“L’accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione di demolizione” – TAR
Lombardia – Brescia – sez. I – sentenza del 1 dicembre 2020 – n. 840
L’accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione di demolizione è configurato ex art. 31 comma 3 del D.P.R. n. 380 del 2001 alla stregua di un atto ad efficacia meramente dichiarativa, che si limita a formalizzare l’effetto (acquisizione gratuita del bene al patrimonio comunale) già verificatosi alla scadenza del termine assegnato con l’ingiunzione stessa; l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere edilizie abusivamente realizzate è una
misura di carattere sanzionatorio che consegue automaticamente all’inottemperanza dell’ordine di demolizione.
Pubblicato il 01/12/2020
N. 00840/2020 REG.PROV.COLL.
N. 00731/2013 REG.RIC.
N. 00829/2013 REG.RIC.
N. 01187/2013 REG.RIC.
N. 00279/2014 REG.RIC.
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 731 del 2013, proposto da S. T., in proprio e quale titolare dell’Azienda Agricola “Valabbio” di S. T.,
rappresentato e difeso dall’avvocato Andrea Mina, con domicilio eletto presso il suo studio in Brescia, via Solferino, 51;
contro
Comune di Travagliato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Domenico Bezzi e Alberto Luppi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Domenico Bezzi in Brescia, via Diaz, 13/C;
per l’annullamento
A) quanto al ricorso n. 731 del 2013:
– del provvedimento datato 26.04.2013 e notificato al ricorrente in data 15.05.2013 con il quale il responsabile dell’area tecnica del Comune di
Travagliato accertava l’inottemperanza all’ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi e contemporaneamente disponeva l’acquisizione di diritto gratuitamente al patrimonio comunale delle aree interessate dai lavori di escavazione;
– di ogni altro atto presupposto, conseguente o comunque collegato ed in particolare del verbale di accertamento dei luoghi redatto in data 26.04.2013 e notificato unitamente al precedente atto di acquisizione in data 15.05.2013;
B) quanto al ricorso n. 829 del 2013:
– del provvedimento n. 25 del 23/05/2013 e notificato al ricorrente in data 25.05.2013 col quale il responsabile dell’area tecnica del Comune di Travagliato ha ingiunto al ricorrente di provvedere a propria cura e spese al ripristino dello stato dei luoghi, di parte del mappale n. 39 e di parte del mappale n. 122 del fg 23 del NCTR del Comune di Travagliato;
– di ogni altro atto presupposto, conseguente o comunque collegato ed in particolare delle controdeduzioni del 23.05.2013 e notificate unitamente al precedente atto di acquisizione in data 25.05.2013;
C) quanto al ricorso n. 1187 del 2013:
– del provvedimento datato 24.9.2013, prot. n.14660 e notificato al
ricorrente in data 26.09.2013 con il quale il responsabile dell’area tecnica del Comune di Travagliato ha denegato la domanda di permesso di costruire del 28.08.2013 diretta a ripristinare lo stato dei luoghi in località Bissa;
– di ogni atto presupposto, conseguente o comunque collegato;
D) quanto al ricorso n. 279 del 2014:
– del provvedimento n. 19073 dell’11.12.2013 notificato al ricorrente in data 21.12.2013 con cui il responsabile dell’area tecnica del Comune di
Travagliato ha accertato l’inottemperanza all’ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi, e disposto contemporaneamente l’acquisizione di diritto
gratuitamente al patrimonio comunale delle aree interessate dai lavori di escavazione;
– di ogni altro atto presupposto, conseguente o comunque collegato ed in particolare del verbale di accertamento dei luoghi redatto in data 11.12.2013 e notificato unitamente al precedente atto di acquisizione in data 21.12.2013;
Visti i ricorsi e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in tutti i giudizi del Comune di Travagliato;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore il dott. Ariberto Sabino Limongelli nella udienza pubblica del giorno 11 novembre 2020, svoltasi da remoto senza discussione orale, ex art. 25, I comma, del d.l. 28 ottobre 2020 n. 137;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La presente controversia si colloca a valle di una lunga vicenda
amministrativa e contenziosa, di cui questo Tribunale si è già occupato nella sentenza n. 480 del 29 marzo 2011, confermata in appello dal Consiglio di Stato con sentenza della Quarta Sezione n. 2852 del 17 maggio 2012.
Giova riassumere per sommi capi le vicende pregresse già decise, nei limiti di ciò che rileva ai fini del presente giudizio.
1. Le vicende pregresse.
1.1. T. S., titolare in Lograto (Bs) di un’azienda agricola denominata
“Valabbio”, presentava il 10 aprile 2006 al confinante Comune di Travagliato una richiesta di permesso di costruire per la realizzazione di un “intervento di recupero ambientale in zona Bissa” avente ad oggetto, in particolare, la
realizzazione di due bacini idrici, l’uno destinato all’attività di itticoltura e l’altro all’attività di pesca sportiva; nella propria istanza, il richiedente precisava che l’intervento sarebbe stato realizzato sulle aree identificate in Catasto Terreni al foglio 23, mappali 36, 37, 38, 39, 56, 57, 58, 64, 65, ricomprese in zona agricola produttiva “E1” dell’allora vigente PRG.
1.2. Con provvedimento n. 5/2007 dell’11 aprile 2007, il Comune di Travagliato, previa stipula di convenzione urbanistica, rilasciava al S. il
permesso di costruire per la realizzazione dei predetti interventi sui mappali indicati; il permesso di costruire precisava che per poter avviare i lavori di escavazione e, successivamente, di commercializzazione dei materiali inerti, l’interessato avrebbe dovuto conseguire il rilascio dell’autorizzazione regionale di cui all’art. 36 comma 3 della l.r. 14/98.
1.3. In data 4 agosto 2008 l’interessato otteneva dalla Regione Lombardia il rilascio dell’autorizzazione alla commercializzazione del materiale inerte, per un volume complessivo di mc 1.129.856 e per un periodo di tre anni decorrenti dalla notifica dell’atto; il provvedimento subordinava l’autorizzazione alla perdurante efficacia del permesso di costruire n. 5/2007.
1.4. Successivamente, peraltro, anche a seguito del mutamento della maggioranza politica, il Comune manifestava un atteggiamento contrario alla realizzazione del progetto, che si concretizzava nell’adozione dei seguenti atti:
– in primo luogo, con ordinanza del 9 agosto 2008, il Comune ordinava l’immediata sospensione dei lavori di escavazione e l’avvio di un procedimento di annullamento in autotutela del permesso di costruire n. 5/2007;
– di seguito, con deliberazione consiliare del 10 agosto 2008 n. 34, il Comune adottava una variante allo strumento urbanistico generale, che per
l’avvenire andava sostanzialmente a precludere progetti del tipo di quello assentito a favore di T. S.;
– ancora successivamente, con delibera di giunta 11 agosto 2008 n. 43, il Comune avviava un procedimento di “revoca e/o annullamento, in via di
autotutela… della deliberazione della giunta comunale n°109 del 21 maggio 2007”, ovvero dell’approvazione della bozza della convenzione necessaria a commercializzare gli inerti;
– di conseguenza il Comune decideva anche di impugnare in sede
giurisdizionale l’autorizzazione regionale a commercializzare gli inerti, dando luogo al ricorso n. 1140/2008 R.G;
– parallelamente, sempre il Comune disponeva infine con provvedimenti del 18 agosto 2008 e del 4 settembre 2008, l’annullamento in via di autotutela del permesso di costruire 5/2007, e con ordinanza n. 2001 del 24 settembre 2008 ordinava la rimessione in pristino del sito.
L’annullamento in autotutela era motivato sotto plurimi profili: lesione della competenza del consiglio comunale, che avrebbe dovuto approvare l’intervento in luogo della giunta; non corrispondenza fra i mappali indicati nel permesso di costruire come sedime del progetto e quelli considerati nei disegni tecnici allegati; errata classificazione dei terreni interessati nella convenzione urbanistica; mancanza in capo al richiedente di titoli di proprietà o affini sui mappali 43 e 44, interessati dallo scavo di uno dei laghetti; carattere di
sensibilità paesistica del sito; divieto ai sensi dell’art. 133 comma 1 lettera a) del RD 8 maggio 1904 n°368 di svolgere lavori di escavo su terreni come il mappale 122 sui quali insiste un canale di bonifica.
L’ordinanza di rimessione in pristino, invece, richiamava la circostanza, già valorizzata nell’ordinanza di sospensione lavori, dell’avvenuta realizzazione di ingenti scavi, e motivava sia con riguardo all’annullamento del permesso di costruire, sia con riguardo alla mancata sottoscrizione della convenzione per commercializzare gli inerti; ordinava quindi il ripristino dei mappali 117, 57, 58, 59 e 38 del foglio 23.
1.5. I provvedimenti da ultimo citati (annullamento in autotutela del permesso di costruire e ordinanza di rimessione in pristino) erano impugnati dinanzi a questo TAR rispettivamente con i ricorsi R.G. 1028/2008 e 1266/08.
Tali ricorsi, unitamente a quello proposto dal Comune di Travagliato avverso l’autorizzazione regionale alla commercializzazione degli inerti (R.G. 1140/2008) erano decisi da questo TAR, previa riunione, con sentenza n. 480 del 29 marzo 2011; la sentenza, in particolare:
a) respingeva il ricorso n. 1029/2008 proposto dal Sisti avverso il provvedimento di annullamento in autotutela del permesso di costruire;
b) dichiarava inammissibile il ricorso n. 1140/2008 proposto dal Comune di
Travagliato avverso l’autorizzazione regionale;
c) respingeva in parte il ricorso n. 1266/08 proposto dal Sisti avverso l’ordinanza di rimessione in pristino, e in parte lo dichiarava inammissibile.
1.6. La sentenza era impugnata dal Sisti dinanzi al Consiglio di Stato, che con sentenza della Quarta Sezione n. 2852 del 17 maggio 2012, respingeva l’appello, confermando integralmente la sentenza di primo grado.
2. Vicende successive (oggetto dei giudizi qui in esame).
2.1. Il ricorso R.G. 731/2013.
2.1.1. A seguito della predetta sentenza del Consiglio di Stato, il Comune di Travagliato, con nota del 26 ottobre 2012, comunicava al S. l’avvio del
procedimento volto all’acquisizione gratuita delle aree al patrimonio comunale, ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2011.
2.1.2. Seguiva un fitto scambio di corrispondenza tra l’amministrazione comunale e l’interessato (o il suo legale), nel corso della quale il Comune prorogava più volte i termini per la conclusione del procedimento.
2.1.3. In data 26 aprile 2013 il Comune eseguiva un sopralluogo presso le aree interessate, in occasione del quale accertava:
– che sui mappali specificamente indicati nell’ordinanza di ripristino (n. 117 parte, n. 57, n. 58 parte, n. 59, n. 38 parte) le opere di ripristino non erano state eseguite;
– che vi erano altri due mappali “manomessi” (parte del mappale n. 39 e parte del mappale n.127 del Foglio 23), che tuttavia non erano stati indicati nell’ordinanza di rimessione in pristino.
2.1.4. Alla luce di tale accertamento, il Comune di Travagliato adottava l’ordinanza prot. n. 7269 del 26 aprile 2013, notificata all’interessato il 15 maggio 2013, con cui:
a) accertava l’inottemperanza all’ordinanza n. 2001 del 24 settembre 2008 relativamente a “parte del mappale 117 del Foglio 23 […], per circa 23.027 mq;
l’intero mappale n. 57 […] per catastali 2,00 mq; parte del mappale n. 58 […]
per circa 18.429 mq; l’intero mappale n. 59 […] per catastali 19.690 mq; parte del mappale n. 38 […] per circa 5.932 mq”;
b) avvisava, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 31 comma 4 del D.P.R.
380/2001, che tale accertamento costituiva “titolo per l’immissione in possesso e per la trascrizione gratuita nei registri immobiliari delle aree di sedime su cui si sono volti i lavori, come già individuate nella planimetria allegata al verbale di ripristino dei luoghi […]”;
c) disponeva la notifica del provvedimento all’interessato ai sensi e per gli effetti di cui al citato art. 31 comma 4, ai fini dell’immissione in possesso e della trascrizione nei registri immobiliari;
d) rimandava ad un successivo atto di identificazione catastale l’esatta
delimitazione della porzione di ciascuno dei terreni di cui ai citati mappali, da redigersi sulla scorta di un frazionamento predisposto da un tecnico abilitato.
2.1.5. Con ricorso R.G. 731/2013 notificato il 12-15 luglio 2013 e
ritualmente depositato, l’interessato impugnava tale provvedimento dinanzi a questo TAR e ne chiedeva l’annullamento, con condanna dell’amministrazione comunale al risarcimento del danno o, in subordine, alla corresponsione
dell’indennizzo di cui all’art. 21 quinquies L. n. 241/90.
2.2. Il ricorso R.G. 829/2013.
2.2.1. In relazione, invece, ai residui mappali nn. 39 (parte) e 122 (parte) del Foglio 23 – oggetto anch’essi, come detto, dei lavori di escavazione, ma non contemplati nell’ordinanza di ripristino n. 2001 del 24 settembre 2008 –
l’Amministrazione adottava l’ordinanza n. 25 del 23 maggio 2013, notificata il 24 maggio 2013, con cui ingiungeva al S. di provvedere a propria cura e spese, entro 90 giorni dalla notifica, al ripristino dello stato dei luoghi “mediante
presentazione da parte di un tecnico competente di idoneo progetto di ripristino”, preavvisandolo che, in caso contrario, i beni e le relative aree di sedime sarebbero state acquisite di diritto gratuitamente al patrimonio comunale, ai sensi dell’art. 31 comma 3 del D.P.R. n. 380 del 2001.
2.2.2. Anche questo provvedimento era impugnato dall’interessato dinanzi a questo TAR con ricorso R.G. 829/2013 notificato il 23-25 luglio 2013 e
ritualmente depositato, formulando domande di annullamento e di risarcimento del danno o, in subordine, di indennizzo ex art. 21 quinquies L. 241/90.
2.3. Il ricorso R.G. 1187/2013.
2.3.1. In data 28 agosto 2013, l’intimato presentava una domanda di permesso di costruire per l’esecuzione delle opere di ripristino dello stato dei luoghi.
2.3.2. Il Comune, con provvedimento prot. n. 14660 del 24 settembre 2013, respingeva l’istanza e ne disponeva l’archiviazione, rilevando che: a) quanto ai mappali nn. 117, 57, 58, 59 del Foglio 23, il richiedente non aveva titolo per richiedere autorizzazioni per effettuare alcun tipo di intervento, trattandosi di mappali per i quali si era già perfezionata la procedura di acquisizione gratuita delle aree al patrimonio comunale; b) quanto invece ai mappali nn. 39 e 122, l’istanza era stata presentata tardivamente oltre il termine di 90 giorni
assegnato per il ripristino, scaduto il 22 agosto 2013, e comunque era pure mancante della necessaria documentazione, dettagliatamente specificata.
2.3.3. Il provvedimento era impugnato dall’interessato dinanzi a questo TAR con ricorso R.G. 1187/2013 notificato il 22-25 novembre 2013 e ritualmente depositato, formulando domande analoghe a quelle dei precedenti giudizi.
2.4. Il ricorso R.G. 279/2014.
2.4.1. Infine, con ordinanza prot. 19073 dell’11 dicembre 2013, notificata il
20 dicembre 2013, l’Amministrazione, premesso quanto sopra ed eseguito un ulteriore sopralluogo in data 11 dicembre 2013:
a) accertava l’inottemperanza all’ordinanza n. 25 del 23 maggio 2013
relativamente a “parte del mappale 39 del Foglio 23 […], per circa 8.020,38 mq;
e parte del mappale n. 122 del Foglio 23, per circa 944,93 mq”;
b) avvisava l’intimato, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 31 comma 4 del D.P.R. 380/2001, che tale accertamento costituiva “titolo per l’immissione in possesso e per la trascrizione gratuita nei registri immobiliari delle aree di sedime su cui si sono volti i lavori, come già individuate nella planimetria
allegata al verbale di accertamento dello stato dei luoghi del 11.12.2013 […]”;
c) disponeva la notifica del provvedimento all’interessato ai sensi e per gli effetti di cui al citato art. 31 comma 4, ai fini dell’immissione in possesso e della trascrizione nei registri immobiliari;
d) rimandava ad un successivo atto di identificazione catastale l’esatta delimitazione della porzione di ciascuno dei terreni di cui ai citati mappali, da redigersi sulla scorta di un frazionamento predisposto da un tecnico abilitato.
2.4.2. Il provvedimento era impugnato dall’interessato dinanzi a questo TAR con ricorso R.G. 279/2014 notificato il 18-20 febbraio 2014 e ritualmente depositato, formulando domande analoghe a quelle già proposte nei precedenti giudizi.
3. Svolgimento dei giudizi.
In tutti e quattro i giudizi si costituiva il Comune di Travagliato, resistendo ai ricorsi con atti di stile, successivamente integrati, in prossimità dell’udienza di discussione, con il deposito di documentazione e di memorie difensive.
La difesa di parte ricorrente depositava una memoria di replica.
All’udienza pubblica dell’11 novembre 2020, svoltasi secondo le modalità indicate in premessa, i quattro ricorsi erano chiamati congiuntamente e
trattenuti dal Collegio per la decisione.
DIRITTO
Preliminarmente va disposta la riunione dei quattro giudizi in esame, stanti gli evidenti profili di connessione soggettiva e oggettiva, vertendo tra le stesse parti in relazione a provvedimenti successivi e conseguenti afferenti
sostanzialmente al medesimo procedimento amministrativo.
Nel merito, i ricorsi sono infondati sotto tutti i profili dedotti, per le ragioni qui di seguito evidenziate.
1. Quanto al ricorso R.G. 731/2013.
1.1. Il primo ricorso ha ad oggetto l’ordinanza prot. n. 7269 del 26 aprile 2013 con cui l’amministrazione comunale ha accertato l’inottemperanza
all’ordinanza di ripristino n. 2001 del 24 settembre 2008 e disposto
l’acquisizione gratuita al proprio patrimonio di “parte del mappale 117 del
Foglio 23 […], per circa 23.027 mq; l’intero mappale n. 57 […] per catastali 2,00 mq; parte del mappale n. 58 […] per circa 18.429 mq; l’intero mappale n. 59 […] per catastali 19.690 mq; parte del mappale n. 38 […] per circa 5.932 mq”.
1.1. I primi due motivi di ricorsi deducono censure analoghe o comunque connesse, e possono essere esaminati congiuntamente:
– con il primo motivo, la parte ricorrente ha dedotto la violazione degli artt.
31 e 38 del D.P.R. n. 380 del 2001, degli artt. 2 e 3 della L. 241/90 del principio di proporzionalità, nonché vizi di eccesso di potere sotto plurimi profili
sintomatici: il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo perché diretta conseguenza di un’ordinanza di riduzione in pristino illegittima; e ciò in quanto l’Amministrazione avrebbe omesso di applicare l’art. 38 del D.P.R. 380/2001 che disciplina la sorte degli interventi eseguiti sulla base di un permesso di costruire successivamente annullato e che prevede, a tutela dell’affidamento del privato, la possibilità per l’Amministrazione di valutare, in luogo della demolizione e/o della riduzione in pristino, la riedizione del permesso di costruire previa
rimozione dei vizi delle procedure amministrative, ovvero l’applicazione di una sanzione pecuniaria;
– con il secondo motivo, la parte ricorrente ha reiterato, sotto diverso profilo, le medesime censure di cui al primo motivo: l’Amministrazione
comunale avrebbe potuto e dovuto applicare la sanzione pecuniaria prevista dall’art. 38 del D.P.R. 380/20001 in luogo di quella ripristinatoria, valutando come “impossibile” la sanzione demolitoria; e ciò sia in ragione della natura degli interventi eseguiti (che sono consistiti in scavi, sbancamenti e livellamenti del terreno, e non in opere edilizie), sia del fatto che una parte dei predetti terreni interessati da tali interventi sono stati regolarmente coltivati dal
ricorrente; il tutto ha fatto sì che il piano di campagna abbia ormai assunto un diverso andamento rispetto a quello originario, rendendo dubbia la possibilità di ripristinare lo stato dei luoghi.
1.2. Entrambe le censure, osserva il Collegio, sono infondate:
– quanto alla prima, è sufficiente osservare che la parte ricorrente
ripropone nel presente giudizio argomenti difensivi già proposti nei precedenti ricorsi nei confronti del provvedimento di annullamento in autotutela del
permesso di costruire e dell’ordinanza di remissione in pristino, è già confutati – con efficacia di giudicato – sia da questo TAR che dal Consiglio di Stato con le sentenze sopra citate (TAR Brescia, I, n. 480 del 29 marzo 2011; Consiglio di Stato, IV, n. 2852 del 17 maggio 2012). In particolare, quanto alla invocata applicabilità dell’art. 38 del D.P.R. n. 380 del 2001, il Consiglio di Stato si è così espresso:
“Non vi è certamente dubbio che, sulla base del disposto dell’art. 38, d.P.R.
6 giugno 2001 n. 380 ed in relazione alla giurisprudenza dominante (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. IV, 16 marzo 2010, n. 1535), nel caso di opere realizzate sulla base di titolo annullato, la loro demolizione deve essere considerata quale extrema ratio, privilegiando, ogni volta che ciò sia possibile, la riedizione del permesso di costruire emendato dai vizi riscontrati.
Tuttavia, nel caso in specie, ciò che appare assente è l’oggetto stesso del titolo abilitativo, come ben evidenziato dal primo giudice in relazione
all’impossibilità di identificare un elemento progettuale conforme nelle diverse rappresentazioni. Appare quindi inapplicabile l’ipotesi di una rimozione dei vizi procedimentali, atteso che il profilo di illegittimità attiene all’essenza stessa del manufatto in relazione alla sua concreta dislocazione.
Deve quindi condividersi l’impostazione assunta dal T.A.R. che, nella
fattispecie de qua, ha fatto riferimento al valore preminente dell’art. 31 comma 3 prima parte del T.U. 380/2001, secondo il quale “Se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonché quella
necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune”.
Da questo punto di vista, l’attività del Comune appare come conseguenza direttamente derivante dalla legge”;
– quanto al secondo motivo, il Collegio osserva che il ricorrente lamenta la mancata applicazione della sanzione pecuniaria, in luogo di quella
ripristinatoria, di cui all’art. 38, sul presupposto di una asserita “impossibilità “di procedere alla riduzione in pristino; impossibilità che, tuttavia, non soltanto è rimasta sfornita del benchè minimo riscontro probatorio, ma appare per di più smentita dall’ultima produzione documentale dell’amministrazione comunale (relazione di ripristino agronomico aree Ex Bissa” a firma del Dott. Agr. Daniele A., doc. 20), dove sono analizzati nel dettaglio gli interventi necessari al
ripristino dello stato dei luoghi e i relativi costi.
1.3. Con il terzo motivo, la parte ricorrente ha dedotto vizi di erronea e falsa applicazione dell’art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001, di violazione dell’art.
38 dello stesso testo normativo, del principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi, nonché di eccesso di potere sotto diversi profili sintomatici:
muovendo dal presupposto che l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale può essere disposta soltanto in caso di
inottemperanza “colpevole” dell’intimato, il ricorrente ha dedotto che nel caso di specie non sussisterebbe alcun inadempimento colpevole, dal momento che sarebbe stata la stessa Amministrazione comunale ad impedire l’avvio delle
operazioni di ripristino, respingendo, con nota del 26 ottobre 2013, l’istanza del legale del ricorrente del 27 settembre 2012 in cui si manifestava la disponibilità a ripristinare, diffidando l’intimato dall’avviare qualsiasi attività di ripristino prima di aver presentato un progetto redatto da un tecnico abilitato e di aver ottenuto l’autorizzazione degli uffici comunali.
Anche tale censura, osserva il Collegio, è infondata.
1.3.1. L’art. 31 comma 3 del D.P.R. n. 380 del 2001 prevede che “Se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di
sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. […]”.
La giurisprudenza è concorde nel ritenere che l’accertamento
dell’inottemperanza all’ingiunzione di demolizione è configurato dalla norma citata alla stregua di un atto ad efficacia meramente dichiarativa, che si limita a formalizzare l’effetto (acquisizione gratuita del bene al patrimonio comunale) già verificatosi alla scadenza del termine assegnato con l’ingiunzione stessa;
l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere edilizie abusivamente realizzate è infatti una misura di carattere sanzionatorio che consegue
automaticamente all’inottemperanza dell’ordine di demolizione (Consiglio di Stato, sez. II , 24/07/2020 , n. 4725).
In tale contesto, non assume alcun rilievo il profilo soggettivo del carattere colpevole o meno della mancata ottemperanza, e nemmeno l’eventuale
impossibilità (soggettiva o oggettiva) della riduzione in pristino; semmai, “la prospettata impossibilità di demolire le opere abusive senza pregiudizio della parte costruita legittimamente può al più impedire l’esecuzione in danno dell’ordine demolitorio, ma non anche l’effetto acquisitivo dell’area di sedime siccome contemplato come automatico dalla normativa in materia” (Consiglio di Stato, sez. IV, 10/05/2018, n. 2799).
1.3.2. Nel caso di specie, come giustamente osservato dalla difesa del Comune, l’ordinanza di riduzione in pristino è stata adottata
dall’Amministrazione in data 24 settembre 2008; la sentenza di questo TAR n.
480/2011, che ha respinto l’impugnazione avverso tale provvedimento, è del 29 marzo 2011, e non è stata oggetto di sospensione, mentre la sentenza del
giudice di appello n. 2852/2012 è del 17 maggio 2012; il che significa che il 27 settembre 2012, quando il ricorrente ha manifestato attraverso il proprio legale la disponibilità ad eseguire l’ordinanza di riduzione in pristino (in un termine più lungo di quello assegnato), l’effetto acquisitivo delle aree al patrimonio
comunale si era già prodotto automaticamente per effetto del decorso dei 90 giorni previsti dalla legge e assegnati dall’amministrazione, da qualunque data
si voglia far decorrere il predetto termine.
1.3.3. D’altra parte l’istanza del ricorrente, oltre che tardiva, appariva
strumentale e defatigatoria nella sua genericità, perseguendo verosimilmente il solo scopo di consentire al ricorrente di rimettersi in termini e di ottenere
un’ulteriore dilazione del termine di adempimento.
La censura va quindi disattesa.
1.4. Con il quarto motivo, il ricorrente ha dedotto vizi di violazione e falsa applicazione dell’art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001 nonché di eccesso di potere per travisamento dei fatti e difetto assoluto di motivazione: il provvedimento di acquisizione gratuita ex art. 31 sarebbe stato adottato in assenza
dell’accertamento dell’inottemperanza; ciò si evincerebbe dallo stesso verbale di accertamento in cui l’agente accertatore riferisce che, al momento del
sopralluogo, la zona era recintata e inaccessibile e che le verifiche sono state effettuate dall’esterno della recinzione.
Anche tale censura, osserva il Collegio, è infondata.
Il provvedimento impugnato richiama gli esiti del sopralluogo effettuato il 26 aprile 2013, “supportato dagli elaborati grafici del rilievo topografico
effettuato dal Comune nel mese di dicembre 2012 e depositato agli atti il 20 dicembre 2012, prot. n. 18063, e da una specifica documentazione fotografica”.
Come emerge dalla ricostruzione in fatto operata nel preambolo del
provvedimento impugnato, il sopralluogo si è potuto svolgere solo dall’esterno a causa dell’atteggiamento ostruzionistico del ricorrente che, dopo aver ottenuto di procrastinare più volte la data del sopralluogo adducendo motivi di salute, non ha presenziato all’accesso né ha consentito all’Amministrazione di accedere all’area, che appariva recintata e priva di accessi aperti; nondimeno gli agenti accertatori, pur con “notevole difficoltà”, sono comunque riusciti “da alcune aperture” ad effettuare i rilievi fotografici della zona, dai quali si è potuto
evincere e documentare la mancata ottemperanza dell’ordinanza di riduzione in pristino (che peraltro è pacifica in giudizio): cfr verbale di accertamento del 26 aprile 2013, doc. 9 Comune.
1.5. Infine, con il quinto motivo il ricorrente ha dedotto vizi analoghi a quelli di cui al quarto motivo, sotto diverso profilo: il provvedimento impugnato
sarebbe carente della specifica indicazione delle aree da acquisire, che
verrebbero individuate in modo del tutto generico con riferimento ai mappali, rinviando per l’esatta delimitazione di ciascun terreno ad un successivo atto di identificazione catastale da redigersi previo frazionamento.
Anche tale censura non merita di essere accolta.
La giurisprudenza ha chiarito che “L’individuazione delle opere abusive ben può essere effettuata attraverso i riferimenti catastali” (Cons. Stato, III, 7
novembre 2019 n. 7616); nel caso di specie, l’Amministrazione ha fatto
riferimento al rilievo topografico dell’area effettuato dal proprio Ufficio Tecnico nel mese di dicembre del 2012, non contestato dalla parte ricorrente; e
basandosi su questo e sulla visione dello stato dei luoghi (nei limiti consentiti dall’atteggiamento ostruzionistico del ricorrente) ha individuato le aree da acquisire al proprio patrimonio attraverso i relativi riferimenti catastali e l’indicazione della relativa estensione, così come consentito dalla
giurisprudenza sopra citata, rinviando necessariamente ad un successivo atto di frazionamento catastale “l’esatta delimitazione” dei mappali coinvolti solo
parzialmente dai lavori di escavazione (non necessaria, invece, per quelli “interamente coinvolti” dalla escavazione).
Ritiene il Collegio che, nei limiti consentiti dalla peculiarità della vicenda e dello stato dei luoghi, nonché dalla mancanza di collaborazione dell’intimato, non fosse ragionevolmente esigibile una condotta diversa da parte
dell’Amministrazione.
1.6. L’infondatezza del ricorso in esame sotto tutti i profili dedotti e
l’accertata legittimità degli atti adottati dall’Amministrazione comunale conduce necessariamente al rigetto della domanda risarcitoria proposta dalla parte
ricorrente, attesa l’insussistenza di un fatto ingiusto risarcibile.
1.7. Va parimenti respinta la domanda di condanna dell’Amministrazione resistente al pagamento dell’indennizzo di cui all’art. 21 quinquies della
l. 241/90, dal momento che la norma invocata non trova applicazione nei casi – come quello in esame – di “annullamento d’ufficio” di un provvedimento
amministrativo affetto da vizi originari di legittimità (disciplinato dall’art. 21 nonies L. 241/90), bensì soltanto nei casi di “revoca” di provvedimenti
amministrativi ad effetti durevoli per sopravvenuti motivi di interesse pubblico o per una diversa valutazione dell’interesse pubblico originario ovvero per un mutamento della situazione di fatto: fattispecie estranee a quella oggetto del presente giudizio.
2. Quanto al ricorso R.G. 829/2013.
2.1. Il ricorso R.G. 829/2013 ha ad oggetto l’ordinanza n. 25 del 23 maggio 2013 con cui l’amministrazione comunale, in relazione ai residui mappali nn. 39 (parte) e 122 (parte) del Foglio 23 – oggetto anch’essi dei lavori di escavazione, ma non contemplati nell’ordinanza di ripristino n. 2001 del 24 settembre 2008 – ha ingiunto al ricorrente di provvedere al ripristino dello stato dei
luoghi “mediante presentazione da parte di un tecnico competente di idoneo progetto di ripristino”, preavvisandolo che, in caso contrario, i beni e le relative aree di sedime sarebbero state acquisite di diritto gratuitamente al patrimonio comunale, ai sensi dell’art. 31 comma 3 del D.P.R. n. 380 del 2001.
2.2. Nei confronti di tale provvedimento, il ricorrente ha dedotto la sussistenza sia di vizi “propri” di legittimità (primi due motivi), sia di vizi
di “illegittimità derivata” (dal terzo al sesto motivo), in conseguenza
dell’asserita illegittimità dei provvedimenti del 18 agosto e del 4 settembre 2008 di annullamento in autotutela del permesso di costruire n. 5/2007.
2.2.1. I primi due motivi costituiscono la mera, testuale, riproposizione delle censure proposte con i primi due motivi del ricorso R.G. 731/2013: il
provvedimento impugnato sarebbe illegittimo, in primo luogo perchè
l’amministrazione avrebbe omesso di applicare l’art. 38 del D.P.R. 380/2001 e quindi di valutare la possibilità di riadottare un nuovo permesso di costruire dopo aver rimosso i vizi della procedura amministrativa, ovvero di irrogare una sanzione pecuniaria, in luogo di quella ripristinatoria; in secondo luogo, perchè l’amministrazione avrebbe potuto e dovuto applicare la sanzione pecuniaria prevista dall’art. 38 del D.P.R. 380/20001 in luogo di quella ripristinatoria, valutando come “impossibile” la sanzione demolitoria.
Le censure in esame sono infondate per le stesse ragioni esposte in relazione al ricorso R.G. 731/2013:
– quanto alla prima, si tratta di argomenti già confutati, con efficacia di giudicato, sia da questo TAR che dal Consiglio di Stato con le sentenze sopra citate (TAR Brescia, I, n. 480 del 29 marzo 2011; Consiglio di Stato, IV, n. 2852 del 17 maggio 2012);
– quanto alla seconda, si tratta di una deduzione generica circa l’asserita impossibilità di ottemperanza, priva di riscontri probatori e comunque smentita dall’ultima produzione documentale dell’amministrazione comunale, in cui sono stati evidenziati nel dettaglio gli interventi necessari (e possibili) ai fini del
ripristino dello stato dei luoghi con l’indicazione dei relativi costi (relazione Dott.
Agr. Daniele Anzani, doc. 20 Comune).
2.2.2. Parimenti infondate sono le censure di illegittimità derivata dedotte con motivi residui attesa la legittimità dei provvedimenti di annullamento in autotutela del permesso di costruire n. 5/2007, come accertato da questo TAR e dal Consiglio di Stato, con le citate sentenze ormai coperte da giudicato.
2.2.3. Per l’effetto, vanno respinte anche le domande risarcitorie e
indennitarie proposte dal ricorrente, per le medesime considerazioni svolte in relazione al ricorso R.G. 731/2013 (paragr. 1.6 e 1.7.).
3. Quanto al ricorso R.G. 1187/2013.
Il ricorso R.G. 1187/2013 ha ad oggetto il provvedimento prot. n. 14660 del 24 settembre 2013 con cui l’Amministrazione comunale ha respinto l’istanza di permesso di costruire presentata dall’interessato ai fini dell’esecuzione degli interventi di ripristino, rilevando che: a) quanto ai mappali nn. 117, 57, 58, 59 del Foglio 23, il richiedente non aveva titolo per richiedere autorizzazioni per effettuare alcun tipo di intervento, trattandosi di mappali per i quali si era già perfezionata la procedura di acquisizione gratuita delle aree al patrimonio
comunale; b) quanto invece ai mappali nn. 39 e 122, l’istanza era stata
presentata tardivamente oltre il termine di 90 giorni assegnato, scaduto il 22 agosto 2013, e comunque era pure mancante della necessaria documentazione, dettagliatamente specificata.
3.1. Con il primo motivo, il ricorrente ha lamentato, in primo luogo, la mancata comunicazione del preavviso di diniego di cui all’art. 10 bis L. 241/90.
La censura è infondata.
Alla data della domanda di permesso di costruire (28 agosto 2013) il Comune aveva già acquisito di diritto la proprietà delle aree di proprietà del ricorrente per effetto dell’inottemperanza dell’intimato, nel termine di legge, alle ordinanze di ripristino adottate dall’Amministrazione, di modo che il rigetto della domanda di permesso di costruire ha costituito per l’Amministrazione un atto dovuto, rendendo superflua la comunicazione del preavviso di diniego. Al riguardo, l’art. 21-octies della L. n. 241/90 comma 2, nel testo
applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame (prima della novella introdotta dall’art. 12, comma 1, lett. i), D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 settembre 2020, n. 120), stabiliva, in termini assoluti, il principio della non annullabilità del provvedimento amministrativo adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli
atti “qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.
3.2. Con il secondo motivo, il ricorrente ha lamentato la violazione dell’art.
6 della l. n. 241/90 sul rilievo che il responsabile del procedimento avrebbe avuto il potere-dovere di procedere alla integrazione dei documenti mancanti prima di respingere l’istanza
Anche tale censura è infondata.
Come già detto, alla data dell’istanza di permesso di costruire, il ricorrente aveva perso la proprietà delle aree in questione e, con essa, la legittimazione a richiedere il rilascio di titolo edilizi per l’esecuzione degli interventi di ripristino;
la carenza della documentazione allegata all’istanza è stata rilevata dagli uffici solo ad abuntantiam, fermo restando che un’ipotetica integrazione documentale non avrebbe avuto alcuna utilità atteso che il rigetto dell’istanza sarebbe stato comunque inevitabile e doveroso.
3.3. Parimenti infondate sono le censure di illegittimità derivata dedotte con i motivi residui, attesa la legittimità dei provvedimenti di annullamento in autotutela del permesso di costruire n. 5/2007, come accertato da questo TAR e dal Consiglio di Stato con le citate sentenze ormai coperte da giudicato.
3.4. Per l’effetto, vanno respinte anche le domande risarcitorie e
indennitarie proposte dal ricorrente, per le medesime considerazioni svolte in
relazione al ricorso R.G. 731/2013 (paragr. 1.6 e 1.7.).
4. Quanto al ricorso R.G. 279/2014.
Infine, il ricorso R.G. 279/2014 ha ad oggetto l’ordinanza prot. 19073 del 11 dicembre 2013 con cui l’amministrazione comunale ha accertato
l’inottemperanza all’ordinanza n. 25 del 23 maggio 2013 e disposto
l’acquisizione gratuita al proprio patrimonio dei residui mappali oggetto di
escavazione, e precisamente “parte del mappale 39 del Foglio 23 […], per circa 8.020,38 mq; e parte del mappale n. 122 del Foglio 23, per circa 944,93 mq”.
I motivi di ricorso costituiscono la riproduzione letterale delle censure già proposte con i precedenti ricorsi, ed in particolari di quelle proposte con il primo ricorso (R.G. 731/2013), e sono pertanto infondati per le ragioni già esposte dal Collegio in occasione dell’esame di quest’ultimo ricorso, alle quali si rimanda per evitare inutili ripetizioni e per esigenze di sintesi.
5. Conclusioni.
Alla luce delle considerazioni di cui sopra, i ricorsi in esame vanno respinti perché infondati.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, previa riunione dei medesimi, li respinge.
Condanna la parte ricorrente a rifondare al Comune di Travagliato le spese di lite, che liquida complessivamente in € 10.000,00 (diecimila/00), oltre
accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 11 novembre 2020,
tenutasi mediante collegamento da remoto ai sensi dell’art. 25, II comma, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, con l’intervento dei signori magistrati:
Angelo Gabbricci, Presidente
Ariberto Sabino Limongelli, Consigliere, Estensore Elena Garbari, Referendario