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1861, LA PRIMA ESPOSIZIONE NAZIONALE DI FIRENZE. § 1. Le arti maggiori tra supremazia accademica e celebrazione del nuovo Stato unitario.

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1861, LA PRIMA ESPOSIZIONE NAZIONALE DI FIRENZE.

§ 1. Le arti maggiori tra supremazia accademica e celebrazione del nuovo Stato unitario. Il 15 settembre 1861, dopo un anno di preparazione durante il quale si erano decise le sorti del Regno d’Italia, fu inaugurata a Firenze la prima esposizione nazionale.

La commissione, presieduta da Cosimo Ridolfi e con Francesco Carega come segretario generale e vera anima organizzatrice dell’esposizione, era prevalentemente composta da illustri personaggi toscani nonostante l’intenzione di dare un respiro di nazionalità alla manifestazione1.

Ragioni di amenità del sito e di più pratica opportunità fecero propendere per la Stazione di Porta a Prato come sede dell’esposizione: vicina alla passeggiata borghese delle Cascine e in via di dismissione come stazione terminale della linea ferroviaria Livorno-Pisa-Firenze, essa poteva far risparmiare tempo e denaro rispetto all’erezione di un nuovo edificio2

. La ristrutturazione e l’ampliamento della stazione furono affidati all’architetto fiorentino Giuseppe Martelli e all’architetto-ingegnere Enrico Presenti, autore del progetto della stazione nel 1847.

Nonostante l’aspetto neoclassico e la volontà di impiegare i nuovi materiali da costruzione, come il ferro, la ghisa e il vetro che erano stati previsti inizialmente dal Martelli (fig. 1.1), alla fine si optò per una facciata di gusto neorinascimentale con porticato ad arcate su pilastri. Un attico decorato con un classicheggiante bassorilievo di figure allegoriche era poi sormontato da un frontone che rafforzava l’idea dell’edificio-tempio celebrante il nuovo Stato e la sua Libertà, necessaria allo sviluppo agrario, industriale e artistico della nazione (fig. 1.2)3.

Il soffitto interno, eliminata la vecchia tettoia, illustrava l’assetto territoriale dell’Italia nei “quattrocento otto compartimenti pellucidi recanti su cristalli smerigliati gli stemmi dipinti delle

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La Esposizione Italiana del 1861 con 190 incisioni, 1861, n. 1, p. 3; n. 2 p. 11; n. 5, pp. 34-35; n. 7, p. 51; n.2, p. 9; n. 3, p. 17, 21; Esposizione italiana tenuta in Firenze nel 1861. Relazione generale di F. Protonatari, vol. 1, 1867; Barbiera 1892, pp. 11, 14; B.Cinelli, Firenze 1861: anomalie di un’esposizione, in «Ricerche di storia dell’arte», n. 18, 1982, p. 24. Per i diversi avvisi che la commissione rivolse ai Comitati locali istituiti nelle città italiane in quanto mediatori tra la stessa commissione e i futuri espositori, vedi «Il Monitore Toscano», 1861.

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Barbiera 1892, p.14; Fanelli 1973, pp. 364-365, 378-379, 386-387; Buscioni 1990, p. 37. 3

GDSU, 5803 A, 5804 A, 5808 A, 5834 A, 5890 A, “Album del secondo progetto della costruzione per l’Esposizione italiana d’arte e manifattura del 1861; La Esposizione Italiana del 1861 con 190 incisioni, 1861, n. 1, pp. 4-5; La Firenze di Giuseppe Martelli (1792-1876). L’architettura della città fra ragione e storia, 1980, pp. 97-98, 133-138.

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città italiane” e dava una maggiore illuminazione ai prodotti tessili, agricoli, a quelli dell’industria chimica-estrattiva e dei mobili esposti lungo le navate del pianoterra e lungo i ballatoi del primo piano4.

Come unico elemento moderno, eco della lezione inglese, rimase la rotonda al centro della galleria ottagonale che, con le sue colonne di ghisa trabeate sostenenti la volta del deambulatorio e la cupola centrale coperta “… con cristalli” , era destinata a serra per le piante esotiche5

.

Un nuovo edificio, non contemplato nel progetto Martelli ma descritto come già costruito ne «La Nazione» del 5 settembre, fu infine costruito a fianco della stazione e ad essa collegato da un corridoio per ospitare quei dipinti che non trovarono collocazione nelle sale del primo piano, i bozzetti vincitori del concorso Ricasoli e le due sale destinate alle sculture di Giovanni Dupré6. Che l’obiettivo economico non fosse il motivo principale per cui fu allestita l’esposizione, per lo meno dal punto di vista istituzionale, si intuisce dalle dichiarazioni del principe di Carignano, presidente onorario della Commissione, da quelle del re Vittorio Emanuele II, pronunciate nel giorno dell’inaugurazione e dai messaggi inviati alla commissione dalle città d’Italia rimaste ancora sotto i governi stranieri, piene di speranza nel poter entrare un giorno a far parte del Regno7.

La prima esposizione nazionale fu salutata come un “secondo Plebiscito” con cui i numerosi partecipanti riconfermavano l’unità politica a dispetto delle ragioni nazionali e internazionali ad essa contrarie, come quelle che sottostavano al fenomeno del brigantaggio nel meridione, quelle delle autonomie regionali e quelle legate alla questione romana8.

L’apparato architettonico, il suo arredo plastico-pittorico e la scelta di posizionare le statue degli italiani illustri del passato in punti cruciali all’interno del recinto dell’esposizione, rivelava la

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Il palazzo della Esposizione, in «La Nazione», 5 settembre 1861, p. 2; Ferrigni 1861, p. 19; Dandolo 1863, p. 69; La Firenze di Giuseppe Martelli (1792-1876),1980, p. 101.

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La costruzione della rotonda in “ferro e vetro” fu annunciata sul «Monitore Toscano», 28 maggio 1861; Ferrigni 1861, pp.232-233; La Firenze di Giuseppe Martelli (1792-1876), 1980, pp. 99-100; Picone Petrusa1988,pp. 78-80.

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Il palazzo della esposizione, in «La Nazione», 5 settembre 1861, p. 1; Ferrigni 1861, pp. 88-95; Barbiera 1892, pp. 12, 19; Picone Petrusa, Pessolano eBianco, 1988, p. 12.

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La prima esposizione considerata politicamente, in La Esposizione Italiana del 1861 con 190 incisioni, 1861, n. 6 p. 43; L’esposizione è conferma dell’unità d’Italia, in Esposizione italiana tenuta in Firenze nel 1861, n. 8, p. 59; Discorso di S.A.R. il principe Eugenio di Savoia Carignano. 8 luglio 1860, inidem, pp. VIII-IX; La solenne inaugurazione della Prima Esposizione Italiana, in idem n. 5, p. 35; Un saluto da Venezia, in idem, n. 11, pp. 83-85; Italia moderna, 1982, p. 71; Buscioni, 1990, p. 41.

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volontà di porre le basi per il processo di formazione e diffusione del sentimento nazionale che coinvolgerà l’arredo scultoreo urbano per tutta la seconda metà del XIX secolo. Se il re Vittorio Emanuele II, la cui “statua equestre di stoppa” di Ulisse Cambi, innalzata di fronte all’ingresso del recinto dell’esposizione, si faceva promotore dell’unità politica e conseguentemente economica del Regno, nonché del suo progresso scientifico, industriale e artistico, a due personaggi toscani fu affidato il ruolo di ‘profeti’ dello stato unitario9

. Le statue raffiguranti il lucchese Francesco Burlamacchi, “… il primo / Dato a morte e pur non vinto / Contro il fato e Carlo Quinto / il futuro ad attestar”, e l’aretino Vittorio Fossombroni, rispettivamente scolpite da Ulisse Cambi e Pasquale Romanelli, furono infatti collocate, con molta probabilità, all’interno delle due nicchie che, ancora oggi, affiancano la porta d’ingresso dell’ex stazione.

All’interno del percorso espositivo, illustrante “l’epopea del progresso, della modernità e del potere che tiene in mano tutto ciò”, furono le classi di pittura e di scultura a far accorrere la maggior parte del pubblico, nonostante che la maggior parte delle opere fosse già ampiamente nota10.

Sui circa 8.000 espositori totali ci fu una netta prevalenza della Toscana (3.500) seguita dalle regioni dell’ex Regno borbonico (1.300). Barbara Cinelli ha motivato tale risultato da un lato con la presenza in Toscana di molti artisti meridionali fuoriusciti politici che condividevano coi colleghi toscani una medesima ricerca pittorica basata sul vero, dall’altro con la situazione similare in cui versavano il Granducato di Toscana e il Regno delle Due Sicilie nell’ultimo decennio di esistenza e nel passaggio al nuovo assetto unitario11. Alla crisi istituzionale e propositiva delle Accademie e dei loro concorsi e alla destabilizzazione delle mostre delle Società Promotrici si era infatti aggiunta la perdita della principale fonte di committenza per gli artisti, la corte. Cosicché l’esposizione nazionale del 1861 poteva rappresentare, soprattutto per i giovani, un modo per accattivarsi i favori della nuova casa regnante e per cercare nuove committenze12.

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Ferrigni 1861, p. 16; Dandolo 1863, pp. 70, 79. 10

Spalletti 1985; Picone Petrusa, Pessolano, Bianco 1988, p. 12. 11

B. Cinelli, Firenze 1861: anomalie di una esposizione, in «Ricerche di storia dell’arte», n. 18, 1982, pp. 22-23. 12

Spalletti 1985, pp. 9-16; La pittura napoletana dell’ottocento, 1993, p. 37; Storia delle arti in Toscana. L’Ottocento, 1999, pp.90-92.

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Dalla classe di pittura fu esclusa la fotografia nonostante la popolarità raggiunta dalla nuova tecnica, comparata allora a quella del telegrafo e del vapore, e la sua riconosciuta importanza come documento storico e di studio13. Vi rientrarono invece la pittura su smalto e su porcellana in virtù del loro potenziale ideativo e creativo, ritenuto superiore a quello della produzione seriale; un’interpretazione delle arti applicate che avrebbe caratterizzato tutta la seconda metà del XIX secolo14.

La Toscana vi figurava con 14 espositori, professionisti e dilettanti, dei quali 5 furono insigniti di medaglia per le qualità tecniche e/o artistiche dei lavori presentati, nonostante l’alto livello raggiunto dal milanese Alessandro Duroni nell’ “effetto e (nella) morbidezza ed armonia delle tinte”15

.

Tra i premiati si distinguevano le personalità che avevano contribuito a far nascere e a far sviluppare tecnicamente la fotografia, come Pietro Semplicini, autore della prima prova dagherrotipica, direttore della Società Fotografica Toscana, nonché autore dell’album ufficiale dell’esposizione, e il lionese Jean Baptiste Bernoud. Quest’ultimo espose i ritratti “colorati in diversi modi e valentemente” grazie al nuovo metodo di colorazione reclamizzato come “all’acquarello”, sperimentato a Firenze a metà degli anni Cinquanta, e fu autore del reportage delle battaglie meridionali del biennio 1860-’6116. C’erano poi quelli che s’imposero oltre l’ambiente locale portando la fotografia nell’ambito del turismo internazionale grazie soprattutto al genere della veduta. Dei fratelli Alinari, costituitisi in società nel 1854 e reduci dai premi conseguiti alle esposizioni universali di Parigi e Bruxelles nel 1855 e ’56, furono infatti apprezzate le “perfette” vedute di Firenze, mentre Enrico Van Lint, riconosciuto tra i maggiori fotografi attivi in Toscana

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T.C., Le fotografie, in La Esposizione Italiana del 1861 con 190 incisioni, 1861, n. 7, pp. 55-56; T.C., Fotografie rappresentanti monumenti, in idem, n. 36, p. 282. Per l’uso che gli artisti europei facevano del mezzo fotografico nell’elaborazione creativa e produttiva delle loro opere vedi G. Ginex, Pittura e tecniche fotografiche: le origini (1839-1911), in Lezioni di Storia dell’arte. Dall’impressionismo alla cultura artistica contemporanea, 2005, pp. 87-111.

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Capitanio 1994, pp.15-17. 15

F.C., Le fotografie. Ritratti per ingrandimento, in La Esposizione Italiana del 1861 con 190 incisioni, 1861, n. 10, pp. 78-79; n. 20, p. 157.

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T.C., Le fotografie. Ritratti per ingrandimento, in La Esposizione Italiana del 1861 con 190 incisioni, 1861, n. 10, pp. 78-79; n. 20, p. 157; T.C., Fotografia, in idem, n. 41, p. 323; Esposizione nazionale tenuta in Firenze. Relazione dei giurati, 1867, vol. 1, p. 485; P. Becchetti, La fotografia alla Prima Esposizione Nazionale, in Alle origini della fotografia,1989, p. 85. Per le schede biografiche di J. B. Bernoud e P. Semplicini vedi pp. 210-211, 216.

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già nel 1855, si distinse per le riproduzioni fotografiche del Camposanto caratterizzate da un impianto prospettico rigoroso e da un’attenzione posta ai valori luministici e plastici della veduta17

. Tra i locali del pianoterra e quelli del primo piano i visitatori potevano assistere a tutto il processo di trasformazione pittorica che era avvenuto in Toscana fino a quel momento: dalle poche opere di Francesco e Giuseppe Sabatelli, al romanticismo di Giuseppe Bezzuoli, al purismo di Luigi Mussini fino ai più recenti rappresentanti della ‘macchia’18.

L’atteggiamento moderato della critica ufficiale, rivolto sia alla pittura di storia che a quella di paesaggio, si evince dalle descrizioni e dai giudizi riportati accanto alle opere premiate che, se erano caratterizzate da uno studio più attento della realtà, riscontrato sia nella maggiore naturalezza delle movenze dei personaggi rappresentati sia nella qualità cromatica-luministica delle opere che attenuava i forti contrasti chiaroscurali rispetto a quella neoclassica e romantica, ormai avvertite solo come teatrali e artificiose, risultavano comunque attardate rispetto alle novità contenutistiche e formali dei Macchiaioli19. Tale giudizio fu contrastato dai pittori vincitori della medaglia che, riconoscendo l’importanza delle novità apportate dai colleghi esclusi dai premi, dettero vita alla famosa protesta riportata anche sui quotidiani nazionali20.

Così l’ennesimo trionfo de La cacciata del Duca di Atene di Stefano Ussi (fig. 1.3), opera riassuntiva del processo di trasformazione in senso morelliano della pittura di storia, guidò quelle opere rivolte ad illustrare i fatti storici e i momenti di vita quotidiana del glorioso passato politico e culturale d’Italia, dipinti da artisti toscani o comunque gravitanti intorno a Firenze, che trovavano

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Emanuela Sesti fa notare che furono soprattutto le guide straniere a riservare molta più attenzione all’attività dei fotografi rispetto alle coeve guide italiane cfr. T.C., Fotografie rappresentanti monumenti, in La Esposizione Italiana del 1861 con 190 incisioni, 1861, n. 36, p. 282; E. Sesti, Gli Alinari e le origini della fotografia a Firenze, in Alle origini della fotografia, 1989, pp. 39, 61, 209-210; M. Della Valle, Enrico Van Lint, scultore e fotografo, in Alle origini della fotografia, 1989, pp.126-127, 216.

Per l’attività di fotografo svolta da Enrico Van Lint, gestore di un laboratorio-atelier di alabastri e di stampe sul Lungarno Regio dagli inizi degli anni Cinquanta, vedi Fanelli 2004, pp. 15-56.

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Spalletti 1985, pp. 228-247.

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Oltre agli articoli specifici dei dipinti sopra menzionati, apparsi sul giornale dell’esposizione, si può leggere la rassegna artistica curata da Francesco Manfredini cfr. F. Manfredini, Pittura di genere e paesaggio, in La Esposizione Italiana del 1861 con 190 incisioni, 1861, pp. 61-62; 69-70; F. Manfredini, Pittura religiosa e storica, in La Esposizione Italiana del 1861 con 190 incisioni,1861, pp. 75-76, 82-83, 90-91, 98-99, 106-107; Ferrigni 1861; Selvatico 1863; Dandolo 1863; Esposizione nazionale tenuta in Firenze. Relazione dei giurati, 1867, vol. 3.

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I pittori che rifiutarono la medaglia furono Giuseppe Abbati, Saverio Altamura, Vito D’Ancona, Luigi Bechi, Michele Gordigiani, Stefano Ussi, Bernardo Celentano, Domenico Morelli, Gerolamo Induno, Eleuterio Pagliano, Luigi Scrosati, Gottardo Valentini e Achille Vertunni cfr.Fatti diversi, in «La Nazione», 16 novembre 1861, p. 2; 19 novembre 1861, p. 3; 20 novembre 1861, p. 3.

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spunti anche nelle ricerche pittoriche francesi dei medesimi anni21. Di tali opere fanno parte L’incontro di Dante con Beatrice di Vito D’Ancona, Le conversazioni platoniche di Antonio Puccinelli, Giuliano de’ Medici condotto in Duomo dai congiurati di Arturo Moradei, Il consiglio dei Dieci di Bernardo Celentano, I funerali di Buondelmonte, Il buon tempo antico di Saverio Altamura, Novellieri fiorentini del XV secolo di Vincenzo Cabianca e I primi poeti alla corte di Federico II di Svevia di Michele Rapisardi.

I cavallari maremmani nella campagna romana di Andrea Markò e Il tramonto di Carlo Markò, entrambi premiati, furono i rappresentanti della cosiddetta pittura di Staggia della quale il giornale dell’esposizione riprodusse il Castello di Staggia (fig. 1.4) e Una selva nelle Calabrie di Luigi Corsi. Essi furono apprezzati proprio per quel loro modo di essere a metà strada tra la maniera di comporre classicamente i paesaggi, tipica del vedutismo romantico, di cui erano interpreti Carlo Markò padre con ben 12 quadri, Raffaello Morghen e Pietro Della Valle, e, a giudicare dai titoli delle opere, per una maggior attenzione sia al sito verista sia alla composizione cromatica “… a masse chiaroscurali (che faceva uso) … di toni cromatici freddi e luminosi tali da scandire in profondità gli elementi naturali”22. Allo stesso modo fu apprezzato I renaioli dell’Arno di Stanislao Pointeau per la “fedele imitazione della natura … (e per il) magistero della tinta (che rese) le trasparenze atmosferiche e la luminosità diffusa …”, che Diego Martelli inserì nella fase sperimentale delle ricerche macchiaiole. Non ottennero invece particolari apprezzamenti le opere

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L’Aiace di Francesco Sabatelli era descritto come una figura accademica per la sua posa, così come, parlando del Farinata degli Uberti alla battaglia del Serchio, si accennava ad una tendenza al macchinoso e ad un effetto pesante del colorito. Pietro Coccoluto Ferrigni parlava invece di Carlo VIII come una “figura di parruchiere” e Pietro Selvatico definiva L’entrata di Carlo VIII a Firenze di Bezzuoli con tali parole: “(ha) le stesse tendenze alle esagerazioni coreografiche, raffazzonate a caso da studii, pur fatti a caso, sul modello e sul fantoccio.(L’unico pregio) … era un florido e lucido colorito nelle carnagioni …” cfr. Ultime notizie. Esposizione nazionale, in «La Nazione», 13 settembre 1861, p. 3; Esposizione italiana. Classe XXIII. Pittura, in «La Nazione», 19 ottobre 1861, p. 1; Esposizione italiana. Classe XXIII. Pittura, in «La Nazione», 26 ottobre 1861, p. 1; Esposizione italiana. Classe XXIII. Pittura, in «La Nazione», 8 novembre 1861; Ferrigni 1861, pp. 67, 225; I. Cavallucci, Giuliano de’ Medici condotto in Duomo dai congiurati, inLa Esposizione Italiana del 1861 con 190 incisioni, 1861, n. 22, p. 170; A.C., Il Consiglio dei Dieci di Venezia, in idem, n. 13, pp. 103-104; Selvatico 1863, pp. 36-52; F. Manfredini, Della pittura religiosa e storica, in Esposizione italiana tenuta in Firenze nel 1861. Relazione dei giurati classe XIII-XXIV, 1867, classe XXIII, p. 294; Gazzettino delle Arti del Disegno, pp.125-126; Spalletti 1985, pp. 76-77, 91-96, 117-119, 191; L.Lombardi, Pittura di storia, in I macchiaioli, 2003, p. 116; Ottocento da Canova al Quarto Stato, 2008, p. 40.

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E.M., Il castello di Staggia presso Siena, in La Esposizione Italiana del 1861 con 190 incisioni, 1861, n. 26, pp. 203-204; G.E.S., Una selva nelle Calabrie, paese con figure di Luigi Corsi, in idem, n. 11, p. 85; Esposizione italiana agraria, industriale e artistica tenuta in Firenze nel 1861. Catalogo ufficiale, 1861, classe XXIII, pittura, incisione, disegni, litografie e litocromie; Esposizione italiana tenuta in Firenze nel 1861. Relazione dei giurati classe XIII-XXIV, 1867; L’esposizione di belle arti della società d’incoraggiamento in Firenze, in Gazzettino delle arti del disegno, 1968;Spalletti 1985, p. 231; Antonio Fontanesi, 1999, pp.14-18; La pittura di paesaggio in Italia. L’Ottocento, 2003, pp. 14-17; 33-36.

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dei cosiddetti ‘effettisti’, tra cui Pascoli di Castiglioncello di Telemaco Signorini descritto come “una frittata, ripiena di vacche in gelatina”23

.

Direttamente dalla cultura neoclassica-illuministica e romantica provenivano i soggetti pittorici relativi agli uomini illustri che tra gli anni Trenta e Quaranta erano stati oggetto di commissioni pubbliche e private, come le statue per i portici degli Uffizi e quelle per la villa di Scornio di Niccolò Puccini 24. Tra questi primeggiò la figura di Dante, soggetta già dalla fine del ‘700 ad una fortuna iconografica rimasta intatta fino al Novecento. Pietro Selvatico lo aveva inserito tra quei personaggi della cultura e della scienza italiana che gli artisti potevano utilizzare come modelli civili, etici e ideologici per poi essere interpretato, durante gli anni di preparazione alle guerre d’indipendenza, come il simbolo politico del “grande esule celebrato come un padre dell’idea di una patria italiana” sull’esempio degli scritti letterari di Giuseppe Mazzini25

.

In questa occasione erano presenti, oltre al già citato dipinto di Vito D’Ancona, il Dante condotto alla porta del Purgatorio da Virgilio del pittore e restauratore Annibale Mariannini26 e i tre disegni a penna di episodi tratti dalle tre cantiche della Commedia del padovano Vincenzo Gazzotto, scelti per essere esposti anche all’esposizione di Londra del 186227

.

23

Ferrigni 1861, pp. 123, 165-166, 178; Dandolo 1863, p. 175; Mostra di disegni di Telemaco Signorini, 1969, p. 23; Spalletti 1985, pp. 232-234; Spalletti 1994, pp. 19-20, 58;Telemaco Signorini. Una retrospettiva, 1997, p. 57; Antonio Fontanesi, 1999, p. 80; Storia delle arti in Toscana, 1999, p. 149.

L’incomprensione del pubblico per le opere dei macchiaioli, basate su studi dal vero e prive di contenuti morali fu ben espresso in un paragrafo di Diego Martelli tratto dal saggio Sull’arte riportato in F. Dini, Storia di una rivoluzione artistica (1848-1870), in I macchiaioli, 2003, pp. 52-54, 206.

24

Cultura dell’Ottocento a Pistoia, 1977; E. Spalletti, La pittura dell’Ottocento in Toscana, in La pittura in Italia. L’Ottocento, 1991, pp. 316-117; C. Sisi, I macchiaioli e i generi della pittura, in I macchiaioli, 2003, p. 7.

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B. Passamani, Il concorso per il monumento al Sommo Poeta, in Simboli e miti nazionali tra ‘800 e ‘900, 1997, pp. 63-144; Mottola Molfino 1999, pp. 265-273; F. Mazzocca, Fortuna visiva e interpretazione di Dante nella cultura artistica tra la Restaurazione e il Risorgimento, in Museo Poldi Pezzoli. Lo studiolo del collezionista restaurato, p. 65; F. Leone, Il culto di Dante, in Romantici e Macchiaioli, 2005.

Nella recente mostra allestita nella tribuna dantesca della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze è stato esposto il bozzetto in bronzo (1893) che Paolo Troubetzkoy presentò per il concorso indetto per il monumento a Dante, oggi conservato nel Museo del Paesaggio di Verbania Pallanza, insieme ai dipinti di alcuni pittori italiani che si sono soffermati sulla figura di Dante esule, come il Dante in esilio di Domenico Peterlin (1865, Firenze, Palazzo Pitti, Galleria d’Arte moderna), Ecco colui che andò all’Inferno e tornò del pugliese Saverio Altamura (1860-65, Pescara, collezione privata) o sui personaggi di alcune sue cantiche, come la Pia de’ Tolomei del lombardo Eliseo Sala (1846, Brescia, Musei Civici d’Arte e Storia) e Paolo e Francesca di Gaetano Previati (1887, Bergamo, Museo dell’Accademia Carrara) cfr. Dante vittorioso. Il mito di Dante nell’Ottocento, 2011.

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Il Mariannini fu Direttore della Reale Accademia di Belle Arti di Pisa, vedi Dizionario dei pittori, 1962, pp. 14-16;Renzoni 1997, pp. 157-168.

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Esposizione italiana agraria, industriale e artistica. Catalogo ufficiale, 1862. Classe XXIII.

Tra le imprese decorative del Gazzotto si può ricordare quella della Sala Rinascimentale nel Casino Pedrocchi del 1842 cfr. La pittura dell’Ottocento a Venezia e nel Veneto. Padova, in La pittura in Italia. L’Ottocento, 1991, pp. 205-206.

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Ben illustrato fu il purismo: dall’iniziale Musica Sacra di Luigi Mussini, direttore dell’Istituto senese di Belle Arti dal 1851, all’Eudoro e Cimodoce e al Decamerone che, testimonianti dell’avvenuta trasformazione del purismo toscano in una policromia più chiaroscurata, modellata sulle opere dei maestri del ‘500, rispetto alle tonalità diafane e cristalline di quello romano, non sempre piacquero alla critica28. Fino alle più recenti opere degli allievi rappresentanti del genere religioso sentito ormai come sorpassato e poco ricercato dal pubblico, tra cui la Santa Elisabetta e il San Luigi re di Alessandro Franchi, La strage degli innocenti di Angelo Visconti, prematuramente scomparso e la Gloria di Santa Verdiana, incompiuta, di Annibale Gatti29.

Il grado di ufficialità dell’esposizione fiorentina era confermato dalla pittura militare cronachistica e celebrativa rappresentata anche dai ritratti del sovrano, come quello in divisa militare di Michele Gordigiani, già affermato ritrattista in Italia per la capacità di rendere la somiglianza dei modelli seppur all’interno dell’idealizzazione della figura, qualità per cui fu insignito di medaglia per un Ritratto di signora. Il ritratto del re, riprodotto sulla prima pagina del primo numero del giornale dell’esposizione (fig. 1.5), fu apprezzato dal committente, il principe Eugenio di Carignano, e dallo stesso sovrano proprio per la carica di verosimiglianza che il giovane pittore fiorentino era riuscito a fermare nonostante che il re non avesse posato per lui direttamente30.

Faceva da contraltare alla pittura celebrativa quella più spiccatamente patriottica, caratterizzata dalla prosaicità contenutistica e sviluppatasi alla fine degli anni Quaranta in coincidenza con i moti d’indipendenza italiana. Di questi illustrava gli aspetti più dimessi e gli episodi delle retrovie, puntando sulla comunicazione di sentimenti di umanità, fratellanza e partecipata commozione rispetto all’esaltazione celebrativa ma fredda dell’eroismo del singolo, al pathos e alla

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Il cronista del giornale ufficiale dell’esposizione, in un lungo articolo dedicato all’opera di Mussini, notava il bel “contrasto d’affetto” dell’ Eudoro e Cimodoce che rendeva buona l’opera se non fosse “appuntata che nel colore”, mentre Pietro Selvatico ne criticava i “colori lacchicci e turchinicci alla francese” che lo avevano allontanato dallo stile disegnativo cfr. La Esposizione Italiana del 1861 con 190 incisioni, 1861, n.45, p. 355; Ferrigni 1861, p. 122; Spalletti 1985, pp. 106-108. La cultura artistica a Siena nell’Ottocento, 1994, pp. 316-319; L. Lombardi, Pittura di storia, in I macchiaioli, 2003, p. 104; Spalletti 1991, pp.323-324; La cultura artistica a Siena nell’Ottocento, 1994, pp. 305-316.

29

Esposizione italiana. Classe XXIII. Pittura, in «La Nazione», 8 novembre 1861, p. 1; Dandolo 1863, p. 171; Spalletti 1991, pp.336-337; La cultura artistica a Siena nell’Ottocento,1994, pp. 326-338, 342-344, 358-360.

30

La Esposizione Italiana del 1861 con 190 incisioni, 1861, n.1, p. 1; Esposizione italiana tenuta in Firenze nel 1861. Relazione dei giurati classe XIII-XXIV, 1867, classe XXIII; Borsellino 1994, pp. 27-42 e segg.

(9)

9

magniloquenza compositiva. Le qualità che i giurati apprezzarono nelle opere premiate, come la verità, il sentimento, la passione e la commozione, erano state individuate quali caratteristiche della ‘pittura moderna’ già da Pietro Selvatico, che le riferiva più precisamente alla pittura di genere, dallo storico dell’arte mantovano Carlo d’Arco che aveva chiesto agli artisti di adeguare la pittura di storia alla contemporaneità prendendo come punto di riferimento la Francia, e più tardi anche dal mazziniano e patriota Carlo Tenca31.

I soggetti che meglio esprimevano tali sentimenti erano i martiri laici della patria che, proprio perché scevri di allegorie e simboli classici, a quanto intuirono il conte Tullio Dandolo e altri, risultavano comprensibili anche per quell’80% di analfabeti che costituiva il neonato Regno d’Italia verso il quale, per tutta la seconda metà del XIX secolo, si sarebbe elaborata una propaganda volta a unire ideologicamente un paese che solo sulla carta era unificato32. Così episodi come L’eccidio della famiglia Cignoli di Cosimo Conti e Le cartucce degli Italiani di Alessandro Lanfredini furono apprezzati “non tanto (per) … i pregi stilistici ma … (per) il sentimento che provoca nei cuori degli Italiani contro l’Alemanno”33

. Mentre dipinti come I Toscani a Curtatone dell’elbano Pietro Senno, i tre dipinti di Carlo Ademollo, rappresentanti la tragica vicenda della popolana Anna Cuminello accaduta durante la battaglia di San Martino, e Il marchese Fadini salva il generale de Sonnaz a Montebello di Luigi Bechi riportarono lodi anche dal punto di vista della tecnica pittorica, caratterizzata da una pittura ‘finita’, dall’atmosfera cristallina che rendeva più viva la policromia,

31

Elenco delle opere distinte con medaglia, in Esposizione italiana tenuta in Firenze nel 1861, pp.285-288; P.Selvatico, Le convenzioni della pittura storica, in Scritti d’arte del primo Ottocento, 1998, p. 551; C. D’Arco, Il carattere nazionale delle belle arti, in Scritti d’arte del primo Ottocento, 1998, p. 178-181.

32

In occasione dell’esposizione della Società Promotrice del 1860 Carlo Collodi affermava che la nuova nazione doveva cercare nell’arte i suoi eroi, l’ “idea italiana” cfr. Garibaldi. Arte e Storia, 1982, p.171; Spalletti 1985, p. 190; R. Bernacchi, L’arte del Risorgimento secondo Carlo Tenca, in «Camicia Rossa», anno XXX, n. 1, gennaio-aprile 2010;S. Bietoletti, Forma e sentimento. Quadri di storia senza eroi, inItalia sia!, 2010; M. T. Lazzarini, 1860-1861: dipinti e stampe degli artisti livornesi per l’Unità d’Italia, in «Nuovi Studi Livornesi», n. 18, 2011, p. 276.

33

Pietro Selvatico così parlava del quadro di C. Conti “ (il dipinto ha) … un merito infinitamente inferiore rispetto all’arte, (il pubblico vi è attratto) dalla straziante carneficina figuratavi … dovette solo alla scelta del compassionevole argomento l’incessante attenzione … perocchè, rispetto al merito artistico, c’era molto da eccettuare” cfr. Ferrigni 1861, pp. 179-182; I contadini Cignoli,in La Esposizione Italiana del 1861 con 190 incisioni e con gli atti ufficiali della Reale Commissione, 26 ottobre 1861, n.9, pp.68-69; Le cartucce degli Italiani. Episodio della battaglia di Magenta,inidem, 1861, n.40, pp. 314-315; F. Manfredini, Della pittura religiosa e storica, in idem, 14 dicembre 1861, n.13, p.99; Esposizione italiana. Classe XXIII. Pittura,in «La Nazione», 8 novembre 1861, p. 1; Selvatico, 1863, pp. 63-65; Ascione 1970, p. 22.

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10

dalla predilezione per i contrasti chiaroscurali e dalla resa del paesaggio secondo i canoni della ‘bella natura’ sviluppatisi in seno al rinnovamento della pittura romantica tra gli anni ’40 e ‘5034

. Non accolsero i favori della giuria e della critica ufficiale i dipinti tecnicamente più innovativi di quello che qualche anno più tardi fu definito il gruppo dei macchiaioli, tanto che nemmeno uno dei loro quadri fu riprodotto sul Giornale dell’esposizione35

.

L’unico che riuscì ad accattivarsi “la simpatia del pubblico” fu Odoardo Borrani con 26 Aprile 1859 di (fig. 1.6) perché, come ricordò Adriano Cecioni, mancò “ai principi del verismo per fare concorrenza agli speculatori dei soggetti”, un successo che fu suggellato dal suo acquisto da parte del principe di Carignano, dato appunto dal valore patriottico e probabilmente dalla rassicurante intimità domestica dell’interno borghese in cui traspare quella cultura storicista che caratterizzò l’Italia e soprattutto la Toscana per buona parte dell’Ottocento36

.

Lo stesso motivo, il soggetto patriottico, decretò il successo dei cinque dipinti eseguiti da Telemaco Signorini tra il 1859 e ’61 alle esposizioni delle Promotrici di Firenze e Torino e che, a quanto affermò lo stesso pittore, fu riconfermato nel capoluogo toscano nel 1861 quando si aggiudicò una

34

Telemaco Signorini criticò il modo di dipingere di C. Ademollo “stonato e vetrino … tanto che diresti per la mania che egli ha di far bei colori illustrati, che veda il vero bello e verniciato” quando descrisse il dipinto Ugo Bassi davanti al consiglio Statario cfr. Ferrigni 1861, p.124; Dandolo1863, p. 159; Fortuna 1968, p. 7; Garibaldi. Arte e Storia, 1982, pp. 170-171;Spalletti 1995, pp. 158-159; S.Bietoletti, Forma e sentimento. Quadri di storia senza eroi, inItalia sia!, 2010, pp. 40-43; E. Barletti, Pietro Senno, in Italia sia!, 2010, pp. 119-126; L. Dinelli, Livorno alle Cascine, in «Nuovi Studi Livornesi», n. 18, 2011, pp. 166-169.

I due quadri Episodio della battaglia di San Martino del 24 giugno 1859. Anna Cuminello costretta dagli austriaci a recarsi a prendere l’acqua (1860) e Anna Cuminello trovata morta dopo la battaglia di San Martino (o L’ultimo assalto alla battaglia di San Martino, 1859-’62) sono conservati nella Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti a Firenze e sono riprodotti rispettivamente in Ugo Bassi, 1999, p. 19 e La pittura in Italia. L’ottocento, fig. 325. Il terzo dipinto, Anna Cuminello. Episodio della battaglia di San Martino, si trova presso il Museo d’Arte Medievale e Moderna di Arezzo e, rispetto ai due lavori precedenti, amplia il punto di vista al campo di battaglia e, probabilmente, è da identificarsi col dipinto vincitore visto che, nell’elenco delle opere insignite di medaglia, è segnalato solo come ‘Anna Cuminello’ cfr. Catalogo illustrativo delle opere di pittura, disegni, incisioni ed altri oggetti di belle arti ammessi alla prima esposizione, 1861; Esposizione italiana tenuta in Firenze nel 1861, 1864-’67, vol. 3, pp. 285-288; Garibaldi. Arte e Storia, 1982, pp. 170-171; D. Matteoni, Giovanni Fattori: nuove prospettive dell’arte militare, in Da Fattori e Nomellini. Arte e Risorgimento, 2005, p. 33; Mazzanti 2011, pp. 27, 104.

35

S.Bietoletti, Pittura di storia contemporanea, in I macchiaioli, 2003, p. 137; L. Lombardi, Mazzini, i macchiaioli e la guerra di liberazione, in Romantici e macchiaioli, p. 163.

36

Ferrigni 1861; Garibaldi. Arte e Storia, 1982, pp. 149-150;Spalletti 1985, p. 240; Paolini, Ponte e Selvafolta 1990, pp. 439-.448; E. Farioli, Fare gli italiani: pedagogia dell’Italia unita, in Bandiera dipinta, 2003, p. 28; I macchiaioli, 2003, p. 152; L. Lombardi, Il risorgimento dei cuori semplici, in Romantici e macchiaioli, 2005, p. 177; A.Villari, Garibaldi e le camicie rosse, in 1861. I pittori del Risorgimento, 2010, p. 120; C. Sisi, Gli affetti e la dipintura del popolo, in idem, 2010, p. 49; I macchiaioli, 2010, p. 152.

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medaglia con La cacciata degli Austriaci dalla Borgata di Solferino, la più grande delle cinque tele e l’unica che ritrae, quasi in maniera fotografica, un momento della battaglia37

.

La scultura dimostrava invece il suo ritardo rispetto ai soggetti contemporanei e risorgimentali la cui “antiartisticità” fu ammessa dall’esponente dell’accademismo naturalista toscano, Giovanni Dupré quando, nel 1857, si trovò a terminare il monumento Demidoff: “Mi trovo come un pesce fuor d’acqua a trattare soldati moderni e con manovre moderne, che sono sempre antiartistiche”38

. Furono esposte solo due opere direttamente connesse col periodo risorgimentale: Un bersagliere italiano morto nella battaglia di San Martino di Emilio Neri di Sarzana e Un episodio della guerra del 1859 (fig. 1.8), gesso di Augusto Rivalta “che quotidianamente raccoglie intorno a sé molta parte degli intelligenti visitatori”. L’opera, molto simile per l’impianto compositivo piramidale e contenutistico al gruppo delle suore col ferito austriaco del carro dell’ambulanza de Il campo italiano durante la battaglia di Magenta, di cui Giovanni Fattori aveva presentato il bozzetto vincitore del concorso Ricasoli (fig. 1.7), fu lodata soprattutto per l’amore di patria, aderendo al “bello eterno del vero e della natura”39

che si ritrova in parte anche nell’Esule di Temistocle Guerrazzi (fig. 1.9).

In quest’ultima opera, eseguita a Roma agli inizi degli anni Quaranta quando il Guerrazzi fu espulso da Firenze per aver aiutato il fratello Francesco Domenico in un tentativo insurrezionale andato a vuoto, l’adesione al vero è coniugata ad una rappresentazione ancora debitrice della cultura classica nella veste della donna e di quella romantica per il tema trattato, l’esilio40

.

37

Disegni di Telemaco Signorini, 1969, pp. 21-22, fig. 71; Spalletti 1994, pp.13-14, 52-56; Telemaco Signorini, 1997, pp. 50-54; I Macchiaioli, 2003, p. 147.

38

Spalletti 2002, p. 116. 39

Esposizione italiana agraria, industriale e artistica, 1862, classe XXIV, scultura, sottosezione I, statue, busti e bassorilievi in bronzo e in marmo, sottosezione III, plastica; Ferrigni 1861, pp. 124, 151-152; L’episodio della guerra contro l’Austria, inLa Esposizione Italiana del 1861 con 190 incisioni e con gli atti ufficiali della Reale Commissione, n. 17, p. 136, 23 settembre 1862, n. 48, p. 381, 384; Fattori da Magenta a Montebello, 1983, p. 78; Da Fattori a Nomellini. Arte e Risorgimento, 2006, pp. 139-144; V. Farinella, Un cartone di Fattori per il concorso Ricasoli, in Due-cento: omaggio a Daumier e a Fattori, 2008, pp. 147-149; Italia sia!, 2010, pp. 47 e segg.

40

Garibaldi. Arte e Storia, 1982, p. 75; Scritti d’arte (1838-1859), 1998, pp. 121-122, 171-174; 1861. I pittori del Risorgimento, 2010, pp. 66-74, 100.

La partecipazione agli ideali libertari di Temistocle Guerrazzi è ricordata nel discorso che Giovanni Targioni Tozzetti tenne all’inaugurazione della statua il 12 agosto 1904 a Livorno, in occasione del centenario della nascita di Francesco Domenico Guerrazzi. Il gruppo scultoreo era stato donato da tale sig. Stears al Comune che lo aveva relegato all’interno del Cisternone fino al suo scoprimento agli inizi del ‘900 nel cortile antistante il Complesso livornese “Alessandro Gherardesca” dove si trova in quello che

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Molte più opere invece, eseguite da scultori affermatisi nell’ambiente accademico nella prima metà del secolo, erano solo allusioni mitologiche e/o bibliche, o interpretate come tali, alla schiavitù politica dell’Italia e al suo grido di indipendenza ed anche per questo furono premiate 41

. Tra queste si può citare il Meneceo, l’eroe greco sacrificatosi per la patria, di Aristodemo Costoli, seconda versione in marmo del saggio del pensionato artistico romano che aveva realizzato negli anni venti, la cui tendenza all’idealizzazione delle forme non trovò una pronta ricezione e nessun acquirente italiano42. E la Ehma di Salvino Salvini, rappresentata “seduta sulla terra straniera (mentre piange la) viva memoria della patria perduta”, ritenuta una delle migliori opere presentate a Firenze nel 1861 per l’alto concetto morale espresso con “forme maestose e virili”, la nudità delle quali era sottolineata dall’esecuzione del panneggio (fig. 1.10)43

.

Per il resto l’esposizione presentava opere a soggetto infantile, portatrici di semplici e quotidiani messaggi espressi con forme naturali derivanti dal vero, come la Preghiera dell’Innocenza di Emilio Santarelli, di veliana memoria (fig. 1.11). Oppure opere prive di un ben determinato concetto, di cui ancora si sentiva la necessità nella scultura, come le due orfanelle in marmo e gesso di Luigi Pampaloni, il Piccolo pescatore e il bartoliniano Fanciullo che disturba l’amore di due farfalle di Aristodemo Costoli, criticato sia per l’esecuzione naturalistica sia per l’assenza di un concetto elevato44.

oggi è l’Istituto Mascagni, costruito tra il 1845 e il ’61 da Alessandro Gherardesca e Angiolo della Valle come Pia Casa di Lavoro cfr. Piombanti 1903, pp. 239-241; Le onoranze a F. D. Guerrazzi. L’esule. Gruppo di T. Guerrazzi, lo scoprimento, in «La Nazione», 13 agosto 1904, p. 1; Targioni-Tozzetti 1911, pp. 5-10; Mazzanti 1954, pp. 16-22.

41

Furono così interpretate l’Inconsolabile di Lorenzo Bartolini, realizzata per la tomba Mastiani nel Camposanto di Pisa (1840), e la Desolazione di Vincenzo Vela (1850), eseguita per il cenotafio dei genitori dei due fratelli ticinesi Filippo e Giacomo Ciani, appartenenti alla borghesia illuminata antiaustriaca cfr. Cesare Venturi 1938, p. 26, fig. 3; L. Dinelli 2011, p. 169.

42

La prima versione in marmo del Meneceo di A. Costoli, ridotta rispetto al prototipo originale e priva dello scudo, fu realizzata per il reverendo John Sanford (oggi collez. Methuen); la versione del 1830, presentata alla prima esposizione nazionale, risulta essere quella inviata all’esposizione di New York del 1853 e a quella universale di Parigi nel 1867. Nel 1874 il figlio di Aristodemo Costoli si vide rifiutare, da parte del Comune di Firenze, l’acquisto della statua che trovava invece ben disposto il mercato inglese cfr. Esposizione italiana. La scultura, in «La Nazione», 21 ottobre 1861, p. 1; Matucci 2003, pp. 8-12, figg. 3-4, tav. 4; Panzetta 2003. 43

La Esposizione Italiana del 1861 con 190 incisioni, 1861, n.19, p. 147; Esposizioneitaliana tenuta in Firenze nel 1861. Relazione dei giurati classi XIII-XXIV, 1867, classe XXIV; Ferrigni 1861, p. 76.

44

Una replica della Preghiera dell’Innocenza del Santarelli si conserva nella Galleria d’Arte Moderna di Genova Nervi in seguito alla donazione fatta da Vittorio Emanuele II della collezione appartenuta al figlio Odone nel 1866 cfr. Ferrigni 1861, p. 148;Esposizione italiana, agraria, industriale e artistica tenuta in Firenze nel 1861. Catalogo ufficiale, 1861, classe XXIV; Esposizione italiana tenuta in Firenze nel 1861. Relazione dei giurati classi XIII-XXIV, 1867, classe XXIV; Panzetta 2003, p. 267. cfr. La collezione del principe Odone di Savoia per Genova, in Galleria d’Arte Moderna di Genova, 2004, vol. 1, pp.19-24, vol.2, p. 685;

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E “statue … fantastiche, mitologiche o voluttuose … opere lascive in proporzioni naturali” prevalevano su quelle di “… argomento storico, religioso e filosofico”, come la Venere che scende nel bagno di Luigi Pampaloni in gesso, le premiate Diana e la Ninfa dell’Arno (tratto dall’originale di Bartolini) di Pasquale Romanelli, la Musidora del Fantacchiotti e le diverse versioni di Amore presentate da Bernardo Casoni di Carrara, ma fiorentino d’adozione, e da Ulisse Cambi.

L’opera del Fantacchiotti, rappresentante una ninfa tratta da Le Stagioni del poeta scozzese James Thomson (1700-1748), è rappresentata in una delle più classiche pose tipiche dell’iconografia di Venere, quella della Venere dei Medici, mentre con un panneggiamento si copre la parte inferiore del corpo le cui forme “nella loro ideale leggiadria” di tendenza neoclassica, “… rammentano un assennato studio dal vero”, caratteristica tipica della produzione dello scultore fiorentino al quale fu commissionata dal re di Portogallo, don Luis I, la versione in marmo oggi conservata nel Palazzo Nacional de Ajuda45.

Tra tutte le sculture esposte dominavano le opere di Giovanni Duprè risalenti al periodo greco della sua produzione (1854-’59), già rilevato da Paolo Emiliani Giudici46: dal Bacchino della crittogama e il Bacchino festante, quasi variazioni sul tema dell’Ammostatore bartoliniano, l’uno dalle forme più statiche neoquattrocesche, l’altro dalle forme più morbide del secondo ‘500, al “profumo di bellezza ellenica” della Saffo, tradotta in marmo proprio nel 1861, fino alla base per la tazza egiziana in porfido di committenza granducale che ricevette generali apprezzamenti tanto da essere riprodotta sul giornale dell’esposizione dove la si loda “per la bellezza plastica, per il concetto e per la sublimità dell’espressione” (fig. 1.12)47

.

45

Esposizione italiana, agraria, industriale e artistica tenuta in Firenze nel 1861. Catalogo ufficiale, 1861, classe XXIV; Esposizione italiana tenuta in Firenze nel 1861. Relazione dei giurati classi XIII-XXIV, 1867, classe XXIV; Panzetta 2003; www.matriznet.imc-ip.pt/MatrizNet/Objectos/ObjectosConsultar.aspx?IdReg=990439 .

46

Esposizione italiana tenuta in Firenze nel 1861. Relazione dei giurati classi XIII-XXIV, 1867, classe XXIV, p. 307; Spalletti 2002, pp. 102-121.

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Fig.1.1. Primo progetto del Palazzo dell'Esposizione. Tratta da La Firenze di Giuseppe Martelli, 1980.

Fig.1.2. Palazzo dell'Esposizione. Tratta dal giornale dell’esposizione, 1861, Firenze.

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Fig. 1.4. L. Gelati, Il castello di Staggia. Tratta dal Giornale dell’esposizione, 1861, Firenze.

Fig. 1.5. M. Gordigiani, Ritratto di Vittorio Emanuele II. Fig. 1.6. O. Borrani, 26 Aprile 1859. 1860, Torino, Museo Nazionale del Risorgimento. 1861, Viareggio, Istituto Matteucci.

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Fig. 1.7. G. Fattori, Il campo italiano durante la Fig. 1.8. A. Rivalta, Episodio della guerra del 1859.

battaglia di Magenta (particolare). Tratta dal Giornale dell’Esposizione, 1861, Firenze.

1860-’62, Firenze, Galleria d’Arte Moderna.

Fig. 1.9. T. Guerrazzi, L'Esule. 1840-'50, Fig. 1.10. S. Salvini, Ehma.

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Fig. 1.11. E. Santarelli, La preghiera dell’innocenza. Fig. 1.12. G. Dupré, Base per la tazza egizia 1861, Genova Nervi, Galleria d’Arte Moderna. (particolare dell’Etruria). 1854-’57, Montecatini

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§ 2 – La celebrazione nelle arti applicate.

Nello stesso ambito celebrativo delle gesta di casa Savoia quale artefice e strumento armonico del processo unitario, interpretazione che cominciò a formarsi in quegli anni per poi sedimentarsi dal primo decennio postunitario48, si collocavano anche opere esposte appartenenti alle arti applicate. L’orefice lucchese Adolfo Pieroni presentò una medaglia bronzea rappresentante “la Toscana che offre i voti a Vittorio Emanuele II per l’unione al regno costituzionale italiano”49

.

Avrebbe invece spiccato per maestria d’esecuzione e monumentalità, dati i suoi due metri di altezza, il forziere che la bottega fiorentina dei Barbetti aveva ideato come custodia della corona del re d’Italia, per la cui esecuzione fu intrapresa una sottoscrizione di tutti i municipi italiani. Per mancanza di tempo fu invece esposto il disegno acquerellato del forziere, riprodotto da Rinaldo Barbetti nelle dimensioni prestabilite per il prodotto finale.

Rinaldo Barbetti, figlio di Angiolo, capostipite della bottega e uno dei primi artigiani ad introdurre a Siena lo stile neorinascimentale nell’arte dell’intaglio in legno tra la fine degli anni venti e gli anni trenta, era particolarmente versato nell’esecuzione dei lavori minuti, data la sua esperienza giovanile nel campo dell’oreficeria50

. Insieme al padre e ai tre fratelli aveva lavorato su commissione del principe Anatolio Demidoff fin dal loro trasferimento a Firenze, quando gli fu commissionato il portale della cappella russa annessa alla villa di San Donato, esposta poi nel 186151.

Dalla descrizione e dalla riproduzione che ne dà il giornale dell’esposizione (fig. 2.1) si può notare che lo stipo in avorio per la corona fu eseguito rifacendosi al linguaggio allegorico del Rinascimento, adottato anche dal perugino Alessandro Monteneri per lo stipo in mogano intarsiato di diversi legni che il municipio di Perugia donò a Vittorio Emanuele nel 186552. Sopra la base

48

Della Porta 1996, pp. 80, 114-115. 49

Esposizione agraria, industriale e artistica tenuta in Firenze. Catalogo Ufficiale, 1862, classe VII, lavorazione dei metalli, sezione IV, monete e medaglie.

50

Chiarugi 1994, vol. 2, pp. 407, 408. 51

Colle 1988, pp. 26-31; Paolini, Ponte, Selvafolta 1990, pp.220-224. 52

Alessandro Monteneri fu premiato per l’eccellenza delle tarsie eseguite l’anno precedente che andarono poi a costituire lo stipo, terminato nel 1865 e conservato presso la Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti a Firenze cfr. Forziere per la corona del re

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ottagonale le statuette, allegorie delle otto principali città d’Italia, sono inserite all’interno di nicchie alternate a lesene decorate col classico motivo a candelabre. I capitelli corinzi sorreggono un fregio ottagonale dove sono scolpiti quarantotto stemmi di municipi italiani sul quale s’innalza la base del contenitore, costituita da chimere alternate alle figure allegoriche della Guerra, della Costituzione, della Libertà e della Pace, anch’esse inserite all’interno di nicchie. Il contenitore circolare si presenta con una narrazione scolpita a bassorilievo dei fatti e dei protagonisti che portarono all’unificazione dell’Italia, i cui nomi sono riportati sulle targhe dei genietti scolpiti sulle lesene a fianco degli otto riquadri. Al culmine del forziere si erge la statua equestre del re Vittorio Emanuele II munito di corona, scettro e mantello.

I prodotti celebrativi del nuovo regno non provenivano solo dalle botteghe e dalle più rinomate fabbriche, le quali potevano cogliere la prima esposizione nazionale come una dimostrazione di calcolato ossequio e un modo per promuovere a livello nazionale la propria produzione, ma anche da istituti pubblici e da privati cittadini animati di sentimenti patriottici. Un esempio è il bozzetto per un drappo di seta destinato alla spalliera del trono del re d’Italia che si stava terminando nella Scuola Magistrale femminile di Firenze e che fu poi acquistato da Vittorio Emanuele II53. Il drappo ricamato in seta, oro e argento e impreziosito da pietre colorate, alto 2,40 metri per una larghezza di 1,80 metri, era stato concepito dalla direttrice della scuola, Luisa Amalia Paladini (Milano 1810-Lecce 1872), che negli anni tra la prima e la seconda guerra d’indipendenza si era resa nota per la sua attività di educatrice e per quella letteraria in parte ispirata ai valori risorgimentali che le avevano causato l’allontanamento dall’insegnamento54

.

L’elaborazione del bozzetto (fig. 2.2), esposto nella sezione V della classe della Mobilia, si deve al pittore fiorentino Alessandro Lanfredini, incontrato precedentemente con il quadro Le cartucce

d’Italia, in La Esposizione italiana del 1861 con 190 incisioni,1861, 20 agosto 1861, n. 3, p. 23-24; D. Worsdale, Uno stipo per la corona del re d’Italia, in «Antichità viva», n.1, 1976, pp. 48-55; Colle 2007, pp. 372-375.

53

Spalliera pel trono del re d’Italia, in La Esposizione italiana del 1861 con 190 incisioni, 1861, n. 4, pp. 27-28; L. Coppi, Acquisti regali: considerazioni in margine alla prima Esposizione nazionale italiana, in «DecArt», n. 5, 2005, p. 6, fig. 13.

54

Per la biografia di Luisa Amalia Paladini si può vedere B. Manetti, Carte di donne nei fondi manoscritti della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, consultabili dal sito internet: www.archiviodistato.firenze.it/memoriadonne/cartedidonne/cdd_13_manetti.pdf

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degli Italiani, e a Pietro Cheloni di Pisa che nella stessa classe esponeva un armadio per libri in legno di noce ispirato allo stile del ‘500, costruito per il banchiere Vonwiller, e vari altri mobili apprezzati dal pubblico e dalla giuria per il maestrevole intaglio degli ornamenti che gli fecero meritare la medaglia.

Il Lanfredini aveva elaborato il disegno centrale raffigurante la personificazione femminile dell’Italia con la corona turrita in testa, avvolta nella bandiera tricolore sulla quale campeggia lo scudo crociato sabaudo, su uno sfondo paesaggistico velocemente schizzato. Come riferito dal giornale dell’esposizione, Pietro Cheloni fu l’autore “dell’insieme”, vale a dire della cornice decorativa che circonda la figura centrale costituita da tre fasce: la più interna e quella centrale sono tessute in oro con motivi a stella e con ghirlanda d’alloro e bacche, mentre la più esterna è formata da “rose del naturale colore, legate a quando a quando da un nastro cilestre”. Intorno a quest’ultima fascia è tessuto un arabesco in oro nei cui girali sono inscritti gli otto stemmi delle principali provincie d’Italia, tessuti in seta, lo scudo sabaudo posto in alto, al centro e, in basso, un’iscrizione

commemorativa della nascita del regno d’Italia “MAGNUS AB

INTEGRO/SAECULORUM/NASCITER ORDO/MDCCCLXI”, riportata all’interno di una stella. La spalliera fu tessuta nella fabbrica Cristofani mentre il ricamo dell’Italia fu opera di Fulvia Sicuriani, maestra di ricamo della scuola magistrale, coadiuvata dalle sue 20 allieve. La mancanza di tale opera all’esposizione non permetteva di rilevare la qualità tecnica dell’esecuzione ma il giudizio del recensore del giornale dell’esposizione fu positivo, data la capacità di “rendere le carni con le mezze tinte e le ombre” della figura centrale.

Una simile tipologia di arredo fu esposta anche da Teofilo Andreini di Firenze che presentò un paravento col ritratto di Vittorio Emanuele II55 .

55

Esposizione italiana, agraria, industriale e artistica tenuta in Firenze nel 1861. Catalogo ufficiale, 1862, classe XIX, mobilia, sezione II, oggetti e mobili di lusso e di decorazione.

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I riferimenti al recente periodo storico o gli omaggi ai protagonisti non si trovavano solamente in quegli oggetti che più o meno direttamente erano rivolti alla Casa Reale, come le due spade offerte al re dalle città di Roma e Modena, ma anche nei mobili d’arredamento e nei gioielli.

Nel primo caso si possono citare l’ “armadio da libri” intarsiato e istoriato con i fatti d’arme del biennio 1859-1860 esposto da Giuseppe Bertolotti di Savona56, il medaglione di Ludovico Papi di Firenze e la cornice di Angelo Lombardi di Siena, entrambe intagliate in legno di noce.

Ludovico Papi, allievo di Angiolo Barbetti, aveva scolpito l’immagine centrale del re sovrastata dallo scudo sabaudo e dall’Aquila italiana e circondata da una decorazione fito-zoomorfa allusiva alle virtù di Casa Savoia, dai motti “unità”, “libertà”, “indipendenza” e dal nome di due luoghi simbolo delle battaglie risorgimentali, “San Martino” e “Palestro”, sotto i quali fu scolpita l’Aquila austriaca prostrata (Firenze, Palazzo Pitti, Galleria D’arte Moderna)57

. La cornice in noce di Angelo Lombardi, anch’essa sormontata dall’Aquila italiana, era caratterizzata da una decorazione fito-zoomorfa molto più ‘ariosa’ dove l’intaglio fa prevalere i vuoti sui pieni rispetto a quella descritta precedentemente (Firenze, Palazzo Pitti, Direzione Galleria d’Arte Moderna)58.

Testimonianze del culto risorgimentale alto-borghese erano i piccoli soprammobili, visibili in molti dipinti di genere della seconda metà dell’Ottocento, e i gioielli, veri e propri status symbol, particolarmente soggetti ai cambiamenti del gusto59, raffiguranti i principali protagonisti del processo di unificazione, Vittorio Emanuele II e Giuseppe Garibaldi.

In questa occasione furono presentati dei cammei prodotti con diversi materiali, raffiguranti l’effigie di Vittorio Emanuele II, come il cammeo in conchiglia rossa esposto da Antonio Dezi di

56

L’opera di Bertolotti fu premiata non tanto per il disegno ritenuto “non troppo felice” quanto per le difficoltà superate nell’intarsio delle figure e probabilmente anche per i soggetti storici rappresentati cfr. Esposizione nazionale, in «La Nazione», 7 settembre 1861; Esposizione italiana, agraria, industriale e artistica tenuta in Firenze nel 1861. Catalogo ufficiale, 1861, classe IX, mobilia, sezione II, oggetti e mobili di lusso e di decorazione; Esposizione italiana tenuta in Firenze nel 1861. Relazione dei giurati. Classi XIII-XXIV, classe XIX, Mobilia; Colle 1990, p. 114.

57

La didascalia che lo stesso Papi applicò sul pannello di fondo del medaglione per descrivere la decorazione simbolica della cornice è riportata in Curiosità di una reggia, 1979, p. 245;Paolini, Ponte, Selvafolta 1990, pp. 448-449; Coppi 2005, p. 5, fig. 7.

58

Chiarugi 1994, vol. 2, p. 498;Coppi, 2005, p.5, fig. 8. 59

G. Bucco, Donne e gioielli nella società ottocentesca: una questione di apparenza, in L.Lenti, Gioielli In Italia. Donne e ori. Storia, arte e passione, Venezia, 2003, pp. 27-30.

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Pietrasanta, quello in pietra dura di Augusto Romano Seni di Firenze esposto da Achille Taddei60, e una classica edicola contenente il busto di Garibaldi sopra una colonna, il tutto realizzato in ottone e presentato dal fiorentino Memete Migliori61.

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Esposizione agraria, industriale e artistica tenuta in Firenze. Catalogo Ufficiale, 1861, Classe VII, lavorazione dei metalli, sezione I, lavori di metalli preziosi e gioielli.

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Come già si è potuto notare da questi pochi oggetti presentati alla prima esposizione nazionale, il culto risorgimentale, dedicato in particolare alle due figure simbolo dell’unità nell’immaginario collettivo, Garibaldi e Vittorio Emanuele II, investì ogni tipo di lavorazione in Italia ma non solo, come dimostrano gli oggetti conservati presso la collezione bresciana di Francesco Paolo Tronca tra i quali si trovano due tondi realizzati in biscuits dove i profili bianchi del re e di Garibaldi si stagliano sugli sfondi rosa e verde pallido, circondati da una cornice circolare dorata cfr. Esposizione agraria, industriale e artistica tenuta in Firenze. Catalogo Ufficiale, 1862, Classe VII, lavorazione dei metalli, sezione III, lavori di ferro e altri metalli ordinari e loro leghe; Garibaldi il Mito, 2007, p. 30, schede 101-110. Alcuni oggetti della collezione Tronca e le varie mostre in cui sono stati esposti, a partire dal 2001, sono inoltre visibili sul sito internet della stessa www.collezionetronca.it/index.html.

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Fig. 2.1. R. Barbetti, Stipo per la corona, 1861. Dal Giornale dell’esposizione, Firenze, 1861.

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§. 3. Il ‘peso’ della tradizione e i primi progressi industriali nelle arti applicate.

L’esposizione del 1861 non fu solo l’affermazione della riconquistata libertà e la dimostrazione sincera o adulatoria di patriottismo, ma, dato il calo delle commissioni granducali che anche nelle arti applicate si era verificato in seguito agli sconvolgimenti politici degli ultimi anni62, fu soprattutto la vetrina della produzione artigianale, artistica e industriale degli ultimi vent’anni. Così, se nella pittura e nella scultura toscana si assisteva alla riproposizione di opere accademiche o moderatamente innovative, la maggior parte delle quali già ampiamente note, e non si apprezzarono le novità formali dei macchiaioli, nelle arti applicate ci fu la tendenza ad accogliere positivamente tutte quelle novità tecniche e meccaniche che servivano a far aumentare la produttività delle manifatture artigianali e a ridurre i costi di produzione per rendere i prodotti più concorrenziali all’interno del panorama nazionale ed extra nazionale.

Nonostante la divisione che si riscontra nel catalogo ufficiale delle ventiquattro classi, gli oggetti non furono in realtà esposti secondo tale razionale criterio ma accalcati in modo eterogeneo come in un grande bazar63.

Nella maggioranza dei casi, in base ai giudizi riportati dalle varie commissioni, la Toscana si presentò con una produzione artigianale di medio-alta qualità tecnica e ancora fortemente influenzata, nelle forme e nei motivi ornamentali, dall’antico e glorioso passato rinascimentale, anche se in alcuni settori si poteva parlare di un’iniziale tentativo di sviluppo industriale delle fabbriche, come nell’antica manifattura di Doccia o nell’emergente vetreria e cristalleria Schmid di Colle Val d’Elsa.

Si è già accennato alla bottega Barbetti che, proprio nell’anno dell’esposizione fiorentina, stava impiantando una nuova fabbrica in piazza del Prato in modo da allinearsi alle esigenze di un moderno stabilimento industriale fornito di locali di stagionatura e stoccaggio del legno, di una macchina a vapore con una potenza di sei cavalli che metteva in movimento sei macchine per

62

Chiarugi 1994, pp. 275-277. 63

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lavorare il legno, di officine, di una scuola di disegno e di applicazione e di un ambiente per l’esposizione permanente dei prodotti finiti64

. Il 1861 si potrebbe definire uno degli ultimi anni di prosperità di questa ditta che fallì nel 1867 a causa del grosso investimento fatto per la nuova fabbrica che tuttavia non portò il successo sperato65.

In quell’occasione espositiva tutti e tre i fratelli ottennero dei riconoscimenti mentre il padre, eletto tra i giurati della classe XIX, espose le sue opere fuori concorso. Raffaello ed Egisto furono premiati per l’eccellenza degl’intagli in legno, e Rinaldo per la bontà dell’idea e la lodevole esecuzione della porta d’ingresso in legno di noce realizzata per la cappella Demidoff della villa di San Donato, oggi collocata nella chiesa russa ortodossa di Firenze dopo essere stata ridotta e modificata in altezza per adattarla al nuovo sito66.

La porta ad arco “di vaga ispirazione moresca” che riproponeva la forma del kiot ligneo che originariamente la incorniciava (fig. 2.3), era ispirata alle porte bronzee che Andrea Pisano e Lorenzo Ghiberti avevano realizzato per il Battistero fiorentino tra il 1330 e il 145267. Il Barbetti mutuò da quelle lo schema generale delle formelle incorniciate su due battenti, anche se poi la loro forma e il trattamento degli episodi è molto più simile a quelli realizzati nella Porta del Paradiso dove le storie non sono contenute all’interno di cornici mistilinee a compasso gotico ma in una semplice cornice rettangolare e nelle quali la rappresentazione degli episodi non si limita ai soli personaggi , ma spazia anche sullo scenario circostante.

La storia del Vecchio Testamento, dalla raffigurazione dello spirito del Signore in alto a sinistra alla riedificazione del Tempio di Gerusalemme dopo l’esilio babilonese in basso a destra, si sviluppa al di sotto delle figure di Dio Padre benedicente assiso in trono all’interno di una mandorla, del Cristo e della Madonna con Bambino, rispettivamente a sinistra e a destra di Dio, e dei due serafini

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Esposizione italiana, agraria, industriale e artistica tenuta in Firenze nel 1861. Catalogo ufficiale, 1861, classe IX, mobilia, p. 205. 65

Paolini, Ponte, Selvafolta 1990, pp. 220-223; C. Paolini, Legno. Intaglio, intarsio, ebanisteria, in Arti fiorentine. La grande storia dell’artigianato. L’ottocento, vol. 4, 2001, p. 204.

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L’intero arredamento ligneo della cappella Demidoff, eseguito dalla bottega Barbetti, fu infatti donato alla chiesa russa-ortodossa di Firenze da Paolo Demidoff nel 1880 cfr. Esposizione italiana tenuta in Firenze nel 1861. Relazione dei giurati classi XIII-XXIV, 1867, classe XIX, mobilia; classe XIII-XXIV, sottosezione II, scultura in legno, avorio ecc; Dandolo 1863, pp. 312-320; S. Meloni Trkulja, I Demidoff e la chiesa russa di Firenze, in I Demidoff a Firenze e in Toscana, 1996, pp. 251-260; Livi Bacci 2008, pp.55 e segg. 67

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reggenti lo stemma dei Demidoff. L’apprezzamento per l’esecuzione tecnica, per la “purità dei contorni, la grazia delle forme, la morbidezza delle carni, la sfumatura delle parti lontane …”, si accompagnava all’ “elevatezza del concetto” rappresentato, alla composizione armonica e variata che spiccava soprattutto in alcune formelle e per la verità delle espressioni dei personaggi che non raggiungono mai quella drammaticità espressa nelle formelle del Ghiberti, per esempio nel Sacrificio di Isacco, in linea con la cultura purista che si era diffusa in Toscana negli ultimi vent’anni68

.

L’intaglio in legno fu considerato dai contemporanei la seconda attività industriale d’Italia nella quale eccelleva in particolare la città di Siena, per lo meno fino alla metà degli anni Sessanta. Qui molti artigiani, primi fra tutti i Barbetti, erano considerati gli eredi di Giovanni Pisano e Antonio Barili: Angiolo Lombardi, Lodovico Papi, Antonio Rossi, Pietro Giusti, Pasquale Leoncini e Luigi Frullini che, oltre alla lumiera per una sala del casino Borghese di Firenze, presentò la riproduzione in bassorilievo di ritratti fotografici su legni chiari e dolci che per la sua esecuzione e per la rassomiglianza gli valsero, tra le altre, la commissione del Duca d’Aosta69. Tra gli intagliatori senesi presenti occorre menzionare un altro interprete dell’ideologia purista mussiniana, Luigi Marchetti che, dopo la sua prigionia fiorentina per motivi politici, si era trasferito a Roma incontrando il favore del Papa70.

I modelli architettonici tre-quattrocenteschi di riferimento dei Barbetti furono imprescindibili punti di partenza per la maggior parte della produzione toscana di metà ‘800, come si può notare anche dall’altra porta lignea, intagliata e intarsiata, che Antonio Rossi presentò mutuando gli elementi gotici dalla Cappella del Palazzo Pubblico di Siena71.

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La Esposizione Italiana del 1861 con 190 incisioni, 1861, n.3, p. 20; Chiarugi 1994, vol 1, pp. 265-269, vol. 2, p. 407; Sisi 1999, pp. 81-82.

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Esposizione italiana tenuta in Firenze nel 1861. Relazione dei giurati classi XIII-XXIV, 1867, classe XIX, mobilia, pp. 205-206. 70

La biografia scritta da Pietro Giusti ricorda che il Marchetti fu mandato dallo Spannocchi, uno dei suoi primi committenti, a Londra in occasione dell’esposizione del 1851 con commendatizie per Mazzini di cui il giovane intagliatore divenne sostenitore, dopo che aveva preso parte come volontario alla prima guerra d’indipendenza. Tale episodio è riportato in Chiarugi 1994, vol. 2, pp. 506-507.

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Al di fuori dell’ambiente senese si distinsero nell’arte dell’intaglio Paolo Fanfani di Firenze, Pietro Cheloni di Pisa ma attivo a Firenze, espositore sia nella sezione della mobilia che in quella della scultura, e Antonio Scaletti di Arezzo72.

Tra i mobili di lusso, Paolo Fanfani e Angiolo Lombardi presentarono delle cornici in noce intagliate. La cornice in stile neorinascimentale aveva fatto la sua comparsa agli inizi degli anni quaranta del XIX secolo quando Antonio Rossi73 e il suo maestro Antonio Manetti ne avevano esposti due esemplari all’Esposizione dell’Arte e dell’Industria fiorentina del 1841.

La cornice lignea intagliata “da un solo pezzo” del fiorentino (fig. 2.4), premiata per il buon disegno e l’eccellente esecuzione, risulta essere una delle prime opere realizzate in proprio dal Fanfani, commissionatagli per il ritratto di Francesco De Larderel per il palazzo di famiglia a Livorno che, costruito e arredato tra il 1832 e 1856, era l’emblema del gusto eclettico nell’arredamento, tipico della borghesia mercantile e industriale della Toscana74.

Sormontata dallo stemma di famiglia, incoronato dalle allegorie dell’Industria e del Commercio, la cornice di palazzo de Larderel risulta più incline al gusto manierista del secondo ‘500 per la ricca decorazione fito-zoomorfa che, per alcuni particolari, sembra essere stata copiata dal vero75. Tra di essa sono inseriti oggetti allusivi alle virtù e alle attività intraprese dal ritrattato, Francesco de Larderel76, rappresentante della borghesia imprenditoriale che aveva investito proficuamente il suo denaro nell’industria dell’acido borico arrivando ad una rapida ascesa sociale culminata con la concessione del titolo nobiliare. Allo stesso gusto cinquecentesco tendevano “l’armadio da libri e il

72

Esposizione italiana tenuta in Firenze nel 1861. Relazione dei giurati classi XIII-XXIV, 1867, classe XIX, mobilia, p. 203; Paolini, Ponte e Selvafolta, 1990, pp. 218-227.

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Antonio Rossi era presente anche all’esposizione fiorentina del 1861, risultando vincitore per l’intaglio della porta del palazzo Grottanelli di Siena cfr. Esposizione italiana tenuta in Firenze nel 1861. Relazione dei giurati, classi XIII-XXIV, 1867, classe IX, mobilia. 74

Il “Gabinetto gotico”, ultimato da Ferdinando Magnini nel 1836, era il luogo dove Francesco de Larderel aveva esaurito la sua adesione alla moda medievale cfr. La Esposizione Italiana del 1861 con 190 incisioni, 1861, n.20, p. 156; Esposizione italiana tenuta in Firenze nel 1861. Relazione dei giurati, classi XIII-XXIV, 1867, classe IX, mobilia; R. Bordone, “Il ‘gabinetto gotico’ di palazzo de Larderel: un episodio della storia del gusto”, in Palazzo de Larderel a Livorno, 1992, pp. 187-199; Chiarugi 1994, vol. 1, pp. 217-221, 289; Lazzarini 1996, pp. 40-43.

Per le tre fasi di costruzione e abbellimento del palazzo livornese dal 1832 fino al 1854 e per il collezionismo dei de Larderel vedi rispettivamente M. Ferretti, Residenze e opifici de Larderel sullo scorcio dell’età neoclassica, in Palazzo de Larderel a Livorno, 1992, pp. 94-125 e M. T. Lazzarini, Apparati decorativi e collezionismo nelle residenze de Larderel, in Palazzo de Larderel a Livorno, 1992, pp. 135-166.

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Chiarugi 1994, vol. 2, pp. 468-469. 76

Il ritratto fu dipinto da Enrico Toci cfr. M.T. Lazzarini, Apparati decorativi e collezionismo nelle residenze de Larderel, in Palazzo de Larderel a Livorno, 1992, p. 165.

Figura

Fig. 1.5. M. Gordigiani, Ritratto di Vittorio Emanuele II.  Fig. 1.6. O. Borrani, 26 Aprile 1859
Fig. 1.7. G. Fattori, Il campo italiano durante la  Fig. 1.8. A. Rivalta, Episodio della guerra del 1859
Fig. 2.2. L.A. Paladini, Ricamo per la spalliera del trono.Firenze, Palazzo Pitti, Museo del Costume
Fig. 2.3. R. Barbetti,  Porta istoriata, 1855-’61, Firenze, Chiesa russa ortodossa della Natvità.
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