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(1)5.FAR OFF THINGS 5.1

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5.FAR OFF THINGS

5.1. Origine e struttura

Far Off Things è il primo dei tre volumi dell’autobiografia di Arthur Machen, ed è considerata da molti critici come una delle sue opere piú riuscite insieme a The Hill of Dreams (che forse non a caso è il romanzo piú autobiografico dell’autore), sia per la qualità della prosa sia perché ci descrive i primi anni a Londra dell’(aspirante) scrittore e le sue idee sulla letteratura, ma non solo.

Dopo la popolarità ottenuta in seguito alla pubblicazione di “The Bowmen”, Machen cominciò a scrivere una serie di articoli che ricevettero invece molta meno attenzione. Da molto tempo aveva voluto scrivere le memorie della sua infanzia nel Gwent e dei suoi anni difficili a Londra, quando finalmente, nel 1915, il redattore del «London Evening Standard» – per cui lavorava e che non conosceva il desiderio di Machen – gli chiese di fare proprio questo. Col titolo di Confessions of a Literary Man, le memorie furono pubblicate sotto forma di trentacinque articoli dal marzo al luglio dello stesso anno. Nel 1922 Martin Secker pubblicò l’autobiografia in un volume unico, anche se si può ancora notare l’origine “giornalistica” dell’opera, che si

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presenta come una successione di sezioni che iniziano spesso con una sorta di riassunto di un argomento già trattato nelle sezioni precedenti. Tuttavia, non si tratta, come potrebbe sembrare da questa descrizione, della raccolta confusa di una serie di articoli di giornale. La struttura episodica non distrae affatto il lettore, che potrebbe addirittura non notarla se non è a conoscenza delle origini di questo libro1.

Far Off Things è imprescindibile per conoscere a fondo molti aspetti riguardanti Arthur Machen, l’ultimo dei quali è – paradossalmente – proprio la sua biografia: difatti egli descrive molto in dettaglio e vividamente i posti in cui viveva o che visitava – si pensi alle splendide descrizioni della campagna natía – ma non fa altrettanto con le azioni e gli eventi significativi della sua esistenza, tanto che né qui né nel secondo volume autobiografico (Things Near and Far) troviamo alcun riferimento alla morte della prima moglie o ai due matrimoni. Machen guarda al passato, ma spesso lo racconta con reticenza, tanto che nel caso di Far Off Things si può parlare d’autobiografia romanzata:

«Just as he put more of his own experiences into his stories than do most novelists, so his autobiography leans towards the novel»2. Questa sua riluttanza si fa sempre piú evidente a mano a mano che il racconto procede: se all’inizio Machen è esplicito e aperto, andando avanti troviamo omissioni biograficamente significative, come quelle appena riportate.

A ogni modo, questo suo essere «some way off the beaten track of

                                                                                                               

1 Cfr. M. VALENTINE, AM, pp. 104-105.

2 A. REYNOLDS – W. CHARLTON, Arthur Machen: A Short Account of his Life and Work, p. 131.

3 Ibidem.

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2 A. REYNOLDS – W. CHARLTON, Arthur Machen: A Short Account of his Life and Work, p. 131.

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autobiography»3 non delude affatto il lettore che, sebbene alla fine del libro non abbia una conoscenza profonda degli eventi della gioventú di Machen, ha imparato a vedere il mondo con i suoi occhi. E in effetti è piú che una semplice biografia: a tratti si legge come un diario, come una raccolta di riflessioni personali sulla letteratura, sull’arte in generale, sulla traduzione, ma anche sulla religione e sulla filosofia.

Il libro come lo conosciamo oggi è costituito da sei capitoli, formati ciascuno da piú sezioni, che richiamano la pubblicazione a puntate originaria.

Far Off Things inizia e finisce nel Gwent, mentre la parte centrale è ambientata a Londra. Se è vero che Machen rimarrà sempre affascinato dalla natura di Caerleon e dintorni, è altrettanto vero che sin da giovanissimo si sentí attratto dalla capitale inglese, vista inizialmente come un luogo magico come il suo Gwent, e con la quale ebbe per il resto della vita un rapporto di amore e odio.

5.2. Gwent vs Londra

Già dal primo capitolo sono evidenti i sentimenti di Machen nei confronti del Gwent, che sin dall’infanzia considerava una regione magica, soprannaturale, un paese incantato, una campagna che «for me never was illuminated by common daylight, but rather by suns that rose from the holy seas of faery and sank down behind magic hills»4. Il senso di meraviglia dell’autore la fa da padrone in queste prime pagine: «everything to me was wonderful, everything visible was the veil of an invisible secret. Before an oddly shaped stone I was ready to fall into a sort of reverie or meditation, as if                                                                                                                

3 Ibidem.

4 A. MACHEN, FOT, pp. 11-12.

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it had been a fragment of paradise or fairyland»5.

Come emerge chiaramente dalla prima parte dell’autobiografia, per Machen il mondo intelligibile era coperto da un velo che «obscured a noumenal universe that was timeless and of a more profound order of reality»6. E piú volte nei suoi scritti si scaglia contro il realismo di autori come George Eliot e Thackeray: a Machen interessava soltanto ciò che si trova sotto la superficie che spesso scambiamo per la realtà. All’inizio di The Great God Pan ritroviamo questa riflessione:

You see the mountain, and hill following after hill, as wave on wave, you see the woods and orchard, and the fields of ripe corn, and the meadows reaching to the reed-beds by the river… I say that all these are but dreams and shadows; the shadows that hide the real world from our eyes. There is a real world, but it is beyond this glamour and this vision, beyond these ‘chases in Arras, dreams in a career’, beyond them all as beyond a veil7.

Racconti come “The White People” sono perturbanti perché risvegliano il nostro sospetto che la realtà sia qualcosa che non riusciamo a percepire e capire fino in fondo. Machen cerca di andare al di là di questo velo, di cogliere il mistero dell’universo; come scrive Franco Basso, «era un mistico, un visionario fermamente convinto che la percezione del mondo esterno sia pura illusione e che dietro gli eventi quotidiani e gli oggetti comuni vi sia un segreto

                                                                                                               

5 Ibidem, p. 23.

6 P. MORRIS, Arthur Machen, The Mystic of Gwent, articolo accessibile gratuitamente all’indirizzo http://www.walesartsreview.org/far-off-things-arthur-machen-the-mystic-of- gwent/ (consultato il 06.10.2013).

7 A. MACHEN, The Three Impostors and Other Stories, a cura di S.T. Joshi, Chaosium,

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che è la chiave del grande enigma dell’esistenza»8. Il compito dello scrittore è descrivere al lettore questa realtà nascosta, «che è l’unica a essere autentica»9.

La prosa figurata di Far Off Things cerca di esprimere non solo l’indiscutibile bellezza del Gwent, ma anche il terrore che esso evocava e la sensazione della sua pochezza al cospetto della natura. Altrettanto Machen cercò di fare attraverso la narrativa, che come dice egli stesso «had all been the expression of one formula, one endeavour. What I had been doing was this: I had been inventing tales in which and by which I had tried to realise my boyish impressions of that wonderful magic Gwent»10.

Negli anni Machen cercò di tradurre tutto ciò che provava per i luoghi in cui era nato in letteratura, in storie che potessero parlare al lettore. Ma, come presto si rese conto, era impossibile trovare una trama che potesse esprimere tali emozioni. Per questo i suoi primi tentativi letterari fallirono nel momento stesso della loro concezione.

Sull’adolescente Machen Londra inizia a esercitare presto un’attrazione irresistibile: ne sentiva la “chiamata”, e non desiderava che visitarla. Nei mesi precedenti al suo primo viaggio nella capitale inglese passava le giornate immaginando come sarebbe potuta essere e leggendo tutto ciò che la riguardava, dai romanzi alle riviste e quotidiani londinesi. L’autore in questa circostanza si paragona a Colombo, poiché per entrambi contava solo «the tremendous, marvellous, terrible venture into the unknown» che avrebbero compiuto; Machen vede davanti a sé una città «as full of unheard-of things and

                                                                                                               

8 A. MACHEN, Oltre la soglia, tr. it. di F. Basso, Tranchida Editore, Milano 1993, p. 9.

9 Ibidem.

10 A. MACHEN, FOT, p. 18.

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great unveilings as any magic city in an Eastern tale»11. In un primo tempo sembra provare nei confronti di Londra quello stesso senso di meraviglia che caratterizzava il suo rapporto con il Gwent.

Tutto ciò che la riguarda diventa splendido, le pagine dei quotidiani londinesi sono «giardini di delizie», e addirittura l’edicolante da cui li compra è definito a “celestial” agent12, facendo riferimento ai celestial pleasures che De Quincey otteneva con l’oppio e di cui scrive nelle Confessioni di un mangiatore d’oppio.

Dopo questa fase idilliaca della sua relazione con Londra, alla fine del quarto capitolo Machen racconta come stesse iniziando davvero a conoscerla, andando oltre alla ricchezza ed eleganza superficiali che tanto lo avevano colpito durante la sua prima visita: «For now London began to assume for me its terrible aspect. It was rather a goblin's castle than a city of delights; if indeed it had not become a place of punishment wherein I was condemned to hard labour through many dreary and hopeless years»13. Questa evoluzione è evidente nella citazione che l’autore sceglie per introdurre il periodo di miseria, povertà, fame e solitudine che caratterizzò parte della sua vita negli anni Ottanta: «Here Begin Terrors».

Tuttavia, nella descrizione di questi anni difficili, Machen sceglie di tacere gli aspetti peggiori, i periodi in cui per diverse settimane consecutive non parlava con nessuno o della depressione che a volte lo affliggeva, preferendo descrivere le letture e le ricerche di libri misteriosi e affascinanti nelle librerie di tutta Londra. Quando finalmente tornò nel Gwent natío gli sembrava di                                                                                                                

11 Ibidem, p. 60.

12 Ibidem.

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passare le giornate in una sorta di beatitudine, provava una gioia inesprimibile, si sentiva come un prigioniero che era finalmente stato liberato; come dice Machen stesso: «I thought I had been translated from hell to paradise»14. Un’altra similitudine che usa per esprimere il senso di gioia che provava nell’esser tornato a casa è quella del convalescente, che può finalmente curare le ferite fisiche, ma soprattutto dell’anima, che Londra gli ha crudelmente inferto. Il sollievo nel rivedere i volti e i luoghi felici dell’infanzia lo porta a esprimere la speranza di rimanere per sempre lí, rendendosi conto allo stesso tempo della sua infelice condizione: «Indeed, in this first passion of relief, I loved to imagine myself as dwelling for the rest of my days amidst friendly faces in a friendly land, and devoting, say, fifty years to healing the wounds of eighteen months. It is a sorry thing to be but twenty-one and to feel so»15.

5.3. Analisi stilistica

Lo stile di Far Off Things è sicuramente lontano da quello dei racconti del 1890, non solo per il diverso genere letterario, ma anche perché l’autobiografia fu scritta venticinque anni dopo, in un periodo in cui Machen è ormai arrivato al culmine della notorietà (nel 1915 lo scalpore intorno a “The Bowmen” non si era ancora placato). Insomma, i tempi erano maturi per guardare al passato, e Machen usa tutta la sua abilità per raccontarci l’infanzia nel Gwent e le prime esperienze da letterato nella Londra degli anni Ottanta dell’Ottocento.

In generale, e soprattutto nelle parti “narrative” (in opposizione a quelle in cui fa digressioni sulla letteratura, sulla filosofia o sull’alchimia), il tono è                                                                                                                

14 Ibidem, p. 129.

15 Ibidem, p. 130.

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colloquiale, informale. Oltre agl’innumerevoli well riempitivi, in alcuni punti si rivolge direttamente al lettore, che a sua volta si sente vicino all’autore e coinvolto, come se fosse una conversazione intima tra i due: «[s]ay that I had walked and wandered by unknown roads»16; «[s]uppose the weather did not beckon me, I would begin to go about the house on the search of books»17. Altre volte questo stile discorsivo è reso attraverso l’uso di frasi ellittiche: «If you stayed in friendly and hospitable company much after ten of the night, it was usually a case of the spare room, newly aired sheets, one pipe more, and so to bed»18.

Il tono confidenziale tipico dell’autobiografia è rafforzato inoltre dall’occasionale comparsa in primo piano dell’autore-narratore, che mette in risalto la distanza temporale (circa trentacinque anni) tra il momento in cui scrive e gli eventi descritti: [f]or the older I grow the more firmly am I convinced that anything which I may have accomplished in literature is due to the fact that […]»19; e parlando dei caratteri piccoli dell’edizione del Don Chisciotte che lesse da bambino commenta: «alas! it would now blind my tired eyes»20. Il tempo presente emerge indirettamente in riferimento all’espressione

“attacco frontale”: «[t]he critic is afraid to make a frontal attack—the stress of these times will win pardon for the phrase—since he knows that […]»21. Qui Machen sembra quasi scusarsi coi propri lettori per l’uso metaforico dell’espressione poco elegante frontal attack perché nel 1915 «the stress of                                                                                                                

16 Ibidem, p. 18.

17 Ibidem, p. 34.

18 Ibidem, p. 11.

19 Ibidem, p. 10.

20 Ibidem, p. 41.

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these times» includeva la Prima guerra mondiale.

Da un punto di vista sintattico notiamo lo scarto con i racconti, che sono caratterizzati da frasi brevi e lineari, senza una subordinazione importante. La sintassi di Far Off Things è, invece, piú complessa, con proposizioni in media piú lunghe. Tuttavia, la lunghezza non porta necessariamente con sé una maggiore complessità o difficoltà nella comprensione; ad esempio:

The postman would put the parcel in his bag, cross the road, and go striding off into the dim country beyond, finding his way on a track that no townsman could see, by field and wood and marshy places, crossing the Canthwr brook by a narrow plank, coming out somewhere on the Llanfrechfa road, and so entering at last Caerleon-on-Usk, the little silent, deserted village that was once the golden Isca of the Roman legions, that is golden for ever and immortal in the romances

of King Arthur and the Graal and the Round Table22.

Come si può notare, nonostante sia un enunciato di otto righe, non presenta difficoltà grazie alla sua sintassi lineare, alla concatenazione di frasi. A volte, frasi piú brevi hanno anche una complessità maggiore:

I stayed in Turnham Green, then a place of many amenities standing amongst fields and gardens and riparian lawns, which, long ago, have been buried beneath piles of cheap bricks and mortar, for a year and a half, and then again I altered my

plans, or fate rather altered them for me (sottolineatura mia) 23.

Il lungo inciso sottolineato a una prima lettura rende difficile la comprensione, in quanto tendiamo ad associare «for a year and a half» con ciò                                                                                                                

22 Ibidem, p. 9.

23 Ibidem, p. 77.

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lo precede immediatamente, mentre realmente si ricollega a «I stayed in Turnham Green».

In alcune circostanze la prosa di Machen si rivela criptica, tanto che, ad esempio, con difficoltà riusciamo a dare un senso a quanto segue: «I came into a strange country, and strange it ever remained to me, so that when I left it for ever there were still hills within sight and yet untrodden, lanes and paths of which I knew the beginning but not the end»24. Non è facile ricostruire il significato della frase ma, poiché sappiamo che non ha mai davvero «lasciato per sempre» il suo Gwent, dobbiamo interpretarla in chiave metaforica, o quantomeno astratta: Machen potrebbe far riferimento al fatto che non avrebbe mai piú visto il Gwent con gli occhi del bambino.

Una caratteristica stilistica dell’autobiografia è il polisindeto, un procedimento anaforico che consiste nella «coordinazione mediante congiunzioni ricorrenti»25; «nella lingua letteraria la frequenza relativa di ciascuno dei due tipi [asindeto e polisindeto] è in grado di contrassegnare lo stile di uno scrittore o di un’opera»26: è proprio il caso di Far Off Things. Il polisindeto tende a sottolineare i singoli elementi che vengono uniti dalla stessa congiunzione. : «[s]olitude and woods and deep lanes and wonder; these were the chief elements of my life»27; «the very stones and the far-lifted vault and the hollow spaces of the towers re-echo and reverberate and thrill with tremendous fugal harmonies»28; «[b]ut on that June night in 1880 I walked up Surrey Street and stood on the Strand pavement and looked before me and to                                                                                                                

24 Ibidem, p. 20.

25 B.M. GARAVELLI, Manuale di retorica, Bompiani, Milano 1988, p. 203.

26 Ibidem.

27 A. MACHEN, FOT, p. 33.

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right and to left and gasped»29.

Ma la peculiarità stilistica principale di quest’autobiografia è il ricorso frequente al linguaggio figurato, che dà maggiore espressività alla prosa di Machen. Poco prima di lasciare il Gwent per la prima volta per andare a Londra, tutto ciò che la riguarda diventa qualcosa di sacro, di soprannaturale:

«It is to be supposed that I had read something concerning Swinburne in one of those wonderful London papers that came over our hills from another world, that might almost have fallen from the stars they were so wholly marvellous»30. Nel quarto capitolo, invece, riflette sulle difficoltà di diventare un letterato, che non ha generalmente una guida come il musicista o il pittore:

the only course is to go on stumbling and struggling and blundering like a man lost in a dense thicket on a dark night; a thicket, I say, of rebounding boughs that punish with the sting of a whip-lash, of thorns that most savagely lacerate the flesh—it is the flesh of the heart, alas! that they tear—of sharp rocks of agony

and black pools of despair31.

Quest’agonia affligge Machen durante la composizione di tutte le sue opere, e quando affronta la difficoltà o, meglio, la sua incapacità di tradurre in parole l’idea che sta alla base di The Anatomy of Tankards, trasforma questo stesso fallimento in un’immagine poetica:

The work was drawing to a close, and I stood meditating the matter, looking from the height down towards Brentford. There was a wild sunset, scarlet and green and gold, and as it were, gardens of Persian roses, far in the evening sky. I stood                                                                                                                

29 Ibidem, pp. 65-66.

30 Ibidem, p. 81.

31 Ibidem, pp. 91-92.

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by an old twisted oak, and thought of my book as I would have made it, and

sighed, and so went home and made it as I could32.

5.4. Ricezione

La maggior parte dei critici è d’accordo nel considerare Far Off Things una delle opere migliori nella vasta produzione di Machen, e la piú matura dal punto di vista stilistico insieme al romanzo The Hill of Dreams. Il critico e biografo Mark Valentine condivide quest’opinione: «Far Off Things is regarded, rightly, as amongst Machen’s best successes»33. Reynolds e Charlton affermano che il primo volume dell’autobiografia «must count with the best work he ever did»34. Morchard Bishop applica a Far Off Things le stesse parole che Machen aveva usato per descrivere Le confessioni di un mangiatore d’oppio di De Quincey: «He wrote in the great manner because he thought in the great manner»35. Infine, nella pagina Internet dell’associazione Friends of Arthur Machen leggiamo: «Far Off Things (1922) has been widely celebrated for its mood of sustained reverie and its power to evoke a sense of wonder from landscape»; l’opera viene inoltre descritta come segue: «The first and most lyrical section of Machen's autobiographical memoir, especially beloved of those who celebrate the author as a major stylist of evocative prose. The sublime Welsh landscapes shape the childhood of the author in approved

                                                                                                               

32 Ibidem, p. 126.

33 M. VALENTINE, AM, p. 106.

34 A. REYNOLDS – W. CHARLTON, Arthur Machen: A short Account of His Life and Work, p. 119.

35 M. BISHOP (a cura di), The Autobiography of Arthur Machen, Richards Press, London

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Wordsworthian fashion»36.

In generale, possiamo concludere, Machen non fu solo uno scrittore di genere, capace di dare al pubblico quel che piú desiderava per distarsi o intrattenersi, ma anche un abile scrittore di sé stesso, della propria personalità e dei grandi spazi che ne videro l’affermazione come letterato o la crescita come essere umano.

 

                                                                                                               

36 Si veda l’indirizzo http://www.arthurmachen.org.uk/machwork.html (consultato il 06.10.2013).

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