Capitolo IV
La comunicazione
“Sensazioni, sentimenti, intuiti, fantasie, tutte queste cose sono personali e, se
non per simboli e di seconda mano, incomunicabili”. Aldous Huxley1, 1954
“È sempre più forte di me. Lo è sempre stato. Perché a lui basta una parola per farmi male. Anzi, anche meno: una parola non detta, un silenzio, una pausa.
Uno sguardo rivolto altrove.” Fabio Volo2
Introduzione
Qualche volta parlare e comunicare sembrano due piani distinti e paralleli, tanto che l’interazione sembra un po’ un gioco casuale, pieno di sottintesi e un po’ infantile. La comunicazione è una delle dimensioni che ci rende più compiutamente umani. Siamo animali sociali, evolutisi da 150.000 anni per vivere in gruppo: questo vuol dire che la relazione e la comunicazione (che è il modo principale di costruire e mantenere relazioni) sono state due caratteristiche vincenti, che ci hanno permesso di sopravvivere e prosperare. Noi “umani” non facciamo altro che comunicare, anche quando siamo da soli e pensiamo stiamo dialogando con noi stessi.
Talvolta sembra, in realtà, non si voglia tanto esprimere chiaramente i nostri pensieri e desideri, quanto fare in modo che gli altri facciano quello che noi abbiamo in mente: vorremmo persuadere piuttosto che comunicare. Inoltre, per quanto chiaramente noi possiamo esprimerci, chi ci ascolta è libero di rispondere e fare come vuole.
Per riuscire a comunicare con un bambino, occorre entrare nei suoi spazi, nei suoi luoghi, utilizzando dei mediatori. Il gioco costituisce forse uno dei mediatori più
1
Aldous Huxley, Le porte della percezione, 1954.
2 Fabio Volo, Il tempo che vorrei, Milano, A. Mondadori, 2009.
importanti.
La comunicazione (dal latino cum = con, e munire = legare, costruire e dal latino communico = mettere in comune, far partecipe) nella sua definizione più generale è l'insieme dei fenomeni che comportano il trasferimento di informazioni. Quindi la condivisione è insita nel significato etimologico della parola. L’azione del “condividere” prevede l'esistenza di alcuni elementi fondamentali: il sistema (animale, uomo, macchina) che trasmette, cioè l'emittente; un canale (o mezzo o veicolo) comunicativo necessario per trasferire l'informazione; il contenuto della comunicazione o referente: l'informazione; un codice formale mediante il quale viene data una forma linguistica all'informazione, cioè viene significata. Questo modello della comunicazione sottintende però due ipotesi: che il significato del messaggio (il risultato della significazione del referente) sia univoco e che il processo comunicativo possa non completarsi. Perché infatti il processo possa risolversi è necessario un quinto elemento: il ricevente cioè il sistema che assume l'informazione, la cui presenza, però, non implica necessariamente l'assunzione completa dell'informazione che infatti dipende dall'efficacia del canale ma soprattutto dal risultato dell'interpretazione (significazione inversa) del messaggio da parte del ricevente. Tale risultato è fortemente influenzato dal livello di condivisione del codice e quindi dai fattori che influenzano l'emittente ed il ricevente. Il contesto influendo sui due processi di significazione (dell'emittente e del ricevente) viene quindi a costituire, nei modelli sulla comunicazione, il sesto elemento fondamentale.
Il concetto di comunicazione comporta la presenza di un'interazione tra soggetti diversi che presuppone un certo grado di cooperazione. Ogni processo comunicativo avviene in entrambe le direzioni e, secondo alcuni, non si può parlare di comunicazione là dove il flusso di segni e di informazioni sia unidirezionale. Se un soggetto può parlare a molti senza la necessità di ascoltare, siamo in presenza di una semplice trasmissione di segni o informazioni.
Un modello formale di comunicazione
Generalmente si distinguono diversi elementi che insieme realizzano un singolo atto comunicativo.
Emittente: colui che avvia la comunicazione attraverso un messaggio.
Ricevente: accoglie il messaggio, lo decodifica, lo interpreta e lo
comprende.
Codice: parola parlata o scritta, immagine, tono impiegata per "formare" il
messaggio.
Canale: il mezzo di propagazione fisica del codice (onde sonore o
elettromagnetiche, scrittura, bit elettronici).
Contesto: l'"ambiente" significativo all'interno del quale si situa l'atto
comunicativo.
Referente: l'oggetto della comunicazione, a cui si riferisce il messaggio.
Messaggio: è ciò che si comunica e il modo in cui lo si fa.
Il processo comunicativo ha una intrinseca natura bidirezionale, quindi il modello va interpretato nel senso che si ha comunicazione quando gli individui coinvolti sono contemporaneamente emittenti e riceventi di messaggi. Infatti, anche in un monologo chi parla ottiene dalla controparte un feedback continuo, anche se non verbale. Questo fenomeno è stato riassunto con l'assioma (di Paul Watzlawick) secondo il quale, in una situazione in presenza di persone, "non si può non comunicare": perfino in una situazione anonima come sull’autobus o in un vagone del treno noi emettiamo per i nostri vicini continuamente segnali non verbali, che i nostri compagni di viaggio accolgono, confermano e rinforzano.
Già da questo semplice modello possiamo individuare aspetti potenzialmente problematici del processo comunicativo:
Il processo di comunicazione, anche se è formalmente cosa separata dal
mezzo attraverso il quale avviene, ne è comunque influenzato: se utilizzo il codice Morse, cercherò di limitare il messaggio il più possibile, se utilizzo una lettera userò un tono più formale rispetto ad una telefonata. Il mezzo influenza la comunicazione, e quindi per ogni argomento si potrà individuare il mezzo di comunicazione più adatto a trattarlo.
I messaggi, verbali e non verbali, emessi in un dato momento, non sono
sempre congruenti tra loro. Posso dire una cosa con le parole e una diversa con i gesti, ad esempio posso dire una frase gentile ma avere
un'espressione del volto contrariata ed ostile.
L'interpretazione del contesto all'interno del quale avviene lo scambio
comunicativo non è sempre identica o congruente: l’intenzione dell’emittente può essere interpretata dal ricevente diversamente.
Da tutto ciò emerge chiaramente che la comunicazione non sempre "funziona"; questo dato viene confermato spesso nella nostra esperienza quotidiana. In situazioni particolari come i conflitti interpersonali, o anche quando sono in gioco patologie mentali la comunicazione diventa particolarmente difficile e può produrre ulteriore disagio.
Modelli di comunicazione interpersonale
Paul Watzlawick3 e colleghi (1967) hanno introdotto una differenza fondamentale
nello studio della comunicazione umana, evidenziando che ogni processo comunicativo tra esseri umani possiede due dimensioni distinte: da un lato il contenuto, costituito da ciò che le parole dicono, dall'altro la relazione, cioè quello che i parlanti fanno intendere, a livello verbale e più spesso non verbale, sulla qualità della relazione che esiste tra loro.
Il modello di Friedemann Schulz von Thun: il quadrato della comunicazione.
3 Paul Watzlawick (Villach, 25 luglio 1921 – Palo Alto, 31 marzo 2007) è stato un eminente esponente della statunitense Scuola di Palo Alto, seguace del costruttivismo, inizialmente di formazione psicoanalitica junghiana, successivamente fu tra i fondatori e tra i più importanti esponenti dell'approccio sistemico. Lavorò a lungo al Mental Research Institute.. Nel 1967, assieme a J.H. Beavin e D.D. Jackson, pubblicò una pietra miliare della psicologia mondiale: "Pragmatica della comunicazione umana"Watzlawick era fortemente convinto che l'esistenza umana avessehasempre e comunque un aspetto relazionale e contestuale
Nel 1981, lo psicologo Friedemann Schulz von Thun, dell'Università di
Amburgo4, ha proposto un modello di comunicazione interpersonale distinguendo
quattro dimensioni diverse, che si inseriscono nel cosiddetto "quadrato della comunicazione":
Contenuto: di che cosa si tratta? (lato blu del quadrato, in alto). Si
tratta proprio del dato di fatto in quello che diciamo. Ad esempio se dico: “Questa minestra è fredda!”, in questo messaggio c’è sicuramente l’informazione circa la temperatura della minestra come viene da me percepita, ma è possibile avvertire anche qualcos’altro.
Appello: che effetti vuole ottenere chi parla? Ciò che il parlante
chiede, esplicitamente o implicitamente, alla controparte di fare, dire, pensare, sentire. (lato rosso, a destra), ossia quello che vorrei indurti a fare; è molto spesso implicito, poco chiaro e meriterebbe molta attenzione: nella frase precedente potrebbe essere sottintesa una richiesta di questo tipo: “Desidero che tu mi prepari una minestra calda, invece che questa fredda dimostrandomi, così facendo, l’attenzione che desidero”.
Relazione: come definisce il rapporto con te, che cosa ti fa capire
di pensare di te, colui che parla? (lato giallo, in basso). Le cose cambiano se quella frase è rivolta da un marito seccato alla propria moglie, o da una mamma al figlio che non mangia cose calde. Infatti in ogni messaggio è insita la definizione della relazione tra gli interlocutori. In che posizione reciproca siamo? Chi sei tu per me? Chi ha più potere? Chi dovrebbe ubbidire? Che ruoli sto assegnando?
Rivelazione di sé: ogni volta che qualcuno si esprime rivela,
consapevolmente o meno, qualcosa di sé (lato verde, a sinistra). Dire qualcosa in modo brusco, amorevole, neutro, sollecito, ansioso dà informazioni all’altro su chi siamo e su chi vogliamo essere in quel particolare momento.
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Questa rappresentazione dei nostri scambi ci aiuta a capire da dove può derivare il blocco e il conflitto. Infatti, possiamo far sembrare un messaggio qualcosa di diverso da quello che è. Immaginiamo che un adolescente chieda alla madre dov’è la sua maglietta e lei risponda stizzita che è nell’armadio, dove stanno sempre tutte le magliette. Si tratta di uno scambio solo apparentemente informativo, ma che in realtà definisce la relazione tra i due, e specifica anche che la mamma vorrebbe che il figlio se la cavasse da solo, mentre il figlio vorrebbe tutte le magliette esattamente dove gli servono al momento opportuno – e forse vorrebbe essere indipendente in una casa sua. Entrambi presentano una certa tesione.
Questa mappa della comunicazione ci aiuta a rispondere tenendo conto del lato forse più importante del messaggio, quello che riguarda l’informazione sulla relazione.
Queste quattro dimensioni si possono tener presenti sia nel formulare messaggi che nell'ascolto e nell'interpretazione dei messaggi di altri. In questo secondo caso la "scuola di Amburgo" parla delle "quattro orecchie" (corrispondenti ai "quattro lati del quadrato della comunicazione") su cui ci si può sintonizzare.
Ad esempio, per potermi offendere nell'ascoltare una certa comunicazione, dovrò assegnare ad essa significato sintonizzandomi sull'orecchio "giallo", quello che tende a vedere nella comunicazione degli altri il loro soppesarci, il segno cioè di quanto questi ci rispettino. Questo modello visualizza come siamo sempre liberi di assegnare a qualsiasi comunicazione un significato oppure un altro, evidenzia così il potere di chi ascolta nel contribuire a definire la qualità di una interazione. E’
possibile, ad esempio, sintonizzarci anche sull'orecchio verde, e chiederci di fronte ad una comunicazione che ci pare irritante (ma solo se prima cisiamo sintonizzati sull'orecchio giallo) come si sente la persona che parla per sentire il bisogno di parlare in quel modo.
La comunicazione interpersonale, che coinvolge più persone, è basata su una relazione in cui gli interlocutori si influenzano vicendevolmente in modo circolare.
La comunicazione interpersonale si suddivide a sua volta in tre parti:
La comunicazione verbale, che avviene attraverso l'uso del linguaggio, sia
scritto che orale, e che dipende da precise regole sintattiche e grammaticali.
La comunicazione non verbale, la quale avviene senza l'uso delle parole,
attraverso canali diversi, come mimiche facciali, sguardi, gesti, posture.
La comunicazione para verbale, che riguarda caratteristiche della voce, il
tono, il volume e il ritmo ed anche le pause e altre espressioni sonore quali, ad esempio, lo schiarirsi la voce.
I fattori che influenzano il comportamento comunicativo sono il contesto socio-ambientale e il tipo di relazione (su tre direttrici: parità/potere, familiarità/estraneità, confidenza/freddezza), i ruoli dei comunicanti (la loro identità al momento dello scambio), il canale comunicativo (visivo, telefonico).
Ogni comunicazione può subire un certo grado di distorsione del messaggio i cui meccanismi principali sono:
1. La cancellazione che dipende dalla nostra capacità che può percepire solo una quantità ridotta di stimoli.
2. La generalizzazione che si presenta quando categorizziamo in modo errato, o per un pregiudizio piuttosto che per una relazione logica.
3. La deformazione che dipende dai nostri limiti sensoriali che spesso colmiamo per mezzo della fantasia, oppure a causa di aspettative eccessive o difese psicologiche.
Quando un individuo che comunica non riesce a trasmettere il messaggio si ha il fallimento della comunicazione che può derivare dai tre seguenti fenomeni:
Emissione inefficace: l’emittente non riesce a tradurre
efficacemente in codice il suo messaggio (può avere cause diverse, ad es. dall’inibizione emotiva alla povertà lessicale).
Ricezione inefficace: dovuta ad una deficienza sensoria del
ricevente, o ai meccanismi di distorsione sopra riportati.
Disgiunzione della comunicazione: quando le persone che
interagiscono non condividono lo stesso codice (linguaggio o convenzioni non verbali).
La funzione pragmatica della comunicazione di Paul Watzlawick
“Comunicazione è qualsiasi evento, cosa, comportamento che modifica il valore di probabilità del comportamento di un organismo” (Paul Watzlawick).
La Scuola di Palo Alto5, con Gregory Bateson, Paul Watzlawick, Janet Helmick
Beavin, Don D. Jackson ed altri, negli anni Sessanta definì, a partire da nozioni
teoriche elaborate dalla sperimentazione sul campo, la funzione pragmatica6 della
comunicazione, cioè la capacità di provocare degli eventi nei contesti di vita attraverso l’esperienza comunicativa, intesa sia nella sua forma verbale che in quella non-verbale. Con riferimento al concetto di retroazione sviluppato dalla cibernetica, si può affermare che, all’interno di un qualsiasi sistema interpersonale
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La Scuola di Palo Alto è una scuola di psicoterapia statunitense che trae il suo nome dalla località californiana dove sorge il Mental Research Institute, centro di ricerca e terapia psicologica fondato da Don D. Jackson negli anni cinquanta del Novecento, a sua volta largamente ispirata dalla Terapia della Gestalt di Fritz Perls.A seguito della persecuzione degli ebrei e della psicoanalisi da parte del nazismo e del fascismo, molti studiosi europei di psicologia si trasferirono negli Stati Uniti, dando origine ad una fiorente scuola di psicoterapia. La cosiddetta terapia breve (o brief therapy) è uno dei risultati più significativi fra le innovazioni introdotte dagli psicoterapeuti della Scuola di Palo Alto.
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L’uso moderno della parola pragmatica viene ricondotta al filosofo Morris che si preoccupò di distinguere all’interno della teoria dei segni, o semiotica, tre indirizzi di ricerca:1. La sintassi, o studio delle relazioni formali di un segno con l’altro; 2. La semantica, o studio delle relazioni dei segni con gli oggetti cui si applicano;3. La pragmatica, o studio delle relazione dei segni con gli interpretanti. Successivamente (secondo Levinson) il termine pragmatica è stato usato in due modi ben distinti, da una parte si è conservato il senso attribuitogli da Morris, dall’altro il suo significato si è progressivamente ristretto ad indicare lo studio degli aspetti della lingua che esigono il riferimento agli utenti della lingua stessa.
(come una coppia, una famiglia, un gruppo di lavoro, una diade terapeuta-paziente), ogni persona influenza le altre con il proprio comportamento ed è parimenti influenzata dal comportamento altrui. La stabilità e il cambiamento del sistema sono determinati da questi circuiti di retroazione: l’informazione in ingresso può venire amplificata (retroazione positiva) e provocare un cambiamento nel sistema, oppure può venire neutralizzata (retroazione negativa) e mantenere la stabilità dello stesso.
I sistemi interpersonali caratterizzati da un tipo di comunicazione patologica, come nel caso delle famiglie con un membro schizofrenico, sono di solito molto stabili, quasi cristallizzati; il ruolo e l’esistenza del paziente sono indispensabili per la stabilità del sistema familiare, che reagirà con un loop di retroazioni negative in risposta a qualsiasi tentativo di cambiamento della sua organizzazione (omeostasi del sistema familiare).
I cinque assiomi della comunicazione umana 1. È impossibile non comunicare
Qualsiasi comportamento, nella interazione tra persone, è ipso facto una forma di comunicazione.Quindi, qualunque atteggiamento assunto da un individuo (poiché non esiste un non-comportamento) diventa significativo per gli altri: ha dunque valore di messaggio. La comunicazione può essere anche involontaria, non intenzionale, non conscia ed inefficace. Anche i silenzi, l’indifferenza, la passività e l’inattività sono forme di comunicazione, perché contengono un significato ed un messaggio al quale gli altri partecipanti all’interazione debbono rispondere. Quindi non si tratta “se” una persona sta comunicando, ma “cosa” sta
comunicando, anche per mezzo del silenzio7.
7 L’importanza di non-comunicare è un fenomeno che riveste un interesse più che teorico, ad esempio è parte integrante del “dilemma” schizofrenico. Se il comportamento schizofrenico è osservato lasciando in sospeso ogni considerazione eziologia, sembra che lo schizofrenico cerchi di non-comunicare. Ma poiché anche il silenzio, il ritrarsi e ogni altra forma di diniego è comunicazione, lo schizofrenico si trova di fronte al compito impossibile di negare che egli sta comunicando e al tempo stesso negare che il suo diniego è comunicazione. Ma il tentativo di non-comunicare, non è un comportamento riscontrabile solo in casi di schizofrenia. Il campo dove più si estendono le sue implicazioni è quello dell’interazione umana. Una situazione tipica è l’incontro tra due estranei di cui uno vuol comunicare, mentre l’altro no.
2. I livelli comunicativi di contenuto e relazione
Ogni comunicazione comporta un aspetto di metacomunicazione che determina la
relazione tra i comunicanti8: in sostanza si parla di un aspetto di contenuto e di un
aspetto di relazione del messaggio. Si può dire che ogni comunicazione, oltre a trasmettere informazione, implica un impegno tra i comunicanti e definisce la natura della loro relazione. Il ricevente accoglie un messaggio “oggettivo” per quanto riguarda l’informazione trasmessa, che contiene, però, anche un aspetto metacomunicativo che definisce un’ampia gamma di possibili relazioni tra i due comunicanti. L’aspetto di relazione di una comunicazione è definito dai termini in cui si presenta la comunicazione stessa, dal non-verbale che ad essa si accompagna e dal contesto in cui questa si svolge. Definendo la relazione tra i due comunicanti, questi definiscono implicitamente sé stessi: una delle funzioni della comunicazione consiste nel fornire ai comunicanti una conferma o un rifiuto del proprio Sé. Attraverso la metacomunicazione si sviluppa la consapevolezza del Sé, la coscienza degli individui coinvolti nell’interazione. È fondamentale che ognuno dei comunicanti sia consapevole del punto di vista dell’altro (concetto di percezione interpersonale); la mancanza di coscienza della percezione interpersonale è definita impenetrabilità da Lee e si può riscontrare nelle famiglie con un membro schizofrenico dove i modelli comunicativi risultano devastanti per colui che riceve messaggi di impenetrabilità e di disconferma del sè.
3. La punteggiatura della sequenza di eventi
La natura di una relazione dipende anche dalla punteggiatura delle sequenze di scambi comunicativi tra i comunicanti che differenzia la relazione tra gli individui coinvolti nell’interazione e definisce i loro rispettivi ruoli. La punteggiatura di una sequenza di eventi può essere considerata una delle possibilità d’interpretazione
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La capacità di metacomunicare in modo adeguato è la conditio sine qua non della comunicazione efficace, ma è anche strettamente collegata al problema della consapevolezza di sé e degli altri.ESEMPIO: marito invita un amico, questo invito è causa di litigio con la moglie. Perché? Entrambi i coniugi erano d’accordo sul fatto che l’amico bisognava invitarlo, non erano invece d’accordo a livello di metacomunicazione.Sorgono due punti in questione: a) come agire adeguatamente in una certa situazione pratica? In questo punto è possibile comunicare con un modulo numerico;b) la relazione tra i due comunicanti è un punto non risolvibile con un modulo numerico, perché richiedeva che i coniugi fossero in grado di parlare sulla loro relazione. NON ERANO D’ACCORDO A LIVELLO DI METACOMUNICAZIONE, MA LO ERANO A LIVELLO DI CONTENUTO. La confusione tra l’aspetto di contenuto e quello di relazione è un fenomeno molto frequente. In questo esempio il terapeuta si rende subito conto della pseudomancanza d’accordo dei coniugi, ma a loro, tutto questo sembra un fatto del tutto nuovo.
degli eventi stessi, per cui anche i ruoli dei comunicanti sono definiti dalla disponibilità degli individui stessi ad accettare un sistema di punteggiatura piuttosto che un altro. Watzlawick porta ad esempio la cavia da laboratorio che dice di aver addestrato bene il suo sperimentatore: ogni volta che preme la leva, questo le dà da mangiare; questa non accetta la punteggiatura che lo sperimentatore cerca di imporre, secondo la quale è lo sperimentatore stesso che ha addestrato la cavia e non il contrario.
Il modo di interpretare la punteggiatura è funzione della relazione tra i comunicanti. Infatti, poiché la comunicazione è un continuo alternarsi di flussi comunicativi da una direzione all’altra, un movimento circolare di informazioni, le variazioni di direzione del flusso comunicativo sono scandite dalla punteggiatura e il modo di leggerla è determinato dal tipo di relazione che lega i
comunicanti9.
4. Comunicazione numerica e analogica
Il quarto assioma attribuisce agli esseri umani la capacità di comunicare sia tramite un modulo comunicativo digitale (o numerico) sia con un modulo analogico. Se ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e uno di relazione, il primo verrà trasmesso soprattutto con un modulo digitale e il secondo attraverso un modulo analogico. La comunicazione analogica comprende tutta la comunicazione non-verbale. La comunicazione verbale segue il modulo digitale, perché le parole pur essendo segni arbitrari e privi di una correlazione con la cosa che rappresentano, permettono una manipolazione secondo le regole della sintassi logica che li organizza.
Nella comunicazione analogica questa correlazione invece esiste: in ciò che si usa per rappresentare la cosa in questione è presente qualcos’altro di simile alla cosa stessa. La comunicazione numerica possiede un grado di astrazione, di versatilità, nonché di complessità e sintassi logica enormemente superiore rispetto alla comunicazione analogica, ma anche dei grossi limiti per quanto riguarda la trasmissione dei messaggi sulla relazione tra i comunicanti; al contrario, mentre la
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Le discrepanze relative alla punteggiatura delle sequenze di comunicazione si presentano in tutti quei casi in cui almeno uno dei comunicanti non ha lo stesso grado di informazione dell’altro, senza tuttavia saperlo.
comunicazione analogica risulta molto più ricca e significativa quando la relazione è l’oggetto della comunicazione in corso, al tempo stesso può risultare ambigua a causa della mancanza di sintassi, di indicatori logici e
spazio-temporali10.
5. L’interazione complementare e simmetrica
Quest’ultimo assioma si riferisce ad una distinzione nella natura delle relazioni: relazioni basate sull’uguaglianza oppure sulla differenza. Nel primo caso si parla
di relazioni simmetriche11, in cui entrambi i partecipanti tendono a rispecchiare il
comportamento dell’altro (ad es. nel caso della diade dirigente-dirigente, o dipendente-dipendente); nel secondo si parla di relazioni complementari, in cui il comportamento di uno dei comunicanti completa quello dell’altro (ad es. dirigente-dipendente). Nella relazione complementare uno dei due comunicanti assume la posizione one-up (superiore) e l’altro quella one-down (inferiore); i diversi comportamenti dei partecipanti si richiamano e si rinforzano a vicenda, dando vita ad una relazione di interdipendenza in cui i rispettivi ruoli one-up e one-down sono stati accettati da entrambi (ad es. le relazioni madre-figlio, medico-paziente, istruttore-allievo, insegnante-studente). Comunque, “i modelli di relazione simmetrica e complementare si possono stabilizzare a vicenda” e “i cambiamenti da un modello all’altro sono importanti meccanismi omeostatici”. Questa suddivisione ci permette di classificare ogni interazione comunicativa in uno dei due gruppi e non vi è espresso nessun giudizio di valore.
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L’attività di comunicare comporta anche la capacità di coniugare questi due linguaggi e di tradurre dall’uno all’altro i messaggi ricevuti e quelli da trasmettere. In entrambi i casi è difficile tradurre e si possono compiere alcuni errori.In particolare, quando si traduce da un linguaggio numerico ad uno analogico, in quanto il linguaggio analogico manca di molti elementi che invece il linguaggio numerico ha. Quindi bisogna aggiungerli durante la traduzione. Uno degli errori fondamentali che si compiono quando si traduce, da un modulo di comunicazione ad un altro, è quello di supporre che un messaggio analogico sia per natura assertivo o denotativo. Nel tradurre da un messaggio analogico a uno numerico, bisogna aggiungere funzioni di verità logiche che mancano al modulo analogico. Tale assenza si nota maggiormente quando si deve negare nel qual caso equivale sostanzialmente alla mancanza del “non “numerico.
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In una relazione simmetrica è sempre presente il pericolo della competitività. Si può osservare che l’uguaglianza sembra essere più rassicurante se si riesce ad essere un po’ più uguali degli altri. Questa è una tendenza a cui si deve la qualità tipica di escalation simmetrica una volta che si abbia perduto la stabilità. La patologia dell’interazione simmetrica è quindi caratterizzata da uno stato di guerra più o meno aperto o scisma. In una relazione simmetrica sana i partner sono in grado di accettarsi come sono il che li porta alla fiducia e al rispetto reciproci ed equivale ad una conferma dei rispettivi sé. Quando in una relazione simmetrica si arriva ad una rottura si osserva che il partner rifiuta piuttosto che disconfermare il sé dell’altro.
Analisi transazionale e comunicazione
L’Analisi Transazionale di Eric Berne12
è una teoria psicologica della personalità e delle relazioni interpersonali, che fonda e costruisce i suoi principi basilari su una originale analisi della comunicazione verbale. Nata in ambito clinico, è facilmente adattabile anche a contesti non clinici: ha avuto progressiva diffusione
e affermazione in ambiti quali l’organizzazione e la formazione aziendale13
, i
campi sociali , la scuola14 etc.. Il suo apparato teorico considera lo sviluppo della
persona, a livello sia intrapsichico che dei comportamenti interpersonali, come un processo che si definisce all’interno delle relazioni sociali e attraverso esse. L’Analisi Transazionale (AT) si caratterizza, essenzialmente e in modo costitutivo, per l’attenzione rivolta allo studio della comunicazione interpersonale. L’AT nasce tra la fine degli anni ‘50 e l’inizio degli anni ‘60 in California, nello stesso contesto storico-cultuale e geografico in cui si sono sviluppati i movimenti innovatori della Scuola di Palo Alto di Gregory Bateson, Paul Watzlawick e
collaboratori, la Gestalt therapy di Fritz Perls15 e, ancor prima, la psicoterapia
rogersiana16. Il suo ideatore e padre fondatore Eric Berne17 (1910-1970),
12
Berne è noto in America e in Europa come colui che ha dato origine e sviluppo all'Analisi Transazionale, una teoria della personalità che, tra l'altro, ha contribuito in maniera fondamentale allo sviluppo della terapia di gruppo. Nei primi sei articoli scritti da Berne, poi riuniti nel libro Intuizione e stati dell'Io, appaiono le prime riflessioni sull'analisi transazionale. Nel terzo articolo, pubblicato in The Psychiatric Quarterly nel 1953 dal titolo: Natura della Comunicazione. Berne studia i messaggi comunicativi da un'ottica sistemica, separando cioè la comunicazione manifesta da quella latente (livello sociale e psicologico). L'autore parla di rumore per riferirsi al messaggio che la persona comunica non volendo, e di informazione per indicare ciò che la persona desidera comunicare.
13
Jongeward 1973;Ferrari 1989; Wagner 1990.
14
Ernst1972; De Martino et al. 1990.
15
La prospettiva della Gestalt-Therapy è riassunta da Perls in quattro parole: Io, Tu, Qui e Adesso. L'espressione Io e Tu (mediata da Martin Buber), indica la relazione autentica fra terapeuta e paziente, con l'idea guida di un rapporto terapeutico creativo che rispetti la singolarità di ogni essere umano.
16 L'approccio centrato sulla persona, sviluppato appunto da Carl Rogers, si basa su una concezione positiva della persona partendo dal presupposto che ognuno abbia valore e capacita' di autodeterminazione. Per Rogers quindi la persona gia' possiede le capacita' per auto-comprendersi, modificare e migliorare il proprio comportamento (tendenza attualizzante). Ruolo del Terapeuta e' facilitare questo compito creando un clima di accettazione, empatia, responsabilizzazione, che faciliti l'auto-realizzazione del Cliente.
17 La teoria originaria dell'analisi transazionale, così come venne elaborata da Berne, può essere considerata un'evoluzione in senso relazionale della psicoanalisi freudiana.Le basi empiriche e fenomenologiche, insieme ad una impalcatura epistemologica sostenuta dal pragmatismo filosofico, ne fanno non solo una teoria della personalità, ma anche una teoria dello sviluppo e delle comunicazioni relazionali, estendendo soprattutto su questo versante la teoria freudiana, legata ad una visione meccanicistica del funzionamento della psiche, basata su una dinamica "idraulica" dell'apparato mentale, secondo il modello medico dell'Ottocento positivista.Anche gli influssi dell'approccio centrato sulla persona di Carl Rogers sono evidenti e fanno sì che l'analisi transazionale tenga sempre in primo piano i bisogni della persona piuttosto che la direttività
psichiatra canadese di formazione psicoanalitica, elabora i concetti fondamentali dell’AT (stati dell’Io, transazioni, copione di vita, giochi psicologici) e il suo caratteristico ed originale orientamento, che tende a privilegiare l’analisi dei comportamenti manifesti (della comunicazione interpersonale in particolare) rispetto alle interpretazioni di strutture e dinamiche intrapsichiche, proprie della tradizionale impostazione psicoanalitica. Nella AT, la comunicazione interpersonale diviene fondamentale oggetto d’indagine, ma anche un importante strumento operativo: il cambiamento della persona, come obiettivo della terapia o della formazione, passa necessariamente attraverso un cambiamento da adottare e concretizzare nelle modalità comunicative e negli atteggiamenti relazionali, nei
confronti di se stessi e degli altri18. Nozioni focali dell’AT come teoria della
comunicazione interpersonale sono:
-transazione: l’unità fondamentale del rapporto sociale.
-strutturazione del tempo: le modalità secondo cui gli individui organizzano le interazioni sociali. Descrive alcuni modelli dialogici tipici e generali che riproducono le attività comunicative che è possibile porre concretamente in atto (Isolamento, Procedure e Rituali, Passatempi, Attività, Giochi e Intimità).
Ogni membro di un aggregato mira a trarre il maggior numero di soddisfazioni possibile dalle transazioni con gli altri membri. Più egli è aperto più soddisfazioni può ottenere in termini di carezze (riconoscimenti). La forma più remunerativa di contatto sociale è l’intimità, ma l’intimità prolungata è rara, allora più comunemente il rapporto sociale di una certa importanza assume la forma del gioco.
1-Struttura dell’Io
L’osservazione dell’attività sociale spontanea, rivela che la gente, talvolta, muta atteggiamenti, punti di vista, voce e vocabolario e altri aspetti del comportamento, e l'applicazione del letto di Procuste dello schematismo teorico alla complessa realtà del paziente. Negli anni cinquanta la teoria della comunicazione subì grandi sviluppi, principalmente grazie agli scienziati della comunicazione che dettero vita alla cibernetica, e le Regole della comunicazione enunciate da Berne sono il distillato di questi progressi applicati alla teoria psicologica analitico-transazionale.
18
L'Analisi Transazionale fornisce la base teorica per un lavoro terapeutico che si rivolge a proteggere e sviluppare il Problem solving. Attività, stato e capacità dell'individuo "Spontaneo", un metodo che consiste nell'individuare i propri bisogni e desideri, con precisione e realismo, ed agire in maniera concreta ed efficace per realizzarli in tempo utile, impiegando tutte le informazioni a disposizione.
insieme al modo di sentire, in corrispondenza ad un particolare stato psichico o stato dell’Io. L'analisi transazionale schematizza la struttura di personalità di ogni individuo rappresentandola graficamente con tre stati dell'io denominati Genitore, Adulto e Bambino. Lo stato dell’Io può essere definito come un insieme di
emozioni, pensieri e comportamenti che appaiono tra loro coerenti e collegati19.
Ciascun individuo ha avuto un genitore e conserva dentro di sé un insieme di stati che riproducono quelli dei genitori (come lui li vedeva), e questi stati possono essere attivati in particolari circostanze (tutti si portano i genitori dentro); ciascun individuo, anche i bambini, sono in grado di valutare i dati della realtà obiettiva, nel qui ed ora, cioè tutti hanno un Adulto dentro; ciascun individuo è stato bambino e si porta dentro residui degli anni passati che in certe circostanze si attivano, cioè tutti si portano un bambino/a dentro. Nel Bambino risiedono l'intuizione, la creatività, lo spontaneo impulso ad agire e la capacità di godere. L'Adulto è necessario per la sopravvivenza: valuta i dati di cui dispone e calcola le probabilità che gli si offrono. Il Genitore ha soprattutto due funzioni. In primo luogo consente agli individui di agire efficacemente come padri e madri di bambini veri, consentendo la perpetrazione del genere umano; in secondo luogo assicura l'automaticità di molte reazioni (è così che si fa), rappresenta le norme, i valori.
2- Le transazioni e le regole della comunicazione
L’AT “propriamente detta” si basa sull’analisi rigorosa di singole transazioni prodotte da due (o più) interlocutori a partire da specifici stati dell’Io. La transazione viene definita da Berne come l’unità fondamentale del rapporto sociale e consiste nella coppia rappresentata da uno “stimolo transazionale” seguito da una “risposta transazionale” tra stati dell’Io specifici di due interlocutori. “La si definisce transazione perché ognuna delle due parti in causa
ne ricava qualcosa che è poi la ragione per cui vi si impegna”20. L’AT, nella sua
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L'analisi transazionale teorizza l'io come formato da tre strutture rappresentate graficamente come una sola personalità, ovvero i tre Stati dell'Io, ognuno con le proprie funzioni:Genitore (Esteropsiche), Adulto (Neopsiche), Bambino
(Archeopsiche).
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espressione più semplice, si occupa di identificare quale stato dell’Io ha provocato lo “stimolo transazionale” e quale ha messo in moto la “risposta transazionale”. Berne identifica tre tipi fondamentali di transazioni, a cui vengono rispettivamente correlate altrettante regole con valore predittivo sull’esito delle transazioni stesse. 1) le transazioni parallele o complementari, dove lo Stato dell’Io cui si rivolge lo stimolo è uguale allo Stato dell’Io che emette la risposta. La prima regola della comunicazione, associata alle transazioni parallele, stabilisce che, di norma, tali transazioni potrebbero proseguire per un tempo indefinito senza che si verifichino “intoppi”nella comunicazione.
2) le transazioni incrociate, in cui lo Stato dell’Io che risponde è diverso da quello sollecitato dallo stimolo. La seconda regola della comunicazione, associata alle transazioni incrociate, prescrive che, di norma, quando tali transazioni si verificano la comunicazione si interrompe o subisce un brusco cambiamento di argomento e perché possa continuare è necessario che una o entrambe le persone cambino Stato dell'Io.
3) le transazioni ulteriori, caratterizzate da due strutture di transazioni complementari simultanee che veicolano messaggi su un duplice livello, uno sociale o superficiale e uno psicologico, nascosto o ulteriore; gli stati dell’io coinvolti sono quattro (due per ciascun interlocutore) nelle transazioni ulteriori duplici o tre (due per uno degli interlocutori e uno per l’altro) nelle transazioni ulteriori angolari. La terza regola della comunicazione, associata alle transazioni ulteriori, prescrive che l’esito delle transazioni sarà determinato dal livello psicologico della comunicazione e non da quello sociale.
3- Fame di stimolo, di riconoscimento, di struttura.
Berne nell’introduzione di “Games People Play”(1964) parla di tre bisogni fondamentali per la salute psicofisica umana, che spingono le persone ad entrare in relazione le une con le altre, guidandole nella strutturazione dei rapporti sociali. Questi bisogni, ordinati secondo una scala crescente sia dal punto di vista della complessità, sia in relazione alle fondamentali tappe evolutive dell’individuo, sono:
giorni di vita. “Dal punto di vista biologico, è probabile che la privazione emotiva e sensoria tenda ad instaurare o almeno a favorire dei mutamenti organici. (…) Si può dunque postulare l’esistenza di una catena biologica che va dalla privazione emotiva e sensoria all’apatia e di qui alle modifiche generative e alla morte. In questo senso la fame di stimolo ha con la sopravvivenza dell’organismo umano lo stesso rapporto della fame di cibo.”
2) fame di riconoscimento sociale, rappresenta la sublimazione nell’adulto della fame di stimolo infantile: gli esseri umani, per salvaguardare la loro salute fisica e mentale, hanno bisogno di essere riconosciuti dagli altri. Berne utilizza il termine carezza (stroke), per designare “ogni atto che implichi il riconoscimento di
un’altra persona”. La carezza21
rappresenta, dunque, l’unità fondamentale
dell’azione sociale: una transazione22
, unità del rapporto sociale, può essere definita anche come uno scambio reciproco di carezze.
(3) fame di struttura, che può essere intesa come un’estensione della fame di stimolo e di riconoscimento, infatti il soddisfacimento di tali bisogni ha necessità di situazioni strutturate in modo più o meno complesso, in cui gli individui possano scambiarsi carezze. Con la nozione di strutturazione del tempo Berne intende riferirsi all’insieme delle modalità che gli individui hanno a disposizione e mettono in atto sia “per riempire le ore di veglia” ed evitare la noia, sia, appunto, per dare e ricevere carezze.
4- Strutturazione del tempo e strutturazione della comunicazione
Gli individui avvertono il bisogno di strutturare il proprio tempo attraverso il loro comportamento sociale. Esso si esplica attraverso la comunicazione e, dunque,
21
L'AT considera le carezze e le modalità del loro scambio come strumento di diagnosi e di terapia. Durante lo sviluppo della personalità, l'individuo può imparare alcune regole non verbali che costituiscono la base della cosiddetta Stroke Economy: -non chiedere le carezze che desideri,-non dare le carezze che desideri dare,-non rifiutare le carezze che non desideri,-non accettare le carezze anche se le vuoi,-non dare carezze a te stesso. La Stroke Economy può essere insegnata dai genitori o dalle altre figure di attaccamento nel periodo in cui l'individuo dipende da loro per il proprio sviluppo e per migliorare il necessario controllo legato alla responsabilità. In seguito, negli individui possono verificarsi difficoltà a derogare da queste regole. La scelta di non consentirsi deroghe dalla Stroke Economy allontana l'individuo dalla spontaneità, un elemento importante dell'autonomia. Si generano così nell'individuo svalutazioni ed emozioni parassite.
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La Stroke Economy può essere insegnata dai genitori o dalle altre figure di attaccamento nel periodo in cui l'individuo dipende da loro per il proprio sviluppo e per migliorare il necessario controllo legato alla responsabilità. In seguito, negli individui possono verificarsi difficoltà a derogare da queste regole. La scelta di non consentirsi deroghe dalla Stroke Economy allontana l'individuo dalla spontaneità, un elemento importante dell'autonomia. Si generano così nell'individuo svalutazioni ed emozioni parassite.
attraverso le transazioni. In questo senso, la strutturazione del tempo, introdotta da Berne come categoria generale entro cui ricadono tutte le possibili serie di transazioni, può essere vista come una forma di “strutturazione della
comunicazione”23
. Infatti, ad eccezione del caso limite dell’isolamento, le altre possibili modalità per strutturare il tempo, vale a dire, rituali, passatempi, attività, giochi e intimità, rappresentano, secondo Berne, strutture interazionali, cioè modelli definiti e ricorsivi, individuati osservando il modo in cui le persone comunicano concretamente nella vita quotidiana e a cui devono necessariamente ricorrere.
L’isolamento rappresenta un “caso limite”: gli individui possono strutturare il proprio tempo nell’isolamento, sia allontanandosi fisicamente dagli altri, sia restando accanto a qualcuno o all’interno di un gruppo di persone ma ritirandosi mentalmente. Le transazioni, nel caso dell’isolamento, avvengono solo internamente alla persona, attraverso un dialogo interiore. In una certa misura l’isolamento è un comportamento sano, normale e spesso arricchente in quanto funzionale alla riflessione e alla conoscenza di sé. Naturalmente, la strutturazione del proprio tempo prevalentemente nell’isolamento dagli altri può risultare disfunzionale per la vita sociale e per la salute psicofisica degli individui fino a portare ad una vera e propria patologia (depressione, pensiero autistico, fantasie paranoiche etc.).
I rituali sono scambi fortemente schematizzati e prevedibili, come se le persone coinvolte in un rituale leggessero le battute da un copione. I rituali possono essere sia informali (ad es. i saluti), sia formali e rispondenti a precisi cerimoniali (ad es. una funzione civile o religiosa). I rituali informali si compongono di una serie limitata di transazioni complementari, brevi e semplici, comunicano poche informazioni e sono sostanzialmente segnali di reciproco riconoscimento sociale. I rituali formali possono anche essere molto lunghi e complessi e coinvolgere un gran numero di persone ma comunque si tratta di scambi fortemente stereotipati, pre-programmati a livello sociale, di breve durata e a bassa “intensità emotiva”,
che forniscono agli individui una limitata, ma significativa, dose di familiari carezze positive. Le altre modalità di strutturazione del tempo rappresentano, per usare un’espressione di Berne, “ciò che gli individui fanno dopo essersi
salutati”(Berne 1972)24
.
Le attività sono ciò che viene comunemente chiamato “lavoro”: l’energia è rivolta verso fonti esterne (oggetti o pensieri), in vista di un obiettivo concreto. Si tratta di forme di rapporto sociale ancora “poco rischiose” e con un carico emotivo variabile ma non molto elevato. Le transazioni tipiche di questa modalità di strutturazione del tempo sono complementari, orientate verso la realtà esterna e sono programmate sulla base del materiale (fisico o intellettuale) trattato. Lo stato dell’Io coinvolto è prevalentemente l’Adulto, che cerca di risolvere concretamente e razionalmente un problema sulla base delle proprie competenze. Le attività procurano carezze condizionate esterne, che possono essere sia positive (riconoscimenti e lodi per un lavoro ben svolto) che negative (critiche, richiami,
rimproveri etc.), ma anche carezze condizionate interne (come
autocompiacimento o autocritica). Le attività, inoltre, possono fornire un contesto in cui attivare altre forme di strutturazione del tempo: ad esempio, due persone che passano una gran quantità di tempo lavorando insieme ad un progetto possono iniziare a conoscersi e a dar vita facilmente a passatempi, ma anche ad entrare nei giochi o nell’intimità.
I passatempi rappresentano una categoria molto vasta e diffusa. Sono scambi tipici e caratterizzati da una certa ripetitività, ma non schematici e prevedibili come i rituali. Sono costituiti da una serie di transazioni complementari semi-ritualistiche che ruotano attorno ad un singolo argomento o ad una classe di argomenti. Anche se non sono rigidamente codificati come i rituali, esiste un tacito accordo tra le persone coinvolte nel seguire una certa linea di condotta nella discussione, come se ci fosse uno schema o canovaccio generale. I passatempi hanno come obiettivo principale e riconosciuto quello di strutturare, di riempire un intervallo di tempo sottraendo spazio ad un silenzio, spesso, socialmente poco accettato. Possono assumere la forma delle “quattro chiacchiere”, del “parlare del più e del meno” o diventare più seri e prendere, ad esempio, un carattere polemico. Esistono tipi di
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passatempi vari e piuttosto eterogenei: le determinanti esterne sono sociologiche (ad es., sesso, età, ambiente socio-culturale etc.). La lista degli argomenti, poi, può essere allargata in modo indefinito e include l’intero spettro degli interessi
personali: Berne (1964a)25 cita, tra gli altri, i “discorsi da uomini”e i “discorsi da
donne”, con tutte le possibili declinazioni specifiche. e i “discorsi da adolescenti”. I passatempi hanno una ulteriore funzione come processi di selezione sociale per dar vita a rapporti più complessi: permettono di raccogliere informazioni sulle idee e gli interessi dell’altra persona; servono a scegliere conoscenti e possono portare alle amicizie. Un passatempo, normalmente, può anche combinarsi con un’attività, così come può sfociare in un gioco o gettare le basi per l’intimità; inoltre grazie ai passatempi gli individui confermano le proprie opinioni e convinzioni e consolidano i ruoli interazionali assunti di preferenza, gli atteggiamenti mentali, le posizioni esistenziali etc.
5- I giochi psicologici
L’interesse di Berne e degli analisti transazionali si è concentrato soprattutto su quella modalità di strutturazione del tempo denominata gioco psicologico. I giochi sono fenomeni comunicativi “patologici”, cioè disfunzionali, ma anche molto diffusi, in particolare nel contesto delle relazioni significative: infatti i giochi
individuati, descritti e analizzati da Berne26 sono correlabili con il concetto di
conflitto. I giochi hanno una struttura tipica27, costituita da una serie di mosse in
sequenza, stabilite e ricorrenti, fatta di manovre “strategiche”. I giochi sono anche
25
Berne E., Games People Play. Published in 1964.
26 Berne, E. (2000) A che gioco giochiamo, Milano, Tascabili Bompiani Rcs. 27
È una tipologia di Strutturazione del tempo ad alto contenuto emotivo, ma altamente prevedibile, che si svolge secondo uno schema fisso e termina in modo sgradevole per entrambi i partecipanti. Alla base di dipendenze, litigi frequenti, incomprensioni durevoli e simili sofferenze. Lo schema è il seguente: G + A = R > S > X > TC. G = Gancio, vale a dire la prima mossa o stimolo che compie il giocatore partendo da una svalutazione di sé, o degli altri, o della realtà, e cercando di coinvolgere altre persone nel proprio gioco (Francesco si lamentava dicendo di non saper eseguire la consegna, perché era per lui troppo difficile: svalutazione di sé). A = Anello, vale a dire l'aggancio dell'interlocutore allo stimolo, il punto debole di chi si lascia "agganciare" (l'insegnante risponde che l'attività non è affatto difficile e che si può eseguire anche in poco tempo). R = Risposta al G + A nella comunicazione (Francesco dice che proverà a svolgere il compito, ma non lo finisce; l'insegnante si infuria e minaccia di mandarlo fuori in punizione per l'intera giornata). S = Scambio di ruoli (o Colpo di scena) che avviene ad un certo punto del gioco (Francesco inizia a disturbare in classe perseguitando la maestra; l'insegnante, vittima del suo atteggiamento, sente di non riuscire a dominarlo). X = Confusione, vale a dire disagio psicologico negli interlocutori (sia Francesco sia l'insegnante avvertono un notevole intensificarsi del vissuto emotivo). TC = Tornaconto, vale a dire stato d'animo finale negativo in entrambi gli interlocutori (Francesco è triste perché rimane lontano dalla sua maestra e dai suoi compagni tutto il giorno, mentre l'insegnante sente di aver fallito come insegnante e come educatrice).
dei comportamenti appresi fin dalla prima infanzia, attraverso le esperienze quotidiane più significative, una forma di adattamento all’ambiente per risolvere problemi e soddisfare bisogni inappagati. La ripetitività dei giochi si esplica in due sensi: in prospettiva trasversale, in quanto è possibile individuare delle strutture comunicative tipiche che individui diversi possono mettere in atto rivestendole di contenuti personali; in prospettiva longitudinale o personale, in quanto gli stessi individui tendono ad effettuare dei giochi preferenziali che ripropongono nel corso del tempo, cercando dei “compagni di gioco” disposti ad assumere ruoli complementari. Da un punto di vista formale-strutturale, dunque, i giochi sono costituiti da una serie di transazioni ulteriori di tipo ripetitivo, volte ad un risultato ben definito e prevedibile. La presenza di transazioni ulteriori, quindi di un duplice livello di comunicazione, implica quella di uno scopo o motivazione nascosta, non verbalizzata, di cui gli individui non sono consapevoli. Considerando gli stati dell’Io coinvolti, infatti, i giochi vengono attuati dal Genitore e dal Bambino, al di fuori della consapevolezza dell’Adulto. Gli interlocutori che partecipano ad un gioco assumono dei ruoli complementari che portano avanti finché uno dei due non attua uno scambio: questo improvviso cambiamento è seguito da un momento di smarrimento e confusione e, infine, dall’insorgenza in entrambi i giocatori di un sentimento spiacevole. L’esito è, normalmente, infelice: il tornaconto che si riscuote con i giochi è un sentimento che implica una svalutazione o di sé, o dell’interlocutore o di entrambi, e che agisce come conferma e rafforzamento del copione. In Games People Play
(1964a) Berne28 descrive le caratteristiche generali dei giochi attraverso l’analisi
28
Berne E., Games people play, 1964- Nell'introduzione al libro, Berne spiega al lettore gli elementi della teoria del rapporto sociale, quali il concetto di fame e di stimolo valutati non solamente dal punto di vista biologico ma anche sotto l'aspetto sociale e psicologico. Il concetto di fame assume le sembianze della fame di riconoscimento infantile, mentre la carezza, intesa come intimo contatto fisico, diviene l'unità fondamentale dell'azione sociale e, quando scambiata, forma una "transazione", ossia l'unità del rapporto sociale. La terza fame fondamentale, dopo quella di stimolo e di riconoscimento è quella di struttura, ossia la modalità di configurare le ore della veglia grazie ad una programmazione materiale, sociale ed individuale. L'essere umano dispone solo dell'attività e della fantasia per strutturare la sua vita quotidiana e ancora più nello specifico possiede cinque frecce nel suo arco che si chiamano nell'ordine di complessità: ritualismi, passatempi, giochi, intimità e attività di spunto e di raccordo fra le altre. Il primo capitolo presenta gli stati dell'io (genitore, adulto, bambino), ossia le realtà psicologiche adottate da qualunque essere appartenente ad un gruppo sociale. Berne chiarisce le modalità tipiche attraverso le quali si manifestano i tre stati e le loro funzioni. Nel secondo capitolo, Berne descrive lo scopo dell'analisi transazionale, ossia l'analisi e la diagnosi dello stato dell'io inducente lo stimolo e la reazione transazionale. Tra tutte le varie combinazioni dell'azione sociale tra vettore agente e reagente, una delle più peculiari è la transazione incrociata, mentre le più complesse sono le transazioni ulteriori, ossia la presenza contemporanea di due stati, e le transazioni angolari, che prevedono tutti e tre gli stati.
di alcuni dei più frequenti, fornendone un’ampia antologia. Ai giochi29 che identifica e analizza Berne assegna un titolo, espressioni tratte dal linguaggio quotidiano, a volte colorite, ma sempre ironicamente incisive. Alcuni nomi dei giochi più frequentemente attuati e studiati sono: “Perché non…? Sì, ma” (il primo ad essere isolato e analizzato, tanto da dare spunto al concetto stesso di gioco, il più approfondito e forse uno dei più socialmente diffusi), “Tutta colpa tua”, “Sto solo cercando di aiutarti”, “Il goffo pasticcione”, “Gamba di legno”, “Burrasca”, “Violenza carnale”, “Tribunale”. Un modello di analisi tra i più rappresentativi e legati ad un approccio descrittivo, fondamentale per la semplicità e incisività è la cosiddetta Formula G di Berne (1972). La Formula G analizza lo sviluppo dei giochi, individuando una sequenza ordinata di mosse fisse per stabilire se realmente si è in presenza di un gioco: 1) G, un gancio (o provocazione) lanciato da uno degli interlocutori, che va, appunto, ad agganciare; 2) A, un anello (cioè, un punto debole dell’altro interlocutore, che rispondendo alla provocazione segnala la propria disponibilità ad entrare nel gioco); 3) R, una risposta (cioè, una serie di transazioni ulteriori, solitamente, a livello superficiale del tipo Adulto-Adulto, a livello psicologico del tipo Genitore-Bambino o Bambino-Bambino); 4) S, uno scambio (cioè, un momento in cui entrambi gli interlocutori modificano i propri stati dell’Io e ruoli nel dialogo); 5) X, un incrocio (che rappresenta un momento di confusione in cui gli interlocutori, quasi presi alla sprovvista da tale scambio e dalla piega presa dalla conversazione, “si chiedono cosa stia succedendo”); 6) T, un tornaconto (vale a dire, uno o più sentimenti spiacevoli, solitamente di tipo copionale, che gli interlocutori sperimentano). La formula G viene rappresentata da Berne: G+A= R S X T
6- L’intimità
Il modo di strutturare il tempo più“rischioso”, per il coinvolgimento emotivo che
29 Il primo gruppo di giochi affrontato da Berne è quello chiamato "giochi della vita", e comprende quei giochi che spesso accompagnano l'essere umano per tutta la vita e che coinvolgono spettatori talvolta presi alla sprovvista, tra i quali l'autore ha selezionato i giochi dell' "alcolizzato", del "debitore", del "prendetemi a calci", del "ti ho beccato, figlio di...", del "guarda che mi hai fatto fare". La seconda categoria di giochi è quella denominata "giochi coniugali", come "le spalle al muro", "il tribunale", "la frigida", "l'occupatissima", "tutta colpa tua", "non è la volontà che mi manca", "non è così, tesoro?" che confina con un altro gruppo chiamato "giochi sessuali", che abitualmente include quei giochi utili a combattere e a sfruttare gli impulsi sessuali, tra i quali Berne presenta il "vedetevela tra voi", "la perversione", "la violenza carnale", "il gioco della calza" e la "burrasca". Gli altri gruppi di giochi sono quelli di società, quelli della malavita, dello studio medico e i buoni.
comporta, ma anche più vantaggioso, contribuendo alla stabilità psichica individuale e al rafforzamento delle relazioni, in senso non copionale e senza incorrere in sentimenti spiacevoli, come nel caso dei giochi, è l’intimità definita da Berne come “la sola risposta soddisfacente alla fame di stimolo, di riconoscimento, di struttura” (Berne 1971, p. 20). L’intimità comprende il condividere sentimenti, pensieri o esperienze in una relazione aperta, onesta e fiduciosa. I prototipi di questo tipo di strutturazione del tempo sono, da un lato, la relazione madre-bambino nei primi mesi di vita, cioè quando il copione non si è ancora formato (Berne 1972); dall’altro il rapporto sessuale tra due persone che si amano (Berne 1964, 1970). “L’intimità è una franca relazione Bambino-Bambino aliena da giochi e dallo sfruttamento reciproco. Viene stabilita dagli stati dell’Io Adulto delle parti interessate, in modo che essi capiscano bene i mutui contratti ed impegni, a volte senza che sia detta un sola parola su questa questione. Man mano che l’accordo si delinea sempre più nettamente, l’Adulto si ritira gradualmente dalla scena e, se il Genitore non interferisce, il Bambino diventa sempre più emancipato e libero. Le autentiche transazioni intime avvengono tra i due stati dell’Io Bambino. L’Adulto, però, rimane sempre presente come soprintendente, per controllare il rispetto degli impegni e delle limitazioni. Inoltre l’Adulto ha il compito di impedire al Genitore di intromettersi e di guastare la situazione. Infatti la possibilità di una relazione intima dipende dalla capacità dell’Adulto e del Bambino di tenere a bada, se necessario, il Genitore; ma è preferibile che il Genitore dia il suo benevolo consenso alla continuazione della relazione o – meglio ancora – che l’incoraggi. L’incoraggiamento parentale aiuta il Bambino a perdere la sua paura dell’intimità (…). Una volta che il Bambino è libero dalla circospezione adulta e dalle critiche parentali, prova un senso di esultanza e consapevolezza. (…). Egli è libero di reagire direttamente e spontaneamente a ciò che vede, ascolta e sente. Grazie alla loro fiducia reciproca, le due parti si rivelano liberamente i loro mondi segreti di percezione, esperienza e comportamento e non chiedono nulla in cambio fuorché la soddisfazione di aprire senza paura i cancelli di questi domini privati.” L’intimità, dunque, è una relazione disinteressata, priva di giochi e dunque di scopi ulteriori, al di fuori del dare e dell’avere e senza sfruttamento reciproco.
Funzioni della comunicazione
Le principali funzioni della comunicazione sono le seguenti:
1. Strumentale: per soddisfare le esigenze personali (ad esempio chiedere il giornale dal giornalaio).
2. Di controllo: per controllare le altre persone e condizionarne i comportamenti (ad esempio un genitore che insegna al proprio figlio come comportarsi).
3. Informativa: quando si comunica allo scopo di spiegare o scoprire qualcosa (ad esempio il binario da cui parte il nostro treno).
4. Espressiva: per comunicare sentimenti e stati d’animo (un bambino che piange per una bocciatura).
5. Di contatto sociale: lo scopo è stabilire un rapporto (ad es. intavolare un discorso sul tempo con una persona che non conosciamo).
6. Di alleviamento dell’ansia: per abbassare i propri timori e l’ansia le persone cercano il contatto tra di loro (ad es. le chiacchiere nella sala d’aspetto del dentista).
7. Rituale: è legata al ruolo sociale che stiamo rivestendo (ad es. i riti religiosi).
8. Di stimolazione: ogni individuo ha bisogno di stimoli (ad es. il bambino ha bisogno di interagire con la madre per un adeguato sviluppo psichico).
Per chiarire i diversi tipi di comunicazione esistenti, elenchiamo i 5 seguenti stili comunicativi:
Stile Passivo: sempre accondiscendente con ciò che vogliono gli
altri. Non prende iniziative. Non esprime i suoi pensieri ed emozioni. Ha paura di dire no. Non riconosce i propri desideri e
bisogni. Ciò può comportare una violazione dei propri diritti30.
30
Chi ha sviluppato questa modalità comunicativa mostra agli altri un continuo ripiegamento su sé stesso e una profonda dissimulazione. Per qualcuno può trattarsi di una vera e propria condizione esistenziale totalizzante, ma più spesso è un atteggiamento che si manifesta in un ambito specifico della propria vita contro il quale ci si rappresenta in una lotta senza motivazioni, da cui non si ricevono gratificazioni, non ci si sente all’altezza e in cui non ci si riesce ad adattare. Molte persone sacrificano deliberatamente una parte della propria vita (come ad esempio il tempo trascorso al lavoro) che
Stile Aggressivo: È esigente, ostile e scortese. Per affermare le sue opinioni viola i diritti altrui. Usa l’intimidazione per evitare che gli altri facciano ciò che vogliono. È irrispettoso. Gli altri possono
sentirsi umiliati o accusati31.
Stile Passivo-Aggressivo: per evitare i conflitti, asseconda le
opinioni degli altri, e provando, intimamente, rabbia non soddisfa aspettative e richieste, provocando negli altri sentimenti di frustrazione, rabbia, confusione o risentimento.
Stile Manipolativo: si serve del senso di colpa per ottenere dagli
ciò che vuole: tende ad assumere il ruolo di vittima o di martire, al fine di indurre gli altri ad assumersi la responsabilità nei confronti
dei suoi bisogni32.
Stile o atteggiamento assertivo: consiste nel rendere partecipe il
proprio interlocutore, chiunque sia, delle proprie difficoltà, aspirazioni, sentimenti, desideri… Chi ha interiorizzato un atteggiamento mentale che predispone all’assertività assume anche
che egli ha il diritto di dire no, assumendosene il relativo rischio.33
La comunicazione efficace
L’ascolto attivo ha un ruolo fondamentale nella comunicazione efficace ed è una abilità che può essere allenata ed affinata.
Nell’ambito familiare, è fondamentale per i genitori riuscire a comunicare efficacemente con i propri figli perché questo giova a tutti i membri della famiglia.
potrebbe interessare loro ma nella quale investono così poco da non ricavarne alcuna soddisfazione personale. Nel posto di lavoro tale condotta è caratterizzata dalla disillusione, dal timore, dalla routine e dalla ripetitività.
31
Questo stile comunicativo nasce da un atteggiamento mentale in cui si è persuasi dalla propria efficienza personale e convinti che gli altri siano meno efficienti e che abbiano bisogno di forti sollecitazioni. Nel lavoro spesso queste persone sono detestate dai loro collaboratori e non hanno alcuna coscienza del basso rendimento che il clima creato provoca.
32
Questo atteggiamento deriva allo stesso tempo da un certo interesse per gli altri e da una dissimulazione selettiva mirante a trasmettere soltanto i messaggi che permettono di raggiungere i propri fini. La manipolazione è spesso efficace ma porta a sviluppare una personalità cinica incapace di godere dei propri stati emozionali e dei rapporti personali; il pericolo maggiore consiste, inoltre, nel vedere scoperto il proprio atteggiamento manipolatorio e nel perdere quindi la fiducia di chi ne è stato vittima.
33 Lo stile assertivo deriva dalla capacità d’ascolto degli altri e dalla franchezza, dalla flessibilità, dal rispetto dei diritti umani e da una buona immagine di sé stessi.
I figli imparano le modalità comunicative dai loro genitori: perciò se questi usano una comunicazione aperta ed efficace, lo stesso faranno i figli. Quando la comunicazione tra genitori e figli è efficace, i figli si creano un’immagine di se stessi positiva e gratificante mentre quando la comunicazione è inefficace spesso, sentendosi inascoltati o incompresi , possono maturare la convinzione di essere poco importanti. I genitori che comunicano efficacemente con i propri figli sono soddisfatti nel vedere che vengono ascoltati e che i figli fanno ciò che loro gli dicono di fare. Al tempo stesso i figli sanno ciò che i genitori si aspettano da loro e perciò sono più tranquilli e si sentono compresi dalla famiglia. Si deve cominciare a porre le basi di una comunicazione efficace quando i figli sono piccoli: i genitori si devono mostrare disponibili quando i figli fanno domande o quando vogliono intraprendere un discorso, mostrandosi comprensivi. L’atmosfera serena che si crea aiuta i figli ad aprirsi e confidarsi con i propri genitori.
Quando i genitori ascoltano i propri figli devono cercare di mostrare interesse ed attenzione per quanto viene detto. Inoltre quando si parla col proprio figlio, soprattutto se è molto piccolo, è bene mettersi al suo livello comunicativo, adottando un linguaggio verbale e non-verbale (gesti, espressioni facciali, posture, ecc.) che può essere ben compreso da lui. Inoltre l’accucciarsi, o il chinarsi mentre gli si parla, così da guardarlo negli occhi, è rassicurante e favorisce da parte del bambino una comunicazione spontanea. Apostrofarlo dall’alto, invece, non farà che aumentare in lui un senso di disagio ed inadeguatezza e probabilmente un blocco nella comunicazione. Ci sono alcune semplici regole che possono aiutare quando si interagisce con i figli, soprattutto se piccoli:
usare frasi concise , essere sintetici, verificando se ciò che è stato detto è
stato ben compreso: l’irrequietezza e la mancanza di contatto oculare sono due indici che denotano certamente distrazione da parte dei figli e che quindi impediscono una buona comprensione del messaggio verbale che si sta trasferendo;
porre la domanda giusta e nel modo giusto: il genitore dovrebbe
preferibilmente porre al figlio domande “aperte” invece di fare domande “chiuse” (quelle cioè che presuppongono come risposta un “si” o un “no”).
Le domande “aperte” sono tutte quelle che cominciano con “Che cosa…” “Dove…” Chi…” Come…”. evitando di fare al figlio troppe domande in successione così da confonderlo e da farlo sentire sotto interrogatorio;
condividere col figlio i propri pensieri e le proprie idee ma senza
esprimere giudizi. Si trasmettono così valori e principi; inoltre se il genitore si confida abitualmente con il proprio figlio, questi molto più facilmente si confiderà con lui;
ammettere i propri limiti. Quando il figlio fa una domanda al genitore e
questi non sa rispondere è meglio riconoscere i propri limiti nelle conoscenze piuttosto che dargli risposte a caso.
dare al figlio le informazioni richieste. E’ necessario fare attenzione che le
risposte siano adeguate all’età del figlio, incoraggiandolo a porre domande e a trarre da solo le conclusioni per poi confrontarle con le proprie.
Quando in famiglia si presentano momenti di tensione, è importante imparare a smorzare i toni della comunicazione per riportarla ad essere efficace. Ecco alcuni suggerimenti pratici:
affrontare un problema alla volta, evitando confusione e di perdere di vista
il problema di partenza;
trovare un modo creativo di risolvere il problema, infatti può esserci più
di una soluzione ad un singolo problema: si tratta solo di trovare, insieme al figlio, quella che accontenta entrambi. Questo aiuta ad essere più flessibili;
essere cortesi, controllando le proprie reazione e ricordando che i figli
meritano rispetto;
fare riferimenti più a se stesso che all’altro: è’ meglio dire “Mi sento
sconfortato quando non metti in ordine i tuoi giocattoli!” invece di dire “Non metti mai in ordine i giocattoli!”; in questo modo si danno informazioni sul proprio stato d’animo conseguente al comportamento del figlio, anziché accusarlo o rimproverarlo. Questo atteggiamento aumenta nel bambino il senso di responsabilità circa le proprie azioni e lo porta ad esprimere anch’egli i propri stati d’animo;