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Capitolo 1 – FONTI RINNOVABILI

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Academic year: 2021

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Capitolo 1 – FONTI RINNOVABILI

1.1 Generalità sul quadro normativo nazionale inerente alla

produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili

Il decreto Bersani (art 11 D.Lgl 79/99), recependo la direttiva europea 96/92/CE ha posto particolare attenzione all’integrazione tra obbiettivi economici ed ambientali riguardo allo sviluppo delle fonti rinnovabili ed ai vincoli di emissione dei gas serra imposti dal protocollo di Kyoto. Il suddetto decreto impone, ad ogni produttore di energia elettrica, che almeno il 2% dell’energia da esso immessa in rete, provenga da fonti rinnovabili.

Una volta qualificato un particolare impianto come “alimentato da fonte rinnovabile“ , la sua produzione annua gli conferirà il diritto di assegnazione, da parte del gestore della rete ( GRTN per l’Italia ), di un certificato verde per ogni 100 MWh annualmente prodotti, per i primi 8 anni di esercizio dell’impianto, successivi al periodo di collaudo ed avviamento. L’adempimento all’obbligo di produzione del 2% di energia elettrica da fonti rinnovabili può avvenire attraverso tre modalità:

• Acquisto di certificati verdi ( pari alla quota soggetta all’obbligo ) attribuiti ai produttori di energia elettrica da nuovi impianti a fonte rinnovabile

• Messa in esercizio di nuovi impianti a fonte rinnovabile ( ai quali verranno concessi i relativi certificati verdi )

• Importazione di nuova energia rinnovabile proveniente da paesi che adottano analoghi strumenti di incentivo su basi di reciprocità.

In aggiunta, i titoli possono essere emessi seguendo due modalità alternative:

• a preventivo, su richiesta del produttore in base alla producibilità attesa degli impianti • a consuntivo, in base all’ energia effettivamente prodotta.

Lo Stato italiano, inoltre, in quanto firmatario del protocollo di Kyoto, è tenuto a diminuire le emissioni di gas serra. Tale riduzione, per i Paesi dell’Unione Europea, nel loro insieme, deve essere dell’8%.

Per Fonti Rinnovabili di Energia si intendono tutte quelle fonti energetiche che si distinguono dalle fonti classiche quali quelle fossili, gas e nucleare, le principali sono:

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• Eolico • Geotermia • Biomasse

• Maree e moto ondoso • Solare

Se diamo uno sguardo più ampio alle possibili configurazioni impiantistiche e ci riferiamo alle fonti così dette Rinnovabili, dobbiamo tenere conto anche di una delle fonti di energia più antiche esistenti e che per le sue caratteristiche peculiari, rientra nella categoria di fonti rinnovabili di energia, e cioè la fonte idroelettrica.

Eolico

La produzione di elettricità dal vento può già contare su una tecnologia sufficientemente matura, in grado di fornire kWh a costi che possono essere competitivi con quelli delle fonti fossili convenzionali, almeno in ambito locale. Nei Paesi industrializzati continua la sperimentazione di nuovi materiali e prototipi per migliorare le prestazioni e l'affidabilità delle macchine eoliche.

Le macchine eoliche possono essere classificate in due grandi famiglie: ad asse orizzontale, quando l'asse del rotore è parallelo alla direzione del vento e le pale ruotano perpendicolarmente ad esso; ad asse verticale, quando il rotore è perpendicolare alla direzione del vento.

Le macchine ad asse verticale sono maggiormente adatte a sfruttare venti di direzione variabile e richiedono sistemi di controllo meno complessi. Le macchine ad asse orizzontale hanno invece bisogno di più complicati sistemi di controllo della tensione e della frequenza, ma hanno un rendimento aerodinamico maggiore, per cui sono quelle più utilizzate per produzione di energia elettrica.

Gli attuali aerogeneratori non hanno molto in comune con i classici mulini a vento o con gli apparecchi utilizzati in agricoltura per il pompaggio dell'acqua: si tratta infatti di macchine sofisticate (a una, due o tre pale), realizzate con materiali idonei a resistere a sollecitazioni che, nel caso delle macchine più grandi, sono confrontabili a quelle delle ali di aeroplani. Le estremità delle pale raggiungono infatti velocità superiori anche di cinque volte a quella del vento e, nel caso di raffiche anomale o di tempeste, ai bordi si potrebbero raggiungere velocità

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vicine a quelle supersoniche. Nessun aerogeneratore resisterebbe a tali sollecitazioni se non fosse munito di dispositivi automatici di frenatura o di messa in "panne" delle pale.

Negli ultimi anni il costo del kWh eolico ha subito sostanziali riduzioni ed è quindi logico attendersi lo sviluppo di tale fonte, che assicura risparmi di combustibili fossili e zero emissioni inquinanti. Tali centrali, infatti, per raggiungere potenze significative, richiedono estese aree (per sostituire una centrale convenzionale da 1.000 MW occorrerebbero 2-3.000 aerogeneratori, tra l’altro sufficientemente distanziati tra loro per sfruttare utilmente il vento – densità medie di 10 MW/Km2) e hanno un impatto acustico e paesaggistico non sempre accettati dalle popolazioni, soprattutto in ambienti turisticamente valorizzati. Altre potenziali controindicazioni sono le possibili interferenze elettromagnetiche.

Geotermia

Lo sfruttamento dell'energia geotermica per la produzione industriale di elettricità è avvenuta per la prima volta a Larderello, in Italia, nel 1913. Si trattava di una centrale di modesta potenza (250 kW, che negli anni successivi fu però potenziata con tre gruppi da 2,5 MW ciascuno) che sfruttava i soffioni boraciferi scaturenti dal suolo a temperature di140 - 250 °C e pressioni variabili tra 5 e 25 atmosfere. L'esempio italiano portò il Giappone e gli Stati Uniti a eseguire perforazioni sperimentali alla ricerca di soffioni utili per la produzione elettrica: il primo pozzo statunitense fu perforato nel 1921 presso The Geysers (California), ma non si ebbero ulteriori sviluppi fino al 1960; il Giappone, invece, nel 1924 nei campi di Beppu, produsse la prima elettricità di origine geotermica. Per quasi cinquanta anni quelle di Larderello (che nel 1939-40 furono potenziate a 126 MW ) rimasero comunque le centrali geo termoelettriche predominanti nel mondo, fino al 1959, allorché entrò in servizio la centrale di Wairakei, in Nuova Zelanda.

In presenza di bassi prezzi delle fonti convenzionali, la produzione geotermoelettrica presenta scarse attrattive per l'industria privata, a causa dell'investimento di capitale necessario (anche il fatto che il "combustibile", cioè il fluido geotermico, sia poi quasi gratuito può non giustificare l'investimento iniziale). I maggiori sviluppi geotermici sono pertanto attesi soprattutto in quei Paesi con rilevanti anomalie termiche del sottosuolo in regioni isolate, nelle quali sarebbe oneroso trasportare l'elettricità prodotta con altre fonti. Ad esempio un notevole sviluppo geotermico è in corso nelle Filippine e in Indonesia (in particolare nell'isola di Giava), ove si registrano le peculiarità accennate.

Le tipologie di centrale dipendono dalle caratteristiche del fluido disponibile, che può essere a vapore dominante ( o addirittura vapore secco) oppure ad acqua dominante.

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Nel primo caso, più raro, il vapore proveniente dal pozzo viene convogliato direttamente nelle turbine (talora del tipo a condensazione) e quindi scaricato nell'ambiente. I campi a vapore dominante attualmente sfruttati sono una decina nel mondo, oltre quelli già citati di Larderello e The Geysers (questi ultimi alimentano una potenza installata di circa 1000 MW).

Nel caso, molto più frequente, di campi ad acqua dominante, il sistema prevalente di sfruttamento prevede una fase di separazione dell'acqua dal vapore che viene utilizzato per l'azionamento del turboalternatore. Si stanno tuttavia perfezionando macchine bifasi che utilizzano direttamente il fluido (acqua + vapore) endogeno.

E' opportuno ricordare che anche i fluidi geotermici ad acqua dominante, oltre a contenere sostanze inquinanti per l'aria, il suolo e le acque di superficie, contengono spesso sostanze corrosive o incrostanti che rendono onerosa la manutenzione delle apparecchiature e che costringono a specifici accorgimenti e scelte progettuali praticamente in relazione alle caratteristiche di ogni singolo campo, con conseguenze sui costi e sui tempi di realizzazione. I rischi di insuccesso in geotermia sono peraltro maggiori che in altre attività di esplorazione del sottosuolo, a causa della maggiore difficoltà di conoscere, prima della trivellazione, il grado di fertilità del pozzo e la composizione chimica del fluido.

Biomasse

L'utilizzo delle biomasse vegetali per la produzione elettrica può avvenire in modo diretto nei casi in cui la biomassa stessa abbia un sufficiente potere calorifico per essere utilizzata come combustibile; è il caso del legno e degli scarti di alcuni processi industriali che possono essere bruciati direttamente in apposite caldaie per produrre vapore.

In genere, però, le biomasse hanno un alto tenore di umidità, per cui si rendono necessari procedimenti preliminari di essiccazione. Oppure, nel caso delle biomasse derivate dai rifiuti solidi urbani, occorrono varie fasi di separazione per eliminare inerti, plastiche, vetro e metalli.

Per l’utilizzo diretto delle biomasse quale combustibile le tecnologie oggi in maggiormente presenti sul mercato mondiale sono quelle che prevedono una combustione su griglie (fisse o mobili) o in letti fluidi (bollenti o ricircolanti) inseriti in una tradizionale camera di combustione provvista di parte evaporante e successivo surriscaldatore di vapore.

Mentre la tecnologia di combustione su griglie si presenta maggiormente favorita per semplicità realizzativa e per i costi, quella a letto fluido assicurano un maggior controllo delle emissioni, particolarmente in termini di CO.

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In ambedue le tecnologie è possibile altresì effettuare la co-combustione, assieme alle biomasse per esempio lignocellulosiche, di altri combustibili più o meno pregiati (dal carbone ai fanghi industriali).

Le taglie degli impianti realizzati per combustione diretta delle biomasse si aggirano sulla decina di MW elettrici: in Italia esistono vari esempi di impianti a biomasse (a Cutro, Pozzilli e nel Cadore) di circa 10 – 20 MW, per lo più asservite ad un bacino locale di raccolta dei rifiuti lignocellulosici, cippato di legno, sansa, residui agricoli, etc. Uno degli esempi più importanti, a livello mondiale, è la centrale della Mc Neil (Vermount – USA) con un impianto a griglia di circa 60 MW elettrici. Molti impianti, sia a griglia che a letto fluido sono presenti in Finlandia, Norvegia e Danimarca.

Un procedimento particolare che, invece, utilizza la biomassa umida è la cosiddetta digestione anaerobica. Come è noto, composti organici possono dar luogo, in condizioni di anaerobiosi, a produzione di gas metano e la notevole diffusione in natura di tale gas in natura conferma quanto frequenti siano state le condizioni di digestione anaerobica spontanea.

Mare e moto ondoso

L'unica centrale di taglia industriale che utilizza l'energia del mare per la produzione di elettricità è quella francese costruita nel 1966 in Bretagna, tra le città di Dinard e Saint-Malo, sull'estuario del fiume Rance. Essa sfrutta l'onda di marea, che in tale località raggiunge i 13 metri. La centrale è formata da una diga costruita in un punto del fiume largo 760 metri, a 3 km dall'estuario; il bacino si estende per 20 km verso l'entroterra e ha una capacità di 170 milioni di m3 di acqua. All'interno della diga, circa 10 metri sotto il livello minimo di area, sono state installate 24 condotte con turbogeneratori da 10 MW, per una potenza complessiva di 240 MW. La centrale ha funzionamento discontinuo: infatti quando l'acqua del bacino e quella del mare hanno un dislivello minimo le turbine restano ferme.

La successione di fasi per la produzione di energia è la seguente: quando l'oceano è al livello minimo si aprono le paratoie della diga e l'acqua dal bacino defluisce verso il mare finché i due livelli si eguagliano. Le paratoie vengono quindi chiuse mentre il livello del mare sale. Quando la marea è sufficientemente alta, l'acqua viene fatta entrare nel bacino finché il dislivello diventa minimo. I turboalternatori quindi producono energia elettrica per tutto il tempo in cui c’è dislivello sufficiente tra interno ed esterno, in quanto le turbine sono reversibili (possono cioè girare nei due sensi).

La centrale della Rance produce circa 540 GWh l'anno, cioè circa un quarto della produzione di una centrale della medesima potenza ad acqua fluente che funzionasse tutte le ore

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dell’anno. Centrali maremotrici, come quella della Rance, possono produrre una maggiore potenza se viene previsto anche il pompaggio (in effetti le turbine della Rance possono anche funzionare da pompe, facendo salire la produzione elettrica massima della centrale a circa 680 GWh/anno).

Circa la possibilità di sfruttare le onde marine, le configurazioni dei diversi impianti sperimentali realizzati puntano essenzialmente ad utilizzare in maniera continua il moto ondoso (variazioni periodiche, di energia potenziale e cinetica) attraverso sistemi di accumulo che permettano di restituire l’energia delle onde in tempi e modi voluti.

Le sperimentazioni prevalenti si basano sulla trasformazione dell'energia cinetica in energia di compressione dell’aria, oppure direttamente in energia meccanica tramite macchine rotanti. I principali sistemi proposti prevedono: boe oscillanti con ancoraggio, compressione in campane galleggianti, compressione d'aria tramite sistemi deformabili immersi, boe con eliche operanti in risonanza. Interessante una proposta italiana, del prof. C. Caputo, mirata allo sfruttamento anche di onde relativamente piccole, come quelle di bacini chiusi.

Per lo sfruttamento del gradiente termico marino è stato finora realizzato solo qualche prototipo di piccolissima taglia; in particolare stata proposta una centrale sommersa a ciclo chiuso di Rankine, con ammoniaca come fluido di lavoro che, passando dallo stato liquido a quello gassoso in relazione alle variazioni di temperatura esterna, si espande azionando una turbina o un motore alternativo. Di una centrale simile, ma a ciclo aperto, l'industria francese aveva iniziato la costruzione in Costa d'Avorio, con lavori però abbandonati con l'avvenuta indipendenza del Paese nel 1960. Il progetto prevedeva di utilizzare come fluido di lavoro direttamente l'acqua di mare, che doveva essere fatta evaporare sotto "vuoto parziale"; il vapore così generato avrebbe dovuto alimentare una turbina prima di essere ricondensato mediante acqua marina prelevata in profondità.

Idroelettrico

Poco meno del 20% dell'energia elettrica prodotta nel mondo è di origine idroelettrica. Questa percentuale rende tuttavia scarsa giustizia all'importante ruolo che tale fonte ha svolto nello sviluppo industriale di molti Paesi, ove è stata a lungo la principale fonte di elettricità. In Svizzera, Austria, Norvegia, Svezia, Islanda e Italia (ma anche in Francia, Giappone e Canada) il maggiore impulso all'industrializzazione, all'inizio del secolo, è stato dato proprio dalla possibilità di disporre di centrali idroelettriche. In Italia, ad esempio, la quota dell'energia idroelettrica, che oggi copre tra il 15 e il 18% della produzione totale, era di oltre l’80% all'inizio della seconda guerra mondiale e di quasi il 70% nel 1963, all’atto della nazionalizzazione del settore elettrico. In alcune nazioni a forte sviluppo (Norvegia, Islanda,

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Svizzera, Austria, Canada...) l'energia idraulica rimane ancora la principale fonte elettrica. In Cina, poi, l'energia idroelettrica ha un ruolo particolare: oltre ad alcuni grandi impianti, esiste un gran numero (oltre centomila) di mini e micro centrali, con potenza unitaria compresa tra 10 e 200 kW, utilizzate per alimentare comunità agricole isolate. In pratica circa l'80% della popolazione rurale di questo popoloso Paese soddisfa i (modesti) fabbisogni di energia elettrica con questa fonte, che viene anche utilizzata per l'irrigazione e altri usi agricoli e artigianali.

Le centrali idroelettriche si possono classificare in base a vari elementi: 1) altezza del salto disponibile (centrali a bassa, media e alta caduta a seconda che il salto sia rispettivamente compreso fino a 50 metri, 250 metri o superiore); 2) portata utilizzabile (centrali di piccola, media e grande portata in base ad una portata d'acqua rispettivamente fino ad una decina di m3/secondo, un centinaio di m3/secondo o superiore); 3) per tipologia, ossia per il sistema di utilizzazione dell'acqua (impianti ad acqua fluente, a bacino, a serbatoio, ad accumulazione mediante pompaggio nelle ore di scarsa richiesta).

I primi ad essere costruiti, alla fine del secolo XIX furono impianti ad acqua fluente (così detti perché il flusso dell'acqua non può essere regolato a piacimento), realizzati sbarrando il corso d’acqua con traverse che creano salti limitati e non influiscono in modo apprezzabile sul corso a monte. Allo scopo di garantire una potenza costante dell'impianto durante tutto l'anno, queste centrali sono in genere dimensionate sulla portata di minima; ciò implica la non utilizzazione di portate maggiori e quindi perdite energetiche. Quando le portate sono molto variabili nell’anno si possono realizzare bacini o serbatoi (secondo la capacità) con la costruzione di apposite dighe (di vario tipo) che permettono l’accumulo d’acqua per sfruttarla nei momenti di maggior richiesta. Su questa linea di evoluzione sono poi nate le più moderne centrali ad accumulazione per pompaggio (dette anche semplicemente centrali a pompaggio). Esse prevedono la costruzione di due bacini, ubicati uno a monte e l’altro a valle della centrale vera e propria. La possibilità di accumulare acqua in quota consente di seguire la notevole variabilità del carico di rete (domanda): nelle ore diurne di punta, quando si hanno picchi nella domanda, l'acqua viene fatta fluire dal bacino superiore a quello inferiore passando attraverso le turbine accoppiate ai generatori elettrici in parallelo con la rete; nelle ore notturne e nei giorni festivi, quando la domanda è minima, l'acqua viene ripompata al bacino superiore, in modo da ricostituire l'invaso occorrente al successivo ciclo di funzionamento. In pratica le centrali a pompaggio assorbono energia elettrica poco pregiata (prevalentemente la produzione di base notturna proveniente dal parco termoelettrico), per restituirne una quantità minore (circa il 70%, a causa delle perdite del ciclo) ma di maggiore

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pregio nelle ore di punta. Esse costituiscono un elemento di grande importanza per la gestione della rete elettrica: infatti possono entrare in servizio rapidamente per far fronte ad aumenti della domanda e sono in grado di seguire l'andamento del carico, anche nelle ore di punta; inoltre, particolare importante, garantiscono una elevata disponibilità, continuità e sicurezza di servizio, poiché sono svincolate dalla idrologia (si devono solo reintegrare le perdite per evaporazione). I Paesi montagnosi presentano in genere caratteristiche favorevoli alla realizzazione di centrali con pompaggio. In Italia sono stati realizzati impianti di tal genere fino a potenze unitarie superiori a 1.000 MW.

Quale che sia il tipo di centrale, la produzione elettrica avviene tramite il cosiddetto "gruppo di produzione", costituito essenzialmente dal complesso turbina-alternatore.

Solare

L’energia solare può essere sfruttata per la produzione di energia elettrica in una duplice maniera: convertire l’energia radiante del sole, opportunamente concentrata, in energia termica conseguentemente convertita in energia elettrica attraverso comuni cicli termodinamici o attraverso dispositivi fotovoltaici che consentono di convertire l'energia radiante del Sole direttamente in energia elettrica, sfruttando l'effetto fotovoltaico, ossia la generazione di una differenza di potenziale, tra due elettrodi di un semiconduttore, da parte di un flusso di fotoni che interagiscono con il materiale.

La prima soluzione è trattata nel secondo capitolo, in questo paragrafo ci si limita ad una panoramica sul processo fotovoltaico.

La scoperta dell'effetto fotovoltaico risale al 1839, tuttavia le prime applicazioni pratiche si sono avute solo nella seconda metà del '900, allorché negli USA sono state realizzate celle fotovoltaiche al silicio per rifornire di energia elettrica i satelliti artificiali inviati nello spazio. Si trattava di dispositivi molto costosi, che trovavano la loro giustificazione nelle esigenze dei programmi spaziali, e che per molti anni non ebbero altre applicazioni concrete. Dopo la crisi energetica del 1973 si cominciò a pensare ad applicazioni terrestri di celle fotovoltaiche e iniziò una frenetica attività di ricerca anche nelle tecnologia dei materiali, che ha portato a considerare il fotovoltaico una possibile opzione per la fornitura di elettricità commerciale. Oggi le celle fotovoltaiche al silicio hanno raggiunto la competitività economica in alcune nicchie di mercato, tipicamente ove sia richiesta una modesta potenza elettrica e non sia disponibile l'alimentazione dalla rete (piccole utenze isolate, apparecchiature navali, ripetitori per telecomunicazioni, protezione catodica di strutture in zone isolate, alimentazione di particolari orologi, calcolatori).

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Le celle fotovoltaiche hanno potenza inferiore a 1 watt e singolarmente non possono quindi trovare impiego pratico; esse vengono pertanto montate in serie per formare dei moduli composti da alcune centinaia di celle. Più moduli, a loro volta, sono inseriti in pannelli che sono poi assemblati insieme per formare il campo fotovoltaico (centrale). Poiché i pannelli producono corrente continua, in generale è necessario abbinare ad essi delle apparecchiature di conversione della corrente in alternata (inverter); inoltre, con l'eccezione dei moduli funzionanti in parallelo con la rete elettrica, sono necessari sistemi di accumulo per rendere disponibile l'elettricità nelle ore senza sole.

L'energia fotovoltaica presenta indubbi vantaggi: la conversione della radiazione solare in elettricità è diretta e senza inquinamento ambientale; una volta installate e per tutta la loro vita (circa 15 anni) le celle solari non comportano oneri eccessivi di esercizio e manutenzione; l'installazione può essere effettuata sul luogo ove l'energia è necessaria e non vi sono quindi oneri di trasporto dell’energia; infine gli impianti sono modulari e pertanto la potenza può essere accresciuta nel tempo.

Gli svantaggi sono legati alla bassa intensità e all’aleatorietà e discontinuità dell'energia solare (le celle fotovoltaiche non funzionano di notte e hanno rendimenti ancor più ridotti nelle ore poco soleggiate o con cielo coperto), nonché al basso rendimento della conversione fotoni elettroni (il che richiede la copertura di vaste aree di territorio per disporre di potenze significative). A ciò si aggiunga il problema del costo, che attualmente è ancora di un ordine di grandezza superiore a quello del kWh prodotto da fonti convenzionali (può risultare circa 10-15 volte più elevato per forniture elettriche isolate che necessitano di sistemi di accumulo).

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1.2 Quadro produttivo nazionale dell’energia elettrica da fonti

rinnovabili

Si riporta in tabella la ripartizione secondo fonte, della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili per il sistema Italia.

Tabella 1.1 : Energia elettrica da fonti rinnovabili dal 1985 al 2003 (GWh)

Nel 2003 il consumo lordo di energia elettrica, è stato in Italia pari a 345 TWh di cui circa 48 TWh da fonte rinnovabile con un contributo del 14%. Risulta più significativa l’analisi della ripartizione secondo fonte di tale quota, esposta in figura 1.1

77%

3%

11%

4%3%

2%

Idroelettrico Eolico Geotermoelettrico RSU Legna Biogas

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Si nota come la quota di energia elettrica da fonti rinnovabili sia prodotta per il 77% da impianti idroelettrici, con un solo il 12% proveniente da fonti rinnovabili non tradizionali ( eolico, biomasse e rifiuti ) e che la quota relativa al solare sia, trascurabile considerando gli impianti fotovoltaici ( 0,05% ) e nulla considerando gli impianti solari termodinamici. In base a quanto finora espresso si deduce che il ricorso a fonti rinnovabili non convenzionali per produzione di energia elettrica è stato nel 2003 pari all’ 1,7%. Ciò si capisce bene dando uno sguardo a costi capitale e costi di produzione dell’energia elettrica.

Per costo capitale si intende il costo in €/kW che il produttore di energia elettrica deve inizialmente affrontare per la realizzazione dell’impianto, mentre per costo di produzione si intende la somma del costo capitale, esercizio e manutenzione, combustibile, oneri generali, attualizzati per una vita media di 25 anni, espresso in €/kWh. Tali costi sono riportati in figura 1.2 e 1.3 ( fonte ENEL ricerca )

€/kW

500 700 900 900 1750 2300 9000

Ciclo comb. metano Olio Carbone Eolico Boimasse Solare termico Fotovoltaico

Figura 1.2 : Costi capitale per produzione di energia elettrica

€/kWh

0,04 0,05 0,03 0,06 0,05 0,13 0,4

Ciclo comb. metano Olio Carbone Eolico Boimasse Solare termico Fotovoltaico

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Il valore di mercato dell’energia elettrica con cui oggi viene remunerato un produttore, si attesta intorno a 0,06 €/kWh, quindi si capisce come alcune tecnologie quali il solare, sia fotovoltaico che termodinamico, l’eolico e le biomasse abbiano bisogno di incentivi affinché rappresentino investimenti economicamente sostenibili, ecco perché si spiega la creazione del sistema dei certificati verdi. I valori esposti in figura 1.3 spiegano anche perché le vecchie centrali ad olio combustibile tendono sempre più frequentemente ad essere convertite in centrali a ciclo combinato gas-vapore.

Figura

Figura 1.1 :  Ripartizione della quota di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili
Figura 1.2 : Costi capitale per produzione di energia elettrica

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