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UNIVERSITÀ DI PISADipartimento di Economia e MCorso di Dottorato in Economia Aziendale e Management

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Economia e M

Corso di Dottorato in Economia Aziendale e Management

DINAMICHE DI PRIVATI

NEI SERVIZI PUBBLICI

INGLESI NELLE AZIEND

Settore scientifico

Relatore

Chiar.mo Prof. Luca Anselmi

UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Dottorato in Economia Aziendale e Management

Ciclo XXIX

DINAMICHE DI PRIVATIZZAZIONE E CONCORREN

NEI SERVIZI PUBBLICI: ESPERIENZE ITALIAN

INGLESI NELLE AZIENDE FERROVIARIE

Settore scientifico-disciplinare Secs–P 07

Candidata

Chiar.mo Prof. Luca Anselmi

Dott.ssa Alessia Patuelli

anagement

Corso di Dottorato in Economia Aziendale e Management

ZZAZIONE E CONCORRENZA

: ESPERIENZE ITALIANE E

E FERROVIARIE

Candidata

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The issue of public ownership versus private enterprise for the railways was as old as the industry itself.

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Indice

Introduzione ... 1

1. Diversità negli approcci al settore pubblico: il ruolo dello Stato nei servizi pubblici ... 3

1.1. Tendenze evolutive nel settore pubblico: logiche, criticità e prospettive ... 3

1.2. I servizi di trasporto ferroviario: dinamiche e potenzialità ... 16

1.3. Inquadramento metodologico e disegno della ricerca ... 26

2. Le origini del settore ferroviario: la nascita delle aziende di trasporto ... 35

2.1. Le ferrovie in Italia: tra supporto pubblico e sviluppo della nazione ... 39

2.2. Tra “railway mania” e opportunità di business: il modello anglosassone ... 49

2.3. Specificità e analogie nei processi evolutivi ... 59

3. Percorsi di riforma nei monopoli ferroviari: modalità, obiettivi e risultati dei processi di privatizzazione 63 3.1. Il percorso italiano: tra privatizzazione formale e aziendalizzazione ... 64

3.2. Le ferrovie inglesi: un emblematico caso di privatizzazione e frammentazione ... 73

3.3. Logiche di fondo e interpretazioni comparative ... 85

4. Le ferrovie e l’Europa ... 90

4.1. Verso l’apertura dei mercati: il ruolo dell’Unione Europea ... 91

4.2. Aspetti di governance e modelli organizzativi ... 101

4.3. Tendenze europee: tra spinte all’armonizzazione e differenze ... 109

5. Le aziende ferrovie italiane e inglesi oggi: peculiarità e confronti ... 111

5.1. Principali caratteristiche delle aziende ferroviarie in Italia e Inghilterra ... 112

5.2 Le aziende ferroviarie italiane e inglesi: una selezione di casi ... 123

Riflessioni finali ... 179

Appendice ... 183

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Introduzione

In Italia, il settore ferroviario è stato per quasi un secolo sotto il controllo dell’Azienda Autonoma Ferrovie dello Stato, costituita nel 1905 in seguito alla nazionalizzazione. La natura giuridica dell’Azienda autonoma rimase inalterata per gran parte del Novecento, sino al 1985, quando avvenne il passaggio a Ente pubblico. Da allora sono intervenuti altri cambiamenti, tra i quali la trasformazione dell’Ente in Società per Azioni nel 1992, nonché la separazione societaria tra gestione dell’infrastruttura, affidata a Rete Ferroviaria Italiana (RFI), e le attività di trasporto passeggeri, assegnate a Trenitalia.

Tali riforme, avvenute anche grazie alle spinte riformistiche dell’Unione Europea, rientrano nel più ampio processo di privatizzazione che ha interessato le aziende pubbliche italiane negli anni ’90 (Borgonovi, 2004): alle dinamiche di privatizzazione in senso stretto (dismissioni) si sono associati fenomeni di aziendalizzazione, cioè di introduzione di criteri economico-aziendali all’interno delle amministrazioni pubbliche (Anselmi, 2014). Oltre alle dinamiche di privatizzazione formale, nel settore ferroviario italiano sono state introdotti alcuni elementi concorrenziali, che hanno permesso ad aziende private di inserirsi nella competizione con l’incumbent.

Nell’insieme, i processi di privatizzazione, aziendalizzazione e introduzione di concorrenza si riconducono alla corrente del New Public Management (Hood, 1991), fondata sull’adozione, nelle organizzazioni pubbliche, di strumenti di management e forme organizzative utilizzate dalle aziende private. Nell’adozione dei principi di New Public Management (NPM), l’Inghilterra è generalmente considerata un crucial case, un caso emblematico di privatizzazione, specialmente nel campo ferroviario (Dunleavy et al., 2006), mentre l’Italia rientra tra quei Paesi in cui il NPM ha più faticato ad entrare (Ongaro, 2009).

Negli anni recenti, sono stati proposti approcci volti al superamento del NPM, evidenziandone i limiti e sostenendo logiche alternative quali, per esempio, il “New Public Service” (Denhardt e Denhardt, 2000), la “New Public Governance” (Osborne, Radnor e Nasi, 2013; Osborne, 2010) e il “Whole-of-Government” (Christensen e Lægreid, 2007). Altre prospettive, invece, sostengono che il NPM mantenga tutt’ora attributi di validità (De Vries e Nemec, 2013) e, anzi, rappresenti lo strumento più adatto per affrontare la crisi internazionale (Lapsley e Square, 2010). La presente ricerca andrà, dunque, a indagare le potenzialità e le criticità connesse all’applicazione dei principi di NPM nel caso emblematico della privatizzazione ferroviaria inglese, proponendo un confronto con le realtà italiane. La trattazione sarà svolta in un’ottica diretta sia a comprendere il quadro d’insieme delle diverse realtà e della più ampia dimensione europea, sia ad analizzare le dinamiche particolari riguardanti le aziende di trasporto ferroviario passeggeri.

A livello metodologico, il caso studio (Yin, 2013) è risultato il metodo più indicato per comprendere il “perché” e il “come” di fenomeni sociali complessi, in particolare associato ad approcci di triangulation methods, che impiegano, contemporaneamente, diverse metodologie per lo studio di uno stesso fenomeno (Denzin, 1978; Jick,1979). In particolare, le fonti principali utilizzate nell’analisi sono costituite da

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documentazione scritta, ponendo particolare attenzione alle caratteristiche di autenticità e credibilità dei documenti, e da una serie di interviste, di tipo semi-strutturato, condotte con testimoni privilegiati degli eventi.

La trattazione prevede diversi livelli di analisi, a partire dagli approfondimenti teorici e dalle principali dottrine sul ruolo dello Stato nell’economia e nei servizi pubblici, per poi calarsi nelle specifiche dinamiche del settore ferroviario. L’analisi si svilupperà a partire dagli albori dell’epoca ferroviaria, per poi comprendere le motivazioni, le metodologie e le conseguenze dei processi di privatizzazione e di introduzione di concorrenza nelle aziende ferroviarie italiane e inglesi, considerando anche gli impatti delle spinte riformistiche dell’Unione Europea. Si andranno, infine, ad analizzare le principali caratteristiche delle aziende ferroviarie oggi, associando una visione d’insieme a un approccio volto ad indagare le dinamiche nelle specifiche realtà aziendali.

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1. Diversità negli approcci al settore pubblico: il ruolo dello Stato nei servizi

pubblici

1.1.

Tendenze evolutive nel settore pubblico: logiche, criticità e prospettive

La presenza delle amministrazioni pubbliche nelle attività economiche muta in base al luogo, al tempo, alla cultura e alle circostanze che caratterizzano un determinato Paese. L’Italia, in particolare, è tradizionalmente caratterizzata da ingenti presenze pubbliche, sia nella normazione, sia nell’estensione del welfare State, sia in merito alla funzione attiva che le amministrazioni pubbliche svolgono, a vari livelli, nell’economia (Anselmi, 2014).

La presenza dello Stato, in Italia, radicata sia nel mondo dei servizi, sia nella produzione di beni (culminata nella seconda metà del Novecento), deriva dalle concezioni dominanti del XIX secolo sulla natura delle aziende e sul ruolo che il settore pubblico doveva ricoprire nell’economia.

Si riteneva, inoltre, che il fine delle aziende fosse differente in base alla loro principale natura, di tipo pubblico o privato. Nella cultura ottocentesca, infatti, vi era una netta contrapposizione tra aziende di produzione (aziende in “senso stretto”) e aziende di erogazione (che non erano considerate imprese): le prime erano tipicamente orientate alla produzione di beni e al perseguimento di un profitto – erano quindi caratterizzate dal fine di lucro e dal rischio d’impresa. Le aziende di erogazione (Cassandro, 1979), invece, generalmente curavano i servizi necessari al soddisfacimento dei bisogni umani, erano caratterizzate dalla natura pubblicistica e dall’assenza del rischio economico, che compensava le finalità sociali.

Storicamente, il settore pubblico aveva un ruolo particolarmente pregnante nella vita dei cittadini: si occupava di “tutti quei beni che la Pubblica Amministrazione riconosce di pubblica utilità ed in quanto tali ne assicura la produzione, distribuzione ed erogazione in modo tale da garantire a tutti i cittadini un uso libero e privo di qualsiasi restrizione o discriminazione economica, spaziale e temporale” (Borgonovi et al., 2013). L’autorità pubblica rispondeva, in sostanza, al soddisfacimento dei bisogni collettivi e indivisibili, all’interno del quadro di valori culturali del Paese in cui si collocava (Borgonovi, 1979).

Tale convinzione derivava da una molteplicità di considerazioni in merito al ruolo che lo Stato deve esercitare nell’economia di una nazione: sebbene le motivazioni dell’intervento pubblico possono variare a seconda del luogo e delle circostanze, è possibile ricondurle ad alcune tematiche principali.

La struttura e le caratteristiche dei mercati, in particolare nei servizi a rete, può creare rischi legati allo sfruttamento esclusivo, nel caso siano gestiti da un unico operatore privato. La principale incertezza è riferita alle possibilità di sfruttamento economico esclusivo delle attività, a scapito dei clienti o consumatori: il monopolio privato nella produzione di un bene o nell’erogazione di un servizio è ritenuto, quindi, non opportuno, mentre un monopolio pubblico avrebbe potuto maggiormente tutelare i cittadini (Borgonovi, 1979).

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La tendenza alla creazione di monopoli era, poi, tanto più forte quanto lo era la presenza di immobilizzazioni1 (D'Alessandro, 1967) e oneri fissi per la produzione o l’erogazione di un servizio: la tendenza ad accentrare la gestione verso un numero limitato di soggetti era naturale per ottenere maggiori economie di scala, soprattutto in determinati campi, per esempio nell’energia elettrica, nella fornitura di gas e nelle ferrovie2 (Pivato, 1939).

Tra le altre motivazioni classiche per l’intervento pubblico nelle attività economiche di uno Stato rientrano solitamente la funzione integrativa e suppletiva degli spazi lasciati vuoti dai privati nei mercati in cui le condizioni di rischio, i mezzi richiesti e gli scarsi livelli di redditività non ne favoriscono l’ingresso (Buchanan & Tullock 1962)3. Al di là delle funzioni suppletive, in altri casi lo Stato decide di intervenire direttamente nelle aziende per controllare e guidare lo sviluppo dell’economia in specifiche direzioni: sia per favorire i settori che ritiene essenziali per l’andamento del sistema economico, sia per bilanciare gli squilibri territoriali tra diverse zone o per limitare gli effetti negativi dei cicli economici. Altre motivazioni risiedono nell’idea di limitare le fughe di capitali verso l’estero, se lo Stato decide di intervenire direttamente in aziende sotto il controllo di “dominatori stranieri” o per le quali sussiste il rischio di ingresso di capitale straniero: in tal senso, l’intervento del settore pubblico è generalmente orientato a mantenere capitali, forza lavoro e profitti all’interno del Paese, erogando direttamente il servizio o producendo il bene4. Infine, soprattutto nei servizi sociali o di pubblico interesse, l’intervento del pubblico può essere finalizzato a mantenere il controllo sul livello dei prezzi, in modo da rendere il servizio accessibile alla cittadinanza a un livello di prezzo inferiore, e quindi più accettabile, di quanto si realizzerebbe in un’economia di mercato. In tal modo, lo Stato ricoprirebbe anche una funzione redistributiva, partecipando direttamente alla vita aziendale.

Nel tempo, i concetti di attività di erogazione e produzione si sono sviluppati, andando gradualmente a superare quella concezione classica che vedeva le attività di competenza del settore pubblico nettamente differenti rispetto alle aziende private. Sin dal XIX secolo, con Francesco Villa, infatti, inizia a consolidarsi una linea di pensiero secondo la quale molte amministrazioni pubbliche e alcuni rami della finanza statale

1 Come scrive D’Alessandro (1967): “La possibilità di effettiva concorrenza tra imprese di pubblica utilità è anche

ostacolata dagli elevati immobilizzi generalmente richiesti per l’esercizio della loro attività”

2 Infatti: “E’ pure chiaro che la cospicua entità, in tutte le imprese di servizi, dei fondi investiti nelle immobilizzazioni

tecniche, comporta una elevata proporzione di <<oneri fissi>> e quindi la necessità della massima utilizzazione possibile delle capacità di impianto disponibili [...]. Concorrono infine a determinare la tendenza ad una posizione di monopolio, sia pure limitato: la conveninenza ad accentrare il servizio presso non troppi concessionari per i migliori rendimenti delle grosse unità tecniche [...].” Sul tema del monopolio, in particolare, “E’ difficile decidere in modo definitivo se il servizio della produzione o della distribuzione della energia elettrica, o quello della fornitura del gas, o l’esercizio delle ferrovie si svolgano, o no, in regime monopolistico. [...] Anche qui si danno classi di servizi (come i traffici merci a lunga distanza e di basso valore specifico) per i quali la rivalità di aziende di trasporto locali, automobilistici o d’altro tipo, non si fa sentire; e classi di servizi invece (come i trasporti passeggeri e merci di breve distanza) in cui la rivalità con altre imprese di trasporti e il pericolo della autoproduzione del servizio da parte degli utenti stessi (soprattutto con mezzi automobilistici) sono assai sentiti. L’esistenza di <<sostituti>> del servizio reso dalle nostre imprese limita notevolmente la loro posizione monopolistica, ma in misura diversa a seconda dei vari tipi di utenza e a seconda delle variazioni nei prezzi [...]” (Pivato, 1939).

3 Tali considerazioni richiamano la teoria dei fallimenti del mercato (“market failures”), di cui si tratterà più avanti. 4 Tali motivazioni rientreranno in gioco nel capitolo 2.1, in merito alle ragioni dell’intervento pubblico nelle ferrovie

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hanno diverse caratteristiche comuni al settore privato, fino a giungere a una concezione più attuale, di cui Egidio Giannessi (1961) fu tra i più decisi sostenitori, secondo la quale le aziende sono accomunate da un’unica finalità, senza contrapposizioni tra ruolo di produzione o erogazione: il raggiungimento dell’equilibrio economico di lungo periodo.

Contemporaneamente al ruolo e alle contrapposizioni tra Stato e aziende private, si evolvono e maturano nel tempo anche i più ampi concetti di amministrazione pubblica, amministrazione economica e azienda: anche la complessità delle attività di gestione, la struttura delle aziende, le definizioni e le teorie cambiano, infatti, in relazione al periodo storico in cui si collocano (Catturi, 2010), e si possono ricostruire attraverso i contributi dei grandi maestri della Ragioneria e dell’Economia Aziendale5.

Più di recente, si sono sviluppate logiche volte al ripensamento del ruolo e delle funzioni direttamente ricoperte dallo Stato. L’idea che lo Stato debba ripensare e ridurre l’estensione dei propri confini, in termini di ampiezza dell’operato delle pubbliche amministrazioni, era sorta nella metà del XX secolo, quando si inizia ad affermare una linea di pensiero secondo la quale ai fallimenti del mercato (Buchanan & Tullock 1962) non era necessario rispondere attraverso l’introduzione di monopoli pubblici (Stiglitz, 1989). Si introduce, insomma, un’idea secondo la quale alle eventuali disfunzioni dei mercati non si debba esclusivamente rispondere attraverso la gestione diretta da parte del soggetto pubblico, ma ricercando anche altre soluzioni: il “rimedio della pubblicizzazione può essere peggiore del male che si vuole evitare” (Borgonovi, 1979).

Il dibattito sulle modalità di erogazione dei servizi pubblici, nonché sui confini delle amministrazioni pubbliche, è ancora attuale: ci si continua a interrogare, in sostanza, su quale debba essere il giusto confine della pubblica amministrazione oggi (Héritier, 2002; Drechsler, 2005; Levy, 2010) e attraverso quali modalità debbano essere erogati i servizi. La crisi economica iniziata tra il 2007 e il 2008 e le recenti riforme volte al decentramento (Borgonovi, 2004) hanno posto nuovamente gli Stati europei davanti alla necessità di ripensare le modalità di erogare i servizi pubblici, anche in un’ottica di spending review. In tal senso, il caso dei servizi di trasporto ferroviario risulta senz’altro centrale nell’ambito dei servizi pubblici, tradizionalmente erogati attraverso monopoli pubblici verticalmente integrati6.

5 Molti sono i contributi più recenti che ricostruiscono l’evoluzione del concetto di azienda e della ragioneria, spesso

legate negli scritti dei grandi Maestri del passato. In termini non esaustivi, si ricorda Zan (1994), che ripercorre i principali autori e le scuole di pensiero nella storia della ragioneria italiana, proponendo una nuova periodizzazione; Galassi and Mattessich (2004) che, oltre all’analisi dei contributi dei principali Maestri, quali Cerboni, Rossi, Besta, Zappa, ripropongono i contributi di alcuni autori meno conosciuti; Coronella et al. (2013) i quali si pongono in un’ottica di indagine sull’evoluzione di alcuni aspetti della ragioneria negli stati dell’Italia pre-unitaria; Zuccardi Merli e Bonollo (2011), la cui analisi prende avvio dall’epoca post-unitaria; Poddighe et al. (2005), che analizzano i contributi di Zappa e Ceccherelli alla ragioneria e, infine, Antonelli e Sargiacomo (2015), che si concentrano in particolare su uno specifico Maestro, Ceccherelli. Tra i molti studi sulle evoluzioni delle idee dell’azienda e della ragioneria, si ricordano inoltre, in termini non esaustivi, i lavori di Amaduzzi (2004), Cinquini e Marelli (2007), Antonelli e D’Alessio (2011) e di Di Pietra e Baldi, (2014) che sviluppano analisi sulla storia della ragioneria, anche utilizzando metodologie di stampo quantitativo.

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La questione del livello di estensione dei servizi pubblici, non solo in campo ferroviario, è, in realtà, del tutto dinamica: i servizi di interesse pubblico sono potenzialmente infiniti, ma i meccanismi nell’offerta e nella domanda variano, contemporaneamente, a seconda del tempo e del luogo in cui vanno a collocarsi (Borgonovi et al., 2013). Infatti, la predisposizione e l’erogazione dei servizi pubblici è legata sia al profilo territoriale (la conformazione geofisica del luogo), sia al profilo temporale (si pensi, per esempio, alle tecnologie e alle innovazioni per la predisposizione di una rete, che possono svilupparsi nel tempo). Non solo: anche le caratteristiche nella domanda possono evolversi nel tempo e nello spazio, a seconda del mutamento nelle esigenze della popolazione o per novità sopraggiunte (per esempio, nuove modalità di erogazione del servizio o nascita di servizi alternativi).

Tra le questioni connesse all’estensione dei confini dell’intervento pubblico, è, quindi, necessario determinare la quantità e il livello dei servizi da erogare alla comunità (Mussari, 1994): non si tratta solo di stabilire le tipologie di attività che le pubbliche amministrazioni devono o non devono gestire direttamente, ma anche di determinare gli obiettivi qualitativi nell’erogazione dei servizi, anche attraverso la determinazione di standard (Borgonovi et al., 2013). Un altro fondamentale interrogativo riguarda quale mix di servizi a redditività positiva o negativa programmare (Borgonovi, 2000), ovvero in che modo gestire quelle attività che producono redditi e quelle che producono esclusivamente disavanzi.

Non è detto, inoltre, che un servizio o un’attività debbano essere gestiti direttamente da un soggetto pubblico oppure da un privato: gli orientamenti più recenti tendono al superamento delle nette contrapposizioni tra gestione pubblica e privata, favorendo al contempo un sistema di relazioni volto all’interazione tra diversi soggetti. In tal senso, si parla di crisi del modello dicotomico pubblico-privato (Borgonovi, 2000).

Al riguardo, le lenti dell’economia aziendale7 ben si prestano alla comprensione e all’analisi delle scelte “riguardanti il cosa fare, il come fare e il quando fare” (Borgonovi, 2000)

Altro tema di discussione riguardo la definizione di azienda pubblica e servizio pubblico: secondo quali criteri è possibile classificare una azienda o un servizio come pubblico o privato?

È bene, innanzitutto, non confondere i concetti di azienda pubblica, servizio pubblico e pubblica utilità, i quali, seppur accomunati dall’idea di “pubblico”, presentano differenziazioni.

I concetti di interesse pubblico e/o pubblica utilità sono generalmente associati ai bisogni condivisi di una collettività, manifestati in un determinato luogo e tempo: l’interesse pubblico è, dunque, una manifestazione della maggioranza di una comunità, un bisogno condiviso tra interessi diversi o un bisogno comune associato

7 Si ricorda la definizione di “azienda” proposta da Giannessi (1960): “L’azienda è una unità elementare dell’ordine

economico-generale, dotata di vita propria e riflessa, costituita da un sistema di operazioni, promanante dalla combinazione di particolari fattori e dalla composizione delle forze interne ed esterne, nel quale i fenomeni della produzione, della distribuzione e del consumo vengono predisposti per il conseguimento di un determinato equilibrio economico, a valere nel tempo, suscettibile di offrire una remunerazione adeguata dei fattori utilizzati e un compenso, proporzionale ai risultati raggiunti, al soggetto economico per conto del quale l’attività si svolge.”

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generalmente alle tradizioni, maturate nel tempo, di una determinata comunità, che può anche variare da nazione a nazione8 (Van de Walle, 2006)

I concetti di pubblica utilità e azienda pubblica non necessariamente coincidono9 (D’Alessandro, 1967): è frequente, infatti, il caso in cui l’operato pubblico si estenda oltre quei servizi e quelle produzioni strettamente necessarie al benessere di una comunità.

Il concetto di “azienda pubblica” risulta, poi, particolarmente complesso, in quanto costituito da due termini appartenenti a due mondi diversi: l’uno, “azienda”, si rifà al mondo dell’economia aziendale, mentre l’altro, “pubblico”, a quello del diritto (Anselmi, 2014). Risultano necessari, dunque, criteri per comprendere quali tipologie di aziende siano da considerare di natura pubblica o privata: una prima distinzione può essere in base alla natura del soggetto o dell’attività. Nell’interpretazione in senso soggettivo, la natura pubblica di un’azienda o servizio si intende in riferimento al soggetto da cui viene esercitato: in tal senso, si ritiene generalmente che si debba intendere il soggetto economico10(Amaduzzi, 1978), dal momento che l’interpretazione della sola personalità giuridica non sarebbe un criterio sufficiente per la determinazione della natura dell’azienda11 (Anselmi, 2014).

Il criterio oggettivo, invece, fa riferimento alla natura dell’attività svolta, indipendentemente dal soggetto da cui questa viene prestata: si tratta di qualsiasi attività imprenditoriale che offra beni o servizi alla collettività, tale da soddisfare bisogni generali (Curzio e Fortis 2000).

Nel privilegiare il criterio soggettivo nella determinazione della natura di un’azienda, definiamo, quindi, pubblica un’impresa in base alla sua natura soggettiva12. Allo stesso modo, anche un gruppo aziendale13 si definisce pubblico se tale è la natura del soggetto economico di riferimento (Borgonovi, 2013).

Da notarsi, inoltre, che il concetto di interesse pubblico e pubblica utilità non sono statici nel tempo, ma variano assieme alle circostanze spazio-temporali, grazie, per esempio, all’innovazione tecnologica (Borgonovi et al., 2006), che può permettere l’introduzione di possibilità prima inimmaginabili. L’insieme

8 Scrive, infatti, Van de Walle (2006): “Sensitivity to the concept of universal service may differ in various countries,

and services defined as SGIs in one country may not be so in another.”

9 D’Alessandro (1967), distinguendo i concetti di pubblica utilità e di impresa pubblica, scrive: “Il campo delle imprese

di pubblica utilità non è coestensivo con quello delle imprese pubbliche: benché sia abbastanza frequente il caso di imprese della natura considerata gestite da enti pubblici (Stato, Comuni, ecc), non è certo giustificato individuare in tale circostanza una regola, o una caratteristica generalmente valida per contraddistinguere le imprese in parola.”

10 Amaduzzi, infatti, specifica che il carattere pubblico o privato sia “meglio rilevato dalla considerazione del suo

soggetto economico”, che permette di “spiegare gli obiettivi che l’azienda si propone, nell’ aspetto tecnico e nell’aspetto economico, ed il modo con il quale gli obiettivi vengono raggiunti” (Amaduzzi, 1978).

11 Come ricorda Anselmi (2014), già “la dottrina più lontana (Villa, Zappa) ha negato che la personalità giuridica

potesse essere decisiva per l’amministrazione aziendale”. Tuttavia, il mutamento della personalità giuridica, da pubblica a privatistica, rappresenta un primo passo nel cambiamento culturale tra pubblico e privato (Anselmi, 1997)

12 Borgonovi (1979) definisce l’impresa pubblica quello “strumento attraverso cui gli istituti pubblici territoriali

intervengono direttamente nella produzione di servizi di pubblica utilità o nelle attività industriali, commerciali, del credito e delle assicurazioni”..

13 Il gruppo pubblico è, per Borgonovi et al. (2013) un insieme di aziende autonome, al cui vertice il soggetto

economico è di natura pubblica. All’interno dei confini del gruppo pubblico, le differenti configurazioni organizzative possono variare a seconda del numero e della tipologia delle aziende istituite, dalla loro missione, dal grado di autonomia e dal modello di governance.

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dei bisogni pubblici è, infatti, aperto14: “in dipendenza dell’evoluzione dell’economia e della tecnica, o di particolari necessità locali, può essere ampliata [...] o ristretta.” (D'Alessandro, 1967).

Nel soddisfacimento dei bisogni umani, dati i fallimenti del mercato e l’obiettivo di colmarli attraverso l’intervento pubblico diretto, l’azienda pubblica si può trovare a far fronte a maggiori vincoli rispetto ad altre attività economiche: tali limitazioni sono conseguenza delle necessità di tutela di interessi sociali condivisi, che si possono concretizzare, per esempio, in obblighi quali “la continuità della fornitura, della sua prestazione a chiunque la richieda alle condizioni stabilite, della pubblicità dei prezzi, della aderenza della politica tariffaria [...]” (Pivato, 1939). La tutela degli interessi della comunità, per sua intrinseca natura, limita le possibilità di manovra delle aziende che operano nell’erogazione o nella fornitura di servizi o beni per la collettività stessa.

Nonostante i vincoli, orientamenti dominanti già nella metà del Novecento (Giannessi, 1961) sottolineano che le attività aziendali, di qualunque natura, debbano essere sempre orientate al criterio dell’economicità e al raggiungimento dell’equilibrio economico a valere nel tempo. Il concetto di equilibrio economico è valido sia in riferimento all’azienda15 intesa come singola entità all’interno di un più ampio contesto, soprattutto nell’ambito del settore pubblico: in un gruppo di aziende, infatti, può essere ritenuto maggiormente importante il raggiungimento dell’equilibrio economico complessivo e non tanto quello delle singole aziende (Borgonovi, 1979).

La gestione dei bisogni della collettività non deve essere necessariamente affidata a un ente o un’azienda pubblica: è possibile valutare modalità alternative nella gestione della produzione o nell’erogazione di un servizio. La gestione diretta da parte di una amministrazione pubblica, infatti, nel lungo termine potrebbe manifestare dei limiti, per esempio a causa della limitata capacità di adattamento16 ai cambiamenti17 del contesto: l’azienda privata potrebbe manifestare migliori caratteristiche in termini di dinamicità18 (Borgonovi, 1979; Bertini, 1990; Bianchi Martini, 2009). I potenziali limiti delle aziende pubbliche, poi, non riguardano solo l’adattamento al contesto, ma un più ampio spettro di problematiche determinate dai

14 Anche nella Costituzione della Repubblica Italiana, all’art. 43, si fa riferimento al concetto di “interesse generale” o

collettivo, in riferimento ai “servizi pubblici essenziali”, di cui non è presente, però, una precisa elencazione, a dimostrazione del carattere mutevole della categoria. Si riporta il testo integrale dell’art. 43 della Costituzione: “A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale.”

15 Bertini (1990) definisce l’azienda una “unità economica nel sistema sociale”, ovvero una “istituzione sociale in

quanto creata dagli uomini per il raggiungimento di finalità umane nel contesto della collettività organizzata”.

16 Secondo Borgonovi (1979) le amministrazioni pubbliche non possono avere la dinamicità tipica della funzione

imprenditoriale.

17 Per approfondimenti sul concetto di cambiamento, e sulle dinamiche aziendali per affrontarlo, si veda Bianchi

Martini (2009). Infatti, in merito alle relazioni tra cambiamento ambientale e azienda: “Nel lungo termine il cambiamento costituisce […] una condizione di esistenza dell’azienda, in quanto sistema sociale complesso che opera in un contesto dinamico.”

18 L’azienda è, infatti, per sua definizione dinamica: si rinnova per effetto del mutare dei vincoli interni e delle

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potenziali fallimenti dello Stato19 (Buchanan e Tullock, 1962; Stiglitz, 1989). Emerge, quindi, la necessità di ripensare ai confini delle amministrazioni pubbliche e, più in particolare, alle modalità attraverso cui erogare i servizi pubblici ai cittadini, non solo svolgendo direttamente i processi di produzione ed erogazione, ma, per esempio, affidando i servizi in concessione a privati o predisponendo le condizioni di sistema (Borgonovi et al.,2006). Tali dinamiche sono coerenti con l’evoluzione da un modello di Stato Imprenditore a uno di Stato Regolatore (Anselmi, 1994): uno Stato, cioè, che non interviene in prima persona nelle aziende sul mercato, ma che sia in grado di tessere un sistema di regole e di coordinare le relazioni tra i soggetti che erogano effettivamente i servizi.

Tra le logiche alternative alla gestione pubblica esclusiva dei servizi di interesse della collettività, una delle linee dominanti, soprattutto negli anni ’90 del Novecento, è il New Public Management (NPM), una dottrina nata in Inghilterra, Nuova Zelanda e Australia – anche se non in tutti i Paesi si è diffusa con gli stessi caratteri (Hood, 1995) – maggiormente ispirata al mercato, che prevede l’introduzione di tecniche e strumenti manageriali delle imprese private all’interno della gestione pubblica, considerando anche strumenti di controllo di gestione e di misurazione delle performance (Hood, 1991).

Nella sua accezione più ampia, il NPM può essere articolato su tre livelli: da un punto di vista istituzionale prevede di ridisegnare i confini tra Stato e mercato, nella prospettiva di una progressiva privatizzazione delle attività tradizionalmente di natura pubblica; a livello gestionale promuove un avvicinamento alle teorie e alle pratiche tipiche delle imprese private (in un processo di aziendalizzazione del settore pubblico); un terzo livello prevede l’introduzione di logiche di esternalizzazione nei servizi pubblici, in cui le amministrazioni pubbliche avrebbero assunto i connotati di una holding avente funzioni di indirizzo e coordinamento (Anselmi, 1995; Nasi, 2008; Donato, 2010). In un’altra prospettiva di analisi, il NPM poggia su logiche di liberalizzazione, privatizzazione, aziendalizzazione, esternalizzazione, insieme all’introduzione di logiche di rete e di deregolamentazione dei mercati (Borgonovi et al., 2013). Tali meccanismi, utilizzati contestualmente e in armonia, diventerebbero in grado di creare ulteriori sinergie favorevoli all’innovazione e al miglioramento, permettendo di erogare servizi pubblici in modo più efficace ed efficiente.

Nel periodo in cui iniziava a svilupparsi il NPM, Hood (1991) identifica alcuni prevalenti filoni di sviluppo, dei “megatrend”, che vedevano il NPM legato, in primo luogo, al rallentamento della crescita dello Stato, o almeno a una diminuzione del livello di crescita, sia in termini di spesa pubblica, sia a livello, per esempio, di risorse umane impiegate. Un altro dei filoni identificati da Hood era l’orientamento alle privatizzazioni, totali e parziali, un maggiore uso delle tecnologie informatiche e dell’innovazione nell’erogazione dei servizi pubblici, nonché l’adozione di approcci maggiormente internazionali nelle decisioni di ordine pubblico, che potessero superare gli orientamenti esclusivamente fondati sulle tradizioni amministrative dei singoli Paesi. Altri autori hanno identificato ulteriori dinamiche nel NPM: Jones e Thompson (1997), per esempio, individuano 5 pilastri nello sviluppo del NPM, ovvero 5 “R” fondamentali: la Ristrutturazione delle amministrazioni pubbliche (eliminare tutto ciò che non crea valore, per esempio posti di lavoro), la

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Riprogettazione dei processi (ponendo l’attenzione soprattutto alle caratteristiche di qualità20 ed efficienza dei servizi), il Reinventare anche il marketing dei servizi pubblici (attraverso ricerche di mercato, segmentazione della popolazione e altri strumenti21), il Riallineamento delle strutture organizzative alle strategie22 e il Ripensare i tempi delle decisioni aziendali.

Le diverse interpretazioni proposte, che ruotano attorno a uno stesso fenomeno, sono comunque coerenti con l’idea che il NPM si sia sviluppato in modi diversi nei vari Paesi (Hood, 1995), anche influenzato dalla cultura e dalle tradizioni locali. In tal senso, Ongaro (2009) ha sottolineato che le più rilevanti differenze nell’applicazione del NPM si ritrovano tra Paesi anglosassoni e del sud Europa (quali, per esempio, Portogallo, Spagna, Italia e Grecia) 23.

Andando ad analizzare gli approcci applicativi del NPM nelle decisioni sul perimetro e sul coordinamento delle amministrazioni pubbliche, si andranno ad approfondire alcuni pilastri, già menzionati ma non delineati nella loro profondità, quali le logiche di privatizzazione, esternalizzazione e aziendalizzazione.

La privatizzazione di aziende pubbliche, elemento cardine nella dottrina del NPM, rappresenta, in realtà, un concetto articolato, che rischia di diventare una “nebulosa concettuale” (Marinò, 1998) se non opportunamente definita, dal momento che è possibile ricondurvi diverse tipologie e modalità di realizzazione24 (Kay e Thompson, 1986). Una prima classificazione si basa sulla cessione di quote di proprietà, che distingue le privatizzazioni in totale, parziale o formale (Marinò, 2005). Nella privatizzazione totale avviene un trasferimento della intera proprietà da un soggetto pubblico (Stato o ente locale) a un soggetto privato: in tal senso, il soggetto economico cambia e diventa del tutto privato. La privatizzazione parziale avviene, invece, nel momento in cui il trasferimento delle quote avviene solo in forma minoritaria e parziale, non comportando un cambiamento nella personalità economica dell’azienda: ciononostante, alcuni studi hanno dimostrato che anche una privatizzazione parziale può contribuire all’incremento delle performance25 (D’Souza e Megginson, 1999). La privatizzazione formale, infine, rappresenta solamente una trasformazione dell’ente di diritto pubblico in una forma di tipo privatistica (generalmente S.p.A.), ma senza prevedere il trasferimento di quote societarie: in tal senso, mentre il soggetto economico rimane il medesimo

20 Per approfondire le tematiche riguardanti il miglioramento della qualità nelle amministrazioni pubbliche si veda

anche Donato (2000).

21 Si veda, tra gli altri, Dalli, D., & Romani, S. (2004)

22 Si vedano, tra i vari contributi sulle tematiche di strategia, Bocchino(1994), Bianchi Martini (2009), Ciappei (2006) e,

nei casi più particolare di gestione strategica nelle amministrazioni pubbliche, Onesti e Angiola (2009)

23 Infatti: “NPM reform was mainly succesful in Anglo-Saxon countries, with Great Britain and New Zealand presented

as the typical success stories. [...] In Southern European countries with a legalistic and formalistic administration, and above all with a highly politicised administration, such as Portugal, Spain, Italy and Greece, public management reform also had a hard time to break trough” (Ongaro, 2009).

24 Sull’ampiezza del concetto di privatizzazione, infatti, Kay e Thompson (1986) scrivono: “Privatisation is a term

which is used to cover several distinct, and possibly alternative, means of changing the relationship between the government and the private sector. Among the most important of these are denationalization (the sale of publicly owned assets), deregulation (the introduction of competition into statutory monopolies) and contracting out (the franchising to private firms of the production of state financed goods and services).”

25 Attraverso un’analisi quantitativa sulla base di banche dati pervenute da 28 Paesi, gli autori (D’Souza e Megginson,

1999) hanno analizzato le relazioni tra privatizzazione e aumento delle performance: i risultati hanno dimostrato un incremento dei livelli di medi di profittabilità.

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e di natura pubblica, il soggetto giuridico è l’unico elemento di differenziazione (Marinò, 1998; Marinò, 2005; Anselmi, 2014). Una categoria aggiuntiva di privatizzazione, di tipo funzionale, o “contracting out”26 nella dottrina anglosassone, prevede il trasferimento di funzioni pubbliche a soggetti privati: in tal senso, il settore pubblico potrebbe detenere comunque gran parte del potere decisionale riguardo alla tipologia di servizi e alle caratteristiche principali (per esempio, in termini di qualità) da fornire ai cittadini. Una privatizzazione di tipo “contracting out” potrebbe permettere, oltre che a ridurre l’estensione del settore pubblico, di mantenere inalterata la possibilità indirizzare elementi qualitativi e quantitativi del servizio, senza la necessità di gestire direttamente le attività e sviluppando logiche volte a incentivare un aumento dell’efficienza di soggetti privati (Christensen e Lægreid, 2011).

Le privatizzazioni si distinguono non solo per la tipologia e per la proporzione di quote azionarie trasferite, ma anche per le specifiche modalità di vendita delle aziende pubbliche, legate sia agli obiettivi identificati dal soggetto pubblico, sia alle caratteristiche specifiche delle attività (siano queste, per esempio, aziende che operano in mercati concorrenziali o servizi pubblici a rete).

Le modalità di cessione più diffuse sono la vendita diretta, attraverso aste competitive o trattative private, le offerte pubbliche di vendita, volte alla creazione di una vasta proprietà azionaria, ovvero “public company” e le forme di buy-out, ovvero cessione di quote finalizzate al management o ai dipendenti (Marinò, 1998). Come ricorda Anselmi (2014), la privatizzazione può diventare un’occasione di “aumentare numero e dimensione dei gruppi nazionali, aprire il nostro sistema economico anche al capitale estero, trasformando le imprese pubbliche in <<imprese del pubblico>>” .

Vari possono essere gli obiettivi della privatizzazione: l’incremento delle performance delle aziende, la risoluzione dei problemi di controllo secondo il modello principale-agente, un aumento della produttività dei servizi pubblici e la riduzione delle erogazioni pubbliche ad essi finalizzate27 o la promozione di forme di capitalismo popolare rappresentano le motivazioni maggiormente diffuse (Kay e Thompson, 1986).

Il NPM, infatti , nacque nei Paesi anglosassoni con il fine di contenere l’aumento delle spese pubbliche, nello specifico per risolvere tre tipi di problematiche che emergevano sia negli USA, sia in Inghilterra (Borgonovi et al., 2013): l’eccessiva richiesta di risorse da parte dello Stato, il raggio dell’azione pubblica troppo ampio, anche in settori in cui l’intervento pubblico non era strettamente necessario e, al contempo, l’inefficienza e la mediocrità dei servizi pubblici in tal modo erogati.

Sulla medesima linea si collocano i contributi della scuola della Public Choice (Buchanan e Tullock, 1962) e della teoria dell’agenzia (Jensen e Meckling,1976). I sostenitori della teoria della scelta pubblica (Public

26 Per le aziende private il medesimo fenomeno è denominato “outsourcing”, mentre nel settore pubblico si parla di

“contracting out” o, al contrario, di “contracting in” nel caso in cui la gestione venga affidata a entità appartenenti al settore pubblico piuttosto che al settore privato (Cepiku, 2006).

27 A tal proposito, Osborne (1993) chiarisce molto chiaramente il concetto dell’erogare maggiori servizi con minori

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choice), infatti, ritenevano che l’operato del settore pubblico fosse intrinsecamente inefficiente, a causa del disallineamento di incentivi tra gli interessi del decisore pubblico e le esigenze della collettività: le aziende pubbliche sarebbero state, di conseguenza, sempre più inefficienti di quelle private perché orientate a soddisfare gli obiettivi dei politici, piuttosto che a massimizzare l’efficienza dell’azienda. L’esempio classico è rappresentato dagli obiettivi di incremento dell’occupazione, spesso derivanti dal tentativo di raccogliere consenso politico, ma non necessariamente coerente con gli equilibri economici delle aziende: tali dinamiche rappresentano, per l’azienda, un “onere improprio” (Anselmi, 1995), che non si sarebbe venuto a creare se l’azienda avesse seguito principi di economicità, non legati alla ricerca del consenso. Attraverso la privatizzazione, insomma, può essere possibile limitare i problemi relativi alla discrezionalità dei politici, riportando l’azienda verso decisioni volte all’economicità e all’efficienza (Boycko et al., 1996). Altri autori (Stiglitz, 1989), sulla stessa linea, hanno aggiunto che i fallimenti del mercato (contrapposti ai fallimenti dello Stato e argomento della Public Choice) non implicano necessariamente la gestione pubblica come soluzione, che potrebbe rappresentare una scelta peggiore del male che si intendeva evitare. L’allineamento di incentivi tra gli indirizzi alle azioni pubbliche e le attività dell’azienda, sia nella sua organizzazione interna, sia nei servizi nei confronti della collettività, nonché l’introduzione di meccanismi di monitoraggio dell’operato dei manager o delle aziende potrebbero contribuire a limitare i fallimenti, in una prospettiva coerente con la teoria dell’agenzia (Jensen e Meckling, 1976; Vickers e Yarrow, 1991). L’introduzione sia di meccanismi di privatizzazione, sia di logiche di concorrenza potrebbero, quindi, influenzare il sistema di incentivi e facilitare il controllo e il miglioramento delle performance aziendali (Gupta, 2005).

Le dinamiche di privatizzazione, risultano particolarmente interessanti quando riguardano le aziende monopolistiche. Nei casi di azienda pubblica verticalmente integrata, infatti, non è efficace tanto una mera privatizzazione, quanto la privatizzazione contestuale all’introduzione della forma di concorrenza più adatta a quel settore. La mera privatizzazione di un monopolio verticalmente integrato, infatti, potrebbe non fornire di per sé grandi vantaggi: gli incentivi ad aumentare l’efficienza derivano dalla necessità per l’impresa di ottenere profitti e rimanere nel business, difendendosi dagli “attacchi” dei competitor. In caso contrario, non sussisterebbe grande differenza tra gli incentivi all’efficienza in un monopolio pubblico e in uno privato28. Infatti, non è detto che le aziende private siano intrinsecamente più efficienti, ma il mercato (se esiste) può porre pressioni verso l’efficienza, eliminando le imprese con performance scarse e permettendo lo sviluppo di quelle più efficienti (Kay e Thompson, 1986).

Le tematiche relative all’introduzione della concorrenza nei particolari casi dei monopoli saranno trattate nel dettaglio nel seguente capitolo29: per le presenti finalità, invece, si ritiene opportuno inquadrare la valenza

28 Infatti: “Privatisation tends to promote productive efficiency, competition allocative efficiency. The incentive to

productive efficiency comes from the requirement on private firms to achieve profits – to stay in business in competitive product markets, to avert the threat of takeover from the ‘market for corporate control.” (Kay e Thompson, 1986)

29 In sintesi, si tratteranno le dinamiche legate all’introduzione della concorrenza nei monopoli naturali e nei monopoli

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dell’introduzione di concorrenza nell’ambito del NPM. Già nei contributi fondanti della teoria, infatti, si sottolinea come il NPM possa anche svilupparsi come tendenza alla maggiore competizione sia tra organizzazioni del settore pubblico, sia tra soggetti pubblici e privati30 (Hood, 1995).

Per sviluppare una maggiore competizione nel settore pubblico, un passaggio importante è rappresentato dalla segmentazione delle strutture “monolitiche”, spezzettando le varie funzioni in unità di minore dimensione, e quindi più facilmente gestibili31 (Hood, 1991). La scomposizione di organizzazioni monolitiche in unità più piccole ben si associa, secondo l’autore, all’introduzione di concorrenza, anche attraverso l’utilizzo di procedure con gare competitive a valenza pubblica, valorizzando il ruolo della competizione come incentivo a diminuire i costi e ad aumentare gli standard di qualità ed efficienza.

Un mercato concorrenziale, inoltre, può favorire il consumatore da due prospettive: innanzitutto, l’introduzione di un elevato numero di imprese diminuisce il potere di mercato di ciascuna di esse e il potere di fissazione del prezzo, che risulta più basso. In secondo luogo, il processo concorrenziale va a rappresentare un incentivo per le imprese a migliorarsi, ad aumentare la produttività e la qualità, tese verso l’obiettivo di incrementare la propria quota di profitto. A livello teorico, dunque, l’introduzione della concorrenza porta, già nel breve periodo, vantaggi in termini di qualità, efficienza e prezzi, contribuendo ad aumentare il benessere generale della comunità: i prodotti finali risultano meno costosi, con risparmi sia per le aziende a valle, sia per il consumatore finale32. Condizione imprescindibile per l’introduzione di privatizzazione e concorrenza, in particolare nelle public utility, è la costituzione di Authority di settore, che svolgano ruoli di regolamentazione e coordinamento dei soggetti operanti nei mercati (Marinò, 1998).

Tra gli altri principi del NPM, vi è l’adozione da parte delle organizzazioni pubbliche di strumenti di management e forme organizzative utilizzate dalle aziende private (Christensen e Lægreid, 2011), secondo una prospettiva accolta in Italia come “aziendalizzazione”: un “processo di acquisizione dei criteri di gestione economico aziendali per le unità pubbliche nazionali e locali” (Anselmi, 2014).

La dimensione interna alle amministrazioni pubbliche, infatti, è non meno importante delle riflessioni in merito sull’ampiezza e sull’estensione del perimetro dello Stato: anche l’introduzione di strumenti volti a indirizzare le strategie delle amministrazioni pubbliche (Mussari et al., 2016), per esempio la predisposizione, misurazione e controllo di indicatori di performance, anche multidimensionali (Borgonovi et al., 2013), rientra tra i pilastri del NPM.

in quei settori che sono classicamente considerati come monopoli naturali, ma che potrebbero essere oggetto di una concorrenza per il mercato.

30 Il NPM di Hood (1995), infatti, promuove “A shift towards greater competition both between public sector

organizations and between public sector organizations and the private sector”.

31 “Break up of formerly 'monolithic' units, unbundling of u-form management systems into corporatized units around

products, operating on decentralized 'one-line' budgets and dealing with one another on an 'armslength basis - Need to create 'manageable' units, separate provision and production interests, gain efficiency advantages of use of contract or franchise arrangements inside as well as outside the public sector” (Hood, 1991).

32 Tra i vari autori che trattano di concorrenza, si veda in particolare Pera (2005) e, in tema del controllo dell’efficienza

nelle aziende pubbliche o private, D’Alessio (1990), Riccaboni, (1999), Galeotti (2006), Del Bene (2008), Lazzini (2008) e Paolini (2011)

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L’attenzione alla prospettiva interna e l’aziendalizzazione prevedono, in sostanza, l’introduzione nelle aziende pubbliche di strumenti e metodi di gestione e di controllo tipici delle imprese private, primo tra tutti il raggiungimento dell’equilibrio economico. In realtà, il cambiamento non è solo negli strumenti, ma dovrebbe ricoprire una valenza culturale, entrando a modificare i valori di fondo delle amministrazioni pubbliche, orientandole verso logiche di responsabilizzazione, autonomia decisionale, professionalità e ricerca di migliori equilibri tra domanda e offerta di servizi pubblici (Borgonovi, 2000; Borgonovi, 2004). Tale meccanismo, tuttavia, ha prodotto in Italia effetti di miglioramento solo parziali, in alcuni casi senza riuscire a transitare oltre ai documenti cartacei, a seconda dei settori in cui è stato applicato (Anselmi, 1995). Una sua corretta e completa applicazione, invece, potrebbe produrre vantaggi paragonabili alla gestione privata.

Negli anni più recenti sono sorte nuove logiche alternative al NPM: è il caso, tra i molti esempi, del “New Public Service” (Denhardt e Denhardt, 2000), della “New Public Governance” (Osborne, Radnor e Nasi, 2013; Osborne, 2010) e del “Whole-of-Government” (Christensen e Lægreid, 2007).

Secondo alcuni (Barzelay, 2001), infatti, il NPM raccoglie e interpreta una serie di fenomeni molto ampi, raccogliendo contributi e fornendo interpretazioni di fenomeni sin troppo molto distanti, mentre altre opinioni vedono come limite la grande frammentazione nel sistema di relazioni, i rischi da essa derivanti e l’eccessivo interesse verso i soggetti individuali piuttosto che il pubblico (O'Flynn, 2007).

Altri autori (Osborne et al., 2013), invece, ne criticano in particolare l’applicazione al mondo dei servizi, sottolineando come il NPM si concentri troppo sulle singole organizzazioni, mentre l’erogazione dei servizi pubblici necessita di logiche inter-organizzative.

Le proposte alternative al NPM prevedono approcci alla gestione dei servizi pubblici che mettano il cittadino al centro: si parla, per esempio, di “New Public Service” (Denhardt e Denhardt, 2000), una logica che ricerca nuove modalità di provvedere ai bisogni sociali attraverso l’instaurazione di processi collaborativi, volti al coinvolgimento, alla responsabilizzazione e alla creazione di rapporti tra i cittadini, da considerare membri di una comunità e non solo consumatori del servizio pubblico.

In un’ottica di superamento della frammentazione cui il NPM viene accusato, altri autori propongono nuovi paradigmi, per esempio il “Public Value”: una filosofia che, invece di un orientamento esclusivamente mirato al raggiungimento di risultati e misurazione delle performance, promuova la creazione di valore pubblico, il mantenimento della fiducia nei confronti delle istituzioni e la finalità di rispondere agli interessi della collettività, non solo di quelli dei clienti33 (O'Flynn, 2007).

Nel complesso, generalmente si critica l’elevata frammentazione delle attività, tentando di rispondere attraverso logiche che incrementino la coordinazione e l’integrazione nelle pubbliche amministrazioni,

33 Più nel dettaglio: “In the public value paradigm, public managers have multiple goals which, in addition to the

achievement of performance targets, are more broadly concerned with aspects such as steering networks of providers in the quest for public value creation, creating and maintaining trust, and responding to the collective preferences of the citizenry in addition to those of clients” (O'Flynn, 2007).

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(Christensen e Lægreid, 2007) o che tengano maggiormente conto delle specificità della produzione dei servizi (Osborne, 2010).

In tal senso, l’approccio della “New Public Governance” (Osborne et al., 2013) intende partire dalla comprensione delle richieste dei cittadini e degli utenti, anche attraverso l’introduzione di nuove logiche di coproduzione e di marketing dei servizi pubblici.

Non tutti, in realtà, ritengono che i principi del NPM siano da eliminare: De Vries e Nemec (2013) per esempio, ritengono passati i principi dello Stato minimale, dell’outsourcing e delle privatizzazioni, oltre che la costante tendenza a inserire meccanismi di mercato, ma sostengono allo stesso tempo che molti altri principi del NPM siano ancora efficaci. In sostanza, esaminando quanto del NPM sia ancora attuale, ritengono non più applicabili i principi di riduzione dei confini dello Stato, ma sostengono che i principi di gestione organizzativa interna siano tutt’ora validi.

Un approccio ulteriore è quello di Hood e Peters (2004), i quali analizzano alcuni aspetti critici emersi nell’applicazione delle NMP, denominandoli “paradossi del NPM”. In particolare, gli autori esaminano alcuni esempi oggetto di critica, ricordando che nell’applicazione di nuove riforme, storicamente, è nota la difficoltà di prevederne tutti gli effetti possibili: è impensabile, inoltre, un’applicazione acritica e universale delle riforme, a prescindere dai diversi contesti istituzionali. Al contrario, è necessario considerare che il cambiamento è anche legato ai processi di apprendimento34, che dipendono da una molteplicità di fattori. I “paradossi” creati nell’applicazione del NPM possono quindi diventare un elemento di stimolo, al fine di elaborare le misure opportune e comprendere gli effetti “a sorpresa” derivanti dall’applicazione delle riforme.

Ulteriori recenti riflessioni argomentano che il NPM non sia morto, anzi, che sia vivo e vegeto, nonché quanto più necessario per affrontare e superare la crisi economica internazionale (Lapsley e Square, 2010), che, per alcuni aspetti risulta simile alla crisi degli anni ’90 (Anselmi et al., 2013).

34 Per approfondimenti sul processo di apprendimento, si vedano, tra gli altri, Quagli (1995) e Quagli (2001),

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1.2. I servizi di trasporto ferroviario: dinamiche e potenzialità

Il presente capitolo è dedicato all’applicazione delle riflessioni e delle dinamiche precedentemente discusse, in merito alle funzioni, ai confini e alle dinamiche del settore pubblico, a una particolare tipologia di servizio pubblico a rete: il settore ferroviario. In tale prospettiva, si discuteranno innanzitutto le dinamiche particolari e le problematiche principali nel settore ferroviario, inteso in principio come servizio a rete tradizionalmente pubblico e verticalmente integrato, più recentemente come insieme di attività in cui è possibile inserire un certo grado di concorrenza e/o presenza di soggetti privati. Si cercherà, insomma, di analizzare e comprendere le maggiori problematiche e i possibili modelli alternativi di articolazione delle relazioni tra le aziende, in un’ottica tesa ad abbracciare le principali modalità di trasporto passeggeri su rotaia.

Insieme agli altri settori regolamentati, quello ferroviario è stato tradizionalmente considerato un monopolio naturale, prevalentemente a causa della presenza di una infrastruttura rigida e degli alti costi fissi di investimento nella rete e nel materiale rotabile, spesso dominate da aziende pubbliche che erano proprietarie e controllavano sia l’infrastruttura, sia l’esecuzione dei servizi35 (Héritier, 2002).

Infatti, per la maggior parte del XX secolo, il modello prevalente in Europa era composto da aziende ferroviarie verticalmente integrate e di natura pubblica, senza alcuna forma di concorrenza all’interno del settore. Il modello di impresa partecipata dallo stato era molto comune nei Paesi dell’Europa centrale, non solo in campo ferroviario. In tali Paesi, il settore pubblico e il governo svolgevano una funzione rilevante nella costruzione e nell’operatività delle prime ferrovie36 (Cleveland-Stevens, 1915).

Tale modello è stato applicato generalmente all’erogazione dei servizi pubblici per la maggior parte del secolo scorso.

Infatti, molti servizi a rete (si intendono, ad esempio, trasporto ferroviario, stradale ed autostradale, distribuzione di acqua, gas, elettricità) sono stati tradizionalmente gestiti in monopolio a causa di quella che si riteneva la natura intrinseca dell’attività e dell’infrastruttura, che rendeva difficile la compresenza di più operatori, nonché gli ingenti ammontari di investimenti necessari per l’avvio delle operazioni37. Negli ultimi anni, anche a causa di innovazioni di tipo tecnologico e sociale (Osborne, 1993) è stata possibile un’apertura di alcuni servizi a determinate forme di concorrenza, anche attraverso una graduale apertura, con tempistiche diverse, dei relativi mercati. 38

35 “Railways have long been considered a natural monopoly because of the high fixed sunk costs of investment in the

network and rolling stock and the recurrent and extensive phases of excess capacity [...] dominated by single public enterprises which both owned the infrastructure and provided services” (Héritier, 2002).

36 Si veda, a tal fine, il capitolo 2 del presente elaborato, per un’analisi delle iniziali relazioni tra Stato e aziende

ferroviarie.

37 Per quanto riguarda le caratteristiche e implicazioni delle immobilizzazioni materiali nei settori di pubblica utilità, si

rimanda, in particolare, a Pivato (1939) e D’Alessandro (1967). Tra i diversi contributi, Pivato approfondisce il ruolo delle immobilizzazioni tra le ragioni della presenza di monopoli, mentre D’Alessandro ne enuncia i limiti in relazione alle possibilità di concorrenza tra imprese: “La possibilità di effettiva concorrenza tra imprese di pubblica utilità è anche ostacolata dagli elevati immobilizzi generalmente richiesti per l’esercizio della loro attività”.

38 Una prima distinzione tra i concetti di monopolio e concorrenza, a livello microeconomico, può essere approfondita

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Il concetto di monopolio non è univoco, anzi: si presta ad alcune sfaccettature.

Per le finalità di questo testo, è innanzitutto necessario distinguere le definizioni di monopolio naturale e legale: mentre per monopolio naturale si intendono quelle “attività, in genere legate alle grandi reti di distribuzione nel territorio [...] che non possono essere rese concorrenziali”, in quanto “la produzione di un bene o servizio da parte di un solo soggetto è in grado di ottenere un risultato più efficiente rispetto a quello che si otterrebbe in caso di distribuzione del mercato fra più operatori”, il monopolio legale riguarda le “attività generalmente presidiate da gestori pubblici, ma che possono essere rilevate anche da soggetti privati” (Lostorto, 2007)39.

Tra gli esempi di monopolio legale, si possono distinguere il settore aereo e del trasporto su strada (autobus), ormai liberalizzati sia in Italia che in Europa. Oggi, dunque, si tende al superamento dello storico modello di impresa pubblica verticalmente integrata per la gestione dei servizi a rete.

Una risposta alla domanda di come fare di più con meno risorse40, attualissima nel settore pubblico, suggerisce un nuovo approccio che favorisca altre forme di gestione dei servizi, per esempio stimolando la concorrenza anche in quegli ambiti regolati tradizionalmente dal monopolio pubblico. I cambiamenti tecnologici e sociali, le esigenze oggi e il contesto in continuo cambiamento hanno portato a nuove forme di organizzazione dei servizi pubblici, con differenti gradi e modalità di introduzione di concorrenza.

Il settore ferroviario, in particolare, non più considerato esclusivamente un monopolio naturale, può essere analizzato attraverso chiavi di lettura differenti, scomponendolo innanzitutto nelle sue diverse componenti o fasi. Se, da una parte, non è possibile introdurre concorrenza in ciascuna parte della filiera produttiva, è indubbiamente possibile scomporla e inserire diversi livelli di concorrenza in alcune fasi.

Fazioli (2013) le identifica secondo in quattro livelli: 1. Gestione e manutenzione della rete ferroviaria 2. Gestione e manutenzione del materiale rotabile 3. Servizi di trasporto passeggeri

4. Servizi di trasporto merci

Nel settore ferroviario, come in diversi settori di servizi a rete, è possibile distinguere componenti o attività con caratteristiche non competitive o competitive (OECD, 2001).

Il concetto di monopolio naturale diventa, di conseguenza, applicabile solo alle componenti non competitive: le attività connesse alla gestione, operatività e manutenzione dell’infrastruttura ferroviaria appartengono a questa prima categoria. Mentre non è possibile introdurre concorrenza per quanto riguarda l’infrastruttura, è certamente possibile introdurla, attraverso opportune modalità, nelle attività di trasporto, generalmente considerate la componente competitiva del settore. In questo senso, le metodologie e i livelli di concorrenza

39 Cervigni e D'Antoni (2001) contribuiscono a completare le definizioni di monopolio naturale e legale. Gli autori,

infatti, suggeriscono che il concetto di monopolio naturale “rimanda a ragioni strutturali che hanno a che vedere con la tecnologia produttiva, che rende in qualche modo inevitabile il fatto che su quel mercato operi un unico produttore”, mentre indicano come monopolio legale “quando la presenza di competitori è esclusa per legge”.

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dovranno essere coerenti con le caratteristiche geografiche, economiche e sociali dei luoghi a cui si riferiscono: non esiste, dunque, un modello uguale per tutti, ma le soluzioni preferibili variano da Paese a Paese. Insomma, ad oggi, il concetto di monopolio naturale è applicabile essenzialmente all’infrastruttura (Alexandersson e Hultén, 2007), non più all’intero settore ferroviario, che permette alcuni gradi di libertà. Infatti, le politiche delle istituzioni europee si stanno progressivamente sviluppando in tal senso, a partire innanzitutto dal trattato di Maastricht (1992) che pose le fondamenta per la libera circolazione di merci, capitali, persone e servizi in un mercato unico. Nel settore ferroviario, il legislatore comunitario sta gradualmente inserendo diverse forme di concorrenza nelle attività di trasporto41, sia merci che passeggeri, in una prospettiva tesa a superare i monopoli naturali, nati per limitare i fallimenti del mercato (Buchanan e Tullock 1962).

Nonostante la natura tradizionalmente monopolistica, il settore ferroviario è sempre sottoposto a forme di concorrenza intermodale. Secondo alcuni autori (Pivato, 1939), l’esistenza di forme di intermodalità per alcuni settori di servizi pubblici, tra cui il trasporto ferroviario, è tale da rendere incerta la definizione di tali settori come “monopolistici”, appunto per l’esistenza di forme alternative per ottenere i risultati desiderati.42 Le aziende di trasporto ferroviario, infatti, sono costantemente in competizione con altre modalità di trasporto, che costituiscono la concorrenza intermodale: è il caso del trasporto aereo, del trasporto privato automobilistico o del trasporto tramite pullman o autobus. In passato, invece, il principale concorrente del trasporto ferroviario era costituita dal trasporto fluviale o marittimo.

Nei servizi a rete, in particolare in campo ferroviario, la concorrenza si distingue principalmente in due modalità: “per” il mercato e “nel” mercato (anche conosciuta come “open access”). Nel caso della concorrenza “nel” mercato, la competizione avviene contemporaneamente nello stesso segmento: nell’ambito ferroviario tramite la compresenza di due o più operatori su una stessa linea. Il secondo caso, la concorrenza “per” il mercato, è utile quando i volumi di traffico non garantiscono l’equilibrio economico di più di una azienda sulla stessa linea: in tal caso, l’introduzione di concorrenza avviene a monte, nella forma di gare competitive tra più operatori, di cui solo uno si aggiudicherà l’attività. In sostanza, la concorrenza “nel mercato” non è sempre sostenibile, prevalentemente per ragioni economiche (tratta scarsamente redditizia) o strutturali (impossibilità fisica della presenza di più imprese sulla tratta). Tuttavia, quando non è possibile introdurre concorrenza nel mercato, per ragioni economiche o strutturali, è comunque possibile introdurre concorrenza per il mercato (Demsetz, 1968; Chadwick, 1859). Si possono, quindi, sviluppare

41 Si veda, a tal proposito, il capitolo 3 del seguente testo.

42 Scrive infatti Pivato (1939), anche in relazione al settore ferroviario e ai suoi possibili sostituti: : “E’ difficile decidere

in modo definitivo se il servizio della produzione o della distribuzione della energia elettrica, o quello della fornitura del gas, o l’esercizio delle ferrovie si svolgano, o no, in regime monopolistico. [...] Anche qui si danno classi di servizi (come i traffici merci a lunga distanza e di basso valore specifico) per i quali la rivalità di aziende di trasporto locali, automobilistici o d’altro tipo, non si fa sentire; e classi di servizi invece (come i trasporti passeggeri e merci di breve distanza) in cui la rivalità con altre imprese di trasporti e il pericolo della autoproduzione del servizio da parte degli utenti stessi (soprattutto con mezzi automobilistici) sono assai sentiti. L’esistenza di <<sostituti>> del servizio reso dalle nostre imprese limita notevolmente la loro posizione monopolistica, ma in misura diversa a seconda dei vari tipi di utenza e a seconda delle variazioni nei prezzi [...].”

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