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2 ANALISI E MODELLAZIONE DI STRUTTURE IN MURATURA

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2 ANALISI E MODELLAZIONE DI STRUTTURE IN

MURATURA

2.1 Premessa

La modellazione struttura è di fondamentale importanza nell’ambito dell’analisi sismica in quanto rappresenta la fase in cui si cerca di cogliere e schematizzare quella che potrebbe essere la situazione più aderente al reale comportamento della struttura, soprattutto per quanto concerne la distribuzione delle masse e delle rigidezze. Il modello strutturale rappresenta la sintesi del processo mediante il quale la struttura e le azioni su di essa agenti, sono ridotte ad uno schema geometrico-matematico più o meno semplificato. Il ricorso a tale schema semplificato deve consentire la simulazione realistica del comportamento della struttura, inteso sia in termini di sollecitazioni che di deformazione.

Si sottolinea comunque che la modellazione non deve necessariamente aderire perfettamente alla realtà fisica da simulare in quanto questo porterebbe spesso un livello di complessità eccessiva, sia per quanto riguarda l’implementazione di tale modello sia per la più complessa lettura ed interpretazione dei risultati; risultati che magari non porterebbero a contributi significativi rispetto a quelli ottenuti da modelli più semplici. Il modello quindi deve poter cogliere gli aspetti fondamentali del fenomeno che si va a studiare trascurando invece quelli che non danno contributi significativi ai nostri scopi.

Gli edifici con struttura portante in muratura possono differire notevolmente tra loro in relazione ai materiali utilizzati, alla tessitura, ai dettagli costruttivi e alla concezione del sistema strutturale. Tale differenzazione è ancora più amplificata quando ci si trova a confronto con edifici in muratura del passato. Questa complessità tipologica, i danneggiamenti e gli interventi subiti dalle strutture nel corso del tempo rendono difficile la conoscenza del comportamento di tali strutture sottoposte ad un azione sismica e di conseguenza la loro modellazione. Questa grande varietà di situazioni fa si che non siamo in grado di fornire metodi di calcolo e modellazione specifici per i singoli casi esistenti. Gli strumenti che abbiamo a disposizione sono quindi adattabili a tutte le problematiche che si possono presentare con l’intento di evitare errori macroscopici.

Da quanto brevemente esposto è facile intuire che la modellazione strutturale, soprattutto per le costruzioni in muratura, è un punto importante e delicato. Poiché una struttura può essere rappresentata da diversi modelli, è necessario riuscire a cogliere quali

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tra questi riescono a fornire risultati al tempo stesso rappresentativi del fenomeno studiato e ottenibili con gli strumenti e le conoscenze a disposizione.

Di seguito viene illustrata una panoramica sui metodi di analisi previsti nella più recenti normative, tra cui quella Italiana. A seguire invece viene posta l’attenzione su alcune delle metodologie di modellazione strutturale, sia per analisi sismiche lineari che non lineari.

2.2 I metodi di analisi

L’analisi delle strutture soggette ad un azione sismica, può essere effettuata seguendo modalità diverse in funzione delle caratteristiche e dell’importanza della struttura stessa. Le analisi possono essere lineari o non lineari. Nel caso in cui il comportamento della struttura sia non dissipativo si adottano solitamente modelli di tipo lineare. Se invece la struttura ha carattere dissipativo, si possono adottare sia metodi lineari che non lineari. Il tipo di analisi varia anche in relazione al fatto che l’equilibrio sia trattato in modo statico o dinamico.

Vagliando tutte le precedenti possibilità, i metodi di analisi sui quali possiamo contare,ordinati in funzione del loro livello di complessità e onere di calcolo, sono:

- analisi statica lineare; - analisi dinamica lineare; - analisi statica non lineare; - analisi dinamica non lineare.

L’analisi statica lineare consiste nell’applicazione di forze statiche equivalenti alle forze di inerzia indotte dall’azione sismica e può essere effettuata a condizione che il periodo del modo di vibrare principale nella direzione in esame (T1) non superi 2,5TC o TD e che la costruzione sia regolare in altezza.

L’entità delle forze si ottiene dall’ordinata dello spettro di progetto corrispondente

al periodo T1 e la loro distribuzione sulla struttura segue la forma del modo di vibrare

principale nella direzione in esame, valutata in modo approssimato.

Tale metodo può essere applicato anche a due modelli piani separati nel caso che, oltre al requisito di regolarità in altezza, la struttura rispetti anche le condizioni di regolarità in pianta.

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L’analisi dinamica lineare consiste:

- nella determinazione dei modi di vibrare della costruzione (analisi modale);

- nel calcolo degli effetti dell’azione sismica, rappresentata dallo spettro di risposta di progetto per ciascuno dei modi di vibrare individuati;

- nella combinazione di questi effetti.

Devono essere considerati tutti i modi di vibrare con massa partecipante significativa. E’ opportuno a tal riguardo considerare tutti i modi con massa partecipante superiore al 5% e comunque un numero di modi la cui massa partecipante totale sia superiore all’85%.

Per la combinazione degli effetti relativi ai singoli modi deve esser utilizzata una combinazione quadratica completa degli effetti relativi a ciascun modo.

Per gli edifici, gli effetti dell’eccentricità accidentale del centro di massa possono essere determinati mediante l’applicazione di carichi statici costituiti da momenti torcenti di valore pari alla risultante orizzontale della forza agente al piano moltiplicata per l’eccentricità accidentale del baricentro delle masse rispetto alla sua posizione di calcolo.

L’analisi statica non lineare, detta anche analisi push-over, è una metodologia che consente di indagare il comportamento di una struttura sottoposta ad un azione sismica oltre il limite elastico e sino allo stato limite ultimo. Consiste nell’applicare alla struttura i carichi gravitazionali e, per la direzione considerata dell’azione sismica, un sistema di forze orizzontali distribuite, ad ogni livello della costruzione, proporzionalmente alle forze d’inerzia ed aventi risultante (taglio alla base) Fb. Tali forze sono scalate in modo da far crescere monotonamente, sia in direzione positiva che negativa e fino al raggiungimento delle condizioni di collasso locale o globale, lo spostamento orizzontale dc di un punto di controllo coincidente con il centro di massa dell’ultimo livello della costruzione. Il diagramma Fb – dc rappresenta la curva di capacità della struttura. Da tale curva si possono ottenere le informazioni per eseguire le verifiche strutturali.

L’analisi dinamica non lineare è il tipo di analisi più completo ma anche il più complesso. Consiste nel calcolo della risposta sismica della struttura mediante l’integrazione delle equazioni del moto, utilizzando un modello non lineare della struttura e definiti accelerogrammi. Essa ha lo scopo di valutare il comportamento dinamico della struttura in campo non lineare, consentendo il confronto tra duttilità richiesta e duttilità disponibile, nonché di verificare l’integrità degli elementi strutturali nei confronti di possibili comportamenti fragili.

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L’analisi dinamica non lineare deve essere confrontata con un analisi modale con spettro di risposta di progetto, al fine di controllare la differenza in termini di sollecitazioni globali alla base della struttura.

Questo tipo di analisi risulta essere il più complesso tra quelli descritti in quanto, oltre a consentire di conoscere nel tempo lo stato de formativo e di sollecitazione dei singoli elementi costituenti la struttura, necessita della definizione dei legami costitutivi isteretici per i materiali e la scelta di accelerogrammi effettivamente rappresentativi degli eventi sismici attesi.

Per gli edifici nuovi si adottano generalmente metodi di analisi lineari. Nella verifica di edifici esistenti l’analisi non lineare, in particolare quella statica, diviene in molti casi necessaria per tener conto in maniera appropriata delle capacità dissipative della struttura.

Le norme definiscono come “metodo normale per la determinazione delle sollecitazioni di progetto” l’analisi modale associata allo spettro di risposta di progetto, applicata ad un modello tridimensionale dell’edificio.

Se si presentano particolari condizioni, possono esser usati modelli ridotti o metodi di analisi semplificati. Se l’edificio rispetta i criteri di regolarità in pianta, si possono utilizzare due modelli piani separati, uno per ciascuna direzione principale, in quanto l’azione sismica in una direzione non ha effetto apprezzabile sugli elementi strutturali disposti secondo l’altra direzione. Se invece l’edificio ha una risposta sismica, per ogni direzione principale, che non dipende significativamente dai modi di vibrare superiori, è possibile utilizzare l’analisi statica lineare. Ulteriori semplificazioni sono possibili in base al rispetto o meno dei criteri di regolarità strutturale come esposto nella seguente tabella.

REGOLARITA’ SEMPLIFICAZIONI

Pianta Altezza Modello Analisi

si si piano statica lineare

si no piano dinamica lineare

no si spaziale statica lineare

no no spaziale dinamica lineare

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24 2.3 La modellazione di strutture in muratura

I modelli di calcolo usualmente utilizzati si distinguono tra quelli che permettono di cogliere gli effetti locali della muratura e quelli che forniscono una valutazione globale della risposta degli edifici sottoposti ad una qualsiasi azione orizzontale nel piano della parete. I primi hanno il pregio di fornire risultati sullo stato tensionale locale, ma comportano un onere computazionale notevole ed una modellazione più accurata che richiede maggior tempo e attenzione nell’inserimento dei dati d’ingresso (metodo agli elementi finiti). Gli altri metodi di modellazione sono semplificati e basati su schemi semplici allo scopo di limitare i gradi di libertà del problema. La modellazione avviene a mezzo di macroelementi, rappresentativi di un intero pannello murario, capaci di cogliere i meccanismi elementari di deformazione, danneggiamento e dissipazione delle strutture murarie.

2.3.1 I modelli agli elementi finiti

La modellazione strutturale ad elementi finiti si è sviluppata in seguito alla nascita dei calcolatori elettronici. Il metodo consiste nella discretizzazione della struttura come un insieme di elementi poligonali connessi tra loro in corrispondenza dei vertici chiamati nodi. Gli spostamenti dei nodi rappresentano i gradi di libertà incogniti della struttura noti i quali è possibile risalire allo stato di deformazione e tensione di ciascun elemento.

Uno dei vantaggi di tale approccio è quello di consentire differenti livelli di indagine nelle diverse parti del modello così da poter focalizzare l’interesse su quelle zone che destano maggior interesse come quelle in cui si manifestano elevati gradienti di tensione e deformazione. Un altro vantaggio è offerto dalla possibilità di analizzare strutture aventi forma qualunque.

Nel caso in cui venga assunta una legge costitutiva del materiale non lineare, il metodo è in grado di seguire il corretto degradamento della muratura riducendo la rigidezza degli elementi di volta in volta danneggiati.

Occorre notare inoltre che i risultati di un analisi FEM forniscono mappe che riflettono il quadro tensionale localizzato della muratura. Per un pannello murario, un valore puntuale di tensione superiore al valore minimo, non ne implica la rottura. I criteri di resistenza per gli elementi in muratura dipendono dalle caratteristiche di sollecitazione e non dallo stato tensionale puntuale potendo far affidamento a favorevoli ridistribuzioni dovute al comportamento non lineare ed al degrado. Per eseguire un analisi corretta e

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coerente si rende quindi necessario rielaborare i risultati della modellazione tramite operazioni di integrazione e di media.

Tale tipo di modellazione è utilizzabile sia per analisi lineari che non lineari anche se l’analisi lineare con questo metodo è poco significativa in caso di strutture in muratura soggette ad azione sismica.

Il metodo FEM viene di solito impiegato nel campo della ricerca scientifica per la calibrazione di modelli meno accurati o nella modellazione di dettagli costruttivi come per esempio la realizzazione di un modello accurato malta mattone per un pannello murario isolato. Nel caso che lo studio coinvolga interi edifici gli elementi finiti che vanno a comporre il modello hanno caratteristiche ottenute dall’omogeneizzazione dei parametri meccanici a partire da quelli dei singoli componenti (Figura 2.1).

Figura 2.1 – Modellazione di un edificio con il metodo FEM ed elementi omogenei.

2.3.2 La modellazione a macroelementi

Al fine di evitare tutti i problemi e gli oneri collegati ad una modellazione FEM, negli ultimi decenni l’approccio metodologico si è rivolto verso lo studio di modelli semplificati costituiti da macroelementi.

Un macroelemento è una parte costruttivamente riconoscibile di una struttura con dimensioni paragonabili all’altezza di interpiano o con la grandezza delle aperture.

Questo tipo di modellazione, utilizzato nell’ambito delle strutture in muratura che per loro natura presentano caratteristiche intrinseche molto complesse, presenta un onere

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computazionale ridotto grazie all’utilizzo di un ridotto numero di gradi di libertà e quindi di incognite.

A questa categoria di modellazione semplificata appartengono:

- i modelle monodimensionali rappresentativi di elementi quali fasce e maschi murari schematizzabili come travi tozze ovvero come bielle (puntoni);

- i modelli bidimensionali rappresentativi di pareti piane;

- i modelli detti tridimensionali che simulano il comportamento dei setti murari anche fuori piano.

2.3.3 La modellazione per analisi lineari

Uno dei possibili modelli da utilizzare in campo lineare per le strutture in muratura è quello di considerare tutte le pareti continue dalla fondazione alla sommità. Tali elementi verticali sono collegati tra di loro a livello dei solai ai soli fini della traslazione. A seconda che i solai siano considerati rigidi o no il modello avrà un comportamento a mensola o un comportamento shear-type (Figura 2.2).

Figura 2.2 – Condizioni di vincolo per gli elementi resistenti verticali: (a) a mensola, (b) a doppio incastro.

E’ possibile anche l’utilizzo di un modello a telaio nel caso che la struttura presenti traversi ben ammorsati nella muratura e con resistenza a trazione e flessione.

In generale per riassumere le possibilità di modellazione in caso di analisi lineare si fa riferimento alla Figura 2.3. Lo schema (a) prevede traversi non in grado di interagire flessionalmente con gli elementi verticali e capaci solo di imporre lo stesso spostamento di piano. Gli schemi (b) e (c) mostrano invece una modellazione a telaio con accoppiamento flessionale tra i traversi ed i montanti. Infine la schema (d) mostra una modellazione della parete con elementi finiti (FEM).

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27 Figura 2.3 – Modelli strutturali per analisi lineari: (a) modello a mensole indipendenti, (b)

modello a telaio con traversi deformabili, (c) modello a telaio con off-sets rigidi, (d) modello ad elementi finiti (FEM).

2.3.4 La modellazione per analisi non lineari

Insieme all’ormai già discusso metodo FEM implementato assumendo una legge costitutiva del materiale non lineare, focalizziamo adesso l’attenzione sui metodi semplificati che sfruttano i macroelementi, sia monodimensionali che bidimensionali, per la modellazione strutturale.

Nel caso di modelli di tipo bidimensionale, uno degli elementi fondamentali della modellazione è il comportamento monolatero del materiale che conferisce all’elemento una rigidezza variabile in funzione dello stato di sollecitazione.

L’implementazione della condizione no tension avviene utilizzando tecniche che modificano la geometria degli elementi al fine di eliminare le zone in trazione (D’Asdia e Viskovic, 1994, Figura 2.4a) oppere mediante opportune formulazioni del campo degli sforzi all’interno del pannello (Braga e Liberatore, 1990, Figura 2.4b).

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28 Figura 2.4 – Modello a macroelementi bidimensionali con campo di sforzi “no tension”:

(a) D’asdia e Viskovic 1994, Braga e Liberatore 1990.

Considerando i due modelli appena citati, si può notare che nelle zone compresse degli elementi, vengono mantenute delle relazioni costitutive di tipo elastico lineare. Per tener conto di eventuali meccanismi di rottura, come ad esempio lo schiacciamento della muratura compressa, è necessario introdurre delle verifiche relative ai valori massimi di tensione di compressione. In entrambi i modelli citati si utilizzano dei criteri di verifica della resistenza nei confronti di alcuni possibili meccanismi di rottura delle parti reagenti e l’analisi viene interrotta se uno dei criteri risulta violato.

I modelli che usano macroelementi di tipo monodimensionale si dividono a loro volta in:

- modelli che si propongono di modellare la parte reagente del pannello murario con un elemento biella o puntone la cui inclinazione e rigidezza riproducono in media iul comportamento del pannello (Calderoni et al., 1987 1989);

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I modelli che sfruttano elementi biella o puntone sono metodi a geometria variabile in quanto l’inclinazione e la rigidezza del puntone varia in base alla parzializzazione del pannello.

La parete si oppone all’azione sismica con un insieme di isostatiche di compressione che congiungono i punti di applicazione delle forze sismiche orizzontali con i vincoli a terra.

Figura 2.5 – Modello a macroelementi monodimensionali mediante puntoni equivalenti: (a) individuazione dell’elemento puntone all’interno della parete parzializzata, (b)

Calderoni et al., 1987 e 1989.

Al sistema di isostatiche si fa corrispondere un sistema di puntoni obliqui in muratura la cui componente verticale è equilibrata dal peso proprio della muratura sovrastante e l’azione della muratura compressa sottostante.

L’equilibrio orizzontale dell’azione sismica è garantito dalle reazioni del terreno e dai tiranti quali catene o cordoli collocate in corrispondenza dei solai. Se questi elementi mancano, le spinte orizzontali provocano il distacco di parti di forma triangolare o trapezoidale nella zona superiore della parete. I tiranti assorbono quindi le spinte che vengono poi distribuite ai puntoni fino a giungere a terra.

Il collasso di una parete è legato al raggiungimento di una configurazione limite di equilibrio o alla rottura del puntone per compressione.

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Tra i metodi che utilizzano elementi trave con deformazione a taglio per la definizione del modello di calcolo è possibile fare un ulteriore differenziazione:

- modelli con elementi di rigidezza variabile in funzione della parzializzazione del pannello;

- modelli con elementi a rigidezza costante in fase elastica seguita da una fase di deformazione plastica a seguito del raggiungimento di una condizione limite di resistenza.

Uno dei metodi più conosciuti che applicano questi ultimi concetti esposti è il metodo denominato POR (Tomazevic, 1978) di cui, insieme alle sue successive evoluzione (PORFLEX e POR90), si riporta una sintetica descrizione.

Il metodo POR prevede la schematizzazione della struttura come assemblaggio di elementi monodimensionali trave deformabili a taglio. In questo ambito sono stati proposti sia elementi a rigidezza variabile con la parzializzazione che elementi a rigidezza costante in fase elastica seguita da una fase plastica.

Questo metodo di modellazione nella sua versione originale presenta il grosso limite di considerare i maschi murari come unica sede di deformazioni e rotture senza valutare l’eventualità della rottura di altri elementi come le fasce. Inoltre, per i maschi, è ipotizzato un unico meccanismo di rottura, quello per taglio con fessurazione diagonale. Si trascurano quindi le rotture per pressoflessione e per scorrimento.

Le successive proposte di miglioramento del metodo (Dolce, 1989; Tomazevic e Weiss, 1990) hanno ovviato al secondo inconveniente introducendo opportuni criteri di rottura aggiuntivi. Non è stato possibile ovviare al limite di considerare i maschi come unica sede di deformazioni e rotture perché esso connesso direttamente ad un altro limite del metodo. Infatti il modello è basato sull’ipotesi di meccanismo di piano eseguendo un’analisi non lineare taglio spostamento separatamente per ogni piano. Semplificando così notevolmente l’onere di calcolo, non si riesce a prendere in considerazione il problema della determinazione delle sollecitazioni nelle fasce se non facendo ricorso a calcoli approssimati.

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31 Figura 2.6 – Ipotesi principali modello a “meccanismo di piano” POR, Tomazevic 1989.

C’è da dire che un analisi taglio spostamento di interpiano richiede che vengano avanzate delle ipotesi sul grado di vincolo alle estremità dei maschi. Tale grado di vincolo dipende però dalla rigidezza e della resistenza degli elementi orizzontali di accoppiamento che, essendo sollecitati in modo crescente al crescere delle forze sismiche orizzontali, sono quindi suscettibili a fenomeni di fessurazione e di rottura. E’ chiaro che questi fenomeni possono essere valutati correttamente solo nel caso di un’analisi globale della parete multipiano o dell’intero edificio.

E’ stato anche messo in luce in più sedi come un analisi separata piano per piano non possa tenere conto delle variazioni di azione assiale nei maschi murari al crescere delle forze sismiche che possono influire sulla rigidezza e sulla resistenza di tali elementi.

Infine un ulteriore metodo per l’analisi non lineare delle strutture in muratura è quello proposto negli anni novanta dall’unità di ricerca costituita da membri dell’ EUCentre (Fondazione Centro Europeo di Formazione e Ricerca in Ingegneria Sismica, a Pavia) e dell’università di Pavia. Tale metodo è stato denominato SAM e le modifiche ad esso ultimamente riportate hanno prodotto il metodo SAM II. Di questo metodo, che è stato utilizzato per le analisi in questa tesi, si parlerà ampiamente nel paragrafo seguente.

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32 2.3.5 Il metodo SAM ed il modello a Telaio Equivalente

Il metodo SAM (Semplified Analysis Method) è un codice di calcolo per l’analisi statica non lineare delle strutture in muratura soggette ad azione sismica che fa ricorso ad una modellazione a macroelementi. Il modello si basa sulla schematizzazione della struttura a telaio equivalente. Tale schematizzazione risulta accettabile se la geometria delle pareti e la distribuzione delle aperture presentano una certa regolarità.

Il meccanismo resistente è governato dalla risposta nel piano della muratura quindi uno dei requisiti fondamentali di tale analisi è quello che eventuali meccanismi fuori piano siano scongiurati da opportuni dettagli strutturali (catene, cordoli, ammorsamento tra pareti).

Escluso il comportamento fuori piano delle pareti, il modello prende in esame tutti i meccanismi di rottura nel piano della muratura.

Il metodo prevede una modellazione bidimensionale di pareti o tridimensionale di interi edifici con macroelementi di tipo beam, nella quale la struttura viene schematizzata secondo un telaio equivalente costituito da:

- elementi ad asse verticale (maschi murari);

- elementi ad asse orizzontale (fasce di piano e cordoli); - elementi nodo.

I maschi murari e le fasce sono modellati come elementi in cui si concentrano deformazioni e danneggiamenti mentre i nodi sono invece considerati elementi infinitamente rigidi e resistenti, modellati con opportuni bracci rigidi agli estremi di maschi e fasce.

Nella modellazione a telaio equivalente di un edificio, viene considerata la parte di struttura compresa tra lo spiccato del piano di fondazione e l’estradosso del solaio di copertura o di sottotetto. In questo modello ciascun elemento verticale o orizzontale viene rappresentato come un elemento monodimensionale beam mediante un segmento coincidente con l’asse baricentrico dello stesso, delimitato da nodi posizionati alle intersezioni del segmento con gli assi baricentrici degli elementi a cui è collegato.

Ogni elemento deformabile del telaio equivalente è caratterizzato da un comportamento elasto-plastico-fragile con resistenza definita in funzione della risposta flessionale ed a taglio. L’adozione di bracci infinitamente rigidi per modellare le zone di nodo consentono di riprodurre la ridotta deformabilità di tali elementi.

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33 Figura 2.7 – Modellazione di una parete strutturale: (a) schema strutturale, (b) telaio

equivalente.

Per la definizione del modello, a partire dalla pianta di ciascun piano dell’edificio, è necessario definire lo schema resistente equivalente verticale, individuando ogni singolo pannello in muratura come un elemento strutturale ad asse verticale distinto. A tal fine è possibile scomporre le sezioni di muri che si intersecano tra loro ad “L” o a “T” in sezioni rettangolari semplici, ognuna associata ad un opportuno sviluppo in pianta e ad un singolo pannello a sviluppo verticale. Il criterio adottato dal metodo SAM prevede di modellare l’intersezione tra pareti mediante due distinti pannelli murari nel seguente modo:

- in corrispondenza di intersezioni ad “L”, ciascuno dei pannelli semplici viene considerato esteso, nella direzione di massimo sviluppo in pianta, fino all’intersezione degli assi baricentrici delle pareti (Figura 2.8a);

- in corrispondenza di intersezioni a “T”, il pannello incidente viene considerato esteso fino all’asse baricentrico del pannello in cui esso incide (Figura 2.8b).

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34 Figura 2.8 – Criterio di modellazione di intersezione tra pareti: (a) ad “L”, (b) a “T”.

La solidarizzazione dei maschi semplici in cui vengono scomposte gli elementi costituiti da muri intersecanti avviene introducendo degli opportuni bracci infinitamente rigidi di collegamento (Figura 2.9).

Figura 2.9 – Modellazione di intersezione tra pareti con bracci rigidi: (a) intersezione a “L”, (b) intersezione a “T”.

Sulla base di questo criterio è possibile indicare ogni singolo pannello in termini di dimensioni in pianta e posizionamento del baricentro della sezione all’interno della pianta della struttura a cui appartiene.

2.3.5.1 L’elemento maschio murario

I pannelli murari ad asse verticale sono schematizzati all’interno del telaio equivalente attraverso elementi monodimensionali ad asse verticale posizionati in

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corrispondenza dell’asse baricentrico verticale dei pannelli stessi. Questo elemento risulta caratterizzato da un’altezza totale pari alla differenza tra le quote, valutate rispetto allo spiccato del piano di fondazione, dei piani baricentrici dei solai fra i quali l’elemento è compreso. Alle due estremità di ogni maschio, in corrispondenza del suo asse baricentrico, sono presenti due nodi che permettono il collegamento con gli elementi adiacenti. Inoltre si assume che gli elementi ad asse verticale del piano più basso siano vincolati a terra mediante condizioni d’incastro perfetto.

2.3.5.1.1 La geometria del maschio murario

Il generico elemento maschio murario si suppone che sia costituito da una parte centrale deformabile, caratterizzata da una resistenza finita, e da due parti infinitamente

rigide e resistenti in corrispondenza delle estremità. L’altezza della parte deformabile Heff

del maschio, deve essere definita in modo da tener conto in maniera approssimata della differente deformabilità della muratura nelle zone di nodo e nella parte centrale compresa tra due aperture (Figura 2.10).

Figura 2.10 – Definizione altezza efficace maschio murario con off-sets rigidi all’estremità.

L’altezza efficace può essere valutata in base alla relazione proposta da Dolce (1989) in funzione delle dimensioni geometriche delle aperture:

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36 ' ' ' 3 1 h h H D h Heff

dove H è l’altezza netta di interpiano, D la lunghezza del pannello e h’ un parametro convenzionale di altezza definito in base alla casistica riportata nella figura seguente in cui è rappresentata una generica parete in muratura con aperture variamente disposte.

Figura 2.11 – Definizione altezza efficace maschio murario: parametro convenzionale h’ e dimensioni caratteristiche.

Le altezze Hi ed Hj dei due estremi rigidi del pannello possono essere determinate

come quote parti della differenza fra l’altezza netta di interpiano H e l’altezza efficace

eff

H . Ipotizzando che la deformabilità nelle zone di nodo sia inversamente proporzionale

all’altezza delle travi di collegamento, si possono dunque scrivere le seguenti relazioni:

2 ) ( 2 inf , inf , s j i i eff s i h a a a H H h H 2 ) ( 2 sup , sup , s j i j eff s j h a a a H H h H

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dove hs,inf è l’altezza del solaio inferiore e hs,sup è l’altezza del solaio superiore. Inoltre i

parametri geometrici ai e aj sono definiti in funzione dell’altezza delle travi murarie dalle

relazioni: 30 ; min 2 1 ;

maxh,inf h,inf h,inf h,inf l tg

ai tdx tsn tdx tsn 30 ; min 2 1 ;

maxh,sup h,sup h,sup h,sup l tg

aj tdx tsn tdx tsn

2.3.5.1.2 I meccanismi di crisi per l’elemento maschio murario

I maschi murari possono giungere a rottura nel piano secondo diverse modalità,

ciascuna contraddistinta da un proprio valore di taglio ultimo Vu. Tali meccanismi di crisi,

già descritti sinteticamente al § 1.3.2 ed illustrati in Figura 1.11, sono la rottura per pressoflessione, per taglio con scorrimento e per taglio con fessurazione diagonale del pannello.

L’attivazione del meccanismo di collasso effettivo in un pannello murario è associato ad una combinazione di fattori di diversa natura come la geometria del pannello, l’entità del carico assiale, le caratteristiche del materiale muratura e le condizioni di vincolo alle estremità del pannello.

I parametri di resistenza ultima associati ad una parete che raggiunge la crisi per

pressoflessione si possono esprimere analizzando l’equilibrio nella condizione limite per il

pannello stesso. In particolare, il momento ultimo si valuta considerando la muratura non reagente a trazione ed assumendo una distribuzione non lineare delle tensioni di compressione. Tuttavia, in analogia con le modalità di analisi che riguardano il cemento armato, la distribuzione non lineare delle compressioni (diagramma parabola-rettangolo), può esser sostituita da una distribuzione uniforme delle compressioni agente su un’area opportunamente ridotta rispetto a quella effettivamente compressa (Figura 2.12).

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38 Figura 2.12 – Modello per il calcolo della resistenza a pressoflessione.

Considerando l’equilibrio del pannello di Figura 2.12b, sollecitato alle estremità da

due forze di compressione eccentriche, nel caso si abbia einf esup la rottura per

pressoflessione della sezione inferiore corrisponde alla condizione di rottura per schiacciamento della muratura compressa, per la quale è definibile il momento ultimo:

u u f k p D P M 1 2 dove t D P

p è la compressione assiale media dovuta alla forza assiale P , essendo D la

lunghezza della sezione normale del maschio e t il suo spessore, fu è la resistenza a

compressione della muratura e k è un coefficiente che tiene conto della distribuzione degli sforzi nella zona compressa.

Il corrispondente valore dell’azione tagliante Vmax risulta per l’equilibrio:

u M e P H Vmax 0 inf

L’altezza H0 corrisponde alla distanza tra la base del maschio e la sezione di

momento nullo e varia al variare del vincolo a cui è sottoposto il pannello. Tale altezza coincide quindi con quella del pannello se questo è incastrato alla base e libero di ruotare in sommità mentre coincide con H/2 se le sezioni di estremità sono entrambe incastrate.

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La rottura per pressoflessione,come si evince facilmente dalla relazione che ne determina le condizioni ultime, avviene più facilmente rispetto alle altre modalità qualora si abbiano bassi valori di compressione.

Le considerazioni appena svolte sono conformi a quanto espresso nel D.M. 14 Gennaio 2008, che indica che il momento ultimo resistente di una sezione muraria deve esser calcolato assumendo la muratura non reagente a trazione ed una distribuzione non lineare delle compressioni.

Fra i meccanismi di rottura per taglio è giusto distinguere il meccanismo di

scorrimento e quello di fessurazione diagonale.

Le fessure diagonali possono interessare prevalentemente i giunti oppure i blocchi in funzione della loro resistenza reciproca.

Nella valutazione della resistenza a taglio è opportuno quindi distinguere fra i due tipi di rottura. Si ipotizza che la rottura per fessurazione diagonale avvenga quando lo

sforzo principale di trazione raggiunge un valore limite (ftu) assunto come resistenza a

trazione convenzionale della muratura. Il criterio si traduce dunque nella seguente espressione: tu tu u f p b t D f V 1

dove p è la già definita compressione assiale media e b è un coefficiente che dipende dal rapporto di forma H/D del pannello. Per esso si può assumere:

D H

b con 1 b 1,5

Questa formulazione, di facile applicazione, presenta però le seguenti lacune: - fornisce una stima adeguata della resistenza a taglio del pannello solo se le sezioni

estreme di questo sono vincolate da un incastro rotazionale; - trascura completamente l’anisotropia del materiale;

- considera come unico meccanismo di rottura a taglio quello per fessurazione diagonale non prevedendo la possibilità che la muratura si rompa per scorrimento.

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La trattazione alternativa all’approccio basato sulla resistenza a trazione convenzionale è l’approccio di Coulomb. In questo caso la resistenza a taglio della muratura viene espressa nella forma:

c

La resistenza a taglio per scorrimento della muratura è espressa come resistenza a

taglio unitaria t moltiplicata per l’area reagente del muro (zona compressa calcolata

nell’ipotesi di materiale non resistente a trazione).

2.3.5.1.3 La deformabilità dei maschi murari

Consideriamo da prima il problema della deformabilità di un pannello murario nel proprio piano prima del raggiungimento della resistenza ultima.

Se si assume come unico fenomeno significativo la parzializzazione del maschio, è evidente che solo i modelli che riproducono esplicitamente questo tipo di comportamento riescono a cogliere gli elementi fondamentali della risposta strutturale con la progressiva diminuzione della rigidezza al crescere dell’azione orizzontale. Un modello, in cui i maschi murari sono idealizzati come elementi monodimensionali con deformazione a taglio e comportamento elasto-plastico, riproduce quindi in modo approssimato e solo mediamente il comportamento deformativo dei maschi stessi.

Per quel che riguarda il comportamento post picco, una modellazione semplificata può seguire due approcci:

- un approccio che assume un comportamento fragile ovvero di assumere che nel momento in cui viene raggiunta una qualunque condizione di rottura si abbia il collasso del pannello con abbattimento della resistenza fino a zero;

- un approccio che assume un comportamento duttile associando lo spostamento ultimo che un maschio può sopportare al raggiungimento di una deformazione angolare ultima detta anche drift ultimo (Magenes e Calvi, 1997).

Il primo approccio semplifica la modellazione ed è a favore di sicurezza ma risulta essere molto penalizzante. Considerare parte della deformabilità post-picco consente di tener conto delle capacità di ridistribuzione interna della azioni in sistemi che possono essere fortemente iperstatici.

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41

Si assume per tanto per gli elementi un comportamento elasto-plastico-fragile. La fase elastica perdurerà fino al raggiungimento di uno dei possibili criteri di rottura. Il tratto perfettamente plastico si avrà fino al raggiungimento di un limite di deformazione, il cui valore è definito diversamente in base al criterio di rottura attivatosi.

Il D.M. 14 Gennaio 2008 definisce la deformazione ultima in termini di spostamento orizzontale relativo delle sezioni (d) come percentuale dell’altezza del pannello, in funzione del tipo di rottura attivato (Tabella 2.II).

Edifici Rottura per pressoflessione Rottura per taglio

Nuovi 0,8% Heff 0,4% Heff

Esistenti 0,6% Heff 0,4% Heff

Tabella 2.II – Valori limite dello spostamento allo stato limite ultimo.

Nel metodo SAM II i limiti deformativi vengono valutati in termini di deformazione

angolare o rotazione della corda (chord rotation). La deformazione angolare i in

corrispondenza di ciascun estremo dell’elemento viene espressa, al fine di considerare la condizione più generale di vincolo alle estremità di un pannello, come somma della

deformazione flessionale i e di quella tagliante (Figura 2.13a). Nel caso particolare in

cui le sezioni di estremità del pannello traslino senza ruotare (Figura 2.13b), la deformazione angolare risulta identica alle due estremità e vale:

eff j

i

H

Figura 2.13 – (a) deformazione angolare dell’estremo i per un elemento maschio murario, (b) deformazione angolare di un pannello sottoposto ad una prova a taglio in cui viene

(23)

42

L’introduzione del limite di deformazione angolare in sostituzione del limite di duttilità, trae origine dal già citato lavoro di Magenes e Calvi (1997) in cui si è notato che i pannelli murari con diversi rapporti di forma portati a rottura per taglio, tendono a presentare una dispersione molto contenuta della deformazione angolare ultima, ed una dispersione molto maggiore della duttilità ultima in spostamento.

In caso di rottura a pressoflessione e/o taglio, si suppone che nell’elemento abbiano luogo deformazioni flessionali e/o taglianti di tipo plastico; viene quindi imposto un limite

u alla deformazione angolare , oltre il quale si suppone che la resistenza si annulla

(Figura 2.14).

Figura 2.14 – Comportamento elasto-plastico-fragile pel l’elemento maschio: (a) a flessione, (b) a taglio.

Per quanto riguarda la verifica allo stato limite di danno, la deformazione viene

valutata in termini di spostamento d’interpiano dr; in questo caso il valore limite è assunto

pari allo 0,3% dell’altezza d’interpiano.

2.3.5.2 L’elemento cordolo in c.a.

Se la struttura presenta dei cordoli a livello dei solai, essi vengono inseriti a livello baricentrico del solaio stesso al di sopra delle aperture presenti nella parete. Tale elemento si suppone delimitato da nodi di estremità individuati dalle intersezioni del suo asse baricentrico con gli assi baricentrici delle sezioni trasversali dei maschi murari che delimitano, da ciascun lato, l’apertura.

Si assume che l’elemento cordolo sia costituito da una parte centrale deformabile, caratterizzata da resistenza finita, e da due parti infinitamente rigide e resistenti alle estremità di lunghezza pari a metà della dimensione, nella direzione del cordolo, del

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43

maschio murario corrispondente. La lunghezza del tratto deformabile è quindi pari alla luce netta delle aperture (Figura 2.15).

Figura 2.15 – La geometria dell’elemento cordolo.

Una volta definite le dimensioni geometriche del cordolo e l’armatura al suo interno, è possibile utilizzare per esso un legame di tipo elasto-plastico-fragile. Per quanto riguarda i meccanismi di crisi e la deformabilità dell’elemento stesso ci possiamo rifare alla teoria propria degli elementi in cemento armato.

2.3.5.3 L’elemento fascia muraria

Le fasce murarie sono elementi di muratura ad asse orizzontale che collegano tra loro i montanti appartenenti ad una stessa parete. Esse si posizionano al di sopra delle aperture presenti in una parete e sono collegate alle estremità agli assi baricentrici dei due maschi adiacenti. Sebbene siano i maschi murari a costituire il sistema principale resistente, le fasce rivestono il ruolo di elementi di accoppiamento tra i maschi potendo così influenzare considerevolmente la risposta di una parete multipiano nei riguardi della distribuzione delle caratteristiche di sollecitazione conseguenti sui maschi, nonché nelle modalità di danneggiamento che possono attivarsi.

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44 2.3.5.3.1 La geometria della fascia muraria

L’elemento fascia, come il cordolo, è costituito da una parte centrale deformabile a flessione e taglio, caratterizzata da una resistenza finita, e da due parti infinitamente rigide e resistenti, alle due estremità.

Nel caso delle fasce, al contrario dei maschi, non esistono formulazioni apposite per definire la lunghezza del tratto deformabile, ma si ritiene che assumerla pari alla luce libera delle aperture sia appropriato. La lunghezza delle parti rigide sarà quindi nuovamente pari alla metà della lunghezza del maschio murario corrispondente.

Le fasce murarie sono inserite all’interno del modello a telaio equivalente come elementi monodimensionali di tipo beam ad asse orizzontale, caratterizzati da una lunghezza totale pari alla distanza fra i baricentri delle sezioni trasversali dei maschi murari che delimitano la corrispondente apertura. Tali elementi si suppongono posizionati nel piano verticale in corrispondenza dell’asse baricentrico nella direzione di maggiore sviluppo della trave muraria e collegato alle estremità degli elementi maschio mediante bracci verticali infinitamente rigidi a flessione ed a taglio.

In presenza di un cordolo in c.a. a livello del solaio, si modellano separatamente, mediante elementi fascia distinti, il pannello murario orizzontale soprastante e quello sottostante il solaio (definiti rispettivamente fascia sotto-finestra del piano superiore e fascia sopra-finestra del piano considerato); nel caso in cui il cordolo non sia presente, si considera invece un unico pannello murario orizzontale (Figura 2.16).

Figura 2.16 – La geometria dell’elemento fascia muraria: (a) senza cordolo, (b) con il cordolo.

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45 2.3.5.3.2 I meccanismi di crisi per l’elemento fascia muraria

La carenza di indagini approfondite sul comportamento delle fasce murarie porta a studiarle in modo analogo ai maschi murari. E’ necessario comunque premettere le seguenti osservazioni:

- l’asse della fascia è orizzontale e parallelo all’orientamento dei letti di malta, contrariamente al caso dei maschi murari;

- la forza di compressione assiale dovuta ai soli carichi gravitazionali è orizzontale e solitamente molto scarsa;

- la forza di compressione verticale, diretta perpendicolarmente ai letti di malta, è trascurabile poiché in genere le fasce si trovano sotto e sopra le aperture delle pareti.

Le fasce hanno il compito di trasmettere le sollecitazioni ai montanti e di mantenerli accoppiati. Considerando le azioni di tipo sismico, idealizzandole mediante forze orizzontali applicate a livello dei solai, lo stato di sollecitazione delle fasce è prevalentemente di taglio, come rappresentato nella seguente figura.

Figura 2.17 – Stato di sollecitazione delle fasce per azioni sismiche.

L’accoppiamento fornito dalle travi in muratura è funzione principalmente della compressione a cui esse sono soggette in direzione orizzontale. Solo questa compressione fornisce infatti la resistenza flessionale che impedisce l’attivazione di meccanismi di ribaltamento (Figura 2.18).

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46 Figura 2.18 – Ribaltamento della parete in mancanza di accoppiamento fra i maschi.

La resistenza flessionale delle fasce, che impedisce il ribaltamento, è tanto maggiore quanto più le fasce risultano compresse in direzione orizzontale. Come già osservato, le fasce sono di per se soggette a scarsi sforzi di compressione sia orizzontale che verticale. E’ quindi molto importante la presenza di elementi che possono resistere a trazione disposti a livello delle fasce stesse, come catene o cordoli in c.a. .

Tali elementi strutturali si oppongono fisicamente alla dilatazione orizzontale che consegue il fenomeno del ribaltamento e inoltre, contrastando questo spostamento, causano una compressione all’interno delle fasce stese. Viene così aumentata di conseguenza la resistenza a flessione delle fasce e al suo interno si viene a generare un meccanismo di

puntone inclinato la cui azione garantisce l’accoppiamento dei maschi (Figura 2.19).

Figura 2.19 – Funzione degli elementi resistenti a trazione e meccanismo di puntone inclinato.

In analogia con il comportamento dei maschi murari, per le fasce di piano sono possibile le due seguenti modalità di collasso:

(28)

47

- rottura per schiacciamento del puntone (analoga alla rottura per schiacciamento per pressoflessione del maschio);

- rottura per taglio.

In linea teorica, per entrambi i meccanismi, si possono adottare criteri di rottura analoghi a quelli proposti per i maschi murari.

Nel caso di rottura per schiacciamento del puntone, le analogie con il comportamento dei maschi sono particolarmente evidenti. Questa tipologia di rottura avviene più comunemente quando si ha una scarsa compressione assiale, nel qual caso si verifica una più facile inflessione delle fasce e di conseguenza le sezioni si parzializzano maggiormente ed il puntone inclinato si assottiglia fino a collassare per compressione. In particolare per l’elemento fascia la rottura per pressoflessione sopraggiunge quando su una delle due sezioni estreme della parte deformabile si raggiunge un momento flettente pari a:

u u f k p D P M 1 2

dove P, D e t sono rispettivamente lo sforzo di compressione in direzione orizzontale, l’altezza dell’elemento fascia e lo spessore.

Per le fasce, al posto di P, si sostituisce Hp il cui valore viene assunto pari a quello

minimo fra la resistenza a trazione dell’elemento teso e il valore 0,4 D t fh dove fh è il

valore della resistenza a compressione in direzione orizzontale.

Analizzando invece la resistenza a taglio delle fasce murarie, se una muratura ha tessitura regolare e ben organizzata con blocchi ben ammorsati, essa è principalmente funzione delle compressione normale ai letti di malta e, in misura minore, della compressione in direzione parallela ai letti stessi. Essendo trascurabile il valore della compressione, la resistenza a taglio di una fascia può essere molto bassa e funzione principalmente della coesione. La resistenza a trazione in direzione parallela ai letti di malta, anche se maggiore di quella nella sua direzione ortogonale, risulta comunque insufficiente a garantire un adeguata resistenza a flessione della fascia.

Se la muratura è invece di tipo irregolare, il materiale tende ad avere un comportamento pressoché isotropo e quindi, in linea di principio, la trave in muratura può essere trattata come un pannello ruotato di 90°.

(29)

48

La resistenza a taglio delle fasce murarie viene assunta pari a:

0 v u D t f V

dove, oltre al significato degli elementi già illustrato, fv0 è il valore della resistenza a taglio

in assenza di compressione a taglio per la muratura.

2.3.5.3.3 La deformabilità delle fasce murarie

Come per la resistenza degli elementi fascia, anche per la determinazione delle caratteristiche deformative di tali elementi si fanno delle analogie con i maschi murari.

Nel caso di risposta presso-flessionale delle fasce si suppone ancora che, dopo una crescente parzializzazione della sezione della fascia, nella sezione in cui si raggiunge il momento ultimo si instaura un comportamento perfettamente plastico e si possa così introdurre una cerniera plastica.

Per la risposta a taglio si preferisce tenere conto di un comportamento delle fasce più fragile di quello assunto per i maschi. Per l’elemento fascia è possibile definire un diagramma come quello di Figura 2.20 dove è rappresentato un comportamento elastico

fino al raggiungimento di Vu, seguito da un andamento perfettamente plastico-fragile. La

fragilità è rappresentabile come un degrado della resistenza che interrompe il comportamento perfettamente plastico in corrispondenza di una data deformazione

tagliante g1 e abbatte la resistenza fino ad un valore V . Dopo tale degrado il livello di u

resistenza permane fino al raggiungimento del valore di deformazione tagliante g2, in

corrispondenza del quale si annulla.

L’introduzione di tale diagramma risulta essere molto utile in quanto permette di riprodurre comportamenti più o meno fragili, assegnando a priori i valori dei parametri a,

g1 e g2. Ad esempio è possibile assumere un comportamento particolarmente fragile

assumendo che g1 coincida con il limite elastico, come in Figura 2.21a; è invece possibile,

per riprodurre una maggiore duttilità, porre 1 ottenendo un diagramma che rappresenta

(30)

49 Figura 2.20 – Comportamento elasto-plastico-fragile di un elemento fascia muraria in

finzione dei parametri g1 e g2 .

Figura 2.21 – Comportamento a taglio di un elemento fascia: (a) elasto-fragile, (b) elastico perfettamente plastico.

La deformazione delle travi in muratura, ai fini della verifica allo stato limite ultimo, viene determinata, come per i maschi murari, con riferimento alla deformazione

angolare i che, in corrispondenza di ciascun estremo dell’elemento, si assume pari alla

somma dei contributi della deformazione flessionale i e della deformazione tagliante .

Il valore limite ultimo u, a cui corrisponde la deformazione tagliante 2 u 2

viene definito in base al meccanismo di rottura attivato, con riferimento ai valori dello

spostamento ultimo du/Heff dei maschi murari.

Il valore di deformazione angolare 1 corrisponde al primo degrado di resistenza (a

cui corrisponde la deformazione a taglio 1 1 1) e l’entità di tale degrado può essere

fissata liberamente al fine di ottenere la miglior modellazione possibile del comportamento delle travi in muratura.

(31)

50 2.3.5.4 Gli elementi infinitamente rigidi

L’estensione del metodo SAM a strutture tridimensionali, ha reso necessario l’introduzione di un metodo per modellare la collaborazione dei pannelli murari semplici in cui si scompongono sezioni ad “L” o a “T”. Tale collaborazione è ripristinata con l’introduzione nel modello, a livello del solaio sovrastante, di un collegamento rigido costituito da bracci infinitamente rigidi a taglio ed a flessione (Figura 2.9, § 2.3.5). Il collegamento con bracci infinitamente rigidi garantisce, al livello dei solai, la compatibilità degli spostamenti verticali delle pareti nel loro incrocio, dovuta alla presenza del cordolo continuo in c.a. e dell’ammorsamento fra i pannelli nella zona di intersezione per effetto dello sfalsamento dei blocchi che compongono la muratura. Pare giusto comunque aggiunge anche una condizione di svincolo interno (cerniera sferica) all’insieme dei collegamenti rigidi tra due pannelli al fine di non irrigidire troppo la struttura.

Ciascun braccio rigido si considera esteso dal nodo superiore di estremità di uno degli elementi maschio corrispondenti ai pannelli, fino al punto di intersezione tra i piani baricentrici dei muri. In corrispondenza di questa intersezione viene inserito lo svincolo interno di cui è già stato parlato.

L’introduzione di bracci infinitamente rigidi nel modello, risolve anche i problemi derivanti da una distribuzione irregolare delle aperture in una stessa parete (Figura 2.22).

(32)

51 2.3.5.5 I solai

L’assunzione che i solai possono esser considerati rigidi o non rigidi nel proprio piano è di fondamentale importanza nella modellazione strutturale in quanto il far riferimento ad una o all’altra condizione influisce in maniera significativa sulla risposta strutturale.

La rigidità dei solai nel proprio si può assumere a condizione che le aperture presenti non ne limitino significativamente la rigidezza ed in funzione dei dettagli costruttivi e spessori minimi previsti dalle diverse normative in relazione alla tecnica con cui il solaio stesso è stato realizzato.

Nella progettazione di edifici nuovi, le tecniche costruttive odierne, permettono usualmente di considerare i solai come infinitamente rigidi nel proprio piano. La condizione di solai deformabili è da tenere in considerazione quando si va a studiare edifici esistenti.

C’è da dire che comunque questa distinzione così importante dal punto di vista della risposta strutturale, non è possibile spesso implementarla nei moderni codici di calcolo in quanto per alcuni tipi di analisi è consentito solo la modellazione di solai infinitamente rigidi nel proprio piano.

Figura

Tabella 2.I – Possibili semplificazioni funzione dei requisiti di regolarità.
Figura 2.1 – Modellazione di un edificio con il metodo FEM ed elementi omogenei.
Figura 2.2 – Condizioni di vincolo per gli elementi resistenti verticali: (a) a mensola, (b) a  doppio incastro
Figura 2.5 – Modello a macroelementi monodimensionali mediante puntoni equivalenti:
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