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Elementi fondamentali della disciplina dei diritti particolari.

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Capitolo I

Elementi fondamentali della disciplina dei diritti particolari.

SOMMARIO: 1. I diritti particolari quali espressione del socio come singolo e la loro natura giuridica. – 2. La modificazione dei diritti particolari. – 2.1 La modifica diretta e indiretta. – 2.2 La soppressione o l’introduzione di diritti particolari successivamente alla costituzione della società. – 3. La circolazione delle partecipazioni in presenza di diritti particolari e la possibilità di creare categorie di partecipazioni. – 3.1 Le tesi più restrittive. – 3.2 La tesi più permissiva: le categorie speciali e la possibilità di una disciplina di classe. – 4. L’attribuibilità di diritti particolari a terzi. L’ipotesi di pegno o usufrutto della quota.

1. I diritti particolari quali espressione del socio come singolo e la loro natura giuridica.

La possibilità di prevedere l’attribuzione di diritti particolari non connessi alla qualità di socio in sé considerata, ma da intendersi quali «prerogative che […] vanno a connotare la posizione di soci specificamente individuati» (25) è considerata un’altra evidente espressione

del principio di rilevanza centrale del socio e dei rapporti contrattuali tra i soci nella s.r.l. (26), che a ben guardare può quindi assumere un duplice valore:

(25) L’espressione è di G.CAPO, Il governo dell’impresa, cit., 504.

(26) Cfr. C.A.BUSI, Assemblea e decisioni, cit., 42; L.ABETE, I diritti particolari, cit., 295.

In dottrina non si è mancato di rilevare che la possibilità che nella s.r.l. lo statuto sociale recepisca accordi fra soci anche per quanto concerne l’organizzazione e la gestione sociale potrà determinare un ridimensionamento della funzione dei patti parasociali in questo tipo societario: cfr. R. COSTI, I patti parasociali nella nuova società a responsabilità limitata, in La nuova disciplina delle società a responsabilità limitata, a cura di V. SANTORO, Milano 2003, 316 ss.; concordi anche L.ABETE, I diritti particolari, cit., 296; G.OPPO,Patto sociale, patti collaterali e qualità di socio nella società per azioni riformata, in Riv. dir. civ., 2004,

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se da quanto rilevato nelle pagine introduttive emerge il rilievo dei soci come categoria rispetto alle altre componenti (rectius organi) della società, l’istituto giuridico di cui all’art. 2468³ c.c. pone viceversa in risalto l’importanza che il socio può assumere come singolo (27).

Si è già accennato che manca per i diritti de quibus una regolamentazione compiuta; le uniche disposizioni oltre alla previsione generale citata, infatti, si rinvengono: a) nell’art. 24684 c.c. che sancisce,

salva diversa disposizione dell’atto costitutivo, la loro modificabilità solo con il consenso di tutti i soci e b) nell’art. 2473¹ c.c., cui la disposizione precedente rinvia, che sancisce il diritto di recesso in ogni caso per i soci che non hanno consentito al compimento di operazioni che comportano una sostanziale modificazione dei diritti in esame.

Evidente, pertanto, è il rilievo dell’interpretazione dottrinaria.

Ciò premesso, nel tentativo di fissare alcuni punti fermi quanto meno sugli aspetti generali di maggiore importanza, si ritiene che punto di partenza non possa che essere quello della natura giuridica dei diritti in oggetto, e a tal fine imprescindibile appare il richiamo alla categoria dei

60 s.; M. STELLA RICHTER JR, Disposizioni generali, cit., 276 s.; G. SANTONI, Le quote di partecipazione nella s.r.l., in Liber amicorum Gian Franco Campobasso diretto da P. ABBADESSA e G.B. PORTALE, Torino, 2006, 3, 384.

(27) È quanto rileva G.ZANARONE, Introduzione, cit., 76 s.

Parte della dottrina, peraltro, ha opportunamente (e criticamente) messo in luce la portata potenzialmente dirompente che gli ampi poteri e spazi di libertà in ordine all’organizzazione interna riconosciuti ai soci potrebbero avere sulla stessa funzionalità dell’ente; emblematiche possono ritenersi le parole di P.SPADA, Classi e tipi, cit., 49, che così conclude le proprie riflessioni: «non è pavido ma solo consapevole chi di fronte a tanta conclamata libertà avverte un po’ di paura; come la si avverte di fronte al vuoto»; cfr. anche G.C.M.RIVOLTA, Introduzione, cit., 316; M.PERRINO, La «rilevanza del socio», cit., 115 ss.

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diritti individuali, ossia di quei diritti che il singolo socio vanta «nei confronti della società, che limitano l’operare della stessa e la cui esistenza non è soggetta alla [sua] volontà» (28). È noto che all’interno della categoria

de qua si è ritenuto possibile distinguere i diritti che spettano a tutti i soci e quelli che spettano solo ad uno o ad alcuni di essi, delineandosi così la bipartizione fra diritti generali e diritti speciali (29).

Se quindi si ritenesse di poter ricondurre i diritti particolari di cui all’art. 2468³ c.c. alla categoria dei diritti individuali (speciali) risulta evidente quali potrebbero essere le ripercussioni sul piano operativo della società: il socio, infatti, si troverebbe titolare di un diritto rispetto al quale la società non sarebbe legittimata a disporre, così delineandosi una situazione di inamovibilità ed immutabilità che, soprattutto ove tale diritto

particolare assumesse un determinato contenuto (30), inciderebbe

notevolmente sull’assetto organizzativo, se è vero, come sembra, che quest’ultimo non dovrebbe essere insuscettibile di modifiche che valgano, nei limiti e con le modalità consentiti dalla legge, a meglio adeguarlo agli interessi degli stessi soci.

In realtà, anche senza dover richiamare l’opinione tranchant (che pare peraltro condivisibile) di chi ha espresso un’idea critica in ordine alla possibilità stessa, tradizionalmente affermata, di delineare molteplici diritti

(28) Così A.DACCÒ, I diritti particolari dei soci nelle s.r.l., in Liber amicorum Gian

Franco Campobasso diretto da P. ABBADESSA e G.B. PORTALE, Torino, 2006, 3, 408, che richiama A. VIGHI, I diritti individuali degli azionisti, Parma, 1902, 14 ss.

(29) La distinzione si ritrova in A.MIGNOLI, Le assemblee speciali, Milano, 1960, 180 ss.

(30) Si avrà modo di vedere che, ad esempio, i diritti particolari riguardanti

l’amministrazione possono concretizzarsi nel diritto di nominare uno o più amministratori, o in quello di essere amministratore, o, ancora, nel diritto di porre veti o dare autorizzazioni rispetto a determinate operazioni societarie.

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individuali in capo ai soci, unico loro diritto indisponibile da parte della società dovendo considerarsi quello alla qualità di socio (31), è possibile

comunque escludere che i diritti particolari in esame debbano considerarsi diritti individuali dei soci. Come infatti si è rilevato, a norma dell’art. 2468³ c.c. l’atto costitutivo potrebbe prevedere che essi siano modificati con il consenso della (sola) maggioranza, di cui potrebbe anche non far parte il socio titolare del diritto particolare, e tanto basta ictu oculi a dimostrare la mancanza di uno dei caratteri fondamentali dei supposti diritti individuali, ossia l’indisponibilità da parte della società (32). Ma vi è di più.

Il dubbio, infatti, a ben guardare non si porrebbe nemmeno se la regola per la modifica di tali diritti rimanesse quella della unanimità, dal

momento che, come giustamente è stato sottolineato (33), «solo

l’immodificabilità senza consenso del singolo socio titolare del diritto che si vuole modificare, non l’unanimità di tutti i soci, sarebbe il regime coerente con una ipotetica carenza di legittimazione della società». Infine, ad ulteriore sostegno della tesi qui condivisa, si può considerare il fatto

(31) Il riferimento è a V.BUONOCORE, Le situazioni soggettive dell’azionista, Napoli,

1960, 58 ss. e 170 ss.

(32) Cfr. A.DACCÒ, I diritti particolari, cit., 409; analogamente,P.REVIGLIONO, Sub

art. 2469 c.c., in Il nuovo diritto societario, diretto da G. COTTINO, G. BONFANTE, O. CAGNASSO,P.MONTALENTI, II, Torino, 2004, 1823.

Si è peraltro correttamente rilevato che non sarebbe corretto negare un qualsiasi rilievo alle posizioni individuali dei soci; piuttosto, emerge chiaramente che il tema dei diritti individuali dovrebbe essere rivisto sotto il profilo sanzionatorio, più che nell’ottica tradizionale della indisponibilità degli stessi. Infatti, molteplici sono le disposizioni che introducono forme di tutela individuale, non potendosi pertanto questa identificare con il solo diritto di recesso: cfr. F.MASSA FELSANI, Le decisioni dei soci, in La nuova s.r.l. Prime letture e proposte interpretative, a cura di F. FARINA, C. IBBA, G. RACUGNO, A. SERRA, Milano, 2004, 310 s.

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che, come emerge dal combinato disposto degli articoli 2479² n. 5 e 2473¹ c.c., da un lato, il legislatore ha in ogni caso riservato all’assemblea la decisione in ordine al compimento di operazioni che importino modificazioni rilevanti dei diritti dei soci, dall’altro, ove queste ultime riguardino i diritti particolari attribuiti ex art. 2468³ c.c., compete ai soci dissenzienti il diritto di recesso. Disposizioni, queste ultime, dalle quali si evince ancora che, innanzitutto, non è escluso che la collettività possa adottare decisioni che indirettamente incidano in modo significativo sui diritti de quibus e possa quindi liberamente perseguire il programma sociale anche a discapito di eventuali posizioni privilegiate (34); in secondo

luogo, l’eventuale diritto di recesso competerebbe ad ogni socio dissenziente e non già al solo titolare del diritto particolare; da ultimo, se non ci si inganna, dalle regole citate emerge, a contrario, il fatto che il sistema (almeno in base al modello legale qui considerato) ammette la possibilità di decisioni in ordine a operazioni societarie che, alla luce del singolo caso concreto, pur non in maniera rilevante comunque incidano indirettamente sui diritti (anche particolari) dei soci e per le quali non sarebbe riconosciuto il diritto di recesso (a parte l’ulteriore - significativa - considerazione che, così sembrerebbe, le medesime potrebbero essere assunte pure dagli amministratori, non sussistendo per tali ipotesi di decisioni una riserva inderogabile di competenza in capo ai soci ex art. 2479² n. 5 c.c.).

(34) Cfr. M.MALTONI, Sub art. 2468 c.c., in Il nuovo diritto delle società. Commentario a

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Dalle considerazioni svolte emerge pertanto chiaramente che i diritti particolari assumono una «valenza organizzativa» (35): non rilevano quale

prius rispetto alle prerogative del gruppo, ma esprimono l’interesse del gruppo stesso a «individualizzare» la posizione di uno o più soci per meglio realizzare il programma societario (36), costituendo così non già un

freno all’attività d’impresa, ma uno strumento con cui i soci partecipano alla medesima (37). Essi qualificano il ruolo che il socio ha nel gruppo e

contribuiscono a definire le regole di funzionamento di questo (38).

2. La modifica dei diritti particolari.

2.1 - La modifica diretta e indiretta. - Proseguendo l’analisi, nell’ottica di considerare i caratteri “esterni” prima di vedere da vicino quale può considerarsi il contenuto concreto dei diritti particolari riguardanti

(35) In questi termini M. MAUGERI, Quali diritti particolari per il socio di società a

responsabilità limitata?, in Riv. soc., 2004, 1492; concordemente A. BLANDINI, Categorie di quote, categorie di soci, Milano, 2009, 151 s.; A.M. LEOZAPPA,Il “socio-risparmiatore” nella

società a responsabilità limitata: diritti particolari e decisioni ex art. 2479 c.c., in Riv. dir. comm., 2006, I, 291 ss.

(36) Cfr. M.MAUGERI, Quali diritti, cit., 1491. Ritiene che l’attribuzione di un diritto

particolare sia «un elemento dell’equilibrio gestorio e patrimoniale della società, […] di interesse della società, non solo di coloro che la hanno convenuta», G.OPPO,Patto sociale, cit., 61.

(37) Cfr. A.DACCÒ, I diritti particolari, cit., 408; ID., “Diritti particolari” e recesso dalla

s.r.l., Milano, 2004, 114 ss.

(38) Cfr. M.PERRINO, La «rilevanza del socio», cit., 136 s. Analogamente, G.SANTONI,

Le quote di partecipazione, cit., 384.

Pur convenendo sul valore organizzativo dei diritti in esame, sviluppa alcune distinzioni, a seconda del fatto che valga la regola del consenso unanime o il principio maggioritario, M. CAVANNA, Partecipazione, cit., 103 ss.

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l’amministrazione, è opportuno focalizzare ora l’attenzione sulle regole in ordine alla modificazione dei diritti in esame.

A tal fine, vengono in rilievo, da un lato, l’art. 24684 c.c., che concerne

l’ipotesi di modifica diretta dei diritti in esame; dall’altro lato, l’art. 2473¹ c.c., che viceversa considera i casi in cui la modifica (rilevante) dei diritti particolari sia conseguenza indiretta e riflessa di determinate operazioni societarie.

Considerando la prima delle due disposizioni citate, essa, quale regola suppletiva, richiede il consenso di tutti i soci, e la scelta si giustifica tenendo presente il rilievo organizzativo che, come già accennato, caratterizza i diritti particolari (39). Per quanto concerne le modalità di

espressione di tale consenso, si è condivisibilmente osservato (40) che,

poiché ex art. 2468³ c.c. i diritti in esame possono essere previsti solo nell’atto costitutivo, la lettera della norma non lasciando spazio a collocazioni differenti, da ciò discende de plano che detto consenso non potrà che essere manifestato secondo le modalità previste per le modificazioni statutarie ex art. 24794 c.c., ossia nell’ambito di una riunione

(39) Ex multis A.DACCÒ, I diritti particolari, cit., 402; A.CARESTIA, Sub. art. 2473 c.c.,

in Società a responsabilità limitata. La riforma del diritto societario a cura di G. LO CASCIO, VIII, Milano, 2003, 143.

Si è fatto l’esempio della decisione di sopprimere il diritto di amministrare già attribuito ad uno dei soci per attribuirlo ad un altro: in tal caso, risulta evidente il rilievo del consenso non solo del socio titolare del diritto, ma anche degli altri soci, dato l’interesse di tutti a che la funzione amministrativa, per le implicazioni che l’esercizio della stessa comporta sull’attività sociale, sia attribuita ad un soggetto gradito. Cfr. P. REVIGLIONO, Sub art. 2468 c.c., in Il nuovo diritto societario, diretto da G. COTTINO, G. BONFANTE,O.CAGNASSO,P.MONTALENTI, II, Torino, 2004, 1813.

(40)Cfr. L.ABETE, I diritti particolari attribuibili ai soci di s.r.l.: taluni profili, in Soc.,

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assembleare il cui verbale sia redatto da un notaio in base al combinato disposto degli articoli 2479 bis e 2480 c.c., che quindi sarà la «veste formale, ad substantiam negotii, dell’atto negoziale collegiale di cui il consenso costituisce il contenuto» (41). Né si ritiene che sorgano particolari

questioni nell’ipotesi in cui il quorum richiesto dal legislatore non sia

(41) Così L.ABETE, I diritti particolari, cit., 300; concordemente A.BLANDINI, Categorie

di quote, cit., 155, nota 21.

Invero, non è mancato chi abbia negato (G.SANTONI, Le quote di partecipazione, cit., 388), o comunque messo in dubbio (G. MARASÀ, Maggioranza e unanimità nelle

modificazioni dell’atto costitutivo della s.r.l., in Liber amicorum Gian Franco Campobasso diretto da P. ABBADESSA e G.B. PORTALE, Torino, 2006, 3, 712) l’imprescindibilità di una delibera assembleare. Il punto merita una precisazione. Pur non negando, infatti, che il consenso richiesto ai soci abbia un rilievo negoziale e che per tale manifestazione di volontà, in sé considerata, non debba ritenersi necessaria una specifica forma (allo stesso modo in cui, ad esempio, non si richiede per la rinuncia al diritto d’opzione), essendo i casi di forma ad substantiam tassativamente individuati dall’art. 1350 c.c., rimane il fatto che da tale consenso discende una modifica dell’atto costitutivo: in questo senso, pertanto, la delibera assembleare deve considerarsi la veste formale necessaria dell’atto negoziale collegiale, come precisato nel testo. Aderendo alla tesi opposta, si porrebbe viceversa il problema di una successiva riunione assembleare, imprescindibile ex artt. 24794 e 2480 c.c., che prendesse atto del consenso e deliberasse la modifica statutaria. Non

del tutto condivisibile, pertanto, si ritiene quanto sostenuto in A.SANTUS – G.DE MARCHI

, Sui «particolari diritti», cit., 93, ossia che «sembrerebbe, comunque, sufficiente una decisione assembleare unanime dei soci, dal momento che il legislatore non esige espressamente una forma determinata » (corsivo aggiunto): se, infatti, come pare, i diritti particolari possono essere previsti solo nell’atto costitutivo e la loro modifica diretta implica di conseguenza una modifica dello stesso, allora, non solo la delibera assembleare non può ritenersi soluzione solo sufficiente, essendo viceversa necessaria ex art. 24794 c.c.,

ma oltretutto non è così vero che il legislatore, almeno per ciò che emerge dal dato normativo, non abbia richiesto una forma determinata, dal momento che per le modifiche dell’atto costitutivo unica via è quella della deliberazione assembleare secondo le modalità di cui all’art. 2479 bis c.c.

Per un approfondimento sulla questione delle delibere assembleari all’unanimità, peraltro senza che sia, almeno parrebbe, posto in dubbio che eventuali soluzioni nel senso della prescindibilità del procedimento assembleare comunque non varrebbero per i casi in cui esso è fissato inderogabilmente dalla legge – casi fra i quali rientra l’ipotesi qui in esame –, cfr. G. ZANARONE,Della società a responsabilità limitata. Artt. 2462-2483 c.c., in Codice civile. Commentario fondato da P.SCHLESINGER, diretto da F.D.BUSNELLI, I, Milano, 2010, 1376 ss.

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rispettato: è evidente, infatti, che la conseguenza sarà, coerentemente, l’invalidità della delibera, ex art. 2479 ter c.c., per non essere stata la stessa presa in conformità della legge (42).

Come accennato, la regola dell’unanimità è soltanto suppletiva, essendo consentita una diversa disposizione dell’atto costitutivo. L’autonomia statutaria potrebbe pertanto prevedere il principio maggioritario, permettendo così una modifica diretta decisa eventualmente anche senza il consenso del diretto titolare del diritto. Anche in questo caso, per quanto sopra detto, si avrebbe una modificazione dell’atto costitutivo.

Il problema che tale eventuale scelta dei soci pone è se in tale ipotesi spetti o meno ai soci assenti, dissenzienti o astenuti il diritto di recesso ex art. 2473 c.c.

Autorevole dottrina (43) ha in proposito espresso parere favorevole

argomentando dal fatto l’art. 24684 c.c. conterrebbe un rinvio

indiscriminato al diritto de quo, come chiaramente dimostrerebbe la locuzione «salvo in ogni caso». Invero, non sembra che tale lettura colga effettivamente il senso della disposizione. La locuzione contenuta nel

(42) In proposito, chiare e condivisibili paiono le osservazioni di A. BLANDINI,

Categorie di quote, cit., 162, nota 36, il quale, in ordine al dubbio se non debba piuttosto parlarsi di inefficacia (o addirittura inesistenza: cfr. G.SANTONI, Le quote di partecipazione, cit., 388) della delibera nel caso de quo, osserva che «questo dibattito assume significato ove la legge non detti specifiche disposizioni […], ove invece, come nel caso in esame, la norma impone un quorun deliberativo particolare, pari all’unanimità dei consensi, il problema dell’inefficacia […] non ha senso di porsi [atteso che detta possibile soluzione non potrebbe] certo sostituire e superare la disposizione testuale […] esistente».

(43) Cfr. G. ZANARONE,Della società a responsabilità limitata, cit., 538 s.; dello stesso

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citato art. 24684 c.c., infatti, non è «salvo in ogni caso il diritto di recesso»,

espressione che, data la sua portata generale, ben avrebbe potuto suffragare la tesi su riportata; bensì, più specificamente, «salvo in ogni caso quanto previsto dal primo comma dell’art. 2473 c.c.» (corsivo aggiunto): il rinvio, pertanto, non è, come già detto, al diritto di recesso tout court, ma ad una precisa disposizione fra quelle contenute nel suddetto primo comma, e, fra queste, l’unica che abbia pertinenza con i diritti particolari e valga a giustificare il rinvio in esame è la previsione del diritto di recesso a favore di coloro che non abbiano consentito al compimento di operazioni che comportino una rilevante modificazione dei diritti de quibus, id est l’ipotesi, che si analizzerà di seguito, di una modifica indiretta degli stessi (44).

Poiché, quindi, la lettura più corretta del combinato disposto degli artt. 24684 c.c. e 2473¹ c.c. sembra essere quella per cui per l’ipotesi di

modifica diretta a maggioranza non è espressamente previsto un diritto di recesso, si è da più parti sostenuta, per supposte ragioni di coerenza sistematica, la possibilità di una applicazione analogica del medesimo anche in caso di modifica diretta, dovendo lo stesso, si è detto, essere riconosciuto a fortiori in questo caso (45).

Tuttavia, a parte la considerazione che detta conclusione si porrebbe in aperto contrasto con il chiaro disposto normativo, che espressamente

(44) Analoghi rilievi compie A. DACCÒ, “Diritti particolari” e recesso, cit., 117, nota 47.

(45) Cfr. M.PERRINO, La «rilevanza del socio», cit., 122; A.DACCÒ, I diritti particolari,

cit., 410; contra, sul presupposto che «il legislatore non abbia previsto [il diritto di recesso] in considerazione del fatto che i soci volontariamente hanno adottato una regola organizzativa in deroga a quella dell’unanimità», R.GUGLIELMO, Diritti particolari dei soci nelle s.r.l. e voto non proporzionale, in Riv. not., 2010, 618.

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limita il diritto di recesso, come si vedrà, all’ipotesi di modifica indiretta, si tratta di verificare se effettivamente sussista un’esigenza di coerenza sistematica, o se, viceversa, la mancata previsione del diritto di recesso nel caso in esame risulti a ben guardare giustificata. A tal fine, è sufficiente porre l’attenzione sul fatto che il regime legale in materia di modifica dei diritti de quibus prevede l’unanimità dei consensi, circostanza nella quale, evidentemente, non si pone alcun problema in ordine al riconoscimento del diritto di recesso, dal momento che ogni socio ha il potere di impedire un cambiamento sgradito. D’altro canto, risulta altrettanto chiaro che l’eventuale previsione del principio maggioritario, in deroga alla regola legale, comunque presupporrebbe una libera scelta di tutti i soci in tal senso: conseguentemente, sembra davvero da escludere che possa porsi un problema di coerenza sistematica quando sono stati gli stessi soci a rinunciare al “privilegio” dell’unanimità loro riconosciuto dalla legge. Peraltro, bisogna considerare che, in virtù dell’ampia autonomia statutaria riconosciuta, ex art. 2473¹, I parte c.c., anche nella determinazione delle cause di recesso, i soci ben avrebbero potuto prevedere detto diritto per l’ipotesi di modifica diretta a maggioranza; né in senso contrario dovrebbe indurre il fatto che il legislatore abbia delineato un nesso tra modifica del diritto particolare e recesso, come subito di seguito si vedrà, nel solo caso di modifica indiretta. È chiaro, infatti, che una inequivoca previsione normativa per tale circostanza è stata con ogni probabilità ritenuta necessaria essendo il cambiamento non l’oggetto, bensì soltanto l’effetto

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della decisione (46), emergendo così l’opportunità di una previsione chiara

ad ulteriore tutela dei soci. In definitiva, se sono stati gli stessi soci a optare per il principio maggioritario, e ancora loro a non prevedere, in conseguenza di ciò, un apposito diritto di recesso, come senz’altro avrebbero potuto, non si vede la ragione per la quale ritenere necessario garantire loro tutela facendo ricorso all’analogia (47).

Resta da precisare sul punto che il principio maggioritario per così dire “puro” non costituisce in realtà l’unica alternativa possibile all’unanimità, dovendosi ritenere ammissibili clausole statutarie che meglio contemperino l’interesse del titolare del diritto particolare a rimanere in società solo in presenza delle prerogative riconosciutegli, con quello del gruppo a deliberare comunque a maggioranza; così, si potrebbe avere una clausola che prevedesse la possibilità di deliberare a maggioranza, salvo il necessario consenso del titolare del diritto di cui si tratta, o anche di altri determinati soci, ma non di tutti (48).

(46) Cfr. A.DACCÒ, I diritti particolari, cit., 411.

(47) Cfr. sul punto A.BLANDINI, Categorie di quote, cit., 175 s.

(48) Cfr. A.SANTUS – G.DE MARCHI , Sui «particolari diritti», cit., 95; G. ZANARONE,

Della società a responsabilità limitata,cit., 537.

Si è correttamente rilevato che, ove si derogasse alla regola dell’unanimità senza ulteriori precisazioni, il principio sarebbe senz’altro quello maggioritario puro, non sussistendo disposizioni in base alle quali poter affermare che comunque sarebbe necessario il consenso del socio titolare del diritto particolare: così argomentando, anzi, addirittura si accrescerebbero i poteri del socio beneficiario «che, se titolare di una partecipazione di maggioranza, potrebbe autonomamente decidere modifiche alla disciplina statutaria dei diritti particolari (quindi anche migliorando la propria posizione), senza la necessità di raccogliere il consenso di tutti gli altri soci». Ciò, peraltro, come precisato nel testo, non esclude che statutariamente possa essere fissata una regola di tale tenore: cfr. sul punto M. CAVANNA, Partecipazione, cit., 107 ss.

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Focalizzando ora l’attenzione sulla modifica indiretta, cosa con ciò debba intendersi si ricava, come accennato, dal disposto dell’art. 2473¹ c.c. laddove sancisce il diritto di recesso in ipotesi di decisioni in ordine al compimento di operazioni che comportano una rilevante modificazione degli stessi.

Dal momento che, peraltro, ex art. 2479² n. 5 c.c. (49) rispetto a tali

decisioni vige una competenza inderogabile dei soci esplicabile unicamente in assemblea, emerge chiaramente il fatto che, come già nel caso di modifica diretta, anche in tale circostanza rileverà comunque una decisione dei soci, non risultando mai gli amministratori legittimati a decidere in questo ambito (50).

La previsione di cui all’art. 2473¹ c.c. può assumere un duplice significato, a seconda che per la modificazione (diretta) dei diritti de quibus

(49) A rigore, la norma citata non fa riferimento esclusivo ai diritti particolari,

considerando più genericamente i diritti dei soci: risulta, tuttavia, evidente che, data l’ampia portata della disposizione, i primi possono considerarsi una particolare categoria rientrante in quella più ampia costituita dai secondi.

Autorevole dottrina (R.VIGO,Decisioni dei soci: competenze, in Liber amicorum Gian Franco Campobasso diretto da P. ABBADESSA e G.B. PORTALE, Torino, 2006, 3, 459 s.),

invero, sul presupposto che un’interpretazione ampia della disposizione di cui all’art. 2479² n. 5 seconda parte varrebbe ad assorbire del tutto la portata della prima parte della medesima disposizione - ove si fa riferimento precipuo all’oggetto sociale e posto che fra i diritti dei soci vi è senz’altro quello di determinare anch’esso -, ha proposto una lettura restrittiva della stessa, sì da riferirla ai soli diritti dei soci che siano i diritti particolari di cui all’art. 2468³ c.c. (in questi termini cfr. anche L.RESTAINO, Sub art. 2479 c.c., cit., 165; M. CIAN, Le decisioni dei soci,, cit., 16; D.U. SANTOSUOSSO, La riforma del diritto societario. Autonomia privata e norme imperative nei DD. Lgs. 17 Gennaio 2003, n. 5 e 6, Milano, 2003, 212). Così argomentando, la norma di cui all’art. 2473¹ c.c. varrebbe per quei casi in cui «i soci non intendano modificare definitivamente la clausola relativa ai diritti particolari, e […] tuttavia un occasionale e contingente esercizio del diritto particolare appaia loro censurabile», optando così per una «sospensione, più che una definitiva modifica».

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sia rimasta la regola dell’unanimità, o, viceversa, sia stata introdotta quella della maggioranza: nel primo caso, infatti, la norma in esame varrebbe come deroga legale al sistema, dal momento che trova in ogni caso applicazione anche se per una modifica diretta fosse al contrario necessario il consenso unanime; nell’altro, invece, la disposizione acquisirebbe la funzione di norma complementare (51). Vero è, tuttavia, che il legislatore non

riferisce tout court la regola a decisioni che importino una modificazione, bensì ne circoscrive la portata a quelle che determinino un rilevante cambiamento: ed è chiaro, allora, da un lato che, data la genericità dell’espressione e l’incertezza che da ciò potrebbe derivare, non potrà che valutarsi come opportuna una individuazione, già in sede di atto costitutivo, di alcune ipotesi rilevanti in presenza delle quali senz’altro bisognerà procedere ex art. 2479² n. 5 c.c. (52), dall’altro lato che, non

potendo comunque la previsione dei soci coprire ogni possibile ipotesi concreta, sarà pur sempre imprescindibile una valutazione caso per caso per verificare se, nonostante il dettato statutario, non vi siano altre

(51) Così osserva correttamente M.MALTONI, Sub art. 2468 c.c., cit., 1828. Condivide

l’opinione che per le modifiche indirette valga il principio maggioritario, fra gli altri, G. ZANARONE,Della società a responsabilità limitata,cit., 529, nota 49.

(52) A titolo di esempio, in dottrina (M.PERRINO, La «rilevanza del socio», cit., 123) si è

considerata l’ipotesi di costituzione di una joint venture con altre imprese tale da determinare un coordinamento delle rispettive azioni amministrative, in conseguenza del quale risulti ridimensionato il peso dell’amministratore nominato da uno dei soci in virtù di un suo diritto particolare in tal senso.

Per quanto riguarda, viceversa, l’importante distinzione tra modifica rilevante e non, si è posta l’attenzione (cfr. L.ABETE, I diritti particolari, cit., 302) al caso in cui, stante un diritto particolare ad autorizzare la vendita di un determinato immobile della società, i soci decidano di concedere il medesimo in usufrutto, delineandosi così, dato il contenuto di tale diritto reale, una modifica rilevante del diritto particolare; situazione che, al contrario, non dovrebbe ritenersi sussistente nel caso in cui la decisione vertesse sulla stipulazione di un contratto di locazione.

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situazioni in cui sussiste la competenza dei soci in base alla norma de qua (53).

Per quanto detto, è peraltro evidente che di fronte alla eventualità di una decisione ex art. 2479² n. 5 c.c. il diritto particolare risulterebbe «affievolito» (54), non avendo il socio la possibilità di impedire la stessa; né

si può negare che ammettere la possibilità di una modifica indiretta a maggioranza, potrebbe suscitare dubbi in ordine alla effettività della tutela che il sistema appresta per il titolare del diritto de quo; ciò, in particolare, se è vero, da un lato, che non potrebbero escludersi abusi a danno del medesimo in sede assembleare, e, dall’altro, che, come correttamente rilevato, non è così certo che il diritto di recesso, consentendo di uscire dalla società, sia senz’altro lo strumento che meglio risponde all’interesse del socio di una s.r.l., il quale, differentemente dal socio di una s.p.a., ben può essere animato, al momento dell’investimento, anche dalla prospettiva di una attiva (e duratura) partecipazione all’attività imprenditoriale (55). Tali considerazioni, tuttavia, per quanto corrette, non

(53) Cfr. sul punto A.CARESTIA, Sub. art. 2468 c.c., in Società a responsabilità limitata.

La riforma del diritto societario a cura di G. LO CASCIO, VIII, Milano, 2003, 94. (54) Così G.MARASÀ, Maggioranza e unanimità, cit., 711.

(55) Cfr. A.DACCÒ, Il diritto di recesso: limiti dell’istituto e limiti all’autonomia privata

nella società a responsabilità limitata, in Riv. dir. comm., 2004, I, 481 e, per maggiori approfondimenti sul tema del recesso in presenza di modifiche dei diritti particolari, ID., “Diritti particolari” e recesso, cit., 156 ss. La differenza è puntualmente colta da C. ANGELICI,La riforma delle società di capitali. Lezioni di diritto commerciale, Padova, 2003, 115, il quale individua il diverso significato che in un caso e nell’altro assume l’operazione societaria nel fatto che quest’ultima «nella società per azioni s’impernia e in quanto tale si esaurisce in un investimento, mentre nella società a responsabilità limitata può anche implicare un’attiva partecipazione all’attività imprenditoriale».

Può essere utile in proposito considerare anche quanto si rileva nella Relazione di accompagnamento al decreto di riforma (§ 11), nella quale testualmente si afferma che «il

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possono portare ad affermare che anche in caso di modifica indiretta la

regola dovrebbe necessariamente essere quella dell’unanimità (56). A parte

tipo societario della società a responsabilità limitata, in quanto caratterizzato dalla partecipazione personale dei soci, presuppone una loro presenza attiva nella vita della società».

(56) Ciò, peraltro, per lo meno per quanto riguarda il modello legale, non potendosi

escludere una legittima previsione dell’atto costitutivo in tal senso. La dottrina maggioritaria, infatti, è concorde nell’ammettere la possibilità che i soci decidano di introdurre la regola dell’unanimità: cfr. G.MARASÀ, Maggioranza e unanimità, cit., 713; G. ZANARONE, Introduzione, cit., 87; N.ABRIANI,Decisioni dei soci,cit.,298;F.GALGANO –R. GENGHINI,Il nuovo diritto societario3 – Le nuove società di capitali e cooperative, I, Padova,

2006, 893; L.RESTAINO, Sub art. 2479 c.c., cit., 166 s.; P.RAINELLI, Sub. art. 2479 c.c., cit., 1915 s.; P.BENAZZO,L’organizzazione, cit., 1069. In proposito, si è correttamente rilevato che «non potrebbe certo farsi valere il principio […] dell’efficienza dell’impresa, il quale sarebbe compromesso a causa dell’intralcio che dall’esercizio di quelle prerogative deriverebbe alla facilità deliberativa e dunque alla tempestività delle decisioni: la funzionalità di una certa soluzione convenzionale rispetto al suddetto principio, infatti, può essere valutata non già preventivamente e in astratto dal legislatore, ma concretamente e di volta in volta dai soci»: così G. ZANARONE, La tutela dei soci di minoranza nella nuova s.r.l., in Le grandi opzioni della riforma del diritto e del processo societario a cura di G. CIAN, Padova, 2004, 351.

In senso favorevole alla previsione della clausola dell’unanimità si è espressa pure la Commissione Società del Consiglio Notarile di Milano con la massima 42 del 19 Novembre 2004, disponibile su www.consiglionotarilemilano.it, della quale può essere interessante riportare qui la motivazione: «Gli artt. 2479, comma 6°, e 2479 bis, comma 3°, danno ampia libertà ai soci nel fissare nell'atto costitutivo il consenso necessario e sufficiente per l'adozione delle loro decisioni: siano esse prese in sede assembleare o extraassembleare. In tali ampi margini vi è posto […] per la introduzione del principio di unanimità sia per singole decisioni, sia - in ipotesi di s.r.l. ad accentuata configurazione personalistica - per tutte le decisioni […] Contro il ricorso all'unanimità - ammessa dalla maggior parte dei commentatori della riforma - non valgono le tradizionali obiezioni (a) dell’essere ciò di ostacolo all’operatività della società e (b) dell’essere il principio di maggioranza connaturato alla natura collegiale delle decisioni. Alla prima obiezione (a) si risponde che il legislatore non si preoccupa di assicurare l'operatività e il mantenimento in vita della s.r.l. a dispetto di una diversa volontà di alcuni soci e degli accordi formalizzati nell'atto costitutivo, come invece avviene nella s.p.a.: solo in quest'ultima, e non anche nel primo tipo sociale, infatti, si impone un quorum inderogabile per l’assunzione di decisioni “vitali” (nomina e revoca delle cariche sociali e approvazione del bilancio: cfr. art. 2369, comma 4°, c.c.). Alla seconda obiezione (b) si replica: i) che il principio di maggioranza è un elemento naturale, non già essenziale, dei procedimenti collegiali, come - almeno nella s.r.l. - dimostra la previsione legale di delibere unanimi

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il fatto che una tale conclusione contrasterebbe con il chiaro dettato normativo, non si può non sottolineare che essa implicherebbe un «incredibile ingessamento» (57) della società: infatti, se si considera che

nell’ipotesi de qua vengono in rilievo decisioni che hanno un obbiettivo espresso del tutto differente dalla modifica dei diritti particolari, portando alla stessa solo in via riflessa e alla luce di una analisi ex post dei loro effetti, risulta evidente che si porrebbe ogni volta il problema di individuare i quorum deliberativi necessari, con gravi ripercussioni sulla funzionalità dell’attività d’impresa (58). Quanto al problema di possibili

abusi in sede assembleare, una soluzione può essere ravvisata considerando che, se è vero che l’appartenenza ad un gruppo organizzato, quale è la società, può giustificare il sacrificio dell’interesse del singolo al comune interesse del gruppo, non è men vero che detto sacrificio in tanto

per la modifica (nonché, implicitamente, per la introduzione e per la soppressione) di diritti particolari del socio (art. 2468, comma 4°, c.c.); ii) che l’obiezione potrebbe, in tesi, valere per le decisioni collegiali, e dunque non in quelle adottate per consultazione scritta e per consenso espresso per iscritto: ma allora non si comprenderebbe perché la stessa decisione, che per scelta statutaria sia da prendere all'unanimità fuori dall'assemblea, in quest’ultima non possa essere condizionata la consenso unanime; iii) che è nota l'assoluta prevalenza, nella realtà economica, di s.r.l. composte da due/tre soci la cui interna maggioranza, o per necessità (due soci al 50%) o per scelta di quorum ad hoc, è tale soltanto in apparenza, ma richiede di fatto l'unanimità».

Nel senso, invece, che l’unanimità dovrebbe costituire soltanto l’eccezione, cfr. C.A. BUSI, Assemblea e decisioni, cit., 247 e, in Giurisprudenza, Cass., 13 Aprile 2005 n. 7663, in Riv. not., 2006, 535 con la quale la Corte ha appunto sancito la nullità di una clausola che prevedeva l’unanimità per tutte le operazioni di straordinaria amministrazione.

(57) Così A.BLANDINI, Categorie di quote, cit., 177.

(58) Cfr. A.BLANDINI, Categorie di quote, cit., 177, nota 71, che richiama pure R.VIGO,

Decisioni dei soci, cit., 460, il quale rileva che la previsione di cui all’art. 2479² n. 5 c.c. «ha il compito di risolvere un conflitto fra gli amministratori e i soci muniti di particolari diritti in ordine al compimento di talune circoscritte operazioni [rimettendo] il conflitto all’assemblea dei soci».

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potrà dirsi giustificato, in quanto effettivamente risponda all’esigenza di realizzare il risultato di comune interesse. Da ciò pertanto discende che anche nell’ambito dei rapporti societari dovrà pur sempre trovare applicazione, ex art. 1375 c.c., i principio generale in materia di esecuzione dei contratti di correttezza e buona fede (59), e che, evidentemente, ben potrà

aversi, ai sensi dell’art. 2479 ter c.c., impugnazione della decisione da parte del socio in caso di violazione dello stesso, posto che si tratterebbe di decisione non presa in conformità della legge (60).

Ciò detto, non si può comunque tacere il fatto che autorevole dottrina (61) ha interpretato diversamente il combinato disposto degli artt.

24684 e 2473¹ c.c., in particolare affermando che anche per le modifiche

indirette la regola dovrebbe ritenersi quella dell’unanimità e che, conseguentemente, la disposizione di cui alla seconda delle due norme

(59) Cfr. sul punto G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale7, cit., 53 s. Chiare sono

anche le parole di A.GAMBINO, Il principio di correttezza nell’ordinamento delle società per

azioni (abuso di potere nel procedimento assembleare), Milano, 1987, 311, che rileva che la correttezza garantisce il «carattere paritario» dell’ordinamento sociale, «sanzionando la violazione di una parità proporzionale di sacrifici e vantaggi per effetto pratico della deliberazione e parallelamente circoscrivendo il principio di libertà nei limiti richiesti dalla esigenza della parità».

(60) Questione di estremo rilievo, cui in questa sede non si può che fare un cenno, è

quella della determinazione del valore della quota del socio recedente ove sussista un diritto particolare. Si è correttamente sottolineato che non parrebbe coerente con lo spirito della riforma negare tout court la possibilità per i soci di prevedere nell’atto costitutivo che in caso di recesso del socio titolare del diritto de quo quest’ultimo venga preso in considerazione nella determinazione di quanto dovuto al socio stesso: cfr. A.DACCÒ, Il diritto di recesso, cit., 494 s. e, per ulteriori rilievi problematici A.BLANDINI, Categorie di quote, cit., 183 ss.

(61) Cfr. A.DACCÒ, “Diritti particolari” e recesso, cit., 140; L. DELLI PRISCOLI, Sub art.

2473 c.c., in Codice commentato delle s.r.l. diretto da P.BENAZZO e S.PATRIARCA, Torino, 2006, 284; M. SANDULLI, Le decisioni dei soci, in La nuova disciplina della società a responsabilità limitata, a cura di V. SANTORO, Milano, 2003, 230.

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citate assumerebbe rilievo nell’ipotesi in cui vi sia stata decisione a maggioranza in violazione della suddetta regola. Ciò, peraltro, varrebbe appunto solo in caso di modifica indiretta, mentre per l’ipotesi di modifica diretta a maggioranza in spregio della regola dell’unanimità, la conseguenza sarebbe, linearmente, quella dell’invalidità della decisione. Secondo l’opinione de qua, pertanto, il diritto di recesso avrebbe qui la funzione di sanzione, ed il legislatore avrebbe prediletto una tutela obbligatoria e relativa, anziché reale (come consentirebbe l’impugnazione della decisione), per non «“intralciare” il cammino della maggioranza», in considerazione delle esigenze di funzionalità dell’attività decisoria dei soci, che giustificherebbero «il sacrificio della piena conformità alla legge e all’atto costitutivo del procedimento deliberativo» (62). A sostegno di tale

ricostruzione, si rileva che non mancano nell’ordinamento ipotesi in cui analogamente il legislatore prevede non tanto l’invalidità dell’atto, ma una reazione diversa alla violazione: in proposito, basterebbe considerare l’art. 23574 c.c. per il caso di acquisto di azioni proprie senza l’osservanza dei

limiti fissati.

Invero, premesso che comunque anche la tesi in esame non manca di sottolineare il rilievo organizzativo dei diritti particolari, bisogna rilevare che, innanzitutto, non risulta chiara la ragione per la quale si giustificherebbe un regime differenziato tra modifiche dirette e indirette: se si conviene sull’opportunità di non “ingessare” eccessivamente la compagine sociale nel definire le regole di funzionamento del gruppo, di

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cui anche i diritti particolari, si è visto, sono espressione, allora, posto che tale opportunità ricorre indistintamente qualunque sia la modifica ai diritti de quibus, si potrebbe affermare che il diritto di recesso sia in ogni caso lo strumento di tutela più opportuno, escludendo la via dell’impugnabilità della decisione anche per l’ipotesi di modifica diretta. Inoltre, l’interpretazione de qua finisce con l’attribuire alla disposizione di cui all’art. 2473¹ c.c. il valore di “previsione per l’ipotesi di violazione”: è di tutta evidenza, tuttavia, che, quando il legislatore ha avvertito tale esigenza, la disposizione conseguente è stata esplicita in tal senso, come dimostra lo stesso citato art. 23574 c.c., che con chiarezza si riferisce

all’ipotesi di «violazione dei commi precedenti».

Alla luce di tali considerazioni, quindi, pare opportuno ribadire l’adesione alla tesi secondo la quale le decisioni di operazioni atte ad incidere in misura rilevante sui diritti particolari soggiacciono al principio maggioritario, anche perché alla chiarezza, in astratto, del concetto di modifica indiretta non corrisponde, nella realtà, sostanziandosi essa in un effetto riflesso ed indiretto, un quadro di ipotesi altrettanto chiaro, predeterminabile e di immediata percezione, sì che, come già rilevato, potrebbero sorgere gravi incertezze sulle modalità (rectius sui quorum) con le quali in concreto assumere la decisione. L’esigenza di non intralciare l’operatività della compagine sociale, pertanto, assume rilievo nel momento fisiologico dell’agire/decidere societario, non già in quello patologico, e ciò è pienamente coerente con il fatto che i diritti particolari, si ripete, non sono da considerarsi alla stregua di diritti individuali dei soci titolari.

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Prima di proseguire l’analisi, merita attenzione un’ultima questione. Si è rilevato che, come emerge dal combinato disposto degli artt. 2479² n. 5 e 2473¹ c.c., le operazioni che possono determinare una rilevante modifica dei diritti particolari rientrano inderogabilmente nella sfera di competenza dei soci, peraltro tenuti a decidere necessariamente in assemblea ex art. 24794 c.c. Proprio in considerazione di ciò, non è mancato chi (63) abbia

sottolineato l’opportunità di ritenere il diritto di recesso configurabile in via analogica anche nell’ipotesi di decisioni direttamente assunte dagli amministratori in violazione della riserva legale prevista per i soci; soluzione che si imporrebbe dato il fatto che per la s.r.l., salvo il caso del conflitto di interessi, manca una qualunque norma che legittimi i soci ad impugnare le decisioni dell’organo gestorio, come invece per le s.p.a. espressamente dispone l’art. 23884 c.c. in caso di «deliberazioni lesive dei

loro diritti». Un’altra, tuttavia, può forse essere la soluzione al problema in esame, senza invero fare riferimento al diritto di recesso, «atteso che i soci non avevano voluto che si verificasse quell’evento» (64). Invero, se da un

(63) Cfr.M.PERRINO, La «rilevanza del socio», cit., 123.

Si è del resto rilevato che l’ordinamento offre esempi nei quali il recesso è strumento di tutela in ipotesi di violazione di norme, come dimostrerebbe il recesso per giusta causa nelle società di persone, ove nel concetto di giusta causa si fanno rientrare le ipotesi di violazione dei doveri di buona fede, correttezza, diligenza, nonché delle regole organizzative; o ancora l’ipotesi di recesso di cui all’art. 2497 quater¹, lett. b) c.c. in materie di società soggette ad attività di direzione e coordinamento: cfr. sul punto A. DACCÒ, “Diritti particolari” e recesso, cit., 133, la quale, peraltro, come si vedrà subito di seguito nel testo, pare offrire una diversa soluzione alla questione in esame.

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lato è stato acutamente osservato (65) che la mancata previsione di cause di

invalidità delle decisioni degli amministratori ulteriori rispetto al caso di conflitto di interessi ben potrebbe essere ascritta ad una consapevole scelta del legislatore, in considerazione dei caratteri tipologici della nuova s.r.l.; dall’altro lato, non si è mancato di rilevare (66) che, a ben guardare, in tale

società sono proprio e solo i soci gli unici legittimati ad incidere sui loro stessi diritti, stante il disposto dell’art. 2479² n. 5 c.c. Conseguentemente, poiché tale ultima norma delinea una loro competenza inderogabile fissata ex lege, si profila un limite legale al potere di rappresentanza degli amministratori, rispetto alla cui violazione il rimedio applicabile dovrebbe essere quello della inefficacia dell’atto (67). Relativamente poi al problema

dell’opponibilità ai terzi di tale violazione, si ritiene corretto fare riferimento anche in questo caso ai principi generali in tema di tutela dell’affidamento del terzo: affidamento che, è noto, deve essere incolpevole, consentendo quindi esso «la tutela della buona fede nei [soli] limiti della buona fede» (68). Tutto questo, peraltro, salva ovviamente la responsabilità

degli amministratori a livello endosocietario (69).

(65) Cfr. M. PERRINO, Il conflitto di interessi degli amministratori nella s.r.l., in Liber

amicorum Gian Franco Campobasso diretto da P. ABBADESSA e G.B. PORTALE, Torino, 2006, 3, 577 s.

(66) Cfr. A. DACCÒ, L’invalidità delle decisioni degli amministratori nella s.r.l., in

Amministrazione e controllo nel diritto delle società. Liber amicorum Antonio Piras, Torino, 2010, 800 ss.

(67)Cfr. sul punto P.SPADA, L’amministrazione, cit., 16; A. DACCÒ, L’invalidità delle

decisioni, cit., 806; A.BLANDINI, Categorie di quote, cit., 180.

(68) Così M.S. SPOLIDORO M.S., Questioni in tema di rappresentanza degli amministratori

di società per azioni, in Amministrazione e controllo nel diritto delle società. Liber amicorum Antonio Piras, Torino, 2010, 510; cfr. pure M. CAMPOBASSO, Il potere di rappresentanza degli amministratori di società di capitali nella prospettiva dell’unità concettuale delle forme di

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2.2 La soppressione o l’introduzione di diritti particolari successivamente alla costituzione della società. - L’analisi fin qui svolta ha tentato di delineare il sistema di regole che si evince in base alle disposizioni codicistiche; sussistono, tuttavia, altre questioni che non sono state prese espressamente in considerazione. Più in particolare, si tratta di verificare quali siano le norme applicabili (evidentemente in via analogica) nel caso in cui, successivamente alla costituzione della società, si intenda prevedere: a) l’introduzione del principio di maggioranza, in sostituzione di quello legale dell’unanimità, b) la totale soppressione di un diritto particolare, originariamente previsto nell’atto costitutivo, ed infine c) l’introduzione del medesimo, dopo che nell’atto costitutivo niente sia stato disposto al riguardo.

In ordine alla prima ipotesi, si ritiene che la decisione debba essere assunta all’unanimità (70), e si tratta di soluzione condivisibile in

considerazione del fatto che, poiché tali diritti hanno un evidente rilievo

rappresentanza negoziale ed organica, in Amministrazione e controllo nel diritto delle società. Liber amicorum Antonio Piras, Torino, 2010, 475. Per considerazioni analoghe, ancorché in riferimento agli amministratori di s.p.a.: V. CALANDRA BUONAURA, Il potere di rappresentanza degli amministratori di società per azioni, in Liber amicorum Gian Franco Campobasso diretto da P. ABBADESSA e G.B. PORTALE, Torino, 2006, 2, 665 ss.

Non si può peraltro ignorare la peculiarità della fattispecie, posto che la competenza dei soci dipende qui dal fatto che l’operazione di volta in volta considerata comporti una modifica dei diritti particolari in via riflessa ed indiretta, come più volte sottolineato. Si potrebbe anche essere portati ad affermare, pertanto, che, data la difficoltà per i terzi di verificare ex ante quali siano le operazioni per le quali sussiste una competenza inderogabile dei soci, valga un’inopponibilità tout court nei confronti dei terzi medesimi di eventuali violazioni poste in essere dagli amministratori. Ciò detto, si ritiene tuttavia che l’applicazione dei principi generali di tutela dell’affidamento incolpevole possa contemperare adeguatamente i diversi interessi coinvolti nel caso di specie.

(69) Cfr. A.BLANDINI, Categorie di quote, cit., 181.

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organizzativo ed incidono sui rapporti di forza interni al gruppo, solo con il consenso di tutti si può stabilire che eventuali modifiche possano essere assunte anche se alcuno dei soci non sia d’accordo, non ripercuotendosi la modifica solo ed esclusivamente nella sfera di interessi del titolare del diritto de quo.

Per quanto concerne l’eventuale successiva soppressione di un diritto particolare, si è correttamente rilevato (71) che la stessa altro non costituisce

che «il limite estremo della loro modifica, in senso peggiorativo per il soggetto titolare»; di conseguenza, analogamente a quanto visto per la modifica, la decisione dovrà essere assunta all’unanimità o a maggioranza a seconda del metodo di decisione prescelto dai soci (72).

Maggiore attenzione richiede, invece, la terza ipotesi considerata, ossia il caso in cui successivamente alla costituzione si intenda introdurre un diritto particolare.

(71) Così A.SANTUS – G.DE MARCHI , Sui «particolari diritti», cit., 95.

(72) Cfr. A.SANTUS – G.DE MARCHI , Sui «particolari diritti», cit., 95; L.ABETE, I diritti

particolari, cit., 301; P. REVIGLIONO, Sub art. 2468 c.c., cit., 1813; A. DACCÒ, I diritti

particolari, cit., 402;M.MALTONI, Sub art. 2468 c.c., cit., 1831; I. DEMURO, Sub art. 2468 c.c., in Codice civile annotato con la dottrina e la giurisprudenza, a cura di G.PERLINGERI, Napoli, 2010, 2111; L.A.BIANCHI – A.FELLER, Sub art. 2468 c.c., in Società a responsabilità limitata, L.A. BIANCHI (a cura di), in Commentario alla riforma delle società diretto da P. MARCHETTI, L.A. BIANCHI, F. GHEZZI, M. NOTARI, Milano, 2008, 336; G. MARASÀ, Maggioranza e unanimità, cit., 710. Contra, sul presupposto che «”modificare diritti” significa in lingua italiana, ampliarli o ridurli, non anche eliminarli»,E.FAZZUTTI, Sub art. 2468 c.c., in La riforma delle società. Commentario a cura di M. SANDULLI e V. SANTORO, III, Torino, 2003, 59, nt 19.

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In proposito la dottrina maggioritaria e condivisibile ritiene che senz’altro tale decisione debba essere assunta con il consenso unanime di tutti i soci (73).

Per giustificare tale opinione si è innanzitutto sottolineato (74) che tale

eventualità differisce notevolmente dalle decisioni di modifica o soppressione: mentre, infatti, queste decisioni hanno ad oggetto diritti ben determinati (in quanto logicamente già previsti nell’atto costitutivo) e ciascun socio «conosce, per così dire, il rischio che corre e le conseguenze giuridiche che ne derivano», lo stesso non può dirsi per l’ipotesi in cui durante societate si intenda ex novo prevedere un diritto particolare. Inoltre, si è correttamente rilevato (75) che, qualora nell’atto costitutivo non sia stato

ab origine previsto alcun diritto particolare, potrebbe dirsi sorto in capo ai soci, ex art. 2468¹, I parte c.c., un diritto soggettivo alla proporzionalità fra diritti sociali ed entità della partecipazione, rimanendo così esclusa la possibilità di una decisione a maggioranza.

Non si può peraltro tacere che una parte della dottrina (76) ha messo

in dubbio la correttezza di tale opinione sulla base della (giusta) osservazione per cui, posto che la decisione de qua comporterebbe una modificazione dell’atto costitutivo, per tale ipotesi l’art. 2479 bis c.c. sancisce la sufficienza del principio maggioritario, risultando pertanto la

(73) Cfr. A.SANTUS – G.DE MARCHI , Sui «particolari diritti», cit., 95; A.DACCÒ, I

diritti particolari, cit., 402; M.MALTONI, Sub art. 2468 c.c., cit., 1831; G.SANTONI, Le quote di partecipazione, cit., 387, nota 20; A.BLANDINI, Categorie di quote, cit., 146 ss.

(74) Così A.SANTUS – G.DE MARCHI , Sui «particolari diritti», cit., 96.

(75) Cfr. G.MARASÀ, Maggioranza e unanimità, cit., 710 s., che richiama G.L.PELLIZZI,

Sui poteri indisponibili della maggioranza assembleare, Riv. dir. civ., 1967, I, 129 ss. (76) Cfr. L.ABETE, I diritti particolari, cit., 301.

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tesi di cui sopra condivisibile nella sua ratio, ma non sostenibile alla luce delle disposizioni di legge.

Invero, si ritiene che tali rilievi possano essere superati considerando più a fondo l’ipotesi in esame.

Si è già sottolineato che l’introduzione di un diritto particolare ha ripercussioni sull’intero assetto organizzativo della compagine sociale, esprimendo l’interesse del gruppo a «individualizzare» la posizione di uno o più soci per meglio realizzare il programma societario (77): la sua

previsione ha, pertanto, ripercussioni sui rapporti di forza tra i soci. Ciò premesso, si rileva ancora che, da un lato, l’art. 2479² n. 5 c.c. fa riferimento al caso di modifica dei diritti dei soci, dall’altro lato, come più volte sottolineato, l’art. 2473¹ c.c. prende in considerazione la modificazione dei diritti particolari, riconoscendo in tale evenienza il diritto di recesso.

Dal combinato disposto delle norme citate si ricava allora che nessuna esigenza di tutela si pone per la modifica di diritti dei soci che non siano diritti particolari dei singoli perché in tal caso, evidentemente, vengono in considerazione diritti uguali e proporzionali di tutti i soci e, incidendo la modifica in misura identica e proporzionale su ciascuno di loro, la stessa risulta rispettosa del principio di parità di trattamento. Viceversa, poiché l’introduzione di un diritto particolare implicherebbe una modificazione diversificata della posizione di ciascun socio in seno alla compagine sociale, ciò giustifica chiaramente la necessità del consenso unanime, non potendosi rinunciare alla parità di trattamento se non in

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presenza di una manifestazione di volontà da parte di tutti i soggetti interessati (78). Per queste ragioni si può pertanto condividere l’opinione

maggioritaria citata (79).

Problema diverso è quello della possibilità per i soci di prevedere che anche per l’introduzione di un diritto particolare valga il principio maggioritario, in deroga alla regola dell’unanimità.

Alcuni (80) in proposito esprimono forti dubbi: poiché, come già

rilevato, diversamente dal caso di modifica o soppressione, non si avrebbe a che fare con diritti particolari ben determinati, e poiché, come si vedrà, i diritti particolari possono in concreto assumere contenuti molto vari, si è sostenuto che la generica previsione del principio maggioritario implicherebbe una «eccessiva “abdicazione” ai propri diritti da parte di ciascun socio».

Preferibile si ritiene, tuttavia, la tesi secondo la quale la previsione del principio maggioritario anche per decidere in ordine all’introduzione

(78) Cfr. M.MALTONI, Sub art. 2468 c.c., cit., 1830 s.

(79) Non si può peraltro tacere il fatto che il ragionamento da ultimo svolto

potrebbe valere non solo per l’introduzione, ma anche per il caso della modifica dei diritti particolari, ed in effetti è proprio sulla base di tali osservazioni che parte della dottrina, come si è visto, ritiene che anche in caso di modifica indiretta dei diritti de quibus la regola legale dovrebbe essere quella dell’unanimità: cfr. sul punto A. DACCÒ, “Diritti particolari” e recesso, cit., 141 ss. Ciò che, tuttavia, pare ancora una volta determinante per respingere tale interpretazione è il fatto che, come più volte sottolineato, mentre anche nella realtà concreta ben determinato e chiaro risulta anche il fatto dell’introduzione ex novo di un diritto particolare nell’atto costitutivo (al pari dell’ipotesi di modifica diretta), non altrettanto può dirsi per le modifiche che siano conseguenza indiretta di una operazione societaria avente obbiettivo espresso completamente diverso: il punto, cioè, è l’esigenza di non compromettere la funzionalità dell’attività decisoria dei soci, facendo sorgere incertezze sulle modalità secondo le quali adottare decisioni non individuabili ex ante con certezza.

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di un diritto particolare non dovrebbe ritenersi inammissibile, sussistendo nel sistema idonei strumenti per scongiurare i rischi sopra considerati: il riferimento è in particolare alla possibilità che, ex art. 2473¹ c.c., nello stesso atto costitutivo i soci, in forza dell’autonomia statutaria loro riconosciuta, qualifichino tale eventuale decisione come legittima causa di recesso per chi non abbia prestato il proprio consenso alla stessa (81).

3. La circolazione delle partecipazioni in presenza di diritti particolari e la possibilità di creare categorie speciali di partecipazioni.

3.1 Le tesi più restrittive. - L’esame delle questioni generali in tema di diritti particolari richiede ora di affrontare il problema della circolazione delle partecipazioni dei soci titolari dei diritti de quibus, questione alla quale si connette strettamente quella della possibilità di configurare «categorie speciali di partecipazioni» (82).

Preliminarmente, è opportuno chiarire fin da subito che è indubbio che detti diritti non sono suscettibili di circolazione autonoma, nel senso che essi non potranno mai essere trasmessi senza contestuale trasferimento

(81) Cfr. M.MALTONI, Sub art. 2468 c.c., cit., 1831; analogamente, sul presupposto

che il diritto alla proporzionalità fra diritti sociali ed entità della partecipazione non è un diritto soggettivo intoccabile, potendo non risultare propriamente tale proprio ove la stessa volontà dei soci si esprimesse nel senso di prevedere la regola maggioritaria per l’introduzione di diritti particolari, G.MARASÀ, Maggioranza e unanimità, cit., 711.

(82) L’espressione è di M.NOTARI, Diritti «particolari» dei soci e categorie «speciali» di

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della partecipazione (e sempre che ciò, come subito di seguito si vedrà, sia ammesso) (83).

Relativamente alla questione in esame, autorevole dottrina (84) ha

osservato che già prima della riforma era ammessa la possibilità (85) di

creare quote dotate di diritti diversi che, in quanto oggettivamente inerenti alle stesse, avrebbero potuto circolare con le medesime. In sede di riforma, una soluzione in tal senso avrebbe potuto ritenersi legittima laddove, ex art. 3² lettera f) della legge delega, fra i principi e criteri direttivi si considerava pure l’ampliamento dell’autonomia statutaria «con riferimento alla disciplina del contenuto […] della partecipazione sociale».

Invero, il legislatore delegato ha optato per una soluzione differente, prevedendo l’attribuibilità di diritti particolari ai soci, piuttosto che alle

(83) Così correttamente si rileva in A.SANTUS – G. DE MARCHI , Sui «particolari

diritti», cit., 103 s.; contra sul punto L.A.BIANCHI – A.FELLER, Sub art. 2468 c.c. cit., 335, ove si ammette la possibilità che una libera trasferibilità dei diritti potrebbe discendere da un accordo dei soci. La soluzione non sembra condivisibile perché più elementi delle disposizioni in materia portano ad affermare che la qualità di socio sia il presupposto necessario dell’attribuzione di un diritto particolare: ciò ad esempio emerge chiaramente se si considera il diritto particolare che attribuisse un privilegio nella distribuzione degli utili, essendo evidente che alla distribuzione degli stessi non possano partecipare che i soci, salve specifiche diverse disposizioni di legge, come nel caso di pegno/usufrutto della quota. Anche considerando i diritti particolari riguardanti l’amministrazione, tuttavia, la soluzione sembra la medesima. In proposito si può fare l’esempio del diritto particolare, ritenuto dai più ammissibile e sul quale si avrà modo di soffermarsi nel prosieguo del lavoro, ad essere amministratore: infatti, se anche è vero che, ex art. 2475¹ c.c., l’amministrazione della società può essere attribuita pure a terzi, si osserva che tale ipotesi si scontrerebbe con le disposizioni concernenti la modifica dei diritti de quibus che, come rilevato, finiscono con il coinvolgere sempre la competenza decisionale dei soci e l’organo assembleare.

(84) Cfr. M.PERRINO, La «rilevanza del socio», cit., 133.

(85) Cfr. G.C.M.RIVOLTA, La società a responsabilità limitata, in Trattato di diritto civile

e commerciale diretto da A. CICU e F. MESSINEO, XXX, 1, Milano, 1982, 161 ss.; A.MIGNOLI, Le assemblee speciali, cit., 348 ss. Per una sintetica ricognizione delle principali tesi sviluppatesi prima della riforma, cfr. A.BLANDINI, Categorie di quote, cit., 23 ss.

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