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Academic year: 2021

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Negli ultimi anni il gruppo di ricerca presso il quale è stato svolto questo lavoro di tesi ha intrapreso lo studio di ligandi alla Proteina Traslocatrice (TSPO).

Come abbiamo già ampiamente descritto nella Parte Generale il TSPO, grazie alla sua primaria localizzazione

mitocondriale, riveste un ruolo importante sia nella

regolazione della proliferazione cellulare e dell’apoptosi, che nella biosintesi degli steroidi. Il TSPO risulta quindi essere un target promettente per lo sviluppo di nuovi strumenti terapeutici per il trattamento clinico di numerosi disordini quali tumori, malattie neurodegenerative, autoimmuni ed infettive, tutte patologie correlate ad un alterato equilibrio dei processi vita/morte cellulari. In particolare, un incremento della morte cellulare caratterizza patologie acute quali l’infarto, l’AIDS, disturbi epatici, così come le patologie neurodegenerative. Al contrario, una ridotta capacità delle

cellule di andare incontro ad apoptosi può portare

all’accumulo di cellule anomale, caratteristico sia dei tumori che delle malattie autoimmuni.

Per quanto riguarda invece l’azione steroidogenica, le evidenze di una iperespressione del TSPO e delle proteine steroidogeniche associate in seguito ad un danno traumatico nel cervello e nel midollo spinale, insieme ad un aumento locale del livello di steroidi, suggerisce che tale recettore possa giocare un ruolo neuroprotettivo mediato dalla neurosteroidogenesi. Tra le patologie che implicano una alterazione dei livelli di alcuni specifici neurosteroidi possiamo ricordare i disturbi correlati allo stress, la

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Di conseguenza, l’identificazione di nuovi specifici ligandi per il TSPO risulta di grande importanza al fine di caratterizzare i potenziali ruoli farmacologici e terapeutici di tale recettore.

Negli ultimi anni, l’utilizzo di probes molecolari quali radioligandi e ligandi fluorescenti si è rivelato un valido metodo per lo studio delle interazioni ligando/recettore. Tali probes forniscono infatti un’ampia varietà di informazioni sul meccanismo di legame del ligando al proprio recettore e sulla distribuzione subcellulare del recettore stesso.

In particolare, l’identificazione di nuovi probes

molecolari capaci di marcare specificatamente il TSPO nelle cellule vive, riveste grande importanza per studiare meglio il ruolo di tale proteina in molte patologie ad essa correlate. L’espressione basale di questo recettore risulta infatti alterata in vari disturbi: una down-regulation si osserva in condizioni di stress cronico o ripetuto e in molti disturbi psichiatrici. Al contrario il TSPO è up-regolato in una serie di neuropatologie che includono i gliomi, i disturbi neurodegenerativi, quali l’Alzheimer, così come in varie forme di danno cerebrale e di infiammazione. Una densità particolarmente elevata di tale recettore si osserva nei tessuti neoplastici. Il TSPO potrebbe così rappresentare un marker sensibile e specifico di alterazioni patologiche, oltre che un mezzo diagnostico dello stato e progressione della patologia, incoraggiando le ricerche verso lo sviluppo di nuovi ligandi del TSPO quali strumenti adatti per tecniche di imaging molecolare.

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Nel corso di questo lavoro di tesi sperimentale sono stati sviluppati dei nuovi probes molecolari per il TSPO: radioligandi e ligandi fluorescenti.

La caratteristica fondamentale che un probe deve possedere per essere definito un marker recettoriale è la capacità di legarsi con alta affinità al recettore in esame.

La progettazione di tali ligandi è stata realizzata sulla base della struttura delle 2-fenilindol-3-ilgliossilamidi I (Parte Generale), una nuova classe di ligandi per il TSPO descritti

recentemente da questo gruppo di ricerca.[ 6 ]

I

L’elevata affinità (Ki nell’ordine del nanomolare) e

selettività di questi derivati per il TSPO li rende degli ottimi leads per l’ottenimento di ligandi marcati.

E’ stata così analizzata in modo approfondito sia la struttura dei derivati I che il loro schema di interazione con il TSPO, per valutare quale modifica strutturale fosse la più opportuna al fine di inserire il gruppo radioattivo o fluorescente, perturbando al minimo la capacità di legame al TSPO.

Come abbiamo già descritto nella Parte Generale, il legame dei derivati 2-fenilindolgliossilamidici I con il

N R5 R4 O N O R1 R2 H R3

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recettore dovrebbe avvenire mediante quattro interazioni fondamentali:

(i) il fenile in posizione 2 che occupa l’area lipofila L1; (ii) i sostituenti alchilici R1 e R2 che interagiscono rispettivamente con le aree lipofile L3 e L4;

(iii) il carbonile amidico che funziona da accettore nella

formazione di un legame ad idrogeno con il sito H1.[ 6 ]

HN O N R1 R2 R3 R4 O H1 L1 L4 L3 I

Fi g u ra 8 . In tera z i o ne dei d er iva ti 2 - f e ni li nd ol g li o ss i la mid ic i I co n i l mo del lo di f a r ma c of or o d el TS P O.[ 6 ]

Sulla base di questa ipotesi di interazione con il recettore e, non secondariamente, sulla base della fattibilità sintetica, sono stati progettati i composti radiomarcati o fluorescenti oggetto della presente tesi.

Radioligandi

Il primo scopo di questa ricerca è stato quello di sviluppare dei radioligandi in grado di legare il TSPO, così da poter studiare tale recettore in maniera più approfondita utilizzando la tecnica PET.

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Considerando il modello farmacoforico e la fattibilità sintetica, abbiamo progettato i derivati di formula III, portanti

un gruppo CH3 in posizione 1 del nucleo in dolico (Figura 9).

Tale gruppo metilico non dovrebbe infatti andare a perturbare l’affinità con il recettore, poiché secondo il modello di farmacoforo proposto, l’NH dell’indolo non è un sito di interazione ligando/recettore. Inoltre, il gruppo metilico possiede caratteristiche steriche e elettroniche che non dovrebbero interferire con il legame della molecola al TSPO.

Infine, ma non di minore importanza, l’introduzione di tale sostituente sull’NH dell’indolo dovrebbe risultare di semplice fattibilità sintetica.

HN O N R1 R2 R3 R4 O H1 L1 L4 L3 I Fi g u ra 9

Ovviamente tutte queste ipotesi devono essere

necessariamente verificate prima di procedere alla delicata

reazione di metilazione con 1 1CH3I per un duplice scopo:

 mettere a punto le condizioni sperimentali di

ottenimento e purificazione dei derivati N1-metilati;  verificare che effettivamente la presenza di tale gruppo

metilico non comprometta il legame al TSPO. N N O O R1 R2 CH3 X III

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In questo lavoro di tesi sono stati così sintetizzati i derivati 3-14, portanti un gruppo metilico freddo (non marcato) sull’azoto in posizione 1. (Schema 1)

Schema 1

Per la sintesi dei derivati 3-14, secondo lo Schema 1 il 2-fenilindolo e il 2-(4'-fluorofenil)-indolo commerciali vengono fatti reagire con cloruro di ossalile in Et2O anidro in accordo con la procedura riportata in letteratura.[ 6 ] L’aggiunta a 0°C del cloruro di ossalile porta quasi immediatamente alla formazione dei cloruri acilici 15a-b desiderati, che vengono recuperati per filtrazione a pressione ridotta ed utilizzati nella reazione successiva senza ulteriore purificazione.

N Cl O O R3 ClCOCOCl Et2O an. 0°C + Toluene an. NEt3 48h, t.a N R3 N O O R2 R1 N R3 N O O R2 R1 CH3 NaH,CH3I DMF an. 0°C HN R1 R2

R1, R2 = metile, n-propile, n-butile, n-esile, n-pentile, n-benzile R3 = H, F H H N R3 H 15 a-b 16-27 3-14

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La condensazione dei cloruri acidi 15a-b con le opportune amine è stata effettuata in toluene anidro ed in

presenza di trietilamina in quantità equimolare per

neutralizzare l’acido cloridrico che si forma nella reazione. La reazione è condotta in corrente d’azoto, a 0ºC per un’ora e poi

a temperatura ambiente per 48 ore, controllandone

l’andamento con TLC. Al termine, il precipitato formatosi viene raccolto per filtrazione, lavato con una soluzione al 5%

di NaHCO3, fornendo una prima porzione di prodotto grezzo.

Le acque madri di reazione vengono portate a secco e il

residuo viene ripreso con CHCl3; la fase organica, dopo

lavaggio con una soluzione al 5% di NaHCO3, viene essiccata

con solfato di magnesio ed evaporata a secco fornendo una seconda aliquota di prodotto. Le quantità relative delle due porzioni di derivato amidico, ottenute dal precipitato iniziale e dalla soluzione toluenica, sono variabili, e dipendono dalla solubilità dei vari composti 16-27. Le due aliquote vengono

unite e purificate per cristallizzazione dall’opportuno

solvente, eventualmente dopo filtrazione su colonna

cromatografia di gel di silice.

I derivati 16-27 vengono quindi trasformati nei

corrispettivi N1-metilati 3-14.

La sintesi di questi prodotti prevede di preparare

inizialmente una soluzione del derivato

2-fenil-3-ilgliossilamidico 16-27 in DMF anidra e quindi aggiungere a piccole porzioni idruro di sodio, in atmosfera di azoto, mantenendo la miscela di reazione in agitazione a temperatura ambiente per 5 ore. Si aggiunge a questo punto rapidamente a

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ambiente per 12 ore, controllando l’andamento di reazione mediante TLC. Al termine il solvente di reazione viene evaporato a pressione ridotta e il residuo ottenuto viene precipitato con ghiaccio, filtrato ed essiccato su P2O5 .

La struttura di tutti i derivati 1-metil-2-fenilindolo-3-ilgliossilamidici 3-14 di nuova sintesi è stata confermata con dati analitici e spettroscopici (Tabella 3).

Probes Fluorescenti

I probes fluorescenti presentano alcuni vantaggi tra cui: il basso costo e la bassa tossicità e quindi una ottima maneggevolezza; la possibilità di essere spiazzati da ligandi non fluorescenti, permettendo quindi di valutare la specificità del segnale di fluorescenza.

Per contro esistono anche tutta una serie di svantaggi: il gruppo fluorescente può diminuire l’affinità di legame in quanto interferisce con il legame al recettore; esistono inoltre dei fattori che tendono a diminuire la sensibilità di rilevazione del segnale come ad esempio l’autofluorescenza dei tessuti.

Nel 2007 utilizzando I come lead compound, sono stati progettati e sintetizzati i derivati di formula generale II[ 1 4 ], portanti come gruppo fluorescente il 7-nitrobenzofurazano (NBD).(Figura 10)

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HN O N R1 R2 R3 R4 O H1 L1 L4 L3 I Fi g u ra 1 0

Sulla base del modello farmacoforico ipotizzato[ 6 ] e della fattibilità sintetica il gruppo fluorescente è stato introdotto al termine della catena gliossililamidica in modo da poter interagire con le tasche L3 o L4, che sembrano avere dimensioni sufficientemente grandi per ospitarlo, andando quindi a perturbare al minimo il legame con il recettore. La lunghezza della catena alchilica è stata variata da 2 a 6 unità metileniche in modo da introdurre una flessibilità che permetta il miglior posizionamento possibile della molecola all’interno del sito recettoriale.

Come gruppo fluorescente è stato selezionato il 7-nitrobenzofurazano (NBD). Questo gruppo ha infatti un volume molecolare relativamente piccolo per cui produce un’influenza minima sull’affinità per il recettore e inoltre è stato ampiamente utilizzato con ottimi risultati per lo studio di vari sistemi recettoriali.[ 1 2 ]

Come già esposto nella Parte Generale il composto 2f (vedi Tabella 2) portante un atomo di fluoro in posizione para al fenile in 2, e 6 unità metileniche, è risultato il più attivo con una Ki di 12 nM. Inoltre il derivato 2f è stato sottoposto a

N X HN O H O N n H N O N NO2 X = H, F n = 2, 4, 6 II

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ratto, risultando capace di marcare il TSPO a livello subcellulare.[ 1 4 ]

Alla luce di tutto questo, nel corso di questo lavoro tesi è stato pensato di sviluppare ulteriormente questi probes inserendo nella struttura un gruppo capace di legare irreversibilmente e covalentemente la proteina recettoriale.

Sulla base della fattibilità sintetica e dell’ipotesi farmacoforica è stata identificata come più opportuna all’inserimento di tale gruppo la posizione 5 del nucleo indolico, progettando quindi il derivato 27.

Quale gruppo chemoreattivo abbiamo scelto il gruppo isotiocianato, ampiamente utilizzato in letteratura per la caratterizzazione di molti recettori.[ 1 5 ].Esso infatti è inerte all’acqua, e questo è ovviamente un vantaggio, ma è altamente reattivo verso l’attacco nucleofilo da parte dei gruppi aminici e sulfidrilici presenti nella proteina recettoriale.

La sintesi di tale derivato 27 è stata particolarmente laboriosa: la procedura utilizzata è riassunta negli Schemi 2-4 e prevede la preparazione di due intermedi chiave,

l’indolgliossililcloruro 31 (Schema 2) e la N

-NBD-diaminoesano cloridrato 33 (Schema 3).

N HN O H O N 6 H N O N NO2 N C S 27

(12)

Secondo lo Schema 2, abbiamo fatto reagire il 2-fenilindolo commerciale con nitrito di sodio in acido solforico concentrato a 0°C. La miscela viene lasciata in agitazione per 5 minuti e successivamente versata in ghiaccio. Si ha la formazione di un precipitato giallo rappresentato dal 5-nitro-2-fenilindolo 28 che viene raccolto per filtrazione a pressione ridotta. Il prodotto risulta sufficientemente puro da essere utilizzato come tale nella reazione successiva. Un campione

analitico viene ottenuto mediante cristallizzazione da

diclorometano.

Il gruppo nitro in posizione 5 viene quindi ridotto mediante una riduzione catalitica, con idrogeno gassoso a temperatura e pressione ambiente, ed utilizzando Pd/C come catalizzatore. Il prodotto ottenuto 29 viene purificato per cristallizzazione da toluene.

Il gruppo aminico del derivato 29 viene quindi protetto mediante l’aggiunta di diterzialbutossidicarbonato in una soluzione di H2O/Acetone (1:2) a 0°C. La miscela di reazione viene lasciata in agitazione per 24 ore a temperatura ambiente e in seguito concentrata a pressione ridotta fino a metà del suo volume. Il solido precipitato viene raccolto e purificato per cristallizzazione da toluene.

Il derivato 30 ottenuto viene quindi fatto reagire con

N Cl O O H BocHN 31 N O N O2N N NH2 H 6 HCl 33

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di reazione viene portato a secco a pressione ridotta e lavato per 3 volte con THF anidro per eliminare l’eccesso di reattivo presente in miscela ottenendo così il derivato 31.

Schema 2

Contemporaneamente, viene preparato il derivato 33 secondo quanto riportato nello Schema 3.

Schema 3 N N O2N N NH2 H 6 N O N O2N Cl + NEt3 DMF anidra 15h, t.a. O2N H2N n N BOC N N BOC H H H 6 HCl 3M AcOEt 3h, 60°C HCl N H N H NaNO2 H2SO4 O2N H2/Pd-C N H H2N [(Boc)2O] EtOH an. H2O/Ac. N H BocHN Cloruro di ossalile N Cl O O H BocHN 31 THF an. 28 29 30

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Ad una soluzione di N-Boc-1,6-diaminoesano e trietilamina in DMF anidra viene aggiunto, goccia a goccia, nell’arco di 5 minuti, il 4-cloro-7-nitrobenzofurazano disciolto anch’esso in DMF anidra. La reazione viene condotta in corrente d’azoto, mantenuta in agitazione a temperatura ambiente e al riparo della luce, controllando il suo andamento tramite TLC. Dopo 15 ore si è formato il composto da noi desiderato che viene recuperato con buone rese per estrazione

con CHCl3, essiccamento della fase organica su solfato di

magnesio ed evaporazione a secco.

Il derivato 32 risulta sufficientemente puro da poter essere utilizzato come tale nella reazione successiva. Un campione analitico è ottenuto per lavaggio e freddo con etere etilico.

Il prodotto 32 viene quindi idrolizzato con HCl 3M in AcOEt a 60˚C per circa 3 ore, controllando la reazione con

TLC. Al termine, la miscela viene ripresa con CHCl3 e il

composto desiderato precipita sotto forma di cloridrato come descritto in letteratura.[ 1 4 ] Anche in questo caso il prodotto ottenuto può essere utilizzato nei passaggi successivi senza bisogno di ulteriore purificazione.

A questo punto la via sintetica prevede la condensazione tra il prodotto 33 e il 2-fenilindol-3-gliossililcloruro 31, protetto in posizione 5, precedentemente preparato, secondo lo

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Schema 4

Il composto 31 e l’amina 33 vengono condensati in soluzione di THF anidro ed in presenza di trietilamina. L’utilizzo in questa reazione del tetraidrofurano è dovuto alla scarsa solubilità del composto 33 in toluene. La miscela di reazione viene mantenuta in agitazione in corrente di azoto a 0˚C per 1 ora e poi a temperatura ambiente per 48 ore,

controllandone l’andamento mediante TLC. Dopo aver

eliminato il solido costituito da trietilamina cloridrato mediante filtrazione, la fase organica è evaporata a pressione ridotta ed il residuo ottenuto lavato con una soluzione al 5%

+ N ON NH (CH2)6 NH2 HCl O2N THF an. NEt3 N Cl O O H BocHN N HN O H O N 6 H N O N NO2 BocHN CF3COOH CH2Cl2 an. N HN O O N 6 H N O N NO2 H2N H 31 33 34 35 Tiofosgene CH2Cl2/NaHCO3 6% N HN O O N 6 H N O N NO2 N H C S 27

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di NaHCO3 . Si ottiene così il derivato fluorescente 34 che

viene purificato per lavaggio a freddo con Et2O.

Il gruppo terzialbutossi del derivato 34 viene quindi rimosso mediante idrolisi acida con acido trifluoroacetico in diclorometano anidro. La miscela di reazione viene lasciata in agitazione per 12 ore a temperatura ambiente controllandone l’andamento mediante TLC. Al termine il solvente viene evaporato a p.r.; il residuo ottenuto viene ripreso con H2O e

precipitato con una soluzione al 5% di NaHCO3 . Il composto 35

così ottenuto risulta essere sufficientemente puro da poter essere utilizzato come tale nella reazione successiva.

A questo punto la via sintetica prevede l’introduzione del gruppo isotiocianato nella posizione 5 del derivato 35.

Viene preparata una sospensione di 35 in NaHCO3 al 6% e

lasciata in agitazione per 20 minuti a temperatura ambiente. Successivamente viene aggiunto il diclorometano. L’utilizzo di bicarbonato di sodio è dovuto alla necessità di neutralizzare l’acido cloridrico che si forma in miscela e che potrebbe andare a compromettere l’integrità della molecola. Dopo circa 20 minuti a 0°C, si addiziona goccia a goccia il tiofosgene e si lascia la miscela di reazione in agitazione per circa 4 ore a temperatura ambiente. Si forma un precipitato rappresentato dal derivato 27 desiderato che viene filtrato a pressione ridotta

e infine purificato mediante lavaggio a freddo con Et2O. Le

rese di reazione, le costanti chimico-fisiche e le caratteristiche spettroscopiche dei composti 27-35 sono riportate nella Parte Sperimentale.

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