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LA PROPULSIONE AD EMISSIONE DI CAMPO

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Academic year: 2021

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LA PROPULSIONE AD EMISSIONE DI CAMPO

1.1 Generalità sui propulsori elettrostatici

I propulsori elettrostatici sono caratterizzati dall’impiego di energia per la produzione e l’accelerazione di ioni, per cui sono anche detti “motori a ioni”.

Lo schema fondamentale del principio di un motore a ioni è illustrato in fig.1.1; per semplicità in essa verrà considerato un modello monodimensionale.

Il flusso degli ioni, estratti dalla sorgente in corrispondenza dell’elettrodo emettitore, è accelerato dal campo elettrico che si stabilisce tra quest’ultimo e l’elettrodo acceleratore, il quale è posto a tensione negativa e forato in modo da formare una griglia.

Per il principio di conservazione dell’energia applicato al singolo ione, la velocità di scarico raggiunta da esso è data da:

dove V è la differenza di potenziale tra gli elettrodi e q ed m+ sono rispettivamente la carica e la massa dello ione.

Non appena ha inizio l’emissione lo spazio tra i due elettrodi si riempie di cariche positive; queste modificano la distribuzione di potenziale in modo tale da ridurre il campo elettrico in corrispondenza della sorgente. Il numero di ioni emessi per unità

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di lunghezza della sorgente (N) può al massimo arrivare al valore limite per il quale il campo elettrico su essa si annulla, cioè l’effetto dell’elettrodo acceleratore viene estinto da quello della carica spaziale positiva. Questo rappresenta un limite fondamentale sul flusso degli ioni che può essere estratto in funzione di una data differenza di potenziale.

Per il semplice modello monodimensionale illustrato in fig. 1.1, il valore limite della densità di corrente (J ), di cui è nota la relazione secondo la legge di

Child [1] è dato da:

dove x è la distanza tra la sorgente e la griglia (cioè tra i due elettrodi), 0 è la

permittività del vuoto e m è la massa atomica del propellente (si osserva che in genere uno ione è ottenuto dall’estrazione di un solo elettrone dall’atomo del propellente, per cui risulta ).

Tale restrizione sulla corrente ionica implica un limite corrispondente sulla densità di spinta T/A, intesa come spinta per unità di superficie emittente, ottenibile da un dato propulsore a ioni monodimensionale; si ha infatti:

+ + + + + + + + + + + + -+ -+ + -Acceleratore Neutralizzatore Emettitore .

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3 dalla quale si vede chiaramente che la densità di spinta è limitata dalla massima differenza di potenziale, che può essere applicata senza incorrere in problemi di isolamento degli elettrodi o in velocità di scarico considerevolmente più alte di quelle ottimali per le tipiche missioni spaziali. Questo spiega perché l’impiego dei motori a ioni sia ristretto unicamente al campo delle basse spinte.

Per produrre livelli utili di spinta, un propulsore a ioni deve emettere una corrente di molti ampere. Dato che la capacità elettrica totale di un tipico veicolo spaziale probabilmente non eccede i 10-9 farad, se non si provvede a neutralizzare il fascio di ioni, il veicolo raggiungerebbe delle vette di potenziale negativo con una velocità:

dove V è il potenziale elettrico, I la corrente totale e C la capacità elettrica del veicolo. Gli effetti elettrostatici risultanti sarebbero tali da impedire l’emissione dopo poco tempo; infatti gli ioni emessi tenderebbero a essere nuovamente attratti dal veicolo.

È necessario quindi smaltire la carica negativa accumulata dal veicolo; per ottenere ciò si opera in modo da rendere elettricamente neutra la corrente di ioni emessi mediante una identica corrente di elettroni; quest’ultima viene prelevata dal veicolo ed emessa da un elemento detto “neutralizzatore”. Inoltre è importante osservare che la neutralizzazione deve avvenire non lontano dallo elettrodo di uscita (l’acceleratore), per evitare che l’effetto della carica spaziale ionica (positiva) davanti ad esso possa deviare il fascio dei nuovi ioni emessi o, addirittura, impedirne l’emissione.

La combinazione dei tre elementi funzionali sopra menzionati, ossia “l’anodo emettitore” (la sorgente di ioni), “il catodo acceleratore” e “il neutralizzatore”, costituisce il propulsore a ioni.

Per quanto riguarda le prestazioni ottenibili, l’impulso specifico è estremamente elevato (30009000 secondi) ed altrettanto si può dire per l’efficienza propulsiva (80%).

I principali inconvenienti sono dovuti all’alta potenza specifica P/T e alla limitata densità di spinta T/A, che non permettono l’ottenimento di spinte elevate; altre complicazioni si devono, poi, alle alte tensioni di lavoro, all’erosione degli elettrodi e alla complessità elettrica del sistema stesso. Ciò nonostante, se progettati in modo appropriato, i propulsori a ioni possono avere una lunga vita operativa e, grazie alla loro modularità, soddisfare un’ampia varietà di missioni spaziali.

A seconda del meccanismo di produzione degli ioni si distinguono quattro tipi di propulsori elettrostatici:

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 a bombardamento elettronico;  per contatto superficiale;  a radiofrequenza;

 ad emissione di campo.

1.2 La propulsione elettrica ad emissione di campo (FEEP)

I propulsori ad emissione di campo, meglio conosciuti come FEEP, ovvero Field

Emission Electric Propulsion, possono essere considerati come i propulsori

elettrostatici di seconda generazione.

In questo tipo di motori, infatti, gli ioni non sono prodotti tramite il bombardamento elettronico di un gas o di un vapore metallico, come avviene nei motori a ioni di tipo tradizionale, ma sono estratti direttamente dalla superficie di un metallo liquido con l’ausilio di un intenso campo elettrico. Questo permette di eliminare la fase intermedia di vaporizzazione del propellente, necessaria invece nelle altre tecniche di ionizzazione e che comporta il consumo di una considerevole frazione della potenza di alimentazione; inoltre semplifica la struttura del sistema che non necessita più di un vaporizzatore, di una camera di ionizzazione e della classica griglia per l’estrazione degli ioni, con una conseguente riduzione di peso e ingombri.

I vantaggi che un propulsore ad emissione di campo presenta rispetto un propulsore elettrostatico di tipo tradizionale sono:

 estrema semplicità meccanica ed elettrica,  estrema compattezza,

 bassa potenza richiesta per la formazione degli ioni,

 la potenza richiesta è utilizzata quasi esclusivamente per la formazione di ioni (si raggiungono così rendimenti energetici 98%),

 impulso specifico elevatissimo,

 possibilità di accensione-spegnimento istantanei (tale proprietà rende il sistema particolarmente adatto per un funzionamento di tipo pulsato),

 fenomeni di erosione ridotti (grazie a questa caratteristica sono possibili vite operative molto lunghe),

 l’intero sistema non necessita di temperature più alte di quelle di fusione del propellente (30 °C per il cesio),

 caratteristiche di modularità (un qualsiasi livello di spinta può essere ottenuto assemblando più sistemi in una singola unità operativa).

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5  elevate tensioni elettriche di lavoro,

 elevata divergenza del fascio ionico emesso, con perdite propulsive dell’ordine del 510%,

 elevata potenza specifica.

Il meccanismo fondamentale con cui vengono creati gli ioni nel fenomeno di emissione per effetto di campo si basa sul fatto che, nel vuoto, la superficie libera di un metallo liquido, se sottoposta ad un forte campo elettrico, tende a liberare ioni in direzione del gradiente del campo stesso. A questa sollecitazione si oppone la tensione superficiale del metallo liquido, che tende a rendere minima l’area della sua superficie. Entrambe le forze sono inversamente proporzionali al quadrato del raggio di curvatura della superficie: più convessa è la superficie dove sporge il metallo, più forte è il campo elettrico che tende a farla incurvare, ma più forte è anche la tensione superficiale che tende ad appiattirla [1].

Agli inizi degli anni settanta Sir Geoffrey I. Taylor, studiando il comportamento dei liquidi in campi elettrici intensi, dimostrò che solo poche forme geometriche consentono l’equilibrio fra sollecitazione elettrica e tensione superficiale. Quella più comune è la forma di un cono, noto come il cono di Taylor, avente un semiangolo al vertice di 49.3°.

Alla sommità del cono di Taylor, quando il campo elettrico raggiunge valori dell’ordine di 106

107 V/mm gli atomi del metallo si ionizzano spontaneamente. Applicando un’opportuna polarità agli elettrodi, gli elettroni derivanti dal processo di ionizzazione vengono spinti all’interno del metallo liquido, mentre gli ioni prodotti sono accelerati verso l’esterno dallo stesso campo elettrico che li ha creati, e sono espulsi nello spazio a grande velocità attraverso aperture create sull’elettrodo negativo. La corrente di ioni che ne risulta va da pochi nanoampere a diverse decine di microampere. Questo processo di emissione, come pure il cono di Taylor è visibile nella seguente fig.1.2.

L’intensità del campo elettrico richiesta per produrre la ionizzazione è, su scala microscopica, molto elevata; tuttavia, poiché il raggio di curvatura delle punte dei coni è molto piccolo (si ritiene che sia dell’ordine dei dieci nanometri), voltaggi dell’ordine di qualche kV sono sufficienti per creare un campo di intensità localmente molto alta, tale da produrre gli ioni.

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Dal 1972, anno in cui il concetto di emissione di campo ha iniziato ad essere studiato, ad oggi l’emettitore FEEP è stato progressivamente sviluppato per incrementare il livello di emissione ionica.

Nel percorso storico dell’emettitore ad effetto di campo si è assistito ad un’evoluzione che, partendo da emettitori aghiformi ha raggiunto l’attuale geometria cosiddetta a “fessura”, il cui nome deriva dalla forma dell’estremità emittente.

In un emettitore a geometria lineare l’emissione di ioni non è uniformemente distribuita lungo la superficie libera del metallo liquido che affiora dalla fessura, bensì risulta concentrata in un numero finito di punti di emissione. Questi si formano non appena la differenza di potenziale applicata tra l’emettitore e l’acceleratore raggiunge il valore critico iniziale V0, a cui corrisponde il valore critico iniziale del

campo elettrico E0, come appare evidente dalla fig.1.3.

Una semplice ipotesi che viene assunta è che la condizione critica iniziale corrisponda ad una situazione fisica di equilibrio tra le forze di natura elettrostatica e

Fig. 1.2 Emissioni di ioni da un cono di Taylor, osservata al microscopio a scansione elettronica.

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7 le forze dovute alla tensione superficiale del metallo liquido, equilibrio che viene raggiunto attraverso la formazione di un cono di Taylor.

Risulta di notevole interesse la distribuzione dei punti di emissione lungo la fessura dell’emettitore. Grazie ad un microscopio a scansione elettronica è stato possibile osservare, in corrispondenza di una corrente di emissione di alcuni milliampere, una distribuzione regolare di punti tra loro equidistanti e della stessa luminosità, il cui valore N risulta pari a circa 1200 punti/cm; ad essi si sovrappone un certo numero di punti di maggiore luminosità (alcune decine) distribuiti in modo non omogeneo. Questi ultimi sono quasi certamente causati da qualche piccolo difetto che può trovarsi sulle pareti della fessura. Inoltre, in corrispondenza delle due estremità delle lamine c’è una regione molto brillante: questo “effetto di bordo” è dovuto molto probabilmente a delle irregolarità del sottile strato di Nichel. La quantità di ioni emessa dai due bordi è nota in modo approssimativo e può essere assunta pari a circa il 10% della corrente totale emessa.

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1.2.1 Elementi costituenti il FEEP

Gli elementi fondamentali che costituiscono il sistema propulsivo FEEP sono essenzialmente dati da:

 l’unità emettitrice;

 il sistema di immagazzinamento ed alimentazione del propellente;  il neutralizzatore;

 l’unità di controllo e di regolazione di potenza.

I suddetti elementi sono schematicamente illustrati in fig.1.4.

In fig.1.5 è schematizzato un FEEP con emettitore lineare nella quale si osservano i due elettrodi, l’anodo e il catodo (coincidenti rispettivamente con l’emettitore e l’acceleratore), il serbatoio integrato all’emettitore ed il neutralizzatore.

L’unità emettitrice è stata ricavata in due semimetà, su ogni semiemettitore è stata realizzata una punta, il propellente fluisce per capillarità dal serbatoio ad una fessura ricavata direttamente sulle punte dei semi-emettitore.

SEGNALE DI CONTROLLO FLUSSO DI POTENZA

FLUSSO PROPELLENTE

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1.2.1.1 L’unità emettitrice

L’unità emettitrice rappresenta la parte principale dell’intero sistema. Essa è costituita da due elettrodi: l’anodo, “l’emettitore”, in cui è presente il metallo allo stato liquido, ed il catodo, “l’acceleratore”, costituito da una piastra forata posta davanti all’emettitore. Applicando un’opportuna differenza di potenziale ai due elementi si ha l’emissione ionica.

All’interno di una o di entrambe le metà viene ricavata una cavità che svolge la funzione di serbatoio per il propellente. In corrispondenza della fessura per l’emissione, la parte terminale di ciascun pezzo è costituita da una lamina acuminata; la funzione delle lamine è quella di massimizzare il campo elettrico locale in modo da favorire l’effetto di campo. Il valore del raggio di curvatura della punta delle lamine è dell’ordine del micron.

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Le parti interne dell’emettitore sono lavorate con estrema cura: dopo la finitura a macchina le due metà vengono pulite a specchio, tramite lappatura, per ridurre la rugosità superficiale. La lavorazione ha il duplice scopo di diminuire l’impedenza idrodinamica e di avere un’altezza della fessura dell’ordine del micron.

Su una delle due metà dell’emettitore, dopo la lappatura si procede alla deposizione di un sottilissimo strato di Nichel tutt’intorno alla cava tranne che in corrispondenza delle lamine, in modo da assicurare, a chiusura avvenuta, la presenza di una fessura che collega il serbatoio con l’esterno. Attraverso questa intercapedine il metallo liquido può raggiungere la zona di emissione sotto l’azione delle forze capillari. Già per fessure, la cui lunghezza è dell’ordine del centimetro, è opportuno depositare anche dei punti isolati di Nichel in corrispondenza delle lamine, al fine di garantirne il parallelismo dopo la chiusura dell’emettitore.

Il delicato processo di deposizione del Nichel è ottenuto mediante spruzzamento catodico (elettrodeposizione o sputtering), servendosi di un’opportuna maschera forata. In questo modo si riescono a raggiungere spessori di 12 m, fissando così su

tali valori l’altezza della fessura.

1.2.1.2 Il neutralizzatore

Scaricando soltanto ioni positivi, ben presto il veicolo spaziale verrebbe a caricarsi negativamente ad un punto tale da ridurre il campo elettrico, che genera l’emissione,

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11 a valori inferiori ai limiti minimi di funzionamento. Il neutralizzatore è dunque necessario non solo per garantire la neutralità del veicolo spaziale, ma anche per evitare lo stallo e la riflessione del fascio di ioni. Concettualmente il metodo più semplice di neutralizzazione consiste nella immissione di un fascio di elettroni, in prossimità dell’acceleratore, nel fascio ionico, in modo che gli elettroni abbiano la stessa distribuzione di densità e velocità degli ioni.

1.2.1.3 Il sistema di alimentazione del propellente

Il sistema di alimentazione del propellente deve adempiere alle seguenti funzioni:  Ospitare il propellente necessario per una specifica missione,

 Garantire un flusso di propellente all’emettitore durante i periodi di accensione del motore,

 Mantenere il propellente allo stato liquido,

 Mantenere l’isolamento elettrico tra le parti a diverso potenziale,  Interfacciarsi con gli altri sottosistemi.

Relativamente alla seconda funzione, ovvero quella di garantire un determinato flusso di propellente all’emettitore, si può scegliere un sistema passivo, quindi per capillarità nella quale si sfruttano le forze di tensione superficiali per garantire lo spostamento del fluido verso la zona desiderata, oppure un sistema attivo che richiede la spesa di energia per produrre una certa portata di propellente.

La funzione “mantenere il propellente allo stato liquido” è indispensabile per il funzionamento del propulsore e quindi deve essere studiato con grande attenzione. Qualora un sistema termico passivo non dovesse essere sufficiente a mantenere il propellente allo stato liquido, è necessario un controllo in ciclo chiuso della temperatura del propellente, sia di quello nel serbatoio che di quello lungo tutto il sistema di alimentazione.

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In generale è preferibile avere un condotto di alimentazione che connette il serbatoio all’emettitore ( e che può essere integrale al serbatoio stesso) con raggio decrescente per facilitare il flusso di propellente.

La scelta del materiale del condotto di alimentazione e il modo in cui viene vincolato all’emettitore, vengono effettuate in base ai seguenti specifiche:

 materiale isolante. L’emettitore viene infatti portato ad un potenziale di circa 7KV,

 buone proprietà bagnanti,

 coefficiente di dilatazione termica non troppo lontano da quello dell’emettitore.

1.2.1.4 L’unità di controllo e di regolazione di potenza

L’Unità di Condizionamento di Potenza (PCU) converte la potenza, fornita dalla sorgente, in una varietà di livelli di voltaggi e d’intensità di corrente principalmente per i seguenti scopi:

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13  alimentazione ad alta tensione dell’emettitore e dell’acceleratore;

 alimentazione a bassa tensione del neutralizzatore;  controllo termico del sistema;

 gestione del flusso dei dati di telemetria e di telecomando.

L’unità di controllo, invece, provvede a controllare la regolarità del funzionamento modificando, eventualmente, le uscite della PCU.

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