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V 1. Inquadramento storico e territoriale

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Academic year: 2021

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1.

Inquadramento storico e territoriale

olterra é oggi una città dal caratteristico aspetto medievale ed é racchiusa quasi completamente entro la cerchia delle mura duecentesche, che sono il punto di arrivo di un processo di espansione urbana che, iniziata intorno all’anno 1000, trova la sua conclusione ai primi del 1300 con la costruzione dei sistemi difensivi in prossimità delle porte principali della città (fig. 1).

Figura 1 – le mura

L’odierno circuito medievale delle mura racchiudeva, fino a pochi anni fa, quasi tutta la città che non ha avuto nei secoli una forte espansione urbanistica rimanendo, pertanto, quasi uguale a se stessa con i suoi quattro borghi medievali, raccordati alla città da strade in salita. Sono i borghi di S. Alessandro, sulla via delle Saline guardante la Val di Cecina, di S. Lazzaro, sulla via per Firenze e Siena, di S. Stefano e di S. Giusto, il più lontano dalla città, in prossimità delle Balze e dominato dalla possente mole della chiesa dedicata al patrono.

Alla fine dell’ottocento e nel primo trentennio del novecento nella zona di borgo S. Lazzero è sorto il grande complesso dell’ospedale psichiatrico, trasformato oggi in una moderna struttura ospedaliera.

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8 Sempre nella zona di S. Lazzero si trova l’antica stazione ferroviaria, inaugurata nel 1912, che collegava la città a Saline (fig. 2).

Figura 2 – la ferrovia a Volterra

Situata nel cuore della Toscana, a circa 40 km dal mare e a modesta distanza dai tre centri universitari toscani e dalle più importanti città d’arte e della regione (Firenze: 72 km; Siena: 50 km; Pisa: 64 km; S.Gimignano: 29 km), Volterra rappresenta una meta obbligata per qualsiasi turista oltre che un luogo di grande suggestione paesaggistica. Arroccata sulla sommità di un alto colle (545 m s.l.m.), in straordinaria posizione panoramica (fig. 3) a spartiacque tra le valli del Cecina e dell’Era, Volterra domina in completa solitudine un vasto territorio caratterizzato da un ricchissimo quanto eterogeneo patrimonio di risorse storiche, artistiche e ambientali.

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9 Figura 3 – vista panoramica

Infatti a differenza dell'immagine che rappresenta quasi sempre il paesaggio volterrano come una vasta area di brulli e rotondi dossi argillosi, di aspri e ripidissimi calanchi, di nude e aride biancane e di balze sabbiose (fig. 4), i dintorni di Volterra offrono una multiforme varietà di ambienti e un'invidiabile ricchezza di beni storico-artistici frutto della plurimillenaria interazione tra i particolarissimi caratteri naturali di questo territorio e le varie attività antropiche che vi si sono succedute nel corso dei secoli.

Figura 4 – le balze

Le descrizioni di Volterra, offerte dalla letteratura ci mostrano una città posta su un’altura, circondata da mura, dominante un vasto e immenso territorio: da qualunque parte ci si avvicini alla città, il profilo di Volterra, adagiata su un contrafforte collinare

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10 del periodo Pliocenico, domina il territorio circostante delimitato dal massiccio del Montevaso, dai cordoni dei Cornocchi e delle Colline Metallifere.

La posizione privilegiata del colle, posto alla confluenza della val di Cecina e della val d’Era, la naturale difendibilità del luogo nonché le caratteristiche ambientali e le risorse minerarie presenti nel territorio, favoriscono, fin dal periodo Neolitico, i primi insediamenti umani, sicuramente documentati dai copiosi reperti litici rinvenuti sul contrafforte volterrano e in particolare nella zona di Montebradoni. Ma tale posizione se da un lato ha favorito i successivi insediamenti dall’altro ha portato Volterra a rimanere tagliata fuori dalle grandi vie di comunicazione sia nell'antichità che in tempi più recenti. Il primo nucleo2 di questo insediamento nacque probabilmente sul punto più alto della

collina, l'Acropoli. Reperti rinvenuti nei dintorni della città e collocabili in un arco di tempo che va dal X al VII secolo a. C. testimoniano l'esistenza di un'antica civiltà in cui, oltre ad arnesi ed armi di bronzo, si fa già uso anche di strumenti in ferro: si tratta della cosiddetta Civiltà Villanoviana, il cui nome prende origine dai primi ritrovamenti effettuati a Villanova, presso Bologna. Nel Museo Guarnacci sono conservate numerose testimonianze di questa cultura, rinvenute nelle necropoli, vale a dire nelle aree destinate alla sepoltura dei morti.

Con il consolidarsi dell’insediamento si sviluppa il commercio sia nell'ambito della regione, sia con popolazioni e paesi stranieri, e si stabiliscono contatti con altre civiltà che pure hanno lasciato tracce e testimonianze: appartengono proprio ad una cultura che può già definirsi etrusca, i reperti rinvenuti e databili circa dal VII secolo a.C. in avanti.

Non è ancora stato risolto l'enigma sulle origini e la provenienza degli Etruschi. La tesi di Erodoto secondo cui i Tusci-Tirreni sarebbero arrivati dall'Asia non trova oggi molti sostenitori, essendo basata su prove troppo scarse. E d'altra parte, supponendo che gli Etruschi siano discesi dagli stessi Villanoviani, riesce difficile giustificare le notevolissime diversità che intercorrono tra l'una e l'altra cultura. Una terza teoria, inoltre, parla di immigrazione dalla regione alpina. Probabilmente la realtà non è che la sintesi di tutto ciò. L'arrivo di popolazioni straniere, introducendo nuovi elementi in una civiltà preesistente, provoca profondi cambiamenti e sovrappone nuove usanze a quelle già presenti.

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11 Tuttora irrisolta è anche la questione dell'origine della lingua etrusca, nonostante i continui progressi in tal senso; sebbene l'alfabeto sia derivato da quello greco, per il resto non esiste una documentazione tale da permettere un'ampia conoscenza di tale lingua.

Di certo sappiamo che gli Etruschi (o Tyrrenoi, come erano chiamati dai Greci) si espansero dal Sud della Toscana verso Nord fino all'Arno (più tardi fino alla Pianura Padana), e dalla parte opposta fino al Tevere. Partendo da Veio, la loro rete commerciale si estese ben oltre la riva del Tevere (Litus Tuscus), fino alla Campania, ancor prima che Roma acquistasse un qualche rilievo economico e politico. A Nord c'era Velathri, l'odierna Volterra, centro importante nella Dodecapoli delle Lucumonie. La sua ricchezza derivava innanzitutto dall'estrazione dei minerali e dal susseguente commercio di rame e sale, che, come testimoniano reperti del VI secolo a.C., permise di stabilire contatti economici e culturali con le civiltà antiche più progredite: Cipro, la Fenicia, l'Egitto e soprattutto la Grecia. Dal VII al IV secolo a. C. l'Etruria cresce sia economicamente che geograficamente. La città-stato Velathri si espande a Ovest fino aII'Elba, ricca di miniere di ferro, a Nord fino all'Arno, mentre a Sud il suo territorio confina con quello delle Lucumonie di Vetulonia e Russellae, e ad Est con Fiesole (Faesulae), con Arezzo (Arettium) e Chiusi (Clusium).

A partire circa dal VI secolo a. C. fu iniziata la costruzione dell'imponente sistema murario, che, limitato inizialmente al cosiddetto «Piano di Castello», incluse via via nuove fette di territorio. Dal V al IV secolo a. C. viene portata a termine l'edificazione della grande cerchia muraria, lunga circa 7,3 Km, al cui interno, in una superficie di 116 ettari comprendente agglomerati urbani, templi, campi, orti e fonti, trovavano protezione più o meno 25.000 abitanti. Di quest'opera ciclopica si possono ancora ammirare la Porta all'Arco, la Porta di Diana ed altri resti di mura sparsi lungo tutto il perimetro.

L'ascesa economica degli Etruschi si realizzò inizialmente in modo tutto sommato pacifico, ma la conseguente espansione territoriale fu causa di conflitti militari. Dopo il IV secolo inizia la decadenza dell'Etruria come potenza economica e territoriale. Velathri perde Populonia e con essa un'importante via d'accesso al mare: questa funzione viene assolta in seguito da Vada, località situata a Nord della foce del Cecina. Mentre in campo culturale cresce l'influenza ellenistica, la spinta espansionistica di Roma si fa pressante e mira anche alle ricche miniere di Volterra. Secondo le testimonianze di Tito Livio, nel 298 a. C. i Romani invadono il territorio volterrano, provocando gravi

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12 devastazioni. Gli Etruschi, proverbialmente noti nell'antichità per esser fin troppo amanti degli agi e delle comodità, ed annoverando tra i loro principi pace e regionalismo, non possono certo opporre una valida resistenza alle legioni di Roma, ben disciplinate e guidate da chiari intenti espansionistici. Lo scontro decisivo del lago Vadimone (283 a. C.) segnò la definitiva rinuncia dei popoli dell’Etruria alla lotta contro Roma: Volterra sottomessasi ai Romani verso il 260, entrò a far parte, insieme ad altre città, della confederazione italica. Da un noto passo di Livio relativo agli approvvigionamenti che l’esercito di Scipione ricevette da alcune città etrusche, durante la seconda guerra punica nel 205 a.C., sappiamo che Volterra contribuì con legnami per le navi e principalmente con frumento, prodotto che presuppone una fondamentale attività agricola di tipo estensivo. Nel 90 a . C. con la Lex Julia de Civitate, Volterra ottenne la cittadinanza romana, fu iscritta alla tribù Sabatina e costituì un florido municipio i cui supremi magistrati elettivi ordinari e straordinari si trovano menzionati in varie iscrizioni. Scoppiata la guerra civile, Volterra seguì le sorti del partito di Mario; la città sostenne per due anni (82 - 80) un lungo assedio contro Silla, finché, stremata, dovette arrendersi. Le conseguenze della sconfitta furono gravi, ma non irreparabili: grazie sia all’azione moderatrice di Cicerone sia al grande potere economico e ai rapporti con personalità di spicco della vita politica romana di alcune delle maggiori famiglie volterrane: tra queste soprattutto i Caecinae. Con l’ordinamento territoriale augusteo, Volterra costituì uno dei municipi della VII ragione, l’Etruria e, nel V sec., alle prime invasioni barbariche la città strutturatasi in forme castrensi, era già sede vescovile a capo di una diocesi che ricalcava i confini del municipium romano e della lucomonia etrusca e costituiva una delle circoscrizioni ecclesiastiche più importanti della Toscana. Assoggettata dagli Eruli e dai Goti, ospitò successivamente un presidio bizantino e, durante il regno longobardo, divenne sede di gastaldo, facendo parte della dotazione del re. Nel periodo più oscuro delle invasioni, appare la leggendaria figura del Vescovo Giusto, patrono di Volterra, che, insieme ai compagni Clemente e Ottaviano, si rese benemerito della città a causa di imprese civili e religiose cui dette luogo durante la sua vita. Nei IX-XI sec., per il favore degli imperatori carolingi, sassoni e franchi, inizia e si sviluppa la signoria civile dei vescovi volterrani, che, esenti dalla giurisdizione comitale e forti di privilegi e immunità, finirono per imporre la loro civile autorità non solo in Volterra ma anche su molti popoli della diocesi. Contemporaneamente, il risveglio economico generale, di cui appare qualche barlume negli ultimi tempi longobardi, porta la città ad essere il polo di focalizzazione non solo degli interessi religiosi, ma anche della vita sociale, economica e giurisdizionale del contado: i quattro mercati concessi dagli imperatori carolingi durante

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13 il IX sec. in concomitanza ad altrettante feste religiose, oltre a dimostrare la ripresa dei traffici e dei commerci nel territorio volterrano, rivestono una grande importanza, essendo mercati franchi, esenti da gabelle.

L’aumento della popolazione (dopo l’anno Mille) al termine delle ultime invasioni ungare e la fine dei conflitti fra Berengario I e Alberto marchese di Toscana che portarono alla quasi totale devastazione di Volterra, provocano la nascita dei primi borghi che si addensano ai margini della zona del Castello: il borgo di Santa Maria (attuale via Ricciarelli) e il borgo dell’Abate (attuale via Buonparenti e via Sarti), l’uno perpendicolare, l’altro parallelo alle mura castellane. Ma nella prima metà del XII sec. Volterra si organizza in libero comune, pronto a lottare con il vescovo per il possesso della città e delle ricchezze del suo territorio: consapevole che il maggior provento della città è la produzione del sale di sorgente, acquista diritti sullo sfruttamento delle Moie nonché molti diritti sul’estrazione dello zolfo, del vetriolo e dell’allume nella zona di Larderello, Sasso e Libbiano.

La lotta tra il vescovo e il comune fu lunga ed aspra ed ebbe il suo culmine con i tre vescovi della stessa potente famiglia dei Pannocchieschi: l’esito dello scontro fu favorevole al comune, ma ben presto Volterra dovette fare una politica tutta rivolta alla sua conservazione e molto conciliante verso Pisa, Siena e soprattutto verso Firenze. Dal punto di vista urbanistico si assiste ad una riorganizzazione dell’insediamento che configura in maniera pressoché definitiva la città. La prima iniziativa importante è la edificazione della nuova cinta muraria che sostituì quella etrusca del IV sec. a. C. troppo ampia per assicurarne le difese visto il numero della popolazione residente: i lavori occuparono il comune fino dai primi anni del Duecento e impegnarono ingenti risorse economiche. Contemporaneamente alla costruzione delle mura nuove sorgono il palazzo del Popolo, poi dei Priori (fig. 5) e la sistemazione della piazza dei Priori, la “platea communis” già chiamato Prato.

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14 Figura 5 – il Palazzo dei Priori

E intorno al Prato sorgono fin dai primi anni del XIII sec. le prime costruzioni a torre fra cui quella detta del Porcellino (fig. 6) che diventò in seguito la sede del Podestà. Il palazzo dei Priori iniziato nel 1208 da maestro Riccardo, fu terminato nel 1257 sotto il Podestà Bonaccorso Adimari, come si legge nella lapide apposta sulla facciata. Il complesso sorgeva isolato: un chiostro, chiuso in epoca posteriore lo divideva dal Duomo.

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15 Anche il Duomo e il Battistero che costituiscono l’altro nucleo urbano importante, subiscono grandi lavori di ristrutturazione: l’ingrandimento e la decorazione esterna della facciata della Cattedrale viene assegnata dal Vasari a Nicola Pisano nel 1254. Intanto, il contrasto tra il temporalismo ecclesiastico e le istituzioni comunali favorì agli inizi del XIV sec. il sorgere di condizioni adatte per l’affermazione di una Signoria e Ottaviano Belforti assunse il ruolo di signore della città. Il governo personale dei Belforti finì miseramente nel 1361, anno in cui, uno dei suoi membri, fu decapitato nella pubblica piazza per aver pattuito la vendita della città a Pisa. Ma la fine dei Belforti fu anche il disastro della città: i fiorentini, venuti da amici per aiutare i volterrani a liberarsi della tirannide, pretesero, come compenso, la custodia della Rocca e l’esclusione dai pubblici uffici di uomini legati in qualche modo a Volterra, ad eccezione dei loro concittadini. La repubblica volterrana, nonostante la formale proclamata indipendenza, divenne suddita di Firenze, che sempre di più mostrava interesse non solo alle ricchezze naturali controllate dalla città, ma anche alla sua ubicazione che poteva costituire un fortissimo baluardo avanzato contro la repubblica nemica di Siena: se ne ebbe una conferma, quando la repubblica fiorentina estese anche al territorio volterrano la legge sul catasto, contrariamente ai patti convenuti tra due le parti. Seguirono gravi agitazioni di popolo contro la legge e Giusto Landini, patrizio popolare, pagò con la vita la sua opposizione alla politica egemonica di Firenze. Antagonismi di interessi privati, rivalità e invidie, animosità ed avversione di famiglie e di classi, l’interesse personale di Lorenzo dei Medici causarono l’inutile guerra delle Allumiere, terminata con il sacco di Volterra nel 1472, ad opera delle milizie del duca di Montefeltro. Assorbita nello stato fiorentino, la città fu sottoposta ad un duro trattamento che provocò l’emigrazione di molte famiglie facoltose e la conseguente alienazione dei beni a prezzo di fallimento. Il segno visibile del dominio fiorentino in Volterra é la costruzione tra il 1472 e il 1475 del Mastio, la Fortezza voluta da Lorenzo il Magnifico per controllare contemporaneamente la città e costituire una roccaforte verso il territorio senese, (fig. 7 e fig. 8).

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16 Figura 7 – Porta a Selci

Mentre si operava nelle difese, le grandi famiglie volterrane dettero il via a numerose trasformazioni dei loro palazzi secondo i modelli elaborati dalla cultura architettonica fiorentina. La probabile presenza di Michelozzo nel cantiere del convento di San Girolamo a Velloso (1445) e di Antonio da San Gallo il vecchio, nella ristrutturazione della “Vendita” (attuale palazzo vescovile) potrebbe aver facilitato la diffusione dei modelli fiorentini: case e palazzi come quelli delle famiglie Pilastri, Ricciarelli, Minucci e Gherardi conoscono un rimodernamento delle facciate e un adeguamento delle antiche torri al nuovo gusto diffuso dalla città dominante.

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17 Nel 1530, in un’ultima disperata speranza di riacquistare le libertà perdute, Volterra si ribellò ai fiorentini in guerra con i Medici, alleandosi con questi ultimi, ma fu ripresa e nuovamente saccheggiata dal Ferrucci. Restaurati i Medici a Firenze, Volterra perse definitivamente la propria indipendenza, e divenne una delle città dello stato mediceo di cui seguì le sorti; ma con il dominio granducale inizia per Volterra e il suo territorio un periodo di lenta ma progressiva decadenza che si protrarrà fino a tutto il XVIII sec. La ripresa della lavorazione dell’alabastro verso la metà del XVI si realizzò quasi esclusivamente come fatto d’arte e non si orientò verso indirizzi commerciali. Anche il tessuto insediativo non mostra grosse trasformazioni; si possono trovare alcuni interventi di completamento, come palazzo Inghirami (facciata realizzata su progetto di Gherardo Silvani) e di nuove costruzioni soprattutto religiose, fra le quali spicca la riedificazione della chiesa dei SS. Giusto e Clemente. Verso la fine del XVIII sec. e nella prima metà del XIX sec. si registrano incrementi nell’agricoltura, nella commercializzazione dell’alabastro e un decisivo miglioramento nei collegamenti viari; l’abitato urbano è oggetto di un generale adeguamento e riordinamento: si ha la costruzione del teatro Persio Flacco (1819), l’apertura della passeggiata dei ponti e della nuova carrozzabile per le saline (1833) nonchè il restauro degli edifici posti nella piazza dei Priori (1846).

Nella seconda metà del secolo, dopo l’unità d’Italia, a parte alcune ristrutturazioni degli spazi all’interno del centro storico per far posto agli uffici del nuovo regno, l’intervento di maggior rilievo è la creazione dell’ospedale psichiatrico (1888). Infine il 13 marzo 1860 con 2315 voti favorevoli, 44 dispersi e 78 contrari Volterra vota la sua annessione all’Italia Unita, pagando il suo contributo di sangue sia all’edificazione dell’unità nazionale nella guerra 1915-18 sia alla lotta di resistenza contro il fascismo.

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18 In passato l’economia del territorio si basava soprattutto sulla estrazione del rame, dell’allume, dell’alabastro (fig. 9) e del sale che venivano lavorati nelle manifatture volterrane ed esportati. Oggi, con l’emigrazione avvenuta nel secondo dopoguerra, l’industria si basa su piccole aziende artigianali per la lavorazione dell’alabastro, sull’estrazione del salgemma, su qualche industria metalmeccanica e chimica; la popolazione residente dalle 17840 unità nel 1951 è scesa a 13800 nel 1991. Una delle fonti principali di reddito è attualmente il turismo: Volterra infatti è in grado di mostrare non solo i grandi monumenti che hanno caratterizzato i suoi 30 secoli di storia ma possiede e gelosamente conserva tre strutture museali di notevole interesse storico artistico, il Museo Guarnacci, la Civica Pinacoteca e il Museo Diocesano di Arte Sacra.

1.1. La “Salaiola”

Verso la metà del XVIII secolo, sotto il governo dei Lorena, il Granducato di Toscana conobbe un “profondo rivolgimento nelle comunicazioni”3. La struttura viaria toscana conobbe sotto il governo lorenese un progresso di così grande portata che a tal proposito, si parla di “rivoluzione stradale”, ad anche il volterrano, tra il XVIII e XIX secolo ne subì l’influenza.

Figura 10 – monumento a Leopoldo II

Con l’arrivo sul trono di Pietro Leopoldo partì la vera e propria azione di riforma: si rinnovarono molte strutture esistenti e se ne costruirono di nuove, anche di

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19 importantissime, e soprattutto venne sancito il Regolamento delle Comunità del distretto fiorentino. Questo atto fu ideato per inquadrare ed organizzare le strade della Toscana, e rappresentò un sostegno fondamentale alla politica di ristrutturazione della rete viaria. Le strade vennero classificate in regie, comunitative e vicinali. In particolare le strade comunitative dovevano essere inserite in un registro, il campione, nel quale ne venivano descritte le caratteristiche al fine di verificarne la corrispondenza a specifici requisiti. Tra queste erano annoverate, per il territorio volterrano, la Strada Fiorentina e la Strada Senese, la prima importante per il commercio del sale, la seconda per quello dell’alabastro.

Sotto il dominio francese le Saline di Volterra conobbero un forte rinnovamento, e attorno al nuovo impianto, secondo i regnanti doveva svilupparsi un forte polo industriale; ma perché questa rivoluzione industriale toscana riuscisse, era necessario collegare le Saline con il resto della regione e , di conseguenza dotare il volterrano di una rete viaria all’avanguardia.

Dal tempo del regno di Pietro Leopoldo circolava l’ambiziosa idea di costruire una grande arteria stradale che avrebbe unito Livorno, Pisa, Siena, Arezzo avendo per fulcro Volterra con le sue fabbriche di sale. I lavori iniziarono, ma passati pochi anni incominciarono a procedere a rilento, e l’unica strada usata per il trasporto del sale rimase la Via Fiorentina, l’antichissima Salaiola. Questa non era però la via adatta per ottenere il grande sviluppo prospettato, e nei primi anni novanta del settecento prese vita l’interesse per un nuovo progetto riguardante la costruzione della Nuova Strada Fiorentina. Nel 1795 l’ingegner G. Franchini venne scelto per sovrintendere ai lavori. Due anni dopo la strada era già in costruzione e prima della fine del secolo la nuova Via Fiorentina era completata, ma mai si impose come via preferibile per i commerci, date le sue caratteristiche disagevoli.

Successivamente, a partire dal 1815, e in pochi anni, venne costruita e resa ruotabile la grande via di comunicazione che una volta completata avrebbe unito Pisa e Livorno a Siena, Arezzo e Firenze: essa sarebbe diventata l’odierna Strada Statale 68.

Nella comunicazione di grande importanza progettata, Volterra doveva assumere un ruolo di rilievo. Nel 1811, il direttore des Ponts et Chausées scelse di nominare G. Manetti, allora ingegnere del dipartimento dell’Arno, per verificare la possibilità di far passare la strada Livornese – Senese per Volterra. Il suo compito fu quello di scegliere tra due progetti, uno redatto dall’ing. Garella, ingegnere capo del dipartimento del Mediterraneo, l’altro dal Comune di Volterra, ed il Manetti scelse quest’ultimo. Il

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20 progetto proponeva la costruzione di una strada di tutto rispetto. La strada proveniente da Livorno, una volta entrata nel territorio volterrano, prendeva a salire il colle di Volterra. Arrivata alla Cappella della Penera, la strada seguitava lungo le mura di Volterra, giungendo a Porta Fiorentina, e successivamente proseguiva all’interno della città, transitando per via Guarnacci, Via Nuova, Piazza Sant’Agostino, la strada usciva da Porta a Selci e, proseguendo per San Lazzero, giungeva sotto la collina di Roncolla. La strada si sviluppava con una pendenza tra il 2% e il 7%, e proprio per tal motivo e a causa del territorio attraversato, il costo sarebbe stato molto elevato, ma nonostante questo, venne scelta per il fatto che attraversava la città e quindi per avvantaggiare i commerci cittadini, che ne avrebbero tratto profitto. Per di più questa soluzione avrebbe garantito anche il collegamento con Saline. La strada non verrà costruita, infatti nel frattempo sul trono era tornato Ferdinando III, e rinasceva il granducato di Toscana, e Volterra beneficiò molto della politica stradale di Ferdinando III, appartiene infatti a quell’epoca la Nuova Via Salaiola, l’attuale Strada Statale 68.

Figura

Figura 1 – le mura
Figura 2 – la ferrovia a Volterra
Figura 4 – le balze
Figura 6 – il Palazzo del Porcellino
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