2.1 Descrizione dell’intervento
In questa sezione descriveremo brevemente le fasi dell’intervento per definire il contesto nel quale si inserisce l’analisi FEM dei tessuti molli.
In funzione del tipo di accesso chirurgico utilizzato, l’intervento viene eseguito con il paziente supino oppure sdraiato sul fianco opposto a quello in cui si deve operare (posizione decubito laterale).
Un posizionamento corretto del paziente è essenziale per assicurare il corretto orientamento della coppa acetabolare e dello stelo.
Si pratica un’incisione cutanea nella regione laterale dell’anca, tra gluteo e coscia e, spostando i fasci muscolari e la pelle con un divaricatore (retrazione dei tessuti), si raggiunge l’articolazione. Questa fase prende il nome di fase di apertura dell’accesso chirurgico ed è quella in cui si inserirà l’analisi.
In questo studio si è fatto riferimento a due accessi chirurgici distinti: nella modellazione della pelle è stato considerato l’approccio laterale (Fig.2.1), mentre nella modellazione del rectus femoris si è fatto riferimento all’approccio anterolaterale (Fig.2.2 e Fig.2.3).
Fig.2. 2: approccio anterolaterale: posizione dell’incisione della pelle A) e B);
Una volta asportata la capsula articolare, viene lussata l’articolazione con movimenti combinati di adduzione, flessione e extra rotazione dell’arto (Fig.2.4).
Fig.2. 4: lussazione dell’articolazione
Utilizzando una sega oscillante viene asportata la testa del femore mediante osteotomia alla base del collo femorale.
Successivamente si prepara l’acetabolo per l’alloggiamento del cotile protesico con frese di diametro crescente, si asporta la parte midollare e spongiosa del gran trocantere, si fresa il canale femorale (Fig.2.5) e si completa la preparazione con un’apposita raspa, sagomata come lo stelo da inserire, mossa alternativamente dal chirurgo lungo l’asse della diafisi (Fig.2.6).
Fig.2. 6: raspatura del canale femorale
Se lo stelo è del tipo non cementato la componente femorale viene inserita a pressione (Fig.2.7)
Fig.2. 7: stelo non cementato
Nel caso, invece, di steli cementati si riempie l’incavo femorale con cemento chirurgico e si inserisce lo stelo protesico togliendo il cemento in eccesso.
Per le protesi che presentano una caratteristica modulare (testina non di pezzo con lo stelo) si inseriscono il collo e la testina più adatti, regolando con la dimensione e la direzione degli elementi scelti la dismetria tra gli arti.
Ripristinata l’articolazione, si ricompongono i tessuti sottocutanei e cutanei. L’intervento ha una durata complessiva di 45-90 minuti.
La riuscita di un impianto protesico dipende essenzialmente da questi parametri: • Materiali utilizzati;
• Geometria della protesi, • Tecnica chirurgica;
L’insuccesso può essere dovuto a vari fattori tra cui processi di natura biologica, che portano alla mobilizzazione di una o entrambe le componenti proteiche, oppure al fallimento strutturale dell’impianto stesso (rottura a fatica, corrosione e usura).
In sostanza la vita di una protesi dipende dal processo d’interazione tra due entità diverse: da una parte l’osso caratterizzato da una evoluzione continua, dall’altra la protesi, la cui struttura meccanica è notevolmente sollecitata dall’ambiente chimicamente aggressivo e dai carichi indotti dall’attività motoria.
2.2 Tipi di impianto
Esistono tre categorie di riferimento per quanto riguarda le protesi d’anca (Fig.2.8): 1. protesi non cementate;
2. protesi ibride (solo la componente femorale è cementata); 3. protesi cementate.
Nelle protesi cementate i componenti vengono fissati all’osso tramite cemento acrilico a polimerizzazione rapida che riempie completamente lo spazio fra superficie protesica e il tessuto osseo.
L’impianto risulta, così, immediatamente stabile e il paziente può camminare già dopo pochi giorni dall’intervento.
Nelle protesi non cementate i componenti vengono forzati sull’osso attraverso un accoppiamento diretto; in questo modo si assicura una stabilità primaria della protesi mediante l’ancoraggio meccanico, confidando di raggiungere una stabilità secondaria mediante l’ancoraggio biologico dovuto alla crescita e al rimodellamento osseo. Per questo motivo le protesi non cementate sono spesso ricoperte di materiale rugoso (porous coated) per facilitare l’integrazione tra tessuto osseo e protesi.
A) B) C)
L’ancoraggio biologico richiede alcune settimane allungando notevolmente il decorso postoperatorio: il paziente può rimettersi in piedi già dopo alcuni giorni dopo l’intervento, ma deve attendere almeno 45 giorni prima di caricare completamente l’arto operato.
La scelta tra i due tipi di protesi viene effettuata in base alle caratteristiche clinico-anatomiche del paziente, in particolare allo stato di mineralizzazione dell’osso e all’età. In genere, nei soggetti più giovani si preferisce l’utilizzo di protesi non cementate, confidando nelle maggiori potenzialità osteogeniche del tessuto osseo.
Nei soggetti affetti da patologie del metabolismo osseo e in tutti i soggetti anziani sono preferite protesi non cementate.
I materiali impiegati nella costruzione delle protesi devono possedere le seguenti caratteristiche:
• elevata resistenza meccanica; • biocompatibilità;
• elevata resistenza alla fatica;
• elevata resistenza all’usura chimica; • elevata resistenza all’usura meccanica.
I materiali maggiormente impiegati per lo stelo protesico sono le leghe di cromo-cobalto (Cr-Co-Mo) o di Titanio (Ti,Al,V); la testina protesica può essere di pezzo con lo stelo o separata (modulare) ed essere realizzata in metallo o in ceramica (Fig.2.9).
L’acetabolo protesico in genere viene realizzato utilizzando polietilene ad alta densità o ceramica (Fig.2.9). Frequentemente è presente anche un guscio metallico di rinforzo per limitare le deformazioni.