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Capitolo 1 : Linee evolutive dei modelli di management nella prospettiva della pubblica amministrazione

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Academic year: 2021

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Capitolo 1 : Linee evolutive dei modelli di management nella

prospettiva della pubblica amministrazione

1.1.L’evoluzione dei modelli di management

Obiettivo della analisi degli approcci alla pianificazione è quello di tratteggiarne le caratteristiche principali, al fine di ricercare una possibile collocazione concettuale dei modelli prevalenti nelle amministrazioni pubbliche, la loro funzionalità relativamente alle esigenze poste dalle finalità istituzionali, dalle competenze organizzative e dalle esigenze poste dalle finalità istituzionali, dalle competenze organizzative e dalle peculiarità gestionali ed infine se vi siano, negli approcci più recenti, elementi proficuamente applicabili nella pubblica amministrazione.

Utilizzando lo schema interpretativo di Ansoff, è possibile collegare le caratteristiche dell’ambiente con il sistema di management funzionale a produrre risposte coerenti da parte delle aziende1. Pur non esistendo confini definiti tra le fasi, esistono, però, alcuni momenti di rottura, discontinuità nel processo evolutivo, che consentono di individuare i passaggi da uno stadio all’altro. Il primo approccio alla tematica è evidenziabile in una concezione della pianificazione come gestione previsionale, rivolta sostanzialmente al breve andare, con la quale è possibile tradurre in cifre gli andamenti. Il processo era sostanzialmente passivo, basandosi sul concetto di previsione, che si limitava ad intravedere possibili condotte senza assumere comportamenti attivi nell’indirizzo dell’attività. Il processo pianificatorio trovava esplicitazione in documenti contabili che esprimevano l’andamento della sola variabile finanziaria; i valori futuri venivano elaborati attraverso la proiezione degli andamenti dei periodi precedenti, ritenendo impossibile capire quali sarebbero state le evoluzioni future dell’ambiente. Tale approccio quindi, risultava essere applicabile in presenza di un ambiente stabile, dove l’attività manageriale si svolgeva mediante il controllo ex posto delle prestazioni, basato sul confronto tra bilancio di previsione e consuntivo, il cui scopo era quello di verificare e valutare il comportamento degli amministratori. I limiti di un approccio di questo tipo, sono riconducibili al fatto che il contenuto decisionale di tale processo risulta, in realtà,

1

H.I: Ansoff, Management strategico, Etas, Milano 1980, pp. 70-94; H:I: Ansoff, Organizzazione innovativa, Ipsoa, Milano 1987, pp. 18-42

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fortemente sottoposto al rischio di un’eccessiva miopia fondata sulla centralità più degli obiettivi di breve termine che dello sviluppo complessivo dell’organizzazione nel medio e lungo periodo. Il fatto di averli introdotti come strumenti di uso corrente nella gestione d’impresa ha consentito di educare il management alla logica del controllo ed alla visione futura, seppur sotto una prospettiva limitata di breve termine.

Negli anni venti Mortara, introduce un nuovo approccio alla mentalità che informava la pianificazione, sostituendo il concetto di prospettiva a quello di previsione. Lo studioso ritenne necessaria una revisione della relazione tra azienda ed ambiente, sostenendo che non era più possibile impostare gli andamenti futuri basandosi sulle proiezioni dei dati passati. Le mutevoli condizioni ambientali rendevano inutile effettuare previsioni e diventava invece maggiormente utile accettare il concetto di prospettiva come ipotesi di andamento o di linea di tendenza.

La diffusione della pianificazione aziendale2 è accelerata dagli studi della Harvard Business School, con i quali vengono elaborate le indicazioni relative alla business policy e ad un’impostazione di tipo razionale nella soluzione di problemi, secondo cui la pianificazione viene qualificata come funzione, il suo compito viene individuato nel prendere decisioni ed il modello di riferimento utilizzabile allo scopo si identifica con quello di decisione razionale. Dal punto di vista organizzativo, il modello presuppone la creazione di una unità organizzativa che si occupi dello svolgimento di tutto il processo, provocando il rischio di collocare la pianificazione solo a livello dell’alta direzione e creare così un distacco tra questa e la gestione, relativa cioè all’attuazione di quanto stabilito. Lo scarso coinvolgimento della struttura nel processo decisionale implica una minore motivazione nell’impostazione delle azioni volte al raggiungimento degli obiettivi. Secondo un’ottica più pragmatica, anche l’attendibilità e la reale attuabilità di quanto stabilito potrebbero non manifestare livelli adeguati per ottenere i risultati auspicati. Il processo di pianificazione inoltre, risulta essere fortemente burocratico sia per le soluzioni organizzative, sia perché la sequenza di fasi di cui il processo si componeva esprimeva una consequenzialità logico-temporale che doveva essere mantenuta e che imponeva una certa collocazione temporale nel corso dell’esercizio amministrativo. La pianificazione allora finiva per essere un processo legato

2

Nel 1963 lo Standford Research Istitute verifica che gran parte delle maggiori aziende statunitensi, aveva creato dipartimenti per la pianificazione.

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all’espletamento di formalità amministrative piuttosto che funzionale alle esigenze aziendali ed ambientali.

Nell’ambito della stessa scuola si sviluppa l’impostazione definita long range planning; la pianificazione a lungo termine rappresenta un primo tentativo di prevedere l’impatto futuro di forze politiche, economiche e sociali. Il formato tipico è costituito da un documento di pianificazione di durata generalmente quinquennale che stabilisce scopi ed obiettivi, prevede gli andamenti delle variabili economiche chiave, fissa la priorità per i diversi prodotti e le diverse aree di attività dell’azienda e alloca gli investimenti di capitale. Il punto di partenza della pianificazione a lungo termine è costituito generalmente dalla previsione pluriennale del fatturato, sulla cui base vengono elaborati i piani di produzione, marketing, del personale e di tutte le altre funzioni; la fase finale consiste poi nell’aggregare le proiezioni che ne derivano in un piano finanziario che presenta ancora i tratti tipici del budgeting e del controllo finanziario, ma si estende su un orizzonte temporale più ampio. La pianificazione è quindi formalizzata in piani, nei quali l’unico aspetto considerato è quello economico, costituita da fasi rigide e legata alla struttura gerarchica dell’azienda e quindi sostanzialmente inefficace nella risposta ad eventuali cambiamenti rapidi dell’ambiente. Ansoff definisce questo modello come management per estrapolazione, “quando il cambiamento diventa più rapido, ma il futuro poteva essere previsto estrapolando il passato”.

Dal punto di vista delle scelte delle alternative, inizia a diffondersi l’uso delle matrici di portafoglio, che, che mettendo a rapporto la dimensione interna a quella esterna dell’azienda, individua, attraverso la collocazione dell’azienda nella matrice, la strategia ritenuta più efficace. In ambedue le impostazioni presentate non ottengono particolare considerazione la cultura ed i valori dell’organizzazione e soprattutto gli attori-chiave, che invece risultano determinanti nell’individuazione degli obiettivi, delle strategia e nella loro attuazione.

Quando l'ambiente diventa sempre più caratterizzato da fratture e discontinuità, consentendo anticipazioni e risposte tempestive, viene teorizzata la pianificazione strategica, in cui viene posto maggiormente in risalto il rapporto tra azienda ed ambiente. Si passa così in questi casi ad uno studio vero e proprio dell'ambiente che per l'azienda si configura sostanzialmente in un adattamento.

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La pianificazione diventa strategica e si distingue da quello operativa in termini di orizzonte temporale di riferimento, di contenuti e di risultati. Supporto basilare è rappresentato dall'indagine prospettiva, che studia i possibili andamenti dell'ambiente, sulle cui elaborazione vengono poi determinati gli obiettivi e le strategie.

Rispetto alla Long Range planning, nella pianificazione strategica non ci si attende che l'ambiente possa essere semplicemente estrapolabili. E, l'analisi ambientale viene effettuata per verificare le tendenze e di possibile verificarsi di eventi che possono rappresentare minacce od opportunità. Tra questi esistono relazioni di reciproca influenza tali per cui se, in seguito alla verifica di fattibilità, gli obiettivi vengono ritenuti non raggiungibili si tornano a modificare le strategie stesse. Viene inserita nel modello anche la considerazione dei valori, delle esperienze e delle capacità di cui gli attori chiave sono portatori. Lo schema "Harvardiano", sintetizzato da Andrews, si basa sulla netta separazione tra il processo di formulazione e quello di attuazione della strategia e si fonda sull'assunto che " deciding what strategy should be is, at least ideally, a rational undertaking".

La scuola razionalistica considera l'impresa e quindi il manager, come soggetto unitario e razionale e le decisioni strategiche con risposte ottimali a problemi ben definiti.

Ad ogni modo la pianificazione è intesa come processo decisionale e segue, come nella logica della Long range planning, uno sviluppo logico sequenziale nel quale il rispetto delle fasi e viene informato alla logica del modello analitico razionale di scelta ed in cui alla formulazione sussegue la sua implementazione.

La formulazione della strategia è un processo conoscitivo decisionale volta la generazione di alternative economiche, che comporta:

- l'identificazione delle opportunità ambientali;

- La valutazione dei punti di forza e debolezza dell'impresa; - Il riconoscimento della responsabilità sociale dell'impresa; - L'esplicitazione di valori individuali nelle direzioni.

La scelta della strategia da adottare, effettuate da un'unità organizzativa a ciò preposta, chiude il processo di pianificazione e si apre quello dell'attuazione mediante la pianificazione operativa o programmazione, che vede coinvolte unità realizzativa e diverse rispetto a quella che aveva formulato la strategia.

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1) la segmentazione del mercato mediante l'identificazione delle aree strategiche d'affari;

2) La gestione dell'azienda come portafoglio di una molteplicità di business; 3) L'individuazione di una gerarchia delle strategie.

I sistemi di pianificazione strategica vengono progressivamente raffinati e formalizzati, ed evidenziano una grande diffusione a metà degli anni 60 nelle aziende multibusiness americane.

Mintzberg individua dieci scuole di pensiero nell'ambito della formazione della strategia: tre sono scuole prescrittive in quanto identificano le modalità attraverso le quali è possibile formulare strategie intenzionali; le altre, rivolte a descrivere i processi di formazione delle strategie realizzate, sono definite descrittive. L'autore inserisce Andrews, Christensen e la scuola Harvardiana classica in generale, nella design school in quanto basata sulla convinzione che la formulazione della strategia fosse un processo di concepimento tramite l'uso di poche idee semplici e fondamentali. Una di queste riguarda la ricerca di un equilibrio tra fattori esterni ed interni, come afferma anche Andrews "la strategia economica va vista come l'incontro tra competenze ed opportunità che posizione dell'impresa nel suo ambiente".

Parallelamente si è sviluppata la planning school, sorta come volontà di formalizzare lo schema Harvardiano. Sebbene le due scuole abbiano premesse simili, Ansoff, considerato uno dei massimi teorici di pianificazione strategica, rileva tre principali punti di rottura rispetto al modello Harvardiano: la natura del processo, il ruolo del CEO e l'unicità della strategia. Le posizioni divergono specialmente sul primo concetto poiché mentre ritiene necessario mantenere il processo di formulazione della strategia informale, snello e flessibile, "un quadro concettuale di massima", Ansoff cerca di ricondurre il processo decisionale ad una procedura altamente formalizzata, scomposta in una sequenza elaborata di fasi con l'ausilio di tecniche di supporto3.

Secondo Ansoff, il ruolo del CEO passa da attore principale, secondo le proposizioni della scuola di Harvard, a capo di un team di pianificazione strategica che, di fatto,

3 Andrews, allo scopo di distinguere i propri scritti dalla planning school scrive che il suo saggio “non è una check-list

per pianificatori aziendali, poiché i meccanismi di pianificazione sono ivi virtualmente ignorati con la motivazione che, separati dalla strategia, non colgono nel segno”.

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assume la responsabilità circa l'esecuzione del processo, mentre al CEO rimane, la responsabilità generale sul processo.

Sul processo di pianificazione strategica sono stati elaborati diversi modelli che definiscono e spiegano la sequenza ottimale delle fasi dello stesso; Hofer e Schendel tentano di identificare i quattro elementi costitutivi di ogni strategia:

a) il raggio d'azione o campo d'attività che definisce l'ambiente entro cui si svolgono le interazioni aziendali con l'ambiente esterno;

b) Impieghi di risorse e competenze distintive;

c) I vantaggi competitivi;

d) Le sinergie.

Hofer e Schendel rilevano come visione alcuni studiosi che effettuano la separazione tra obiettivi e strategie, mentre altri ritengono che la strategia comprende gli obiettivi poiché esiste una congiunzione tale da non consentire una distinzione. Al primo gruppo è possibile ricondurre prevalentemente autori che si ispirano ad un modello più strutturato e onnicomprensivo di pianificazione, mentre il secondo sono riconducibili teorici della scuola di Harvard.

Dall'inizio degli anni 70, viene messo in discussione l'approccio della pianificazione strategica, ma in generale tutti modelli di approccio razionale alla soluzione dei problemi. Si deve sottolineare, che probabilmente non avrebbe dovuto essere tanto il metodo ad essere criticato, quanto la sua applicazione situazioni che non potevano essere sottoposte ad una procedura rigida di trattamento. In prima battuta fu allora elaborato un approccio definibile della pianificazione strategica in senso ampio, con il quale si mantenne l'approccio strutturato e sequenziale dell'impostazione tradizionale, inserendo due importanti varianti: la prima è che la formulazione degli obiettivi viene inclusa come fase del processo di conduzione strategica, la seconda si riferisce al fatto che il processo di conduzione strategica assume anche natura dialettica ed informale, attenuando la dimensione top down.

Un ampliamento delle conoscenze utili a svolgimento del processo di gestione strategica è offerto da Porter con i suoi contributi sulla strategia competitiva e sul vantaggio competitivo. Con il primo di questi lo studioso, allarga l'analisi attraverso l'introduzione delle cinque forze ovvero il potere contrattuale dei clienti e fornitori, le rivalità con i concorrenti, le relazioni con i produttori di beni sostitutivi e le minacce portate dei nuovi entranti. Rivede poi, secondo le caratteristiche del settore, le classi di strategie proposte

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dalla letteratura classica, infatti Porter, inserisce il concetto di catena del valore, mediante la quale è possibile individuare le attività che creano valore ed individuare così le strategie più opportune per ottenere il vantaggio competitivo.

La crisi della pianificazione strategica ed è espressa da Mintzberg quando sostiene che il grande inganno della pianificazione strategica è che essa sia identificata con la formulazione strategica. A sua volta questo inganno è fondato su altri tre: l'inganno della previsione e cioè che sia possibile effettuare previsioni attendibili pensando che l'ambiente risponda a quanto previsto; l'inganno del distacco, relativo alla separazione tra chi si occupa del pensare e che invece del fare, tra la formulazione e l'attuazione; l'inganno della formalizzazione che, utilizzata per affrontare risolvere i problemi più complessi, non garantisce invece l'apprendimento e finisce per costringere una sequenza razionale un processo, che potrebbe anche procedere in senso inverso.

"La pianificazione strategica separa i pianificatori, e i manager che si affidano, dal processo di formazione della strategia." I primi in virtù del proprio ruolo di staff e dei dati ai quali possono accedere, oltre a non essere coinvolti nella fase di attuazione del piano sui cui risultati operativi non sono responsabilizzati, non hanno alcuna influenza sull'assunzione delle decisioni strategiche, e sono regolati ad una funzione di supporto nella creazione della strategia, in particolare riguardo all'analisi e all'uso dei dati concreti. Anche i manager chiamati ad implementare le strategie sono distaccati dalla realtà che il piano considera come oggetto di analisi. " La pianificazione ha ostacolato piuttosto che aiutato, i manager a stare in contatto per creare valide strategie".

Il modello strategic planning considera automatica la relazione tra titolarità del top management e validità del piano nonchè la condivisione dello stesso da parte di tutta l'organizzazione. In realtà, questo processo, tipicamente accentrato limita la partecipazione e l'adesione psicologica e motivazionale dei partecipanti i quali vivono in modo distaccato la formulazione e l'attuazione del piano.

Un'altra critica riguarda l'eccessiva formalizzazione della formulazione della strategia ( fallacy of formalization ), tale da ostacolare la creatività e l'intuizione, necessari, per una gestione strategica di successo. La pianificazione si fonda sulla convinzione che dalla formalizzazione attraverso la composizione di un processo in una serie di passi ( procedimento essenzialmente analitico ) possa essere sintetizzata la strategia. Secondo Mintzberg la strategia, più che essere frutto di un processo di "formulazione", in cui si applicano meccanismi automatici e algoritmi, è l'output di un processo di "formazione",

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che comprende al suo interno la prima, ma considera anche altri fattori legati all'intuito e alla creatività.

"Siccome l'analisi non è la sintesi, la pianificazione strategica non è la formazione della strategia. L'analisi può procedere e supportare la sintesi, definendo le parti che possono combinarsi nel tutto. L'analisi può seguire ed elaborare la sintesi, componendone e formalizzandone le conseguenze. Ma l'analisi non può sostituire la sintesi. Nessuna massa di elaborazioni consentirà mai a procedure formali di prevedere discontinuità, di informare i manager che siano distaccati dalla propria operatività, di creare nuove strategie. In definitiva, il termine pianificazione strategica si è dimostrato un ossimoro". L'eccessiva strutturazione e formalizzazione fa della pianificazione, fondamentalmente, un processo conservativo. La rigidità dei piani, infatti, tende ad innescare resistenze al cambiamento, o meglio, a quel cambiamento non logicamente prevedibile.

L'unicità ed immutabilità del piano, se da un lato consente una migliore coordinazione dell'impresa, dall'altro non permette un sufficiente livello di elasticità e reattività strategica.

Insomma, il processo rigidamente sequenziale porta ad una burocratizzazione e formalizzazione del processo strategico, al distacco tra chi è delegato a formulare le strategie e chi è destinato ad attuarle, all'eccessivo meccanismo e alla sottovalutazione degli elementi soft come la cultura aziendale ed i valori, costituiscono i punti di debolezza del modello di pianificazione strategica, che lo rendono inadeguato ed inefficace rispetto alle caratteristiche delle aziende dell'ambiente in cui esse si trovano ad operare.

Con il management strategico si cerca di sopperire alle carenze della pianificazione strategica, integrando la prospettiva della pianificazione formale, con la considerazione di un “numero di variabili organizzative molto più ampio, quali ad esempio le persone, la cultura, i valori degli attori chiave, i sitemi gestionali” , ormai indispensabili per gestire la turbolenza ambientale4. Gluck, Kaufman e Welleck, definiscono la gestione strategica come un sistema di valori aziendali, di capacità di pianificazione, di responsabilità

4

Il concetto di turbolenza aziendale è stato introdotto da Ansoff che lo descrive come combinazione di quattro tendenze: aumento delle novità del cambiamento ambientale; aumento dell’impatto ambientale, che richiede un maggior impiego di energia e di risorse manageriali da parte delle aziende; aumento della velocità di cambiamento; crescente complessità dell’ambiente. Individua cinque livelli di turbolenza: stabile, reattivo, anticipatorio, esplorativo e creativo. La gestione strategica costituisce una risposta alla turbolenza ambientale ed un fattore della turbolenza stessa; l’intensità del comportamento strategico delle imprese contribuisce all’imprevedibilità ed all’aumento della velocità del cambiamento nei settori, nei mercati e negli ambienti non economici. Ansoff valuta positivamente la turbolenza ambientale come fattore di apprendimento e di evoluzione della perspicacia organizzativa

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organizzative e di sistemi amministrativi che combina il pensiero strategico con il processo decisionale operativo a tutti i livelli e, orizzontalmente, attraverso tutte le responsabilità funzionali e di business all'interno dell'impresa. La rivalutazione del ruolo delle relazioni interne è spinta proprio dal persistere di una condizione di "sorpresa strategica". Allorché il quadro conoscitivo non risulta sufficientemente chiaro ci si affida alle qualità personali del fattore umani, in particolare alla creatività, sensibilità ed intuizione dei responsabili.

Il management strategico è, invece, secondo Ansoff l'approccio sistematico alla gestione del mutamento strategico e consiste:

- nel posizionamento dell'impresa attraverso le strategie e la pianificazione delle capacità;

- nella risposta strategica in tempo reale attraverso la gestione per eventi;

- nella gestione sistematica delle resistenze durante l'applicazione della strategia.

Lo strategic management cerca di identificare gli strumenti mediante i quali la direzione può acquisire la capacità di cogliere anticipatamente i segnali di mutamento, in modo da definire la strategia sempre più in tempo reale, ma poiché in tale modello il cambiamento è conseguenza di un'efficace ed elastica attuazione della strategia, l'aspetto focale diviene l'azione.

Mentre nello strategic planning la strategia è l'output della pianificazione, nella gestione strategica essa preesiste a quest'ultima. Per consentire una efficace gestione della discontinuità è necessaria anche una maggiore integrazione tra la dimensione operativa e quella strategica. Infatti, in queste circostanze, appare del tutto superata la distinzione tra la prima, che guarda il breve e la seconda, riferita allo sviluppo nel lungo termine, perché le attività operative non possono essere esaminate separatamente da quelle strategiche, che a loro volta non possono essere adeguatamente elaborate ed attuate se non con il coinvolgimento dei diversi livelli gerarchici dell'impresa. La dimensione operativa assunta dalla pianificazione potrebbe non essere, da sola più sufficiente alla gestione dei cambiamenti strategico-organizzativi e potrebbe rivelarsi necessario integrarla con ulteriori sistemi e meccanismi di governo strategico.

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Una possibile soluzione potrebbe essere rappresentata dalla costruzione di "scenari"5 che favoriscano la formulazione di una strategia più versatile e facilitino l'attuazione della stessa qualora il contesto ambientale ed organizzativo si modifichi nel tempo. Una seconda soluzione integrativa, teorizzata da Ansoff, per rilevare tempestivamente, analizzare e rispondere rapidamente ai cambiamenti imprevisti sia interni sia esterni potrebbe essere la "gestione per eventi strategici"6 che prevedere la compilazione e l'aggiornamento di una lista di eventi strategici chiave da parte di una unità organizzativa ad hoc incaricata.

La Learning School, appartenente anch'essa alla scuola descrittiva, sottolinea come elemento centrale l'apprendimento strategico ed organizzativo, che consente ad una strategia di emergere e di prendere forma. Normann consapevole delle critiche che si stanno accumulando interno al tradizionale modo di intendere il governo strategico e sulla base dell'osservazione di alcune imprese, propone un'interpretazione della strategia come il risultato di un processo di apprendimento imprenditoriale che non conosce soste, guidato da una visione strategica originata dal vertice o anche da manager di livello inferiore, che man mano si sviluppa, si precisa, si rinnova, si consolida.

Una volta definita l'impostazione strategica da realizzare, può essere necessario un continuo riorientamento della strategia in relazione alle azioni realizzative poste in essere; questo determinerà un'intensificazione dell'attività di raccolta ed analisi di informazioni e ricerca di soluzioni, fino a che non emerge una nuova concezione strategica allo stadio embrionale che, prima di passare a fasi realizzative dovrà essere verificata e sperimentata (attività tipica del learning by doing). Dopo aver messo a punto la nuova impostazione strategica, può essere necessario un adeguamento delle capacità operative prima di passare alla fase di messa in opera della strategia. Successivamente, l'apprendimento può sfociare in ampliamento strategico o, ancora, in una era e propria messa in discussione dell'impostazione strategica funzionante, con la conseguenza di dover ripercorrere tutte le tappe di un nuovo ciclo di apprendimento strategico.

Il learning by doing comporta una così intima connessione tra pensiero ed azione da non consentire in alcun modo di distinguere tra formulazione e realizzazione della strategia e da negare la "comune assunzione secondo cui il pensiero deve essere indipendente

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Lo scenario è una visione interamente coerente di ciò che il future potrebbe essere, Costruendo scenari multipli un’impresa può esplorare sistematicamente le conseguenze possibili dell’incertezza, per scegliere la sua strategia. Lo “strategic planning” al massimo utilizzava scenari macroeconomici. M.E. Porter, Il vantaggio competitivo

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L’evento strategico è in una prossima evoluzione, all’interno o all’esterno dell’organizzazione, che è probabile abbia un forte impatto sull’abilità dell’impresa di raggiungere i propri obiettivi. L’evento può essere gradito oppure sgradito.

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dell'azione e deve precederla"7; esso diventa elemento determinante che integra la pianificazione razionale con quelle che Mintzberg ha definito le strategie emergenti, che vengono a comporsi nella strategia realizzata8. Per fornire una rappresentazione chiara del processo di creazione della strategia, Mintzberg utilizza la metafora del vasaio, in quanto l'immagine artigianale è ritenuta la più adatta ad evocare il processo dal quale nascono valide strategie. L'artigiano è concentrato su ciò che sta plasmando, ma allo stesso tempo è conscio che il suo lavoro è il risultato delle esperienze passate e di quelle future. Nessun artigiano medita in alcuni giorni e lavora in altri; la sua mente lavora sempre insieme alle sue mani. L'artista, quando inizia a modellare la creta (strategia) ha una certa idea da realizzare, la strategia deliberata, ma nel corso del lavoro la scultura inizia a prendere una forma rotondeggiante (strategia emergente). Il nostro artigiano tenta di creare una forma precisa, ma non riuscendovi decide di arrotondarla un po' da un lato, di smussarla da un altro. Finalmente, dopo giorni o mesi od anni ottiene ciò che desiderava: ha creato una nuova strategia. Non è tuttavia pensabile che ci si affidi esclusivamente a strategie puramente emergenti poiché in tal caso, infatti, si esalterebbero le capacità di apprendimento strategico dell'impresa, ma si perderebbe il controllo strategico dell'impresa. Per questo il paradigma Harvardiano della strategia deliberata conserva una sua validità.

Tra gli autori che si sono occupati della evoluzione degli strumenti di analisi, di pianificazione e di controllo ci sono anche Gluck, Kaufman e Walleck. Essi individuano quattro fasi fondamentali del processo evolutivo, ciascuna associata a determinati <<valori>> e priorità strategiche: la pianificazione di breve termine, la pianificazione di lungo termine, la pianificazione strategica e il management strategico.

7

H. Mintzberg, in Harvard Business Review, n.4, july-august,1987, pp. 68-69, dove aggiunge anche “Sure, people could be smarter—but not only by conceiving more clever strategies. Sometimes they can be smarter by allowing their strategies to develop gradually, through the organization’s actions and experiences. Smart strategists appreciate that they cannot always be smart enough to think through everything in advance”.

8 H. Mintzberg, Of strategies, deliberate and emergent,in Strategic Management Journal, n.3,1985. Questo approccio

viene definito il modello della business idea che si esplicita in quattro sottoprocessi: sviluppo di conoscenza; creazione di forze trainanti; gestione degli ostacoli del sistema di potere; sviluppo di risorse.

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Durante la prima fase, le aziende spesso mostrano strategie di business potenti, ma raramente formalizzate. L'unica indicazione concreta che esiste per una strategia di business può essere il tasso di crescita degli utili proiettata da alcuni obiettivi di debito / patrimonio netto o altri obiettivi finanziari espliciti.

La qualità della strategia della prima fase dipende in gran parte l'Amministratore Delegato e dal top team. Sono davvero in grado di far conoscere i prodotti ed i mercati delle loro aziende ed avere un’idea di quelle che saranno le reazioni dei concorrenti? In base alla conoscenza della propria struttura dei costi, possono stimare quale sarà l'impatto di un cambio di prodotto o di marketing avrà sul loro sistema di distribuzione, o sulla loro forza vendita? Se è così, e se non si prevede per il business una crescita oltre i limiti tradizionali, essi potrebbero non necessariamente impostare un apparato di pianificazione costoso.

Nella seconda fase, la gestione è costretta a confrontarsi con le implicazioni a lungo termine delle decisioni e riflettere sull’impatto potenziale che esse possono avere sui business attuali , ben prima che l’impatto stesso si manifesti concretamente. Una delle azioni più importanti della seconda fase è l’efficace allocazione delle risorse. Sotto la pressione dei vincoli di risorse a lungo termine, i pianificatori devono imparare come impostare un flusso circolatorio di capitale e di altre risorse tra le unità di business. Lo

9

F.W. Gluck-S.P. Kaufman-A.S.WElleck, Strategic mangament for competitive advantage in Harvard Business Review, july-august, 1980

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strumento principale è l'analisi del portafoglio, uno “strumento” per l’organizzazione di una società diversificata lungo due dimensioni: la forza competitiva e attrattività del mercato.

Durante la terza fase, l'allocazione delle risorse è al tempo stesso dinamica e creativa. In questa fase i planners cercano nuove opportunità "spostando il punto" di un business della matrice di portafoglio, in un settore più attraente, sia per lo sviluppo di nuove capacità di business o ridefinendo il mercato per soddisfare meglio i punti di forza delle

loro aziende.

Nella ricerca di nuovi modi per definire e soddisfare le esigenze dei clienti, la strategia durante la terza fase osserva l'offerta di prodotti delle loro aziende e quelli dei loro concorrenti da un punto di vista oggettivo.

La quarta ed ultima fase invece unisce la pianificazione strategica e la gestione in un unico processo. Solo poche aziende sono chiaramente gestite strategicamente, e tutte loro sono multinazionali. Tuttavia, non è tanto la tecnica di pianificazione che separa queste imprese dalle altre, ma, piuttosto l'accuratezza con cui la gestione collega la pianificazione strategica alle decisioni operative. Questo è in gran parte compiuta da tre meccanismi:

1. Un quadro di pianificazione che attraversa i confini organizzativi e facilita i processi decisionali strategici su gruppi di clienti e risorse. 2. Un processo di pianificazione che stimola il pensiero imprenditoriale. 3. Un sistema di valori aziendale che rafforza l'impegno dei dirigenti per la strategia della società.

In tempi più vicini ai nostri invece, risulta interessante il contributo di R. Anthony e della sua piramide che è stata introdotta con l’obiettivo specifico di classificare le attività tipicamente svolte in un’organizzazione ed identificare il ruolo dei sistemi informatici a supporto di tali attività e la progettazione del loro sviluppo

Secondo questa rappresentazione, analizzando le caratteristiche delle attività svolte all’interno di un’organizzazione, è possibile identificare tre categorie sostanzialmente diverse.

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Attivitattività strategiche: che consistono nella definizione della mission aziendale e

dei conseguenti obiettivi strategici, nonché nella scelta delle risorse necessarie per conseguirli e delle politiche aziendali corrispondenti. Ne è un esempio la decisione di implementare una soluzione di commercio elettronico invece di proporre il proprio prodotto solo attraverso i canali tradizionali, oppure la scelta di espandere l’area geografica nella quale l’azienda commercializza i propri beni, o l’acquisizione di un’azienda che opera in un mercato simile.

Attività tattiche: che consistono nella programmazione delle risorse disponibili e nel

controllo del conseguimento dei corrispondenti risultati in termini di efficienza ed efficacia. A questa categoria appartengono le cosiddette attività di programmazione e controllo, che vanno dalla definizione e analisi dei budget alla contabilità industriale, alla stesura dei piani di produzione.

Attività operative: che corrispondono in generale alla conduzione a regime dell’insieme

delle attività dell’organizzazione. Ne sono un esempio le telefonate di un agente di vendita ai suoi clienti, la predisposizione di una fattura, la spedizione di un prodotto, l’assemblaggio di componenti in un reparto produttivo.

Il principio su cui si basa questa classificazione è legato al fatto che le attività appartenenti a ciascuna tipologia possiedono caratteristiche comuni in termini di informazioni necessarie per supportare adeguatamente il loro svolgimento.

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E’ possibile individuare alcuni criteri che consentono di identificare tali caratteristiche: per ciascun criterio, le attività strategiche presentano proprietà diametralmente opposte rispetto a quelle operative, mentre tipicamente le attività tattiche mostrano caratteristiche intermedie.

1. L’orizzonte temporale di riferimento, ossia la durata del periodo lungo ossia la durata del periodo lungo il quale avranno effetto le decisioni prese svolgendo tali attività o, in altri termini, l’intervallo di tempo che intercorre tra due esecuzioni successive di una certa attività.

2. L’orientamento all’esterno, ossia l’entità dell’impatto che hanno le attività al di fuori dei confini dell’organizzazione. Tipicamente le attività strategiche (si pensi per esempio all’implementazione di una soluzione di commercio elettronico) hanno effetto sul contesto competitivo in cui un’organizzazione opera, mentre l’influenza di quelle operative è generalmente confinata all’organizzazione, quando non solamente a un’unità organizzativa.

3. La discrezionalità, ossia il grado di arbitrio con il quale si può decidere come e quando svolgere un’attività.

4. La ripetitività, ossia la frequenza con cui un’attività viene svolta: l’elevata ripetitività caratterizza i compiti operativi, che, sfruttando questa proprietà, consentono di conseguire efficienze che vanno sotto il nome di curve di apprendimento.

5. La prevedibilità, correlata alla caratteristica precedente, è tipica delle attività operative, sia nel senso che producono risultati prevedibili a priori, sia nel senso che è noto a priori quando e quali di queste debbano essere eseguite.

6. I ruoli organizzativi coinvolti. Normalmente le attività strategiche sono di competenza della direzione aziendale, al limite coincidente con la sola figura dell’imprenditore. Le direzioni funzionali o di divisione (cioè il management intermedio o quadri) sono invece incaricati di condurre le attività di programmazione e controllo, mentre il personale esecutivo (impiegati e operai di ogni genere) si dedica alle attività operative

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1.2. Livello politico e tecnico-amministrativo nei sistemi di management

Le riforme che, a partire dagli anni 9011, hanno interessato le pubbliche amministrazioni istituzionalizzano la necessità di introdurre logiche e strumenti di natura manageriale fini del miglioramento complessivo della gestione dei suoi vari aspetti.

Questa convinzione fonda sostanzialmente suoi presupposti della possibilità di trasferire filosofia e tecniche manageriali sviluppati nelle aziende private, identificando altresì in questa innovazione una sorta di panacea ai mali che il funzionamento delle pubbliche amministrazioni.

Analizzando questo approccio secondo una prospettiva evolutiva, Wilson identifica nell'amministrazione la parte esecutiva e di realizzazione del governo, individuando come ciò che è stato stabilito debba essere realizzato. In questo senso, quindi, scopo della scienza dell'amministrazione è: "scoprire ciò che il governo può fare propriamente e con successo e secondariamente, come può fare queste cose con la massima efficienza possibile ed al minimo costo sia di denaro che di energia"12 .

Postulato fondamentale su cui si basava tale impostazione è la separazione tra la sfera politica e quella amministrativa, ribadita più riprese da Wilson e che permette da un lato un'adeguata separazione di compiti e responsabilità, dall'altro di vedere l'amministrazione, in qualche modo, come neutrale rispetto alle indicazioni provenienti dal governo. Ciò consentiva, quindi di applicare, principi universali in virtù del quale sarebbe stato possibile eseguire in maniera efficiente quanto stabilito dal livello politico attraverso leggi o piani.

Innanzitutto, per opportuno evidenziare quale fosse il contesto sociopolitico in cui la teorizzazione di Wilson si inserisce; il problema fondamentale appariva in quell'epoca, il rapporto eccessivamente stretto che legava la politica all'amministrazione, che aveva provocato spesso una confusione tra i due livelli, attraverso processi di influsso della prima sulla seconda. Erano al tempo, piuttosto diffuse in competenza del personale amministrativo sottoposto il meccanismo dello spoil system, corruzione ed inefficienza. Ecco allora che, nell'ambito del dibattito politico che sfocerà nella riforma della pubblica amministrazione della fine del 19º secolo, le soluzioni individuate lo scopo di migliorare

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L. Anselmi, Percorsi aziendali per le pubbliche amministrazioni

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l'andamento della pubblica amministrazione riguardano lo sviluppo della qualità dell'operato dei dipendenti pubblici, sostituendo il merito al patrocinio politico.

Il perseguimento dell'efficienza e le prime esperienze di misurazione delle performance vennero visti come un possibile rimedio ai problemi di corruzione e di incompetenza che affliggevano la pubblica amministrazione; in quest'ottica Wilson, togli orientamenti di cui si era fatto propugnatore di un adeguato fondamento teorico, che aveva lavorato prendendo spunto dalle esperienze di sistemi politici e allora presenti anche se con orientamenti opposti a quelli degli Stati Uniti.

Nell'ambito dell'amministrazione scientifica dell'azienda, viene solitamente identificata in Taylor la personalità più rappresentativa del movimento di pensiero che postulava l'esistenza di principi di management, i quali sarebbero stati caratterizzati da una universale utilizzabilità e quindi applicabili anche alle amministrazioni pubbliche, all'interno delle quali si sarebbe dovuto dare attuazione alle direttive di carattere politico e, in tale ambito, dove a perseguirsi la ricerca dell'efficienza mediante l'applicazione dei principi del management.

Le esperienze maturate nelle aziende private rappresentavano i modelli da inserire anche nella realtà pubblica secondo una visione completamente neutrale e generalizzata delle caratteristiche delle diverse aziende. Significato dell'amministrazione scientifica e la gente pubblica, così come concepita da Wilson, risulta eccessivamente ristretta sia osservato in relazione alle reali problematiche dell'azienda relazione alle economico-aziendale italiana sull'argomento.

Capire quindi, come, la costruzione teorica di Wilson, anche se traeva le sue origini da particolari condizioni di reale operatività del sistema, effettuava una semplificazione eccessiva rispetto a quelle che erano le reali problematiche affrontate e dalle aziende. Conseguentemente risulta discutibile anche l'orientamento esclusivo al perseguimento dell'efficienza, senza considerare, in special modo per le pubbliche amministrazioni, l'esigenza di attribuire un ruolo adeguato alle esigenze di efficacia interna ed esterna devi impostare, realizzare valutare l'azione intrapresa.

La dottrina italiana, anche se poi applicata in tempi successivi, individuava nell'economicità uno degli elementi identificativi del fenomeno aziendale, concetto di più ampio respiro rispetto all'efficienza, che pure costituisce un aspetto . Più tardi, con il superamento della distinzione tra aziende di produzione e di erogazione, l'individuazione delle regole come unico fine delle combinazioni economiche che manifestino i requisiti

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aziendali, costituirà asserzione generalizzante in cui si compendiano vari aspetti in modo funzionale rispetto al raggiungimento delle finalità istituzionali.

Ulteriore questione riguarda il concetto di amministrazione che la dottrina italiana trattato ampiamente ed assume contenuti, articolati e complessi di quanto venga delineata da Wilson.

L'amministrazione attiene, secondo l'approccio originale dell'economia aziendale, agli aspetti legati alla conduzione delle aziende, alla connotazione dinamica dell'economia d'azienda. Nel corso del tempo gli studiosi hanno percepito che l'approccio di studio legate agli andamenti non era più sufficiente a colmare la scissione, Anche se sottile tra teoria e pratica, ossia fra scienza positiva e scienza normativa. L'elevata complessità dell'attività di governo su cui incidono molteplici e mutevoli variabili, ha indotto un allargamento degli studi dell'economia aziendale nel quale viene integrata o approfondita un ulteriore prospettiva di analisi legata alla ricerca delle relazioni logiche che ispirano i comportamenti dei soggetti responsabili del governo aziendale, sui quali gli studi si concentrano. Il management oggi può essere visto come una sostanziale espressione di evoluzione degli studi cui coltivati nella aziendale che consentono di concentrarsi sull'attività manageriale che, in ogni caso, costituisce parte integrante dell'azienda.

La concezione del management universale, che aveva portato alla dicotomia, all'interno delle amministrazioni pubbliche, tra livello politico a livello tecnico della gestione, fu criticata duramente da Simon. L'autore formula un approccio più complesso allo studio della gestione dell'amministrazioni pubbliche abbattendo la scientificità dei principi di management in una visione contingentistica, che riporta maggiormente alla luce, mediante il modello di razionalità limitata, l'aspetto umano, soprattutto per quanto riguarda la dimensione decisionale.

Questo approccio, definito anche come public administration neoclassica, analizza le caratteristiche del processo decisionale, individuando due elementi che caratterizzano le diverse tipologie di decisioni, uno di tipo etico e l'altro di tipo empirico.

Simon afferma: "I termini etici non possono essere ridotti a termini empirici. Se una proposizione asserisce che un certo stato di cose dovrebbe sussistere, oppure che esso è preferibile o desiderabile, essa assolve ad una funzione normativa e non è possibile qualificarla come vera o falsa, corretta o scorretta"13 . L'aspetto fattuale, invece, può essere verificato degli andamenti reali nei quali può trovare o meno conferma.

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Naturalmente, nessuna decisione presente esclusivamente elementi etici o empirici; nella prima ipotesi esistono comunque affermazione imperative, che si pongono come obiettivi intermedi rispetto ad altre finali e comunque non è la decisione stessa che viene valutata ma la relazione puramente fattuale tra la decisione e la sua finalità.

Nel secondo caso, si manifesta in elementi etici nella misura in cui formulando la scelta decisionale, scelgono un futuro stato di cose piuttosto che un altro, dirigendo il comportamento in quella direzione.

Simon utilizza la descrizione di elementi etici e fattuali presenti nelle decisioni per identificare un parallelo tra questi e le decisioni di carattere politico ed amministrativo, se pur non identificandolo completamente in esse. Egli ripropone così una dicotomia tra i due momenti, che però ha il notevole pregio di inserirsi armonicamente all'interno di una costruzione teorica complessiva riguardo i fenomeni amministrativi, in particolare quelli inerenti la pubblica amministrazione, la quale supera il modello manageriale scientifico che tanto successo aveva riscontrato sia negli USA che in Europa. Nonostante sia cosciente della difficoltà relativa alla concreta applicabilità della suddivisione effettuata, Simon cerca di evidenziare gli aspetti razionali delle decisioni, poiché solamente rispetto ad essi è possibile parlare di efficienza.

Il contributo di Appleby, già operatore nella pubblica amministrazione, mette definitivamente in crisi il modello dei due livelli decisionali, politico ed amministrativo, affermando che “molti tipi di decisione che coinvolgono scelte politiche, sono e devono essere generalmente delegate e che d’altra parte, quasi ogni tipo di decisione può diventare occasionalmente un argomento per considerazione e determinazione a livello più elevato; che il movimento dei materiali di lavoro e delle decisioni perpendicolarmente e lateralmente all’interno dei livelli e delle divisioni di governo è l’essenza sia del fare politica che del fare amministrazione”14

.

Uno dei risultati concreti che questa corrente di pensiero produsse fu l’impostazione del cosiddetto Planning Programming and Budgeting System, i cui fondamenti teorici si ritrovano nella microeconomia e nell’applicazione della pianificazione razionale applicata alle scelte di un’economia con uno spinto orientamento centralistico, che intendeva raggiungere l’ottimizzazione attraverso queste tecniche. In realtà il sistema oggetto non ottenne gli obiettivi previsti e la sua applicazione fu interrotta, ma spostò

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l’orientamento gestionale da un approccio tipicamente burocratico verso uno maggiormente analitico.

L’analisi effettuata ci consente di trarre alcune indicazioni alla luce dei processi di riforma della pubblica amministrazione che, nonostante formalizzino a più riprese la distinzione tra livello politico e tecnico, implicano, per poter ottenere i risultati sperati, il coinvolgimento del livello politico oltre a quello della componente tecnico-amministrativa, e quindi l’avvicinamento delle posizioni. Il processo manageriale è osservabile come continum nel quale è possibile distinguere momenti, funzioni contenuti e soggetti differenti, ma complementari ed interagenti.

Processo manageriale non inizia nell'ambito della struttura dirigenziale, la cui azione trova infatti i presupposti fondamentali della legata all'interpretazione dei bisogni della collettività e della ricerca del tentativo di soddisfarle attraverso le scelte di carattere politico. Tale impostazione oltre ad essere concettualmente coerente con i principi dell'economia aziendale, rispecchia l'esigenza di non incorrere in quella separazione tra livello strategico ed operativo, che ha già segnato il superamento dei modelli di management relativi e di cui deleterie effetti sono evidenti anche nelle amministrazioni pubbliche, provocando: una latitanza della funzione politica, un distacco tra le proposte provenienti e la loro realizzabilità, il rischio di un dirigismo tecnico che svuoto il contenuto della funzione politica, la collocazione del problema della scarsità di risorse solamente a livello materiale. Se le foto di prospettate risultano accettabili, si pone, anche per il livello politico, esigenza di aumentare considerevolmente la valenza dei momenti della pianificazione e controllo.

Nel momento dell'applicazione perché troppo spesso la definizione dei percorsi relativi alle cose da fare a seguito logiche mirato all'ottenimento del consenso elettorale senza una reale visione di ciò che era possibile realmente fare. Dal punto di vista sostanziale, la questione riguarda l'elaborazione di una visione circa il futuro auspicabile per la collettività servita, che presuppone una determinata idea circa ruolo e la configurazione che l'amministrazione dovrà assumere. Possono essere allora identificate le problematiche di interesse pubblico, cioè quelle che identificano le aree di intervento sulla base delle concezioni sociali, economiche e politiche, aprendo la possibilità di delineare i piani, suddividendo gli obiettivi generali dell'amministrazione o delle grandi aree di intervento in sotto-obiettivi e ricercando, per ogni sotto-obiettivo le varie ipotesi

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di intervento. Quest'orientamento permette: di dare contenuto concreto e molteplici documenti e strumenti di pianificazione con il quale è esprimibile la volontà politica, di fronteggiare eccessiva frammentazione e settorializzazione della gestione, di rivalutare il principio dell'ottimo sistema più che degli ottimi parziali, di superare i limiti del metodo anche mentale, di fronteggiare la complessità dovuta anche alla necessità di contemperare una molteplicità di interessi provenienti da vari stakeholder non sempre coerente con il modello di funzionamento e che provoca, di fatto, un sostanziale immobilismo.

La rivalutazione del momento del controllo di scendere talmente dall'evidenza che la realtà dimostra. L'attenzione del livello politico se spesso concentrata, come detto, se l'aspetto programmatorie a scopo di ricerca del consenso, offrendo scarse possibilità sostanziali di verifica successiva di quanto realizzato. A ciò si aggiunge la carenza o la mancanza, di sistemi informativi atti a misurare le metodologie di impiego delle risorse degli effetti provocati sulla collettività.

Il controllo consuntivo costituisce però momento fondamentale del processo manageriale, non solo per i soggetti direttamente coinvolti ma, nel caso della pubblica amministrazione, anche per la collettività, perché costituisce garanzia per l'esercizio consapevole dei propri diritti di scelta. L'importanza della relazione che lega la struttura dirigenziale A livello politico, emerge nella considerazione del ruolo di questa, proprio per evitare che il dirigente si configuri come mero esecutore delle direttive in cambio della stabilità della posizione. Assume rilievo inoltre, l'individuazione di linee strategiche chiare e tempestive, non solo per garantire una risposta sistematica, ma anche per evitare impostazioni frammentate, estemporanea ed eccessivamente tarate sulle persone. Il dirigente in questa situazione quindi non può impostare adeguatamente la propria attività dovendo rispondere sollecitazione non sempre coerenti ed il cui perseguimento provoca difficoltà di gestione ed utilizzo delle risorse15.

Non vi è dubbio allora che il processo decisionale, come previsto dalla normativa, che distingue tra livello di indirizzo politico e tecnico amministrativo, non può essere interpretato come rigida separazione del momento decisionale relativo la strategia e quello relativo alla sua attuazione.

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La realtà ci mostra che questa separazione può portare anche, al mancato raggiungimento degli obiettivi di carattere strategico può modificare nell'operatività che riguardano aspetti singoli, talvolta non coordinati in un disegno complessivo.

Il contributo della struttura dirigenziale può essere utilmente sviluppato rispetto quello offerto nell'ambito della pianificazione operativa per ampliarne le competenze e sfruttarle maggiormente anche ai fini strategici. Seppure dal punto di vista della realtà operativa questa avvenga solo su aspetti specifici e con una continuità sicuramente migliorabile, riteniamo che dal punto di vista concettuale l'integrazione tra i livelli costituiscono i necessità e fini del miglioramento della complessiva gestione. A tal fine, si è richiamata esigenza di integrazione tra i due livelli, ma forse sarebbe sufficiente o più opportuno, fa riferimento alla loro interazione e quindi al confronto dialettico e produttivo di indicazioni.

Vi sono però alcune condizioni da rispettare affinché l'interazione diventi positiva:

a) un'adeguata contestualizzazione delle indicazioni di carattere politico all'ambito di riferimento a cui l'amministrazione si riferisce e quindi una lettura della priorità più aderente alla realtà specifica;

b) Attenzione non solo le unità organizzative particolarmente visibili politicamente, ma anche quelle che svolgono servizi interni gestiscono attività più burocratiche, evitando di lasciare queste ultime senza indicazioni e quindi alla completa discrezionalità dei responsabili;

c) Adeguamento di strumenti politico-amministrativi in linea con le previsioni a livello comunitario, abbandonando l'utilizzo di quelle ormai superati, con gli immaginabili riflessi negativi sia in termini formali, sia riguardo agli effetti prodotti;

d) Recupero e rivalutazione del ruolo politico e della politica, che prima di tutto convinzione nelle idee, da cui può derivare consenso interno ed esterno.

1.3. Dal government alla governance

In contrapposizione alla public administration classica neoclassica fu elaborata da la costruzione teorica conosciuta come public choice, Che si basava sul presupposto che l'individui agiscano secondo le loro preferenze e tentino di raggiungere i loro obiettivi a seconda della situazione in una logica di razionalità limitata. Sulla base di questo

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approccio individualistico mediante il quale i fenomeni sociali venivano spiegati dal comportamento collettivo, obiettivo degli studiosi era quello di creare un paradigma in base al quale poter fondare la società sulle libertà individuali.

La valutazione dello stato sociale effettuata nell'ottica di questa teoria evidenzia come la regola istituzionale di funzionamento della democrazia rappresentativa, basata sulla maggioranza, portava ad uno sfruttamento della minoranza e delle sue risorse da parte della prima e tale distorsione era aumentata dal processo tradizionale di approvazione del budget. Anche il concetto di pubblico interesse risultava estremamente debole e facilmente contestabile.

Le riforme proposte dai sostenitori della public choice, tendevano ad avvicinare la somma pagata a titolo di imposta da parte dei contribuenti al valore dei beni pubblici di cui essi fruivano. Per obiettivo sarebbe stato raggiungibile con un'impostazione decentrata in cui fosse separazione tra produzione e da questo e competizione la fornitura alle amministrazioni pubbliche.

All'inizio degli anni 80 e analisi effettuate da Peters e Waterman evidenzia i limiti del management e analitico-razionale attraverso la ricerca sulle principali imprese di successo americane, dalla quale emerse l'orientamento verso lo stile di management basato su elementi prevalentemente soft come la cultura, la motivazione, i valori, ponendo l'accento sui processi di realizzazione della strategia ed il collegamento con la gestione operativa. Come per altre teorizzazione che poggiano le loro basi sulla considerazione degli aspetti legati al comportamento, quelle relative al management umanistico manifestano una certa differenziazione e sono difficilmente riconducibili ad un corpus consolidato di conoscenze in relazione a molteplicità delle manifestazioni del comportamento umano.

Dal punto di vista cronologico è possibile localizzare la nascita del new public management all'incirca tra la fine degli anni settanta inizio degli anni ottanta16. Dal punto di vista geografico, sono la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, i paesi che hanno dato avvio al movimento, immediatamente seguiti dall'Australia e dalla Nuova Zelanda.

Il New public management è stato teorizzato come paradigma volto a fronteggiare l'aumento della spesa pubblica ed il distacco tra esigenze della collettività e servizi erogati. E se si focalizza sul funzionamento delle singole unità pubbliche, nei confronti delle quali viene stimolato il miglioramento della gestione mediante: l'orientamento alle

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privatizzazioni, la separazione tra politica ed amministrazione; l'attivazione di meccanismi tipici del mercato come tariffe, competizione amministrativa; incentiva decentramento; inserimento di strumenti e tecniche manageriali come pianificazione management strategico, introduzione di nuovi modelli organizzativi; la misurazione valutazione delle performance, la responsabilizzazione sui risultati, il cambiamento di sistema informativo contabile, cambiamento dei sistemi di gestione del personale, la revisione gestionale; l'incremento dell'uso dell'information technology; orientamento al cliente ed alla customer satisfaction; il miglioramento della gestione delle risorse finanziarie ed il perfezionamento della funzione di regolamentazione. Come afferma me ne Guzzo, il diverso combinarsi dei vari elementi ha dato luogo a tre configurazioni del new public management: quello dello Stato efficiente, quello dello Stato flessibile e quello dello Stato partecipativo.

In estrema sintesi e il mio public management creato nuovi collegamenti tra indicazioni provenienti dalle diverse scuole, dando applicazione vasta e concreta anche ad alcune delle idee che erano state proposte.

Degli anni 90, il mio public management subisce alcune critiche che ne mettono in dubbio la validità normativa, come ad esempio il ricorso troppo spinta la realtà delle aziende private ed una certa rigidità che non tiene nel dovuto conto le specificità delle pubbliche amministrazioni. Emerge pertanto una nuova teorizzazione definita public governance che sposta l'attenzione dal livello micro, delle singole amministrazioni al funzionamento del contesto in cui la pubblica amministrazione è inserita. "Con governance viene intesa la struttura che assume un sistema sociale e politico a seguito dello sforzo e degli interventi effettuati dei diversi attori in esso presenti. In questa configurazione nessun attore svolge un ruolo di primo piano ma vi sono numerose interazioni tra una pluralità di attori".

E nuove istanze che l'ambiente pone impongono nuovo approccio al governo ed al "coordinamento dei sistemi socio economici basate sull'interazione fra governo e società, tra pubblico e privato e sull'affermarsi di una diversa relazione tra interventi decisi e gestiti a livello politico amministrativo e forme di auto-organizzazione a livello sociale". Muovendo da un approccio all'altro si modifica ruolo svolto dalle pubbliche amministrazioni il sistema socio-economico di riferimento, che passa da quella di coordinamento dei vari attori in gioco ad una condizione paritetica con gli altri interlocutori, con i quali esse formano un network ricoprendo comunque una posizione

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di rilievo. Nelle due situazioni cambia ovviamente la funzione degli strumenti manageriali che diminuisce l'importanza nell'ambito della governance. Il ruolo della pubblica amministrazione è definito a partire dall'analisi delle caratteristiche dell'ambiente esterno, anziché dalla considerazione di quali siano le proprie migliori condotte. La soluzione dei problemi, quindi, non dipende dall'esistenza o dell'esercizio dei poteri formali, dalla razionalità tecnica, economica, amministrativa, quanto piuttosto "dalla capacità di mobilitare vari soggetti, di cercare consenso, convergenza verso soluzioni condivise. La public governance si fonda quindi sulla capacità di creare convenienze o attese dei diversi soggetti interni od esterni e la decisione del governo consiste nella definizione di regole percorsi, criteri per decidere in tempi coerenti con i problemi e chiare penalizzazioni per chi non rispetta leggi, criteri, tempi".

1.4. Coerenze e disarmonie nei percorsi di cambiamento

Il crescente interesse manifestato dalla dottrina per l'introduzione di un approccio manageriale nella pubblica amministrazione viene recepito istituzionalmente, all'inizio degli anni 90, dall'insieme delle riforme che ha interessato sia complesso delle pubbliche amministrazioni, sia i singoli settori.

La 142 prevede la possibilità di attivare il controllo di gestione, nelle norme di riforma del settore sanitario si fa esplicito richiamo all'introduzione di specifici strumenti contabili tipici della pianificazione del controllo, rinviando poi alle regioni, la specificazione per l'ambito di riferimento; il d.lgs. 77/95 introduce il PEG quale strumento di budgeting e definisce il processo ed il referto del controllo; in base al d.lgs. 76/2000 viene innovato l'ordinamento contabile armonizzandolo ai principi fissati per il bilancio dello Stato, con le quali sono stati introdotti i tipici strumenti informativi del management, come ad esempio il piano operativo annuale; il d.lgs. 286/199917 individua quattro aree di controllo che fanno riferimento: al controllo di regolarità amministrativa e contabile, al controllo strategico, il controllo di gestione ed alla valutazione.

In realtà, è possibile osservare come nelle pubbliche amministrazioni un modello di management, nel senso letterale del termine, esistesse già e derivasse, com'è noto, dalle teorizzazioni di Weber, i cui principi erano riconducibili alla specializzazione delle

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mansioni, alla centralità della norma ed alla separazione tra attività direzionale ed operativa. Lo scientific management si basava su principi, secondo Taylor, universalmente validi che postulavano un'adeguata suddivisione del lavoro cosicché ogni uomo dovesse concentrarsi su un numero relativamente ridotto di cose da fare, lo svolgimento delle quali veniva opportunamente regolato da norme: nella convinzione di Weber, la specializzazione e l'eliminazione della soggettività consentiva l'ottenimento di più elevati livelli di efficienza ed una maggior probabilità di raggiungimento delle finalità dell'organizzazione. In questo modello non si può parlare di assenza delle funzioni manageriali poiché si prevede comunque il riferimento a determinate modalità di svolgimento della pianificazione e del controllo e di una certa impostazione della struttura organizzativa e dei meccanismi operativi, che vengono ad essere progettati in modo coerente alla filosofia complessiva del sistema.

Vale la pena ricordare anche come le funzioni di previsione e controllo siano sempre state presenti nelle pubbliche amministrazioni a causa della funzione istituzionale svolta e della provenienza delle risorse gestite. I bilanci di previsione ed i consuntivi esistono fin dall'epoca comunale. Tali documenti esplicitavano, seppure con le modalità tipiche delle relative impostazioni, funzioni di impostazione futura della gestione e del controllo.

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