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Capitolo IX

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Academic year: 2021

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Lucca

Una parentesi a parte merita il caso lucchese della cappella di Sant’Agostino nella Basilica di San Frediano1. È fondamentale premettere che Lucca non faceva parte dei territori posti sotto il dominio di Firenze e riuscirà a mantenere la sua indipendenza anche quando si consoliderà minacciosamente il potere del Ducato fiorentino e, successivamente, del Granducato di Toscana. L’oligarchia lucchese era nelle mani delle più ricche famiglie mercantili della città, le quali avevano eletto la chiesa di San Frediano (fig.1) come il loro luogo di culto privilegiato. L’altro polo religioso di Lucca era costituito della chiesa domenicana di San Romano, il quale però, a differenza di quello summenzionato, era orientato verso gli ideali di povertà più tipicamente francescani. Nei primi anni del XVI secolo, l’influente famiglia dei Cenami, grazie all’appoggio di altre casate autorevoli, riuscì ad assicurarsi la continuità del priorato della Basilica di San Frediano nelle loro mani. Questa carica era considerata molto prestigiosa ed era perciò anche molto ambita e già Guglielmo Cenami l’aveva ottenuta nel 1464 ma, alla sua morte, avrebbe dovuto salire un membro appartenente ad un’altra famiglia lucchese; invece, venne concordata l’elezione del monaco Pasquino, laureato in legge a Bologna, che era diventato un Cenami per adozione. È proprio a lui che si deve la scelta di un pittore bolognese come Aspertini, anziché di un artista fiorentino. Principalmente furono due i fattori

1L’attuale basilica lucchese (1112-1147) sorge sui resti di una chiesa più antica (VII sec.), quella di San Vincenzo nella quale il vescovo Frediano, a cui è dedicata la nuova chiesa, diceva la messa. La tradizione agiografica di San Frediano si è sviluppata attorno al racconto del santo che riuscì a deviare il corso del fiume Serchio, noto all’epoca con il nome di Auser; tale fatto è narrato nel terzo libro dei

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che indussero l’Aspertini a lasciare Bologna per Lucca: era caduta la signoria dei Bentivoglio e il circolo culturale che gravitava attorno a questa famiglia si stava disperdendo, di conseguenza il pittore bolognese non riceveva più richieste da committenti importanti; inoltre, Pasquino Cenami, essendosi formato in ambiente bolognese, operò come tramite tra la città emiliana e quella toscana. Il nuovo priore assunse la carica nel 1502 ma venne contrastato dagli esponenti di altre famiglie avverse alla sua fino al 1505, perciò solo da questa data fino a quella della sua morte, avvenuta nel 1510, poté essere affrescata la cappella che commissionò all’Aspertini (fig. 2). La Basilica di San Frediano, come precedentemente accennato, era una chiesa di élite, nella quale tutte le più potenti famiglie lucchesi avevano seppellito qualche membro illustre della propria casata: Pasquino Cenami vi fece costruire una cappella nella parete meridionale dedicata a Sant’Agostino, ma, soprattutto, volta a sottolineare tutti i diritti e i privilegi dovuti alla basilica di San Frediano2. Originariamente, questa cappella doveva contenere le reliquie più sacre di cui la chiesa era in possesso: quelle dei Santi Frediano, Cassio, Fausta, Zita e Riccardo, oltre alle spoglie del Beato Giovanni I3. Nel programma iconografico della cappella veniva rivendicato anche il Volto Santo che, prima d’esser portato in cattedrale, aveva trovato una temporanea collocazione proprio in quello stesso spazio che il priore avrebbe successivamente dedicato a Sant’Agostino e che, precedentemente, era noto come Cappella della Croce. Dato l’argomento principe di questa tesi, non mi soffermerò nell’analisi degli affreschi di questa cappella, ma mi limiterò solo ad elencare brevemente i temi rappresentati: San Frediano che devia il

Serchio con il rastrello, la Natività, il Trasporto del Volto Santo da Luni a Lucca, il Battesimo di Sant’Agostino e, nelle lunette soprastanti, anche Sant’Agostino che dà la regola, la Deposizione, il Giudizio Universale, mentre sulla volta è raffigurato il Padre Eterno circondato da angeli, profeti e sibille4(fig.3). Probabilmente fu lo

2 Silva 2010, pp. 172-176.

3 Il Beato Giovanni fu vescovo di Lucca dal 780 all’801.

4 Per la descrizione delle scene principali della cappella vedi Faietti, Scaglietti Kelescian 1995, pp. 39-43, anche Silva 2010, pp.176-179.

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269 stesso priore ad indicare all’artista cosa dov’esse dipingere e, quest’ultimo, poté sperimentare una maggiore libertà d’espressione solo nella decorazione a grottesche. Tale ornato si trova confinato entro lesene che scandiscono i riquadri con le storie principali (figg. 4-5) ed hanno quindi una funzione architettonica e di cornice simile a quella riscontrata precedentemente nella cappella di San Girolamo di Santa Maria del Popolo a Roma dipinta dal Pintoricchio. Queste grottesche, quindi, non paiono interessanti per l’uso che ne viene fatto, dato che occupano uno spazio tradizionalmente associato a tale ornamento, ma piuttosto stupiscono per la loro originalità compositiva. Dipinte in grisaille, aggiungono alla cappella un tocco sofisticato, una voluta citazione dell’Antico probabilmente molto apprezzata dal gruppo di nobili e letterati che sostenne Pasquino Cenami. Eppure, analizzando i singoli elementi che compongono il decoro, è evidente che l’artista ha dato libero sfogo alla sua creatività: componenti “eruditi” tratti dalla Domus Aurea, come il satiro incatenato, si alternano a ibridi nati dalla sbrigliata fantasia dell’Aspertini5

. La ricchezza inventiva di queste grottesche è stata elogiata da molti storici dell’arte tra cui la Dacos che ha dedicato un paragrafo del suo libro del 1969 al nostro pittore bolognese, sottolineando come egli abbia contribuito in modo decisivo alla diffusione di questo ornamento nel territorio emiliano anche tramite la tecnica dei graffiti sulle facciate esterne dei palazzi6.

Al fine di rintracciare le fonti utilizzate dal pittore è di inestimabile valore l’ausilio fornitoci dal codice di Parma che gli è stato attribuito; questo riporta studi sui motivi ornamentali presenti negli appartamenti pinturicchieschi di Papa Borgia accanto ad altri tratti direttamente dalla celebre residenza neroniana come, d’altronde, testimonia la presenza della sua firma graffita nella Volta Dorata e nella Volta Gialla. Sappiamo, infatti, che Amico Aspertini aveva già effettuato un primo viaggio a Roma in compagnia del padre Giovanni Antonio, anch’egli pittore, nel 1496, dove aveva potuto studiare le antichità romane e tali studi sono noti agli studiosi grazie

5 Faietti, Scaglietti Kelescian 1995, p. 40.

6 Per quel che concerne le decorazioni esterne summenzionate, sfortunatamente non ci è giunto quasi nulla se non dei disegni che ne testimoniano l’elaborazione progettuale. Vedi Dacos 1960, p. 82-83.

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all’infinità di disegni che produsse l’artista lungo tutto il corso della sua vita. Infine, credo sia interessante sottolineare il metodo particolare di rielaborazione del modello antico eseguito dal pittore e che è stato documentato tramite il confronto dei suoi disegni. L’Aspertini partiva da un primo abbozzo tratto dal vero e “archeologicamente esatto”, per poi riproporlo successivamente su un nuovo foglio in veste più definitiva; tale risistemazione è stata riconosciuta nelle pagine del codice parmense ed in quelle ancora posteriori del Wolfegg7.

La decorazione a grottesche nella lucchesia ebbe un successivo sviluppo, dopo l’Aspertini, accompagnato da una grande fortuna; divenne un ornamento comunemente usato nelle ville suburbane delle abbienti famiglie lucchesi come, ad esempio, in Villa Malpigli in Loppeglia, in Villa Buonvisi al giardino o in Villa Boccella. Sfortunatamente, le testimonianze pervenuteci dell’uso di questo decoro sono poche e raramente ben conservate.

Villa Malpigli è a tutt’oggi in stato d’abbandono, eppure la decorazione a grottesche presente nel portico sarebbe degna di maggiore attenzione da parte degli studiosi: tra le componenti tipiche di questo ornamento, infatti, compaiono dei simboli allegorici che sembrano seguire un preciso programma iconografico. La loggetta di Villa Malpigli è composta da una volta a botte lunettata affrescata con grottesche, fregi con i segni dello zodiaco e tre medaglioni con delle divinità appartenenti alla mitologia greco-romana. Anche i cartigli, di cui uno con la data 1594 e gli altri con le sigle “M.A.P.” e “F.R.L.”, non sono ancora stati analizzati.

Per quel che concerne Villa Boccella, oggi utilizzata alla stregua di un albergo di lusso e per eccentrici matrimoni, i suoi affreschi sono in buona parte databili al XVII secolo e perciò un po’ al di fuori dell’arco cronologico preso in esame in questa tesi. Gli affreschi di Villa Buonvisi al giardino, assieme a quelli di Villa Malpigli in Loppeglia, rappresentano gli unici esempi superstiti di decorazioni pittoriche del Cinquecento in interni di ville lucchesi e per questo meritano uno sguardo più

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271 approfondito; poiché come è già stato accennato della residenza dei Malpigli non ci sono molti studi a cui fare riferimento, mi soffermerò solo su quella dei Buonvisi. Villa Buonvisi venne realizzata dalla celebre famiglia lucchese nel XVI secolo8, quando raggiunse l’apice della sua fortuna economica, grazie ai banchi di commercio di tessuti serici sparsi in tutto il territorio europeo ed ai rapporti instaurati con gli altri importanti nuclei famigliari della città consolidati tramite i vincoli matrimoniali. Essendo andata persa la documentazione, la datazione e l’attribuzione degli affreschi che impreziosiscono gli interni di questa villa ha creato delle difficoltà agli studiosi che vi si sono dedicati.

Grazie agli studi della Nardini è stata dimostrata la forte presenza della mano di Bernardino Poccetti negli affreschi di Villa Buonvisi, accanto a quella del senese Ventura Salimbeni9. Alcuni documenti risalenti al XVIII secolo facevano riferimento proprio a questi pittori ma a lungo si era creduto che gran parte dei lavori fossero attribuibili esclusivamente all’artista senese. Dopo aver trovato sette disegni preparatori del Poccetti10 riconoscibili come studi per le figure presenti negli interni della villa lucchese, la Nardini ha potuto accertare la presenza del fiorentino in molte stanze, riducendo drasticamente l’apporto del Salimbeni alla sola Sala delle Virtù. Gli affreschi di Villa Buonvisi al Giardino adornano le stanze del piano nobile, composto da sei sale di varie dimensioni: la Sala delle Arti Liberali, la Sala delle Virtù, la Sala di Diana, la Sala di Venere, un portico chiuso nel XIX secolo ed il Salone del Banchetto degli Dei che è l’ambiente più spazioso. La decorazione a grottesche è costituita sempre da un ornato policromo su fondo bianco e compare in tutte le stanze sebbene in quantità variabile, ed occupi principalmente gli spazi sopra le lunette. Secondo la Nardini le grottesche della villa, date le differenze stilistiche

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I Buonvisi producevano e vendevano pregiatissimi tessuti di seta persino a Costantinopoli oltre a Londra, Parigi, Lisbona, ecc. Nel XVI secolo, il successo economico permise loro di giocare un ruolo di rilievo nella politica lucchese. Oggi giorno questa famiglia non esiste più in quanto si estinse nel 1801.

9 Nardini 2009, pp. 45-53.

10 Si tratta del disegno n. 157 e quello n. 198 del volume D appartenente alla Biblioteca Marucelliana di Firenze, oltre ai disegni n. 8368 F, n. 1511 Ornato, n. 8650 F, n. 8293 F ed infine il n. 8363 F conservati nella cartella del Poccetti del Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi.

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che si riscontrano tra una stanza e l’altra, potrebbero esser state realizzate da diversi artisti, forse una sorta di manodopera specializzata, che potrebbe addirittura essere stata pagata “a giornata”11

.

Nel Salone del Banchetto degli Dei (fig. 6) le grottesche sono limitate ad alcuni pennacchi delle pareti più lunghe, alternati a putti scorciati dal basso verso l’alto. Tra i consueti elementi che compongono quest’ornato, sulla parete di levante appaiono delle filatrici (fig.7) che sono state interpretate come un rimando all’attività dei Buonvisi, le quali però comportano anche, a mio avviso, ad una possibile conoscenza da parte del pittore delle filatrici dipinte a Palazzo Farnese a Caprarola ed a quelle della Loggia di Raffaello. In un altro pennacchio appaiono due figure femminili che ripropongono lo stesso schema simmetrico delle filatrici, le quali sono state identificate come la Giustizia e la Pace (fig.8): la prima con dell’alloro e un mazzo di verghe tra cui si nasconde una scure, mentre la seconda con una fiaccola accesa rivolta verso terra.

Per quanto concerne le grottesche del portico è possibile notare che, sebbene il loro scopo primario sia sempre quello decorativo e di riempimento di zone secondarie, la loro ideazione segue la logica di un progetto unitario con quello delle storie principali; infatti, il tema centrale di questo ambiente è il Parnaso e l’armonia cosmica creata dalla musica dell’Apollo Musageste e per questo nelle grottesche compaiono figure femminili che suonano vari strumenti musicali (fig. 9).

La decorazione a grottesche, inoltre, ha maggior spazio nella Sala di Venere (figg. 10-11-12), in quella di Diana (figg. 13-14-15) ed in quella delle Arti Liberali, ma è preponderante nel Corridoio della Fama: un piccolo ambiente nell’ala meridionale della villa che collega il piano nobile a quello soprastante. La volta a botte di questo luogo di passaggio è interamente ricoperta dalla fitta trama del decoro a grottesche (fig. 16), dove una miriade di putti svolazzanti, satiri danzanti, guerrieri (fig. 17) e fanciulle invadono lo spazio comunemente riservato ad un raffigurazione mitologica centrale, mentre invece dei piccoli pinakes sembrano quasi amalgamarsi e

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273 scomparire in mezzo a tanta abbondanza d’ornato. Nel pinax centrale della volta è rappresentata la personificazione della Fama, munita di tromba, ali ed un ramo d’alloro, mentre dei due pinakes laterali solo uno è stato identificato con l’allegoria della Carità (fig. 18) e l’altra attende ancora d’essere riconosciuta. Secondo la Nardini, le grottesche presenti in questo ambiente potrebbero essere opera del pittore Ippolito Sani, lo stesso che, secondo Ambrosini12, ha affrescato il fregio a grottesche del Palazzo Boccella.

Infine, per quel che concerne altri esempi di decorazione a grottesca nel territorio lucchese, si ricorda il decoro che impreziosisce il portico del Palazzo Santini (fig. 19); purtroppo tali affreschi, seppur iconograficamente ricchi, non sono ancora stati analizzati con studi appropriati. In particolare si annotano due oculi dipinti di mantegnesca memoria (fig. 20), sebbene questi si presentino con dimensioni molto ridotte il modello è chiaramente quello della Camera Picta. L’unica annotazione che è stata fatta in studi precedenti13, riguarda la presenza di uno stemma composito sulla parete settentrionale, il quale sembra fare chiaro riferimento al matrimonio celebrato tra Cesare Santini e Laura Nieri (fig. 21).

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Ambrosini 1994, p. 168. 13 Nardini 2009, p. 35.

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