civili, convivenze di fatto e ‘‘modello’’ matrimoniale: prime riflessioni, in Giur.

it., 2016, 1779 ss.

(9)

che, come ha precisato sempre la Consulta in proposito, la stessa Costituzione «non pone una nozione di famiglia inscindibilmente correlata alla presenza di figli»22.

Un secondo “revirement”: l'irrilevanza sotto il profilo della legittimità costituzionale delle condizioni economiche della coppia (omosessuale) rispetto alla possibilità di accedere all’estero alla PMA

L’avere saputo distinguere il tema dell'"accesso" alla genitorialità da quello, logicamente e temporalmente, successivo della protezione del minore, come già accennato, ha consentito alla Consulta di “rivedere” anche un ulteriore aspetto controverso della pronuncia n. 162/2014, ovvero quello secondo cui la «regolamentazione degli effetti della PMA di tipo eterologo praticata al di fuori del nostro Paese, benché sia correttamente ispirata allo scopo di offrire la dovuta tutela al nato, pone, infine, in evidenza un ulteriore elemento di irrazionalità della censurata disciplina. Questa realizza, infatti, un ingiustificato, diverso trattamento delle coppie affette dalla più grave patologia, in base alla capacità economica delle stesse, che assurge intollerabilmente a requisito dell’esercizio di un diritto fondamentale, negato solo a quelle prive delle risorse finanziarie necessarie per potere fare ricorso a tale tecnica recandosi in altri Paesi».

Invero, nella decisione n. 221/2019 la Corte, al riguardo, ha chiarito che non devono sovrapporsi il piano della possibile elusione della normativa interna da parte di coppie omosessuali più abbienti, che, ad esempio, sono ricorse ad una PMA all’estero, con quello del “trattamento giuridico” del minore eventualmente "coinvolto", che ha fatto, successivamente, ingresso nel nostro territorio, posto che ancora una volta le pronunce23 - richiamate sul punto dai rimettenti - si sono essenzialmente occupate di verificare se determinati rapporti del minore consolidatisi all’estero con la coppia omoaffettiva, indipendentemente dalla loro “genesi”, fossero o meno meritevoli di tutela, alla luce, sempre ed esclusivamente, del “best interests of the child”24.

22

Per una articolata riflessione sulle interferenze tra i più recenti sviluppi del diritto di famiglia e l'assetto delle relazioni familiari rinvenibile nel dettato costituzionale, Balestra,

Diritto di famiglia, prerogative della persona e Carta costituzionale: settant'anni di confronto,

in Giust. civ., 2018, 245 ss., ove si osserva che «gli anni più recenti si sono invero contraddistinti per un'evoluzione del diritto delle relazioni familiari che – nell'ottica della preservazione di una pluralità di interessi affermatisi col tempo – ha sancito il superamento, quanto meno parziale, dell'impianto costituzionale il quale, per quel che concerne, i contenuti di cui agli artt. 29 e 30 denuncia una certa vetustà».

23 In particolare, Cass. 30 settembre 2016, n. 19599, in questa Rivista, 2016, 1610, con commento di V. Carbone, Atto di stato civile straniero, trascrizione e compatibilità con l’ordine

pubblico italiano; Cass. 22 giugno 2016, n. 12962, cit.; in proposito, ovviamente, come già

indicato (v., retro, nota 3), deve, oramai, tenersi conto anche di Cass., SS.UU., 8 maggio 2019, n. 12193, cit., nella quale si è ipotizzato che, pure in caso di maternità surrogata realizzata all'estero, quantunque il divieto penale di siffatte pratiche ai sensi dell’art. 12, comma 6, L. 40/2004 racchiuda un principio di ordine pubblico, può valutarsi, qualora sia rispondente all'interesse del minore, il ricorso ad una eventuale adozione in casi particolari, ai sensi dell'art. 44, comma 1, lett. d, L. n. 184/1983, da parte del c.d. genitore intenzionale.

24 Ampiamente, sul punto, Recinto, Il superiore interesse del minore tra prospettive interne

«adultocentriche» e scelte apparentemente «minorecentriche» della Corte europea dei diritti dell’uomo, cit.; cfr., inoltre, Id, Responsabilità genitoriale e rapporti di filiazione tra scelte legislative, indicazioni giurisprudenziali e contesto europeo, cit., 895 e ss., in cui, tuttavia, in

quest’ottica, si rileva «che deve anche definitivamente spogliarsi il c.d. superiore interesse del minore di quella eccessiva enfasi che sovente lo accompagna [...], e che tende a farne una

(10)

Il tutto con la conseguenza, ad avviso della Corte, che la «circostanza che esista una differenza tra la normativa italiana e le molteplici normative mondiali è un fatto che l’ordinamento non può tenere in considerazione. Diversamente opinando, la disciplina interna dovrebbe essere sempre allineata, per evitare una lesione del principio di eguaglianza, alla più permissiva tra le legislazioni estere che regolano la stessa materia».

Pertanto, per la Consulta l’incidenza delle maggiori o minori capacità economiche della coppia (omosessuale) rispetto alla possibilità di accedere all’estero alla PMA non rileva sotto il profilo della legittimità costituzionale della disciplina in esame, tenuto conto che, come detto, l’eventuale elusione della normativa interna così realizzata - diversamente da quanto sembra essere prospettato nella sentenza n. 162/2014 - non può rappresentare una valida ragione per “abdicare” alle «coordinate di fondo» della L. n. 40/2004. Considerazioni finali

In conclusione, può affermarsi che con la decisione in commento la Consulta, di là dagli esiti cui è pervenuta, anche grazie ad uno “scrupoloso ripensamento” di alcuni orientamenti espressi in precedenza, ha l'indubbio merito di avere cercato di mettere “ordine” in una materia, che, come è noto, «suscita delicati problemi di ordine etico e morale»25, riuscendo a spogliarla di quella pericolosa deriva "adultocentrica", che troppo frettolosamente ci stava conducendo verso l'affermazione di un ipotetico e dagli incerti confini “diritto assoluto alla genitorialità”, destinato sempre più spesso a farci “confondere” i “bisogni” degli adulti con quelli delle persone di età minore.

sorta di "generica panacea contro ogni male" non sempre funzionale a salvaguardare proprio le istanze dei minori».

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