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Capitolo 2 La percezione dei migranti nell’opinione pubblica

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Capitolo 2

La percezione dei migranti nell’opinione pubblica

Cio’ che appare sui giornali, o nelle televisioni, sposa lo sguardo delle istituzioni e allo stesso tempo gli dice come parlare, traducendo in linguaggio quotidiano il loro punto di vista” Marcello Maneri

La Teoria dell’Agenda Setting e il ruolo della stampa nella criminalizzazione dello straniero

Parlare di immigrazione è uno degli aspetti più complessi della questione migratoria, i mezzi di comunicazione svolgono infatti un ruolo di primaria importanza nella formazione dell'opinione pubblica per questo appare fondamentale fare informazione in modo obiettivo e senza pregiudizi che alimentino i conflitti sociali tipici delle società contemporanee. In molti casi, quando si parla di immigrazione, gli immigrati appaiono sui media come protagonisti di casi di cronaca, per lo più nera, e politica interna. La prassi di citare la nazionalità di chi commette un reato risponderebbe ad una precisa logica di mercato, quella per cui: “la cronaca vende di più. L’immigrazione, che trova spazio quasi esclusivamente nella cronaca, finisce per essere sovra-rappresentata”1. A partire da queste

considerazioni la domanda che intendiamo porci in questo paragrafo è: chi

1 Osservatorio Carta di Roma (a cura di), Notizie fuori dal ghetto. Primo rapporto annuale dell’Associazione Carta di Roma”, edizioni Ponte Sisto, 2013,p.136.

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decide quali notizie divulgare e quali omettere?

Per riuscire a formulare una risposta a tale quesito rivolgiamo brevemente l'attenzione alla teoria dell'Agenda Setting, una teoria sociologica formulata nella seconda metà del Novecento che tratta l'inclusione e l'esclusione delle notizie nei mass media. Con il termina “agenda” (che in inglese assume il significato di ordine del giorno) si intende l’insieme delle questioni più rilevanti di cui si devono occupare i mezzi di informazione. Agenda Setting è dunque un espressione traducibile in italiano con “definizione dell’ordine del giorno”2. Il precursore degli studi sull'Agenda

Setting e sulla manipolazione della comunicazione fu, nel 1922, Walter Lippmann nel suo testo "L'Opinione Pubblica". Successivamente, nel 1972, il concetto di agenda-setting e l'effetto dei mass media sull'opinione pubblica venne sviluppato nell’analisi di Maxwell McCombs e Donald Shaw3 dal cui lavoro emerse una teoria denominata dell'agenda-setting che

afferma che la salienza data alle notizie selezionate e proposte dai mass media ha il potere di focalizzare l'attenzione del pubblico su un determinato numero di temi che vanno a formare l'Opinione Pubblica. Secondo Lippmann le immagini in base a cui agiscono gruppi di persone, o individui che agiscono in nome di gruppi, costituiscono l'Opinione Pubblica con le iniziali maiuscole. A partire dalla definizione di Lippmann secondo cui "allo stato attuale dell'istruzione, un'opinione pubblica è

2 Marini Rolando, Mass Media e discussione pubblica. Le teorie dell’agenda setting, edizioni

La Terza,2006,p.3

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soprattutto un'interpretazione moralizzata e codificata dei fatti"4,

possiamo dire che l'opinione pubblica è l'insieme delle idee che, in un determinato momento e luogo, la maggioranza delle persone che costituiscono una comunità ritiene vere e giuste. Per questo motivo l'opinione pubblica è l'obiettivo degli sforzi persuasivi di coloro che detengono poteri (politici, economici, culturali) e li usano per determinare l'agenda dei media. Se in una società manca uno spazio intermedio tra il privato e il governo, come nel caso di dittature, non può esservi opinione pubblica, perché il governo attua le sue decisioni indipendentemente dal parere dei privati cittadini. Il graduale processo di democratizzazione del governo dei paesi moderni crea uno spazio in cui l'operato dei governi può diventare di pubblico dominio. Quanto più i paesi si democratizzano tanto più servono strumenti, come la stampa, che rendano pubblico l'operato del governo creando un'opinione condivisa. Come afferma Nicoletta Vittadini "Nascono spazi in cui la gente si trova a discutere, cambiano le professioni e l’organizzazione del tempo rispetto alle società agricole. C’è tempo per la discussione, nasce la classe borghese, che in qualche modo trova nella stampa le fonti, nei caffè i luoghi per una discussione e formazione di un’opinione condivisa sugli atti di governo."5I media

dunque si sforzano di apparire obiettivi e neutrali ma la loro costruzione della realtà è sempre orientata.

L'idea da cui prende vita la teoria dell' Agenda-Setting era che i media

4 W. Lippmann, L'Opinione Pubblica, Donzelli, Roma, 1999, p.118

5 Nicoletta Vittadini (2007), Che cos’è e come nasce l’opinione pubblica - Convegno de La

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potessero dirci solo intorno a cosa pensare ma non cosa pensare (1972 -McCombs e Shaw). Successive ricerche sul tema 6hanno evidenziato che i

mass media ci dicono non solo intorno a cosa pensare ma anche come pensare e, conseguentemente, cosa pensare. Dunque, secondo McCombs e Shaw, i mass media modellano la mente delle persone soprattutto se esse ne fanno un uso frequente ed hanno un limitato accesso all'ambiente reale. Per queste persone, che vivono in condizioni di parziale isolamento sociale, economico e culturale, i temi trattati dai media sono molto rilevanti; a seguito dei risultati di queste ricerche, gli stessi autori hanno modificato il proprio giudizio ammettendo che l'agenda-setting condiziona almeno in parte il pensiero di chi si espone ai media.

La teoria dell'agenda-setting si articola in due livelli:

Il primo livello riguarda il tentativo di trasferire l'importanza di un tema da un'agenda privata (quella politica o quella dei media) all'agenda dell'opinione pubblica;

Il secondo livello riguarda invece l'impatto che tale rilevanza ha sui riceventi in relazione alle loro predisposizioni, attitudini e capacità di rielaborare i messaggi.

Il sociologo Rolando Marini ha messo in evidenza l'influenza che i media più autorevoli hanno sugli altri media nel determinare l'agenda, un effetto così descritto nel libro "Mass Media e discussione pubblica"7 :

6 Maxwell McCombs e Donald Shaw (1993), The evolution of agenda-setting research: twenty five years in the marketplace of ideas

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Il fatto di concentrarsi su alcuni temi in un determinato momento e anche di spostare successivamente l'attenzione su altri temi rappresenta quindi il risultato di quello che viene chiamato "intermedia agenda setting", cioè l'accordo che si produce nell'interazione tra i media, anche se diversi. [...] L'agenda Setting ci parla della fallacia dell'attività giornalistica, dell'inadeguatezza con cui il sistema dell'informazione di massa riporta al pubblico eventi di grande rilievo per la democrazia come le campagne elettorali e della superficialità con cui, in particolar modo la televisione, tratta certi temi come la criminalità o il terrorismo e, non da ultima, dell'indifferenza con cui trascura aspetti molto preoccupanti, o anche tragici della realtà sociale, rendendoli invisibili. Questa teoria ci parla di una parzialità nella rappresentazione della realtà che si trasferisce nella mente delle persone e che quindi forgia, con le sue carenze, la cultura del pubblico nella società contemporanea.

Il racconto dell'immigrazione dagli anni '60 al 2000

Per capire meglio il modo in cui i mezzi di informazione hanno trattato l'argomento dell'immigrazione e della presenza straniera in Italia si è ritenuto utile seguire le indicazioni dei due sociologi Asher Colombo e Giuseppe Sciortino presenti nel libro del 2004 Gli immigrati in Italia ,assimilati o esclusi: gli immigrati, gli italiani, le politiche.

In Italia si comincia a parlare di immigrati sulla stampa verso la metà degli anni sessanta del secolo scorso con una netta distinzione con la categoria

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dello straniero, da tempo presente, che gioca un ruolo chiave nella definizione dell'identità nazionale. La figura dell'immigrato nasce dall'istituzionalizzarsi della distinzioni tra gli stranieri, che nella stampa dell'epoca sono un gruppo assai composito dentro al quale sono raggruppate diverse categorie di persone come imprenditori tedeschi, agenti americani, attori scandinavi e gli immigrati, ovvero profughi, lavoratori stranieri dequalificati e colf straniere. Sulla stampa per differenziare le due categorie si ricorre a strategie di presentazione della notizia differenziate: gli immigrati vengono difficilmente identificati con una nazionalità o attraverso l'uso del nome proprio mentre si fa quasi sempre riferimento all'occupazione, categorie amministrative o epiteti razziali; il termine straniero viene riservato a residenti stranieri di classe sociale medio-alta. Per quanto riguarda i temi gli immigrati sono molto presenti negli articoli che illustrano le condizioni del mercato del lavoro, la situazione socio-economica dei paesi d'origine, vessazioni da parte delle forze dell'ordine e episodi di razzismo mentre sono quasi del tutto esentati dall'abbinamento a reati, terrorismo e più in generale questioni di ordine pubblico, se non come vittime. Le denunce relative alle condizioni di vita e lavoro dei lavoratori immigrati sono raccontati dalla stampa in un contesto narrativo in generale negativo nei confronti del processo migratorio, che mette in risalto i lati oscuri della società italiana, per cui gli immigrati diventano una spia dei problemi e non una soluzione. I giornalisti nelle loro inchieste sottolineano come la domanda di lavoro che gli immigrati

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soddisfano sia basata sullo sfruttamento in netta concorrenza con i lavoratori italiani, tale tesi è sposata dagli esponenti sindacali e da economisti industriali dell'epoca. La presenza di atteggiamenti solidali nei confronti dei lavoratori stranieri e al contempo di diffidenza verso il processo migratorio nella sua interezza contribuisce a spiegare le caratteristiche che assumeranno le politiche migratorie dei decenni successivi, tolleranti nei confronti degli immigrati irregolari presenti ma contrarie all'adozione di una politica attiva degli ingressi.

A partire dalla seconda metà degli anni Ottanta l'immigrazione diventa una presenza costante del flusso informativo e il paese riconosce a questo argomento una centralità nel dibattito politico, si guasta infatti il consenso relativo alla definizione del problema e si procede verso una veloce politicizzazione della questione; questo balzo quantitativo di informazioni corrisponde una variazione nel circuito informativo con l'adozione da parte della stampa di un filone narrativo unificato. Si moltiplica il numero di persone in cerca dell'attenzione dei giornalisti per il racconto delle proprie esperienze e notizie collegate al tema che assume un carattere epocale, di notevoli dimensioni quantitative con annessi molti e vari pericoli per la società autoctona. Il tema dell'immigrazione entra velocemente nell'agenda della politica, analizzando gli articoli sull'immigrazione apparsi sui quotidiani La Stampa e il Corriere della Sera nel periodo 1982-91 i titoli che riportano un riferimento all'immigrazione sono quasi tremila e nel 1990, anno del varo della legge

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Martelli, arrivano ad essere 1208 gli articoli che trattano il fenomeno8. Per

quanto riguarda i termini utilizzati per descrivere il fenomeno è da sottolineare il successo del termine extracomunitario9, utilizzato dal 10%

degli articoli nel periodo 1989-1991 e del denigratorio vucumprà, molto di moda nel biennio 1988-89.

La produzione giornalistica in tema di immigrazione segna un deciso calo all'inizio degli anni Novanta, le variazioni nell'offerta variano tra il 1994 e il 2001 tra un minimo dello 0,5% e un massimo del 1% dell'offerta complessiva, tuttavia anche in questo decennio si verificano cambiamenti per quanto riguarda la caratterizzazione degli individui, con una netta affermazione della categoria dell'immigrato, anche se adesso si pone il problema di differenziare all'interno di una vasta comunità di persone per cui si ritiene utile ricorrere all'utilizzo della indicazione della nazionalità oppure a etichette evocative come schiavi, disperati o fantasmi. In questi anni si parla soprattutto di atti criminali, devianza sociale e problemi di ordine pubblico. Nel corso del decennio 1991-2001 si verifica una crescita importante delle denunce contro i cittadini stranieri e della percentuale di notizie che riportano reati commessi o subiti da immigrati, seguendo tali considerazioni parrebbe esserci una forte correlazione tra incremento degli eventi delittuosi e la frequenza delle notizie, di contro gli articoli che trattano dei lavoratori stranieri decrescono in modo sensibile, arrivando nel corso degli anni novanta a rappresentare il 3% delle notizie pubblicate

8 A.Colombo e G. Sciortino,Gli immigrati in Italia assimilati o esclusi: gli immigrati, gli italiani, le politiche, edizioni Il Mulino 2004, p.108

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sul tema, questo appare quanto meno bizzarro in un periodo in cui il nostro paese registra la presenza di decine di migliaia di lavoratori immigrati.

Gli atteggiamenti individuali sono influenzati dal modo in cui la collettività interpreta i fenomeni sociali, a partire da questo assunto nella definizione di immigrazione, fatto sociale che ognuno noi può osservare direttamente solo in minima parte, i mass media fanno la parte del leone. Certamente i lettori anche se esposti a determinati messaggi, ne fanno un uso selettivo in base alle proprie valutazioni per cui lo strumento più utile per capire che cosa pensino i cittadini di un dato argomento è il sondaggio d'opinione che va analizzato tenendo conto delle due dimensioni che contribuiscono alla formazione dell'opinione pubblica: l'esperienza pratica che le persone intervistate hanno di un dato oggetto di analisi e la descrizione dello stesso in termini astratti. Una prima dimensione di cui i sondaggi offrono indicazioni sono i cambiamenti avvenuti nella conoscenza del fenomeno migratorio: nell'arco temporale di un trentennio la società italiana di ricerche statistiche e sondaggi d’opinione Doxa ha condotto quattro sondaggi comparabili, negli anni 1987,1989,1991 e infine 1999, nel corso del quale emerge la tendenza a riconoscere maggiormente l'esistenza di stranieri nella città o provincia di residenza degli intervistati, dimostrando come la percezione del fenomeno rispecchi la distribuzione territoriale della popolazione straniera. Allo stesso modo anche la valutazione della provenienza dei flussi rispecchia il reale andamento di essi, con un numero

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consistente di intervistati che riconosce la presenza consistente di persone in arrivo dall'Est Europa e dai Balcani, aumenta il numero di coloro che rilevano flussi da India e Cina e rimane stabile il numero di coloro che riesce ad individuare arrivi dalle coste del Nord Africa. Riassumendo dunque è corretto affermare che la percezione del fenomeno sembra riflettere gli andamenti reali del fenomeno per numerosità e distribuzione degli arrivi anche se con alcune eccezioni, ad esempio nel sondaggio del 1991 , condotto nel periodo degli sbarchi dall'Albania, aumenta la percentuale di coloro che rilevano la presenza di molti stranieri maggiormente di quello che viene invece rilevato nel 1999, nonostante gli immigrati nel frattempo siano più che raddoppiati.

Per quanto riguarda la situazione lavorativa degli stranieri in Italia nel 1977 si riteneva che l'immigrazione di lavoratori stranieri fosse la risposta ad una domanda crescente del sistema economico italiano, sei italiani su dieci riteneva che in questo modo si potessero ricoprire posizioni lavorative che gli italiani rifiutavano dando ai datori di lavori la sensazione di poter realizzare maggiori profitti essendo soggetti a minori vincoli. Il binomio immigrato-lavoratore si è allentato nel corso degli anni Ottanta, infatti già nel 1986 era solo un terzo degli intervistati ad associare queste due figure mentre cresceva il numero di coloro che li vedeva come venditori ambulanti. Nei sondaggi 1989 e 1991 cresce il numero di coloro che li associa a situazioni di marginalità sociale e devianza, tuttavia questo

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dato decresce nelle risposte degli intervistati nel 1999 fino a quota 10%10 .

Nel corso degli anni Novanta dunque si è modificata la percezione degli immigrati ritornando verso una maggiore consapevolezza del ruolo produttivo svolto da essi all'interno del sistema italiano, è quindi ragionevole ritenere che le tendenze registrate nel periodo 1989-1991 siano frutto del dibattito sorto intorno alla Legge Martelli e gli sbarchi degli albanesi.

A livello internazionale è ormai noto come non esistano popolazioni favorevoli all' immigrazione, molto spesso gli immigrati sono richiesti ma non benvenuti, tuttavia il livello di contrarietà può cambiare sensibilmente nel tempo e la valutazione dei vantaggi e degli svantaggi di tale fenomeno varia ciclicamente nella società italiana.

Dunque cosa preoccupa maggiormente gli italiani? Nell'opinione pubblica italiana la valutazione negativa dell'immigrazione è da ricondursi alla possibilità che aumentino i fatti criminosi. Nel 2000 secondo un sondaggio europeo11, dopo la Grecia, l'Italia è il secondo paese dove gli intervistati

associano l'attività criminale all'immigrazione, nei sondaggi dell'associazione Nordest su cinque paesi europei il nostro paese mostra un numero superiore alla media di intervistati che manifestano l'idea che l'immigrazione favorisca il diffondersi di criminalità e terrorismo nel

10 Bollettino della Doxa :per il 1987,XLIn.13-14 del 21 settembre 1987;per il 1989, XLIV,n5-6

del 16 marzo 1980;per il 1991,XLV, n.9-10-11 del 25 luglio 1991, per il 1991,LIV,n.17-28 del 30 settembre 1999.

11 A.Colombo e G. Sciortino,Gli immigrati in Italia,assimilati o esclusi: gli immigrati, gli italiani, le politiche, edizioni Il Mulino 2004 p 125

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periodo 1999-2002.Questa visione era già presente nei sondaggi del 1987-88 e risulta presente con valori simili anche nel 1991 e nel 1997.

A proposito di nuovi ingressi, secondo un sondaggio dell'Istituto di Ricerca Ispo del 2000 sette italiani su dieci si dichiaravano nettamente contrari ma sempre secondo lo stesso sondaggio, per quanto riguarda la stabilizzazione delle persone già presenti, gli stessi sette italiani su dieci ritiene giusta una legge sulla cittadinanza che consenta agli stranieri presenti di divenire italiani in meno di cinque anni;un italiano su due si dichiara favorevole a consentire il voto peri cittadini stranieri regolari. Attraverso questa rassegna di sondaggi i due autori Colombo e Sciortino concludono che l'opinione pubblica italiana è lungi sia dall'essere preda di atteggiamenti xenofobi sia dall'essere buonista12 a tutti i costi, secondo i

due studiosi non ci sarebbero nella società italiana tendenze irreversibili in nessuna delle due direzioni.

La rappresentazione mediatica della sicurezza: le agende dei cittadini e quelle dei tg nei dati dell’Osservatorio Europeo sulla

Sicurezza dal 2007 al 2015

L'informazione a proposito di immigrazione in Italia presenta dei caratteri analoghi a quella di altri paesi europei, tuttavia vi sono alcune peculiarità che la caratterizzano. Il sociologo Marcello Maneri13 analizzando il

12 buonismo s. m. [der. di buono]. – Ostentazione di buoni sentimenti, di tolleranza e

benevolenza verso gli avversarî (…) cit Vocabolario della Lingua Italiana Treccani

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rapporto tra opinione pubblica e immigrazione evidenzia come nella maggior parte dei paesi europei questa sia vista soprattutto come un problema e come, a differenza di ciò che accade nel resto d' Europa, il tema della criminalità degli stranieri occupi nel nostro Paese uno spazio predominante nell'agenda dei media, sia per l'elevato numero di notizie che ne trattano, sia perché il tema dell'illegalità racchiude al suo interno molteplici argomenti, dagli arrivi ai problemi abitativi fino all'integrazione e al conflitto culturale. Maneri individua la sicurezza come un cappello tematico che ben sintetizza l'ossessione per i crimini compiuti dagli immigrati e che comprende un ampio repertorio di fenomenologie dalla violenza sessuale agli omicidi, dallo spaccio al commercio ambulante. Tale insistenza tematica si concentrerebbe, secondo Maneri, in categorie stereotipiche che riassumono tratti negativi riferibili ad un ampia quanto diversificata quantità di persone, costituendo presenze regolari nei notiziari televisivi e nelle pagine della stampa locale. Il sociologo individua nella metà degli anni '90 il momento in cui all'interno della narrazione mediatica si è enfatizzato il connubio immigrazione, sicurezza, criminalità e percezione dell'insicurezza grazie al ruolo determinante della comunicazione di massa nell'orientamento dell'opinione pubblica, sempre più abituata ad elaborare rappresentazioni dei fenomeni sociali frettolose, superficiali e dettate dalle pulsioni del momento.14

In questo paragrafo si procederà ad illustrare i dati di alcuni dei report

Italia, pag.52

14 Naletto G., Il razzismo in prima pagina:alcuni casi esemplari, in Rapporto sul razzismo in Italia, pag.53

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annuali sulla sicurezza in Italia e in Europa, realizzati a partire dal 2007 da Demos & Pi, Osservatorio di Pavia e Fondazione Unipolis, riunitisi a partire dal 2010 nell' Osservatorio Europeo sulla Sicurezza. I dati della ricerca utilizzano una doppia prospettiva: da un lato si è indagata la percezione sociale della sicurezza attraverso sondaggi d’opinione telefonici condotti su un campione di cinquemila individui in cinque paesi europei (Francia, Germania, Gran Bretagna, Spagna e Italia); dall’altra è stata presa in considerazione la rappresentazione mediatica degli stessi temi, in base all’indicizzazione dei Tg della televisione pubblica e privata, relativi alla sicurezza in Italia ed in Europa.

Il primo report che prenderemo in considerazione è quello del 2007 “Indagine sul sentimento e sul significato di sicurezza in Italia”15.E' l'anno

del panico morale di cui parla Marzio Barbagli, dell'arrivo massiccio di popolazioni dall'Est Europeo, di casi di cronaca con protagonisti stranieri come l'omicidio di Giovanna Reggiani e Vanessa Russo, infine è l'anno della discussione da parte del Governo del ”pacchetto sicurezza”. Il sociologo Ilvo Diamanti, presidente dell'istituto Demos & Pi, apre il rapporto del 2007 sottolineando come negli ultimi anni la “sicurezza” sia divenuta un problema con “una sola” definizione. Nel senso comune, infatti, corrisponde a: incolumità personale e difesa del nostro domicilio dalle minacce esterne, l' abitazione è infatti divenuta un rifugio contro le minacce esterne e quasi una persona su quattro, fra gli intervistati, si

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dichiara spesso preoccupata dall’idea che uno sconosciuto si introduca nella propria abitazione. Nei due anni precedenti, peraltro, questo dato è cresciuto sensibilmente, dal 18 al 23%. Cresce anche il timore per la minaccia ai beni personali. Parlare di sicurezza dunque significa sempre più riferirsi alle aggressioni, alle rapine, alle violenze, ai furti, per questo il concetto di “chiedere sicurezza” evoca politiche d’ordine e di controllo da parte delle forze di polizia, rivendicando politiche “securitarie”. In passato “sicurezza” ha significato anche cose diverse come la capacità di prevedere, di essere tutelati e di tutelarsi da diversi rischi a proposito di lavoro, salute, pensione, affetti, malattie, guerre, catastrofi e incidenti. I dati forniti da Demos & Pi per la Fondazione Unipolis, confermano quanto questo slittamento si sia radicato nel nostro Paese al punto che nove persone su dieci nel 2007 pensano che la criminalità in Italia sia cresciuta. Per quanto riguarda i media e la politica questa è la sola sfaccettatura del concetto di sicurezza presa in considerazione dagli attori politici locali e nazionali, lo scambio fra messaggi securitari degli attori pubblici e i media è continuo e costante attraverso l'evidenza che ricevono azioni criminali violente nei confronti delle persone a opera di stranieri. L’indagine di opinione di contro fa emergere una visione della sicurezza da parte degli intervistati più articolata, in cui i temi securitari, legati alla “paura privata”, alle illegalità quotidiane, alla criminalità comune, pesano, ma non sono i soli, la “sicurezza” per gli italiani è quindi una questione a diverse facce e la domanda di sicurezza degli italiani riflette anche altre,

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diverse preoccupazioni.

a) Anzitutto si tratta di un allarme, di tipo “ambientale” e “globale” attraverso argomenti come il cibo, il degrado del territorio, dell’aria, del clima; e poi il terrorismo

b) Grande peso hanno anche i timori di tipo “economico”, come il reddito, la pensione, le prospettive di lavoro, i risparmi. Denunciati da una quota che oscilla fra il 27% (perdere i risparmi) e il 38% (diventare poveri: “non avere abbastanza risorse per vivere”).

c) Infine opprime gli intervistati la “paura del domani”, quella per il futuro dei figli, che attanaglia quasi una persona su due.

Tuttavia di questa pluralità di significati non c'è traccia nel dibattito pubblico ed anche il linguaggio comune sembra rassegnato a ricondurre la sicurezza a un solo tipo di problemi. Quali sono dunque i motivi che spingono i media ad una rappresentazione tanto squilibrata rispetto alla realtà? La ricerca ne evidenzia quattro, particolarmente rilevanti.

a) Il primo richiama il processo di individualizzazione e l’urbanizzazione che hanno reso le persone più sensibili alle minacce al loro domicilio, alla loro sicurezza “privata” e “familiare”.

b) Il secondo è individuato nell’importanza dei media nella vita delle persone. La televisione contribuisce infatti a scrivere l’agenda delle paure, scegliendo su quale emergenza indirizzare l’attenzione del pubblico.

c) Il terzo si collega al mondo della politica, la paura e l’incertezza sono infatti sentimenti molto“pericolosi” per chi governa e amministra perché

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minano il consenso. Il modo scelto per contrastarli è sempre più frequentemente l'individuazione di un volto da dare ad esse. La figura del delinquente comune, magari straniero si presta alla perfezione al fine individuato, contribuendo a rafforzare il senso di identità.

d) Il quarto richiama la difficoltà di affrontare situazioni e spiegazioni che accentuano l’angoscia, ma anche le proprie responsabilità. I problemi che riguardano il “futuro” proprio e dei propri figli non sono risolvibili in tempi rapidi e chiamano in causa le nostre specifiche responsabilità.

La ricerca infine mette in luce una significativa trasformazione del profilo “generazionale” della paura e del senso di insicurezza. Fino a pochi anni fa ad avere paura erano principalmente gli anziani, ora la preoccupazione si è propagata anche fra i giovani di età compresa fra i 25 e i 34 anni. Questa fascia di popolazione, che pure manifesta paura del fenomeno criminale, soprattutto, soffre la precarietà delle prospettive di lavoro, di tutela e di autorealizzazione.

Nel biennio 2009-201016 emerge con maggiore forza una discrepanza tra

quella che potremmo definire l'agenda dei cittadini e quella dei tg. In Italia, si rileva come a fronte di preoccupazioni sempre più manifeste verso tutti i temi di matrice economica i tg, sia pubblici che privati, preferiscano dedicare ampio spazio al tema della criminalità che appare così nettamente sovra-rappresentato a discapito della dimensione economica-occupazionale che risulta fortemente sotto-rappresentata, le spiegazioni

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che si adducono nel report del 2010 sono di tipo politico, poiché la maggiore presenza di notizie criminali si registra nel periodo che precede le elezioni legislative del 2008, ma tale interpretazione risulta comunque insufficiente e va necessariamente integrata con motivi di audience, secondo Ilvo Diamanti il pubblico infatti preferirebbe la cronaca nera per un fatto culturale abituata per tradizione letteraria al melodramma, alla sceneggiata e al romanzo popolare, infine la sfiducia e il pessimismo delle notizie economiche avrebbero forti ripercussioni sui consumi e sul morale della società.

Come nei precedenti rapporti il sesto17, relativo all'anno 2012, mostra che,

nella percezione delle paure da parte dei cittadini, l’economia si conferma in testa alla lista delle emergenze. Infatti i primi tre posti dell’ideale agenda dei cittadini sono occupati da temi di natura economica: la disoccupazione (collocata dal 49% tra le due questioni di maggior rilievo), la situazione economica generale (42%) e la crescita dell’inflazione (28%). Con questi dati l’Italia si allinea agli altri paesi europei poiché fino al 2009 si registrava un tasso di apprensione per i temi legati alla crisi inferiore al dato continentale, con un picco delle paure connesse alla criminalità nella seconda metà del 2007. Solo per il 4% degli italiani il tema dei reati è tra i problemi da affrontare con maggiore urgenza.

Negli ultimi cinque anni tra le questioni che preoccupano maggiormente gli italiani nella propria quotidianità l’insicurezza economica raggiunge il

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79%: sedici punti percentuali più del 2007 (sei dei quali negli ultimi dodici mesi). La perdita del lavoro e la disoccupazione preoccupano il 58% dei cittadini italiani e quasi una persona su due, inoltre, teme di non avere abbastanza soldi per vivere o di non avere/perdere la pensione. L’insicurezza globale segna un incremento soprattutto a causa dei timori di tipo ambientale: due persone su tre si dicono preoccupate dalla distruzione dell’ambiente e della natura (66%); il 49% dalla globalizzazione, intesa come l’influenza sulla vita e sull’economia di quello che capita nel mondo; ancora, il 47% teme per la qualità del cibo e delle bevande, mentre il 36% è preoccupato dalla possibilità di nuove guerre nel pianeta. Le paure connesse alla criminalità invece si attestano su livelli più bassi, anche se negli ultimi due anni sono tornate a salire: l’indice sintetico fa segnare, con il 50%, un valore ancora più elevato rispetto a quello del 2007. E’ tornato a far paura il reato “comune": una persona su tre, oggi, teme di essere vittima di un furto in casa (33%). Si tratta di una componente sociale quasi raddoppiata rispetto al 2010 (+ cinque punti in un solo anno).

La reattività dell’opinione pubblica in materia di criminalità è tornata a crescere infatti ben l’84% pensa siano aumentati in Italia rispetto a cinque anni fa: un dato invece mantenutosi costantemente su valori elevati, nel periodo di osservazione. Il 45% ritiene, invece, che i reati siano aumentati nella propria zona di residenza: un valore in crescita, sebbene ancora lontano dal picco raggiunto nel 2007. Tre persone su dieci (30%), infine,

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pensano che nel proprio contesto di vita sia aumentata la presenza del crimine organizzato.

Per quanto riguarda la rappresentazione mediatica dell’insicurezza nel 2012 si conferma la passione criminale18 nei telegiornali italiani. La

presenza strutturale delle notizie di criminalità si conferma anche per il 2012, infatti in media sono presenti più di 2000 notizie di reati a semestre, con riduzioni significative, rispetto all’anno 2011. Nella dinamica diacronica si evidenzia come l’informazione tenda a declinare in modi diversi la questione criminalità. Infatti, se nel 2007-2008 si è assistito al connubio criminalità-immigrazione, nel biennio 2010-2011 abbiamo assistito alla serializzazione dei casi criminali (ad esempio in caso Scazzi), nel 2012 è la violenza sulle donne, raccolta sotto l’etichetta di femminicidio, ad occupare una parte consistente delle notizie relative alla narrazione della criminalità.

Nel 2012 la copertura dei reati relativi alla violenza contro le cambia l’interpretazione dell’insicurezza: dalla paura per l’estraneo, per l’Altro sconosciuto, si passa all’insicurezza del prossimo che appartiene alla cerchia parentale.

Al primo posto nell’agenda dell’insicurezza dei Tg, come negli ultimi sei anni, si colloca la criminalità, che registra, attestandosi al 62%, in aumento rispetto al 2011. Cresce lo spazio delle notizie di reato ma diminuisce complessivamente la quantità di notizie ansiogene (dal 41% del 2011 al

18 Cit Ilvo Diamante Osservatorio Europeo sulla Sicurezza (a cura di) IV Rapporto sulla

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19% di quest’anno). Nel 2012 si registra la polarizzazione dell’agenda dell'insicurezza dei cittadini intorno a due questioni: criminalità e crisi economica che insieme (87%) occupano quasi interamente l’agenda dei cittadini, a seguire c’è la paura per un futuro incerto caratterizzato da instabilità politica. Ciò che emerge dal lato della percezione dei cittadini, trova conferma nella rappresentazione mediatica; dopo la crisi di governo, i telegiornali tematizzano le preoccupazioni dell’Unione europea per il mantenimento delle politiche di rigore, l’incompiutezza della riforma elettorale, le incertezze del dopo-voto e la sospensione di provvedimenti importanti per lo sviluppo del paese.

L'ultimo rapporto che chiude la serie delle rilevazioni è l'Ottavo Rapporto sulla sicurezza e l'insicurezza sociale in Italia e in Europa 19pubblicato nel

febbraio 2015. La ricerca si apre come di consueto con il commento di Ilvo Diamanti nel quale il sociologo offre una descrizione della attuale società italiana come di una terra di mezzo20

“La regione descritta da Tolkien, nel “Signore degli anelli”. Luogo di conflitti e di paure. Appunto. Ma anche di resistenza e di reazioni(...)La “terra di mezzo” a cui mi riferisco, evoca un’altra, diversa condizione di contiguità. Anch’essa inquietante, seppure meno insidiosa. Riguarda e richiama la sgradevole sensazione di essere stretti, quasi schiacciati, fra il “Mondo” e il “mondo”. Tra le violenze globali, che esplodono non lontano da noi: in Francia, Danimarca, Ucraina, Libia, nei Paesi dell’area mediterranea e Medio-orientale, da una parte. E, dall’altra, i

19 http://www.fondazioneunipolis.org/sicurezza/materiali/

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fatti criminali locali. A cui si aggiunge la crisi economica, che continua a gravare sulle imprese e sul lavoro intorno a noi. Vicino a casa nostra”.

Come negli anni passati, la percezione e la rappresentazione degli eventi ansiogeni e delle paure non coincidono. Il terrorismo islamico ha fatto irruzione nella nostra vita quotidiana usando i media come campo di battaglia e rendendo la guerra globale attraverso il fluire delle immagini. Analizzando i dati dell'Osservatorio di Pavia la cosiddetta “strategia del terrore” ha ottenuto un forte riscontro poiché gli attentati terroristici sono divenuti gli avvenimenti che occupano la parte più significativa dell’agenda europea e nazionale, segnando rispettivamente con il 78% e il 69% di visibilità. Nel quadro generale della crisi economica, che continua a spaventare i cittadini, due temi hanno guadagnato spazio: la classe politica e la sua degenerazione e, come già detto, il terrorismo. In Italia, l’instabilità politica occupa il primo posto della “graduatoria delle paure”che preoccupano maggiormente i cittadini. L’arrivo al governo di Matteo Renzi sembra avere attenuato, almeno in parte, la percezione di un quadro politico precario per cui i timori a proposito scendono dal 68 al 61%. Nelle prime posizioni della graduatoria, troviamo timori di carattere generale, come quello relativo al futuro dei figli (55%), o che investono la dimensione globale e quella economica. Spiccano, da un lato, le paure connesse alla“distruzione dell’ambiente e della natura” (58% ) e alla “sicurezza dei cibi che mangiamo”(46% ). Dall’altro lato, le paure associate

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alla “perdita del lavoro” (46% ), alla possibile perdita della pensione (40% ), all’eventualità di “non avere abbastanza soldi per vivere” (39% ). Rispetto al 2014 l’indice di insicurezza economica scende dal 73 al 67% . Su livelli inferiori si stabilizza l’indice di insicurezza connessa alla criminalità, allineato alle misure della precedente rilevazione: il 44% degli intervistati soffre infatti questo tipo di preoccupazione. L’86% degli italiani ha registrato, nel corso degli ultimi cinque anni, una crescita, nel paese, dei fenomeni criminali ed il 48% denuncia un aumento nella propria zona di residenza toccando valori che sfiorano i picchi registrati nel biennio 2007-2008. Rimane consistente l’impatto della crisi sotto il profilo occupazionale;

Gli atti terroristici e il timore di nuove guerre occupano prepotentemente l’agenda dei notiziari europei e italiani. Nelle tre settimane che precedono la somministrazione del sondaggio (dal 29 dicembre 2014 al 18 gennaio 2015), i tragici fatti di Parigi e la paura degli attentati terroristici occupano la parte più significativa dell’agenda europea e nazionale. I servizi dei tg usano espressioni altamente ansiogene come: “i terroristi sono tra noi”, “l’Europa è sotto attacco”, “il Vaticano è il prossimo obiettivo dell’Isis, lo rivelano i servizi segreti statunitensi”; “famiglie integrate di immigrati di seconda generazione che indossano i panni di una sorta di internazionale dell’orrore che cattura e indottrina ragazzi che perdiamo”. Ne deriva un’agenda dell’insicurezza dei media dedicata agli attentati che lascia in secondo piano le altre notizie legate alla criminalità o alla crisi economica.

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In conclusione la discordanza tra le agende dei cittadini e quelle dei media che emerge in questo paragrafo dai dati dell'Osservatorio Europeo sulla sicurezza nel periodo 2007-2015, confermerebbe la presenza, sostenuta dalla Teoria dell'Agenda Setting, di una qualche influenza da parte di chi detiene il potere nei confronti degli organi di informazione, i quai fornirebbero alla società contemporanea notizie filtrate ed indirizzate.

Percezione del fenomeno criminale nella popolazione, cosa c'è di vero nel connubio aumento degli immigrati e aumento dei

reati?

Poiché, come si è detto sopra, la paura principale che gli italiani manifestano a proposito di immigrazione è che a fronte di un incremento degli arrivi nella società aumentino i fatti criminali in questo paragrafo si procede all'analisi del binomio immigrazione-devianza in Italia a partire dai dati dal Centro Studi e Ricerche Idos21 nel dossier del 2011 Le

migrazioni in Italia. Scenario attuale e prospettive.

Nella popolazione europea i risultati delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo, che si sono svolte il tra il 22 e il 25 maggio 2014 nei ventotto paesi che formano l’UE, coinvolgendo 170 milioni di elettori europei, hanno messo in evidenza il crescente appeal guadagnato dalle

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correnti politiche di ispirazione nazionalista, xenofoba e populista che individuano negli stranieri la principale causa dei problemi sociali ed occupazionali del Vecchio Continente. In Germania i neonazisti dell’Npd hanno ottenuto un seggio, entrando per la prima volta a Strasburgo, a seguito della bocciatura da parte della Corte costituzionale tedesca della soglia di sbarramento al 3% per le consultazioni europee, in Francia un francese su 4 ha votato per il Front National di Marine Le Pen, che arriva al 26% quadruplicando i voti del 2009 quando aveva conquistato solo 3 seggi, in Grecia si piazza al terzo posto il neo-nazista Chrysi Avgì con il 9,3 per cento dei voti, in Austria il grande vincitore è il partito di destra euroscettico Fpoe, terzo con il 20,1% (+7,2%) che raddoppia i seggi da 2 a 4 , successo anche in Danimarca per gli euroscettici con l' estrema destra di Danish People Party che si afferma come il primo partito con il 23,1% (+3 deputati rispetto al 2009)22.

Il lungo trascinarsi di una crisi economica e finanziaria, in particolar modo nell’area del Mediterraneo, è riconosciuto dalla antropologa Anna Maria Rivera come una delle principali cause del diffondersi di dottrine razziste, xenofobe e nazionaliste che propongono una sorta di nazionalismo armato a difesa delle proprie frontiere23. L’adozione di politiche di

austerità ha prodotto effetti sociali importanti, primo fra tutti l’acuirsi del divario tra pochi cittadini che detengono la maggior parte della ricchezza e

22

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/05/26/elezioni-europee-2014-i-risultati-il-front-national-di-le-pen-primo-partito-in-francia/999861/

23 Cit. Annamaria Rivera, Una crisi anche politica e morale. L’Italia tra preferenza nazionale e ritorno della “razza” in Cronache di ordinario razzismo, 2014 (a cura di) Lunaria

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un crescente numero di persone che si trova a combattere in prima linea gli effetti della crisi(fanno parte di questa categoria gli indigenti, i disoccupati, i cassaintegrati, i precari e i salariati,). I dati del Rapporto Istat 2014 24parlano di un dieci per cento di ricchi che detiene la metà della

ricchezza mentre si trovano senza occupazione sette milioni di persone, oltre un terzo della popolazione attiva. Secondo il filosofo Slavoj Zizek(2011) ad acuire l’effetto della crisi economica verso la crescente affermazione di teorie razziste e xenofobe contribuisce un’altra tipologia di crisi, quella politico ideologica che produce elité politiche di basso profilo morale e culturale che, spesso, utilizzano registri discorsivi al limite della chiacchiera popolare razzista . Come effetto diretto di tali cambiamenti in atto si sarebbe creato in Italia un circolo vizioso preoccupante tra il discorso e l’azione dei governi e di alcuni partiti politici 25. L’utilizzo di

stereotipi e la riproduzione di cliché operata dal sistema mediatico alimenterebbe forme di intolleranza e razzismo dalle ronde alle spedizioni punitive.

L’antropologa Annamaria Rivera individua tali reazioni violente popolari come il “razzismo dei piccoli bianchi” 26, cioè una forma di razzismo tipica

di coloro che occupano i gradini più bassi della società i quali, trovandosi in una posizione sociale critica, sfogano la propria frustrazione e rabbia nei confronti di quelli che occupano il gradino inferiore rispetto a loro nella

24 Ibidem, pag.10

25 Cit. Annamaria Rivera, Il circolo vizioso del razzismo in (a cura di) Grazia Naletto, Rapporto sul razzismo in Italia (2009) edizioni Lunaria

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scala sociale, ovvero gli immigrati, colpevoli di ricordare loro un passato di precarietà, pieno di rinunce e sacrifici, ai margini della società.

Il meccanismo mediatico alla base di campagne allarmistiche è ormai consolidato e prende il via dalla deformazione di fatti di cronaca, anche minori, con protagonisti immigrati collegati in una presentazione concatenata che fa emergere lo sviluppo all’interno della società di una piaga o un fenomeno o una emergenza. Si trasmette in questo modo alla comunità autoctona l’idea che un pericolo imminente si stia velocemente diffondendo e che i responsabili siano persone estranee, tale meccanismo innesca quella che il sociologo Bauman definisce paura liquida.

"La paura più temibile è la paura priva di un indirizzo e di una causa chiari; la paura che ci perseguita senza una ragione, la minaccia che dovremmo temere e che si intravede ovunque, ma non si mostra mai chiaramente. "Paura" è il nome che diamo alla nostra incertezza: alla nostra ignoranza della minaccia, o di ciò che c'è da fare per arrestarne il cammino o, se questo non è in nostro potere, almeno per affrontarla."27

I dati elaborati dal Centro Studi e Ricerche Idos28ci parlano di una

situazione reale molto distante dalla situazione percepita; In Italia nel 2010 le denunce contro autore noto sono state 866.395(di cui 592.447 cittadini italiani e 273.948 cittadini stranieri). Per una corretta lettura dei dati va sottolineato che le denunce contro gli italiani riguardano la popolazione residente in Italia, mentre le denunce contro gli stranieri

27 Z.Bauman (2008) Paura Liquida, edizioni Laterza

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riguardano solo parzialmente gli immigrati residenti in Italia e altre categorie di cittadini stranieri, come ad esempio i turisti. L’aumento dei reati che si è registrato dal 2004 al 2010 è stato complessivamente del 22,1%, ripartito nel seguente modo: +23,4% per gli italiani e + 19,4% per gli stranieri a fronte però di un consistente aumento della popolazione straniera da 2.402.157 a 4.570.317 (+ 90,3%), e di una sostanziale stabilità della popolazione autoctona29. La tesi di una corrispondenza diretta tra

consistenza numerica degli immigrati e i reati da loro commessi è stata rigettata in diversi studi, che sottolineano come gli stranieri siano diventati spesso il capro espiatorio dell’insicurezza degli italiani in preda alla crisi economica.

In totale sono entrati in Italia oltre 72 milioni di stranieri nel 2010 dei quali 40 milioni hanno effettuato pernottamenti30. Tra gli stessi immigrati,

poi, bisogna distinguere fra persone autorizzate al soggiorno (circa 5 milioni), e le altre persone presenti sul territorio ma prive di tale autorizzazione (circa 500.000). Poiché è difficile condurre analisi precise su categorie così diverse di persone non è accettabile, sul piano metodologico, attribuire agli immigrati irregolari reati che in realtà possono riguardare una popolazione molto più numerosa.

L’analisi del comportamento penale degli italiani e degli immigrati residenti non trova un adeguato supporto nelle statistiche disponibili che sono in netta decrescita da quando i cittadini comunitari non sono più

29 Ibidem, pag 62 30 Ibidem,pag62

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soggetti alla richiesta di un permesso di soggiorno.

Per quanto riguarda gli immigrati regolari, occorre considerare nell’analisi le denunce loro addebitabili ed effettuare un confronto per popolazioni tipo. Seguendo questa metodologia, il Dossier Statistico Immigrazione 200931 è giunto alla conclusione che il tasso di criminalità cumulativo, a

prescindere dalle singole fattispecie, è sostanzialmente identico per le due popolazioni e, anzi, sarebbe più basso per gli immigrati se si eliminassero dal computo le denunce direttamente connesse con la normativa sugli stranieri.

Un altro luogo comune è che la criminalità degli stranieri sia più grave e, invece, le denunce penali registrate nel 2010 evidenziano una ripartizione tra le due popolazioni:

- simile per un certo numero di reati: contraffazione, rapine, stupefacenti, lesioni dolose, violenze sessuali e associazione a delinquere;

- con una prevalenza degli italiani per alcuni reati: minacce, ingiurie e truffe informatiche;

- con una prevalenza di stranieri per un’altra serie di reati: ricettazione, furti e violazione alla proprietà intellettuale.

Inoltre va precisato che i cittadini stranieri sono gli unici protagonisti dei reati legati alla violazione della normativa sull’immigrazione e al tentativo di entrare o rimanere in territorio nazionale (fuga, false generalità, falsi documenti, reati di resistenza all’arresto, oltraggio a pubblico ufficiale,

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ecc.). Essi hanno più probabilità, rispetto agli italiani, di essere denunciati, arrestati e incarcerati, essendo più esposti alle previsioni normative e maggiormente privi di supporti. I reati denunciati in Italia sono attualmente ascrivibili alle prime generazioni di immigrati, mentre rimane da capire quello che sarà il comportamento delle seconde generazioni, tenendo presente la tendenza generale che in altri paesi le seconde e le terze generazioni siano state caratterizzate da addebiti giudiziari più consistenti rispetto a quelli che li hanno preceduti. Sulla base di questi dati risulta dunque infondata che ad una crescita dei flussi di immigrazione corrisponda un aumento della criminalità.

“I migranti visti dai cittadini”, l'opinione pubblica italiana attraverso il rapporto Istat 2011

Per concludere la ricostruzione dell'evolversi dell' opinione pubblica in Italia si rende infine necessario fare il punto della situazione aggiornando i dati a tempi più recenti. L’11 luglio 2012 l’Istat ha presentato un’indagine statistica, realizzata su mandato del Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio, sulla percezione degli italiani a proposito della presenza dei cittadini stranieri nella società, dalla quale emerge una visione non solo ambivalente ma perfino della presenza degli stranieri in Italia32.

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Dai dati della ricerca emerge infatti che, se, da un lato, il 59,5% dei cittadini italiani è d’accordo sul fatto che gli immigrati siano troppo discriminati nella nostra società con minori opportunità per gli immigrati di trovare lavoro e una casa in affitto e la maggioranza degli intervistati sottolinei come sia intollerabile che venga preso in giro uno studente o un lavoratore venga trattato meno bene solo perchè immigrati, dall’altro stona il numero di coloro, il 65,2%, che ritengono che gli immigrati siano comunque “troppi”. Anche se il 60% è molto o abbastanza d’accordo nel valutare “la presenza degli immigrati positiva perché permette il confronto con altre culture” di contro il 55,3% è convinto che “nell’attribuzione degli alloggi popolari, a parità di requisiti, gli immigrati dovrebbero essere inseriti nella graduatoria dopo gli italiani”, e che il 48,7% è d’accordo sulla seguente affermazione: “in condizione di scarsità di lavoro, i datori di lavoro dovrebbero dare la precedenza agli italiani” rispetto agli immigrati. La maggioranza degli intervistati associano alla presenza di migranti in Italia un peggioramento di alcuni aspetti della qualità della vita (specie il diffondersi del terrorismo e della criminalità, per il 52,6%) di conseguenza non c’è da meravigliarsi se il 60,1% ritiene che l’atteggiamento degli italiani verso gli stranieri sia diffidente, quando non apertamente ostile(6,9%) o indifferente(15,8%). Anche l'atteggiamento degli stranieri viene percepito come diffidente o indifferente nei confronti degli italiani, quando non apertamente ostile, nel 9,6% delle risposte.

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cambia notevolmente quando si passa ad un livello più specifico nella caratterizzazione dell'ipotesi, infatti un 85% avrebbe problemi se fosse la propria figlia a voler sposare un cittadino straniero, in particolare se di origine Rom o Sinti. Dunque a fronte di un’apertura verso una società multiculturale si rileva la persistenza di stereotipi e pregiudizi nei confronti degli immigrati, soprattutto se appartenenti ad alcune comunità o nazionalità specifiche.

La stessa ambivalenza si ritrova nei dati sulla sfera religiosa: la maggioranza (59,3%) si dichiara “tollerante”, tuttavia il 26,9% è contrario all’apertura di altri luoghi di culto vicino alla propria abitazione, soprattutto se si tratta di una moschea (41,1%). Emerge un 16,30% degli italiani che ritiene che “gli immigrati devono uniformarsi alla nostra religione” ed un 80,7% che ritiene che in Italia non debba essere permesso alle donne musulmane l’uso di coprirsi il volto per motivi religiosi. Un dato sicuramente positivo è che il 72,1% degli italiani si dichiara favorevole al riconoscimento alla nascita della cittadinanza italiana ai figli degli immigrati nati in Italia, e che il 91,4% ritiene giusto che gli immigrati, che ne facciano richiesta, ottengano la cittadinanza italiana dopo cinque anni per il 38,2% e dopo dieci anni per il 42,3% di residenza regolare nel nostro Paese. Per quanto riguarda l’inclusione scolastica quasi la totalità dei rispondenti, ben il 92,9%, pensa che sia più opportuno distribuire i migranti nelle varie classi piuttosto che raggrupparli tutti solo in alcune. Meno confortante e in controtendenza rispetto a quella registrata nel corso

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di precedenti ricerche, l’opinione che la maggioranza dei rispondenti ha espresso sull’opportunità del riconoscimento del diritto di voto amministrativo che si ferma a quota 42,6% per chi si dice molto o abbastanza d’accordo a riconoscere il diritto di voto nelle elezioni comunali agli immigrati che risiedono da alcuni anni in Italia, anche se non hanno la cittadinanza italiana. Il degrado e la criminalità si confermano come le preoccupazioni principali che gli italiani associano alla presenza di immigrati nei propri quartieri per cui il 54% del campione si dichiara molto/abbastanza d’accordo con la l’affermazione “un quartiere si degrada quando ci sono molti immigrati” all’integrazione”. Nell’ambito di una lettura generazionale delle risposte si evidenzia una maggiore apertura da parte dei giovani, soprattutto se donne, rispetto ai diversi aspetti connessi al fenomeno dell’immigrazione, mentre l’analisi geografica mette in evidenza una maggiore “propensione” nel Centro Italia rispetto al Nord e al Sud .

Per l'allora Ministro del lavoro e delle politiche sociali Elsa Fornero, presente alla presentazione della Ricerca, “La percezione degli italiani verso gli immigrati è in chiaroscuro. Risente del clima di recessione in cui viviamo, che aumenta le paure”. Più positivo invece Andrea Riccardi, ministro alla Cooperazione internazionale e all’Integrazione, che afferma “gli italiani sono ancora in mezzo al guado, ma la loro cultura è in evoluzione”, hanno “grosse paure” ma “recepiscono fatti positivi” e sono

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“in parte convinti che la presenza degli stranieri non sia una minaccia ma una risorsa, e produca vantaggi anche per l’economia”33.

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