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Capitolo VI. Il polo industriale barese

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Academic year: 2021

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Capitolo VI. Il polo industriale barese

Quest'ultimo capitolo è dedicato al meno conosciuto settore industriale, la cui esistenza è nota solo a quei pochi studiosi che vi si sono dedicati negli anni. E' anche la parte più interessante di tutto il sistema economico di Terra di Bari, in quanto fu la più alta espressione delle sue potenzialità, con la comparsa di stabilimenti industriali di tutto riguardo e con produzioni interessantissime che ci fanno ben comprendere quanto importante fu la scelta di puntare sullo sviluppo di una moderna agricoltura orientata all'esportazione, un binomio (agricoltura e commercio) che permise tutta quella serie di importanti innovazioni e sviluppi che abbiamo osservato e senza i quali non si sarebbe mai potuti giungere (né sarebbe spiegabile) al passaggio, nell'arco di meno di un secolo, dall'azienda olivicola contadina di fine Settecento allo stabilimento metalmeccanico dell'imprenditore barese De Blasio del 1880. Già da metà '800 Bari contava una robusta presenza di officine meccaniche, di stabilimenti per l'estrazione dell'olio, fabbriche di pasta ecc. Il più grande opificio barese, quello di Lindemann, nel 1870 occupava già 103 operai specializzati. Oltre al settore meccanico, fondamentale per lo sviluppo industriale della provincia, vi erano anche il settore tessile (Zublin e Co., che nel 1865 aveva 500 operai), l'industria delle conserve alimentari (stabilimenti Marstaller e La Rocca), oltre alla diffusa industria della pastificazione, tra cui spiccavano quella dei Tamma e degli Avella (quest'ultimo attivo sin dal 1856 con uno stabilimento che serviva Bari e i comuni limitrofi, come si ricorderà). Era poi presente un certo numero di piccole-medie imprese industriali per la produzione di olio al solfuro, di saponi e di estratti ed essenze di liquori, sopratutto nei comuni dell'entroterra.

Le prime fabbriche in Terra di Bari

Abbiamo già visto nel secondo capitolo che vi era una diffusa proto-industria legata alle produzioni rurali e ai mercati locali, ma che talvolta era capace di “insospettate proiezioni verso l'esportazione, forte del suo carattere di agro-industria integrata e insediata in robuste dialettiche tra

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città e campagna”1, con l'attiva presenza di imprenditori stranieri, il cui ruolo nello sviluppo della provincia fu molto proficuo e per nulla “coloniale”, in quanto vi erano anche piccoli imprenditori greci e dalmati che producevano con successo acquaviti, cremortartaro in Trani e Minervino e palandrani in Bari2. Ma oltre a questi piccoli imprenditori, che già abbiamo citato altrove, ve ne erano di ben più interessanti, di cui ancora non abbiamo detto. Nel 1848, gli Zublin, imprenditori svizzeri, risultano insediati nel Regno con due fabbriche di cotone a Salerno e a Bari, anche se possedevano molti magazzini, di cui uno a Taranto, data l'ampia produzione di cotone che Terra d'Otranto offriva3. Da un verbale del marzo 1848, vediamo che è lo stesso Zublin, a Bari in società con Marstaller, a dirci come la materia prima per le sue produzioni tessili dello stabilimento barese provengano direttamente dalle piantagioni di Terra d'Otranto. Anche Vonviller, svizzero, investì notevoli capitali nella produzione tessile meccanica, risultando avere egli una filanda in Salerno e una società in accomandita insediata a Catania e nelle stessa Bari4.

Nell'Ottocento preunitario dunque, in linea con quanto avvenne in Campania, anche in Bari furono avviate iniziative industriali promosse da stranieri, unico caso tra tutte le province meridionali e prova ulteriore della formazione di quel polo di sviluppo alternativo a Napoli, capace di richiamare imprenditorialità forestiere che, in genere, preferivano stanziarsi nel circondario napoletano5: Giovanni Nickmann aprì la sua fabbrica per la tessitura di lane e cotoni nel 18466 e Friederich Marstaller aprì un'industria di tessuti dal 1840 (associandola all'esportazione di olio pugliese in Germania)7. In particolare è interessante la figura di Marstaller, tedesco, personaggio di primo piano nel panorama economico di quel periodo, in quanto assieme al citato Zublin aveva fondato in Bari la Marstaller-Zublin & Co., che si occupava di esportazione di olio, vino8 e

1 O. Bianchi, L'impresa agro-alimentare, Bari, Edizioni Dedalo, 2000, p. 22 2 ASB, a.i.c., b.15, f. 28

3 De Majo, Dalla casa alla fabbrica: la lavorazione delle fibre tessili nell'Ottocento, in Storia d'Italia, le regioni dall'Unità ad oggi/

Campania, a cura di Macry e Villani, Einaudi, Torino, 1990, pp. 340-343

4 Bianchi, op. cit., p. 19

5 Non va però dimenticato che molti di questi imprenditori forestieri avevano spesso anche delle fabbriche in Campania, come la Marstaller-Zublin, si legga il documento ASB, Comune di Modugno, b. 26, f. 3

6 ASB, Atti notarili Bari, notaio T. Verzilli, in data 10/11/1846, scheda 145

7 S. La Sorsa, La vita di Bari durante il secolo XIX. Dalla fine del XVIII secolo al 1860, in Archivio Storico Pugliese, Trani, 1913, pp. 255-257

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mandorle, nonché della produzione e vendita di filati e tessuti di cotone, oltre che a fungere da agente sul campo per numerose compagnie estere (Reale Compagnia Italia, Real Compagnia Olandese, Llyod ecc.)9. Questi imprenditori non erano semplici stranieri che sfruttavano un territorio debole e privo di infrastrutture adeguate (come accadeva altrove), ma erano parte attiva e integrante della vita della provincia, tant'è che il figlio di Friedrich, Alberto, fu uno dei promotori, nonché futuro presidente, della Società Anonima di Navigazione a Vapore Puglia verso la fine degli anni '70, uno dei più importanti strumenti di sviluppo economico del secondo '800.

Le due fabbriche sopra citate sfruttavano, naturalmente, l'abbondante materia prima, proveniente sopratutto da Terra d'Otranto e Capitanata, ma si localizzarono in Bari in quanto era il più

importante porto commerciale della fascia adriatica del Regno, cosa che rendeva immediato lo smercio della produzione; inoltre, la costruzione di rotabili tra le 3 intendenze, consentiva un rapido trasferimento della materia prima nel capoluogo. Non sarà però il tessile il volano dello sviluppo industriale. Anche se nel settore tessile non mancavano realtà di spicco come quelle citate, oltre ad altre dislocate a Barletta, Molfetta e Monopoli, la crisi economico-commerciale che investì il Regno delle Due Sicilie negli anni venti dell'Ottocento, minò irrimediabilmente il futuro del settore tessile pugliese, che pian piano scomparirà10.

Il 1850: le officine Lindemann

Il vero punto di svolta nello sviluppo industriale della provincia (sopratutto della città di Bari) è il 1850, quando in città si trasferisce Lindemann, che vi apre l'officina metallurgica più all'avanguardia del Regno. Questo stabilimento aveva due tipi di produzione: quella della fonderia in ferro e bronzo, e quella agro-chimica per l'estrazione di olio dalle sanse, che davano olio di scarsa qualità da inviare ai saponifici di Marsiglia, cosa che apriva scenari commerciali di non poco conto,

9 ASB, Registro notaio Di Pascale, 40° protocollo, foglio 53; ed anche Bianchi, L'impresa agro-industriale, op. cit., p. 27 10 A. Lepre, Produzione e mercato dei prodotti agricoli: vecchio e nuovo nelle crisi della prima metà dell'Ottocento in Il

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e la produzione di sapone. L'effetto di spill over che tale stabilimento ebbe sull'economia di Terra di Bari è incalcolabile, basti solo guardare le due produzioni, come la seconda che portava finalmente a compimento quella modernizzazione della produzione di saponi (diffusa in provincia ma ancora arretrata) che in molti auspicavano sin dal primo Ottocento, oltre ad avere la capacità di aumentare ulteriormente le rendite dei raccolti di olive. Ma su tutte, fu l'attività della fonderia e dell'officina meccanica a cambiare il volto dell'economia provinciale: per tutto il secolo, centinaia di operai al servizio di Lindemann allestirono in tutta la provincia opifici al solfuro, molini a vapore (questi in particolare diffusissimi tra Bari e Molfetta), gasometri, macchine agricole, infissi e tettoie in metallo per ferrovie ed edifici pubblici, caldaie e motori per la Marina militare11. Capiamo che fu una vera manna per tutta la provincia: molini a vapore vennero installati in molti comuni dediti

all'olivicoltura, migliorando ed aumentando ancora la produzione di olio fino commestibile, la cui importanza nella vita commerciale era ancora indiscussa ed a lungo lo resterà; ma sopratutto vi era adesso uno stabilimento capace di produrre tutto il necessario per la costruzione di ferrovie (che dopo l'Unità verranno appunto costruite in provincia a tambur battente), di navi a vapore, di gru in ferro per i porti, di macchine agricole per aumentare e meccanizzare la produzione, si dà aumentare la competitività e la velocità di commercializzazione dei prodotti sui mercati europei. Essendo poi la provincia prosperosa e dotata di una classe dirigente moderna e desiderosa di innovazioni, il Lindemann trovò un mercato interno molto vasto e proficuo, che altrove non poteva sperare di avere: non a caso infatti, la sua prima fabbrica l'aveva aperta in Salerno nel 1836, ma non aveva avuto fortuna proprio per la competizione di altre attività simili e la scarsa domanda interna, dato che il più grosso fornitore di commissioni era il solo governo napoletano. Non va poi sottostimato nemmeno un altro aspetto, ossia l'importante ruolo di “scuola tecnica” che essa ebbe per le citate centinaia di lavoratori che vi erano impiegati, cosa che contribuì a creare una manodopera altamente specializzata e che grazie alle sue capacità rese possibile a molti altri imprenditori autoctoni

11 Bianchi, L'impresa agro-industriale, op. cit., pp. 28 e 86; ASB, Camera di Commercio (d'ora innanzi C.d.C.), Industria e arti a

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l'apertura di moderni stabilimenti industriali, lavorando per loro o montando, per conto di

Lindemann, le macchine necessarie. Dopo il 1850 e fino alle soglie del primo conflitto mondiale, difatti, in Bari il numerò di industrie si triplicò, dando vita ad un polo industriale di un certo spessore, capace di assecondare in tutto e per tutto le esigenze connesse con gli sviluppi tecnici e commerciali (sopratutto) non solo del capoluogo, ma di tutta la regione.

Che le industrie Lindemann siano state protagoniste di primissimo piano negli ulteriori sviluppi industriali della provincia, lo si deduce anche solo consultando la consistente mole di documenti che le riguardano (direttamente o indirettamente), una mole non eguagliata da nessun altro stabilimento. Tramite i documenti del Tribunale civile di Bari, per esempio, siamo in grado di farci un'idea abbastanza precisa degli stabilimenti di Lindemann: al 1871, sappiamo che il mulino a vapore di Lindemann lavorava dalle 10 alle 12 ore al giorno, che ogni macina aveva una forza di 2,63 cavalli e producevano 109,40 kg di farina all'ora, il tutto grazie alla potenza fornita dal motore a vapore dell'opificio meccanico. Nel mulino in questione, si producevano grani sfarinati, teneri, umidi (la farina da commercio) e sfogliate, ossia con la crusca non triturata, che forniva una farina molto pregiata per via del suo candore. Anche se, sempre nel 1871, vennero sfarinati ben 80.611 kg di grano, già l'anno successivo Lindemann decise di chiuderlo, probabilmente a causa della

diffusione dei mulini a vapore che, grazie alla sua officina, andavano diffondendosi sempre più capillarmente nella provincia, preferendo destinare l'energia prima impiegata nel mulino ad un tornio e 2 trapani dell'officina. La macchina a vapore che serviva l'officina e il mulino era a

tipologia fissa, a media pressione (3 atmosfere), ad espansione, senza condensatore, con un cilindro verticale oscillante, munita di apparecchio refrigeratore e di una pompa di alimentazione. Era capace di sostenere il moto contemporaneo di 2 macine, i buratti, il cernitore, il ventilatore, il lavoratore di grano e una vite di Archimede nel mulino, un molino per macinare carbone e terra, un ventilatore per le diverse fornaci, una ruota per affilare i ferri, un tornio per ferri, 2 grandi torni inglesi e 2 trapani12.

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Dall'intestazione di una lettera datata 9 settembre 1901, possiamo vedere come le produzioni del Lindemann fossero variegate: fonderia in ghisa e bronzo, stabilimento oleario al solfuro di carbonio, deposito ferro, lamiere e tubi di ogni tipo, accessori per mulini e stabilimenti a vapore, pompe di ogni sistema, carbon fossile per forgia e macchine, coke, mattoni e terra refrattaria13. Possediamo una panoramica precisa di tutti gli stabilimenti Lindemann grazie al testamento redatto da lui stesso in favore dei figli14: 1) uno stabilimento era sito in via Calefati15 e consisteva in 3 grandi locali costruiti alla rustica coperti a tettoia, il mulino a vapore ed altri a forza animale, per un valore complessivo di 65.920 lire; 2) un secondo stabilimento si trovava al n° 231 di via Melo, e vi si trovavano caldaie, binari, botti, capitali di sapone, olio, soda ed ogni altro accessorio utile nella fabbricazione di olio al solfuro e saponi. L'oleificio/saponificio aveva un valore pari a 17.000 lire, mentre il valore dei materiali ferrosi presenti nei depositi (360 quintali) valevano 10.822 lire; 3) infine vi erano i depositi in Via De Rossi, n° 41, 43 e 45. Reputo interessante riportare per intero alla fine del capitolo, l'inventario di tutte le macchine, utensili e materiali delle officine e della saponeria, che con un colpo d'occhio sono davvero in grado di farci vedere perché il Lindemann sia stato così importante per la meccanizzazione e modernizzazione della produzione, oltre che padre dell'industria barese.

Questa attività varia, ovviamente faceva si che Lindemann si scontrasse spesso in cause civili contro suoi diretti concorrenti. Nel 1882, per esempio, la Guppy di Napoli cita il Lindemann con l'accusa di copiare il suo modello di gabbia a forata per l'estrazione dell'olio d'oliva16. E' lo stesso Lindemann che ci fornisce la descrizione del modello da lui prodotto e venduto a centinaia di molini a vapore in provincia, che, pur se il modello era simile a quello della Guppy, differiva in quanto il suo aveva la gabbia a bacchette e veniva prodotto dal 1841 (dal 1871 saranno in ferro), venendo venduto con successo nelle provincie di Salerno e Bari, ben prima che il Guppy ottenesse

13 ASB, C.d.C., I dep., b. 10, f. 1

14 ASB, Registro notaio Di Pascale, 40° protocollo, foglio 501

15 ASB, Catasto provvisorio Bari, G. Lindemann, articolo 5510, sezione F, n. 881 e Prospetto B di fabbricati, n. 875, pianterreno 2, strada di Bitritto

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la privativa. Inoltre il suo modello possedeva non pochi vantaggi ulteriori: 1) il massimo di

superficie per lo scolo dell'olio e di conseguenza un lavoro molto rapido;2) consistenza sufficiente alla pressione di almeno 300 atmosfere; 3) facile da montare e smontare per le periodiche pulizie durante la lavorazione dell'olio; 4) facilitazione nella costruzione per il fabbricante. Quattro anni dopo, invece, fu il Lindemanna intentare una causa contro De Blasio, anch'egli proprietario di uno stabilimento meccanico e dunque diretto concorrente. Anche stavolta l'oggetto del contendere è un modello di gabbia a forata, indice dell'importanza che ancora la produzione dell'olio aveva

nell'economia di Terra di Bari. Come successe nel primo caso, anche qui fu trovato che i due modelli (Lindemann e De Blasio) pur simili nel principio, fossero diversi. Non deve stupire che tali macchine fossero spesso oggetto di piccole migliore, dato che Lindemann produceva e montava macchinari per numerose aziende ed era dunque naturale che venissero apportare sottili differenze da ciascuna di esse: nel caso qui riportato, Lindemann aveva brevettato una macchina in ferro fuso, De Blasio una in ferro fuso malleabile, che è cosa differente e risultava anche più economica17.

Nonostante verso la fine del secolo le fortune dell'imprenditore iniziassero a risentire gli effetti negativi della crisi del 1880 (guerra tariffaria con la Francia), ancora nel 1895 l'olio al solfuro prodotto dagli stabilimenti Lindemann eccellevano quanto a standard qualitativi18.

Nascita e sviluppo del polo industriale barese

Come s'è ripetuto molte volte, con la Restaurazione i Borbone incentivarono il capitale estero e guardarono prevalentemente allo sviluppo industriale della Campania, che vide il sorgere del polo tessile della Valle del Liri e del salernitano, oltre alle successive industrie metallurgiche. Ma ciò condannò le molte attività artigianali e preindustriali delle province, che decaddero o si cristallizzarono nelle loro forme più arcaiche.

17 ASB, t.c.B. f. 28, n° 1650 18 Idem, f. 37, n° 2203

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Ciò nonostante, da metà Ottocento assistiamo in Terra di Bari ad una maggiore

concentrazione spaziale dell'industria ed a una maggiore diversificazione e qualificazione della produzione, nella quale ora comparivano prodotti non più di sola prima necessità19. Sopratutto a Bari, vediamo la nascita del primo nucleo del futuro polo industriale, con fabbriche operanti nel settore chimico, meccanico ed alimentare, in genere legate sia alle produzioni agricole locali, sia alle esigenze dei nuovi mercati urbani della provincia (Ravanas, Marstaller, Lindemann ecc.); tutte produzioni che condividono caratteri più tipicamente industriali rispetto alle precedenti manifatture, come il rapporto con mercati e capitali stranieri, una maggiore presenza di macchine ecc.

Anche le statistiche dell'epoca ci mostrano senza dubbio una provincia in via di industrializzazione: fabbriche alimentari, produzioni di mobili, di tele e tessuti, di cera, di olii per i saponifici di

Marsiglia e molte altre produzioni, sia di lusso (come le carrozze), sia più meccaniche20. Come abbiamo visto, lo stabilimento Lindemann produceva impianti completi per stabilimenti industriali, materiali per ferrovia e vari altri beni industriali, e svolse il ruolo di moltiplicatore nel processo di meccanizzazione delle altre industrie e sull'ammodernamento dei mezzi di lavoro per la produzione agricola; non è dunque un caso che partecipi alla nascita dell'Associazione dei Costruttori

Meccanici e Affini (promossa da Rossi) per esercitare pressioni politiche sulle scelte

dell'amministrazione e che di per sé attesta dell'avvenuta nascita di un moderno polo industriale. Altro perno della meccanizzazione e industrializzazione della provincia fu la ditta De Blasio, azienda metallurgica barese, che con 200 operai produceva motori, locomobili e turbine21. Entrambe furono le principali protagoniste della formazione di un promettente paesaggio tecnologico locale, che avrebbe potuto avere un grande futuro se fosse stato curato dal governo centrale. Citando in merito la Bianchi “era l'ambiente complessivo dell'industrializzazione locale in questa fase dello sviluppo a porre le premesse […] di una più completa integrazione della nuova economia: la tendenza alla formazione di “filiere” di produzione industriale […] dall'olio ai saponi, dal vino alla

19 Bianchi, L'impresa agro-industriale, op. cit., p. 70

20 F. Mandarini, Statistica della Provincia di Terra di Bari, Bari, 1855 e ASB, a.i.c., bb. 14,15, 79,82 21 Bianchi, op. cit., p. 86

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chimica, è in proposito indicativa”22.

Come si può intuire da quanto detto, la nascita di un polo industriale ebbe benefici effetti sulla città, come si può riscontare dalla diffusione di scuole operaie per meccanici, fonditori ed altri mestieri, per adeguarsi alla domanda fornita dalle industrie locali23. Cuore dello spazio industriale pugliese era Terra di Bari, dove un ruolo centrale era rivestito dall'industria alimentare, che

assorbiva la metà degli addetti totali, cui segue il comparto misto (meccanico, chimico, edile ecc.) e infine quelle tessile, in crisi dopo l'Unità a causa della concorrenza delle fabbriche settentrionali. Tuttavia bisognerà aspettare un primo accumulo di capitali, favorito dalla costituzione della già citata Società di navigazione Puglia nel 1870 e dalla diffusione di banche di matrice agraria e cooperativa, per vedere la definitiva affermazione di un polo industriale le cui fortune durarono sino agli anni della crisi del 192924. Sopratutto la diffusione degli istituti di credito è un dato

particolarmente indicativo, in quanto è testimone di una fame di capitali tipica di un territorio in pieno sviluppo economico; difatti, rispetto alla situazione preunitaria, che vedeva la sola filiale del Banco delle Due Sicilie, dal 1860 in poi vediamo la comparsa di istituti che sono spesso opera del diretto impegno degli imprenditori locali: Banca Agraria di Gravina, Banco di Napoli (ex Due Sicilie), Banca Nazionale (Bari), Banca Popolare Fornarari (Monopoli), Banca Pavone Fiorentini, Credito Fondiario, Banca Provinciale, Banca d'Italia, Banca Agricola Ipotecaria, Banca Bitontina, Banca Toritto, Banca operaia di Acquaviva25.

Quando parliamo di un polo industriale barese, non intendiamo certo dire che industrie vi fossero solo ed esclusivamente a Bari; ve n'erano di più e tra le più importanti, ma se ne trovavano anche in altri comuni. Ma come vedremo, è la differenza tra i due casi che ci induce a parlare di polo industriale barese. Verso la fine degli anni '70 dell'80026, produzioni e stabilimenti realmente industriali si concentrano solo in 4 comuni su tutta la provincia: esse sono attività industriali per lo

22 Bianchi, L'impresa agro-industriale, op. cit., p. 86

23 Statuto della Società di Patronato per la Scuola operaia di Complemento in Bari, Bari, 1855; in Bianchi, op. cit., p. 74

24 Petroni, Della storia di Bari (1860-1895), Forni Editore, Bari, 1912, pp. 252-283, e Spiritello, Le arti e le industrie in provincia

di Bari, Editore Losasso, Bari, 1899; in Bianchi, op. cit., p. 77

25 Si legga il Registro delle perizie del Tribunale Civile di Bari, presso l'Archivio di Stato di Bari 26 ASB, CdC, b. 269, Inchiesta industriale 1871-1903 e Notizie sulle industrie della provincia

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più elementari, ossia direttamente legate all'agricoltura, come l'alimentare e il tessile. Si riscontra una maggior presenza di industrie in Bari rispetto ad altri centri, dove, se si escludono le notevoli eccezioni di Lindemann e Di Blasio, prevalgono in generale produzioni volte al mercato locale e poco meccanizzate: a Bari abbiamo industrie alimentari, industrie chimiche (candele, cera, olio al solfuro, saponi, cremortartaro), industrie tessili (cotone e cordami), industrie grafiche e mobilifici; mentre a Barletta e, in minor misura, in Molfetta e Castellana vi sono industrie che al binomio pastifici-conservifici (quindi alimentari), affiancano produzione di elettricità da gas, officine meccaniche e fonderie, fabbriche chimiche, tessiture, distillerie, ma sempre confinate in mercati urbani o locali. Nel secondo caso sono industrie che, in molti casi, danno vita ad un ciclo integrato che dal prodotto agricolo arrivano sino ai prodotti industriali finali (un caso rappresentativo possono essere le distillerie di Barletta), ma che non promuovono quei caratteri positivi tipici

dell'industrializzazione delle grandi città, come Bari, come “la maggior scolarizzazione e la maggiore domanda di profili professionali qualificati espressa da produzioni “centrali””27. Ancora, leggendo i dati della Statistica del 1911, vediamo che la struttura produttiva di Terra di Bari era tutta concentrata nella sua parte centrale e costiera, pur con l'apparizione di produzioni non trascurabili anche nei comuni della fascia premurgiana, in genere vicine al luogo di produzione della materia prima da loro lavorata. Sopratutto quest'ultimo è un dato di non poco conto, perché attesta la diffusione in comuni minori del processo di lavorazione industriale, il che non fa che sottolineare la posizione di assoluta forza e peso della provincia all'interno di tutto l'ex Regno delle Due Sicilie, talmente forte da riuscire a superare senza troppo penare il rapido inserimento in un mercato nazionale più ampio e più competitivo.

Indubbio, tuttavia, è il fatto che nel 1911, sempre secondo la Statistica, vi sia ormai in Bari un polo industriale del tutto formato: su 171 imprese presenti, 40 sono dedite al settore dell'agro-alimentare, 30 sono nel settore meccanico-metallurgico, 17 in quello chimico e 5 nel tessile28.

27 per approfondire la tematica, Bianchi, L'impresa agro-industriale, op. cit., p. 79 28 ASB, C.d.C., b. 372, Relazione statistica 1911

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Facendo un rapido riassunto di quello che la lettura dei dati ci rivela, possiamo dedurre che al polo industriale barese, esplicitamente rivolto ai mercati europei (facendo due esempi, nella produzione di fiammiferi e saponi, il 30% del prodotto era esportato, mente nel caso dell'olio al solfuro la quota saliva sino al 70%!), si affiancava una piccola industria provinciale che faceva direttamente

riferimento alla domanda dei mercati locali, ma che era alla prima direttamente legata per quel che riguarda la fornitura della principali componenti meccaniche e/o chimiche necessarie alle loro produzioni. Infine, contrariamente al modello di sviluppo basato sul tessile e sull'industria decentrata nelle campagne (tipico tanto della politica borbonica, quanto del governo italiano), in Terra di Bari se ne sviluppò autonomamente uno diverso, fondato su altre basi, ovvero su industrie e produzioni volte a soddisfare bisogni di società urbane e commerciali. Per tale ragione, le stesse fabbriche e lavorazioni si concentrarono vicino o a luoghi di produzione (nel caso dell'industria provinciale, più rivolta al mercato interno) o ai luoghi di più rapida commercializzazione (nel caso di quella barese); in entrambi i casi, erano tutte situate nei pressi della realtà urbana più vicina. A sostegno di questa ipotesi viene in aiuto ancora una volta la Statistica del 1911, nella quale spicca evidente la quasi totale assenza di industrie tessili contro la preponderante presenza di industrie di ogni dimensione volte al soddisfacimento dei bisogni di realtà urbane significative come Bari o Barletta:

– 54 industrie chimiche (6 per olio al solfuro e 48 per la produzione di sapone); – 48 aziende poligrafiche;

– 36 fabbriche meccaniche;

– 22 aziende estrattive per materiali da costruzione; – 14 industrie per la produzione di energia elettrica; – 2 industrie tessili;

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molini e trappeti a vapore, 107 tra mulini e pastifici.

In particolare, la fine dell'Ottocento rappresenta per Bari la consacrazione a centro economico e politico di rango, la realizzazione di un progetto che la classe dirigente e commerciale cittadina aveva perseguito dagli anni '20: Bari era diventata un polo dove circolavano merci e capitali, il cui traffico era regolato da società bancarie dove sedevano i discendenti di quei mercanti d'olio del periodo borbonico che abbiamo visto nel capitolo III. Una città divenuta grande centro

amministrativo a livello non più provinciale, ma regionale, con un floridissimo commercio estero sostenuto dall'entrata in funzione a pieno regime del porto nuovo, che faceva convergere su di sé i traffici adriatici e mediterranei, e dalla nascita di un moderno tessuto industriale formatosi sin dal 1850 e poi continuamente evolutosi. Una ipotesi condivisa anche da Zingarelli, di cui riporto integralmente una frase dal suo libro Bari Moderna:

Particolarmente nel Barese, gli investimenti industriali potevano dirsi notevoli: Bari da sola contava circa 20 stabilimenti a vapore, ed anche le città della provincia vantavano un buon numero di mulini ed oleifici; per tacere di Molfetta, considerata la Manchester delle province meridionali.29

Al 1884, nell'attuale strada estramurale Capruzzi in Bari (resa area daziaria), risiedevano le industrie e le imprese di Milella e Co., Lindemann, Marstaller-Haussman e Co., Sassernò-Piccon-Mannier e Oss-Mazzurana e Co, una delle più interessanti, in quanto a fine secolo possedeva uno stabilimento per la produzione d'olio, uno per quella del vino, un altro ancora per le botti e vari depositi per botti di vino e di saponi30. Un decennio dopo, queste ed altre industrie frattanto comparse (anche se stanziatesi al di fuori dell'area daziara) configurano un polo produttivo direttamente collegato alle esigenze di sviluppo della città e della provincia31. E' a questa realtà produttiva che va il merito di aver costituito uno dei fattori fondamentali per il rapido sviluppo della

29 Quest'opera risulta reperibile solo nell'Archivio di Stato di Bari ed in fotocopia 30 ASB, Visure catastali, partita 7806, 7569, 2355

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città e della provincia, in quanto mettevano gli amministratori di fronte a scelte determinanti per il sostegno dello sviluppo, come il miglioramento e la manutenzione della viabilità e delle altre infrastrutture, la realizzazione della Camera di Commercio (1849) e la costituzione di una cinta daziaria nel 1870. Fu solo così che a margine del Borgo murattiano poté costituirsi un vero polo industriale con strutture che rispondevano pienamente dei nuovi dettami dell'edilizia industriale coeva, nella quale il principio gerarchico all'interno del processo produttivo era riflesso nella costruzione di un edificio ove veniva focalizzata l'attenzione, concentrandovi i simboli del potere e dal quale esercitare la sorveglianza: esempio calzante al proposito è l'officina meccanica e fonderia di De Giorgio, sita in via Napoli 1 (siamo nel 1877), che vede ancora oggi innalzarsi dalla parte centrale della struttura un piano superiore sovrastato da un'alta ciminiera. Le fabbriche baresi si basavano sulla forza di un unico motore a vapore che azionava tutto il parco macchine, e ciò naturalmente presupponeva dei collegamenti in verticale e orizzontale che portassero l'energia necessaria al moto in tutto l'edificio. Da ciò la necessità di costruire edifici a più piani, come nel caso della fabbrica di tessitura meccanica “Costantino”, sita in via Crispi e aperta sin dal 1865. Le fabbriche più interessanti rimangono però quelle estrattive, come la Lindemann e la

Oss-Mazzurana, che erano il risultato dell'assemblaggio di corpi diversi, dai grandi depositi di sansa alle grosse sale caldaie (atte all'estrazione dell'olio al solfuro), alle sale macchine per le lavorazioni. Agli inizi del 1900, oltre alle famose officine Lindemann, il polo industriale barese contava le seguenti industrie:

1) Societé nuovelles des uileries et savonneries meridionales, fondata dalla Sarlin di Marsiglia nel 1868. Occupava 150 operai ed impiegava 8 caldaie a vapore, che la rendevano capace di lavorare 40.000 quintali d'olio e 20.000 quintali di sapone e solfuro annuali;

2) Oss-Mazzurana e Angeli, fondata nel 1867. Era in grado di lavorare 221 tonnellate di sansa all'anno, grazie ai 200 opera impiegati. Lo stabilimento produceva olio al solfuro, sapone e silicato di soda e disponeva di 9 generatori che davano una forza di 100 cavalli;

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3) Stabilimento meccanico De Blasio, fondato nel 1880. Costruiva e riparava caldaie e macchine per piroscafi, argani a vapore, gru idrauliche e a vapore, locomobili, motrici di qualsiasi specie, pompe centrifughe, tettoie in ferro, torchi idraulici e a vite, turbine e ruote idrauliche, ventilatori, macchine per pastifici e presse con scarico automatico per l'estrazione dell'olio. In questo stabilimento vi era la più grande concentrazione di operai di tutta la provincia (ben 235 operai vi lavoravano) e disponeva di un parco macchine e mezzi secondo solo alle officine Lindemann, con un motore a vapore di 50 cavalli, un forno a riverbero, 3 forni a crogiuolo, 3 cubilotti, 4 maglie, 40 torni, 2 macchine abarenare, 2 pialle verticali, 10 pialle orizzontali, 15 trapani, 14 gru, 3 cesoie e punzonatrici, 2 laminatoi per piegare

lamiere, 2 frustatrici, una sega per metalli ed una ridaditrice idraulica;

4) Ditta Matteo de Cillis (1886), che disponeva di una macchina a vapore per la distillazione del tartaro per la produzione del cognac con apparecchi perfezionati dallo stesso de Cillis. Annualmente produceva 100.000 kg di grappa e 60.000 di cremortartaro

5) Cotonificio Costantino, sito in via Modugno 155, era un cotonificio meccanico con annessa tintoria. Aveva una caldaia da 50 cavalli ed impiegava 150 operai e 122 telai meccanici. La sua produzione consisteva in tele piane a con disegni vari, zephir, florida e tricot, che vendeva in Italia e all'estero;

6) Saponificio Borrelli (1893), sito in via Carbonara 75, produceva saponi comuni (duri e molli), per una produzione di 5.000 kg al giorno;

7) Stabilimento botti Lamacchia (1882), in via Dante 271. Produceva botti da trasposto per olio, vino e spirito;

8) Fabbrica di Botti Romito (1877).

Vale ancora la pena sottolineare come tutte siano posteriori all'apertura delle officine Lindemann e come siano tutte collegate alle produzioni tipiche del territorio, che abbiamo incontrato spesso

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nell'Ottocento preunitario (saponi, olio ecc.)32.

Con la fine del Regno delle Due Sicilie dunque, Terra di Bari si liberò definitivamente dell'ingombrante capitale, dalla quale aveva lentamente guadagnato una certa indipendenza. Venuta dunque meno l'ex capitale del Regno, in concomitanza con le politiche economiche di matrice liberista del governo della Destra Storica, numerose iniziative e progetti a lungo vagheggiati furono finalmente realizzati: nel 1887 fu terminato il nuovo porto di Bari, che disponeva ora di fondali più profondi per garantire l'attracco di navi di grandi dimensioni, con due moli che si estendevano per oltre 1.000 metri, a cui furono aggiunti negli anni successivi altre infrastrutture come la Dogana e la Capitaneria di porto, garantendo infrastrutture e servizi che non avevano eguali nell'Adriatico meridionale; nel 1870 nacque la Società di Navigazione a Vapore Puglia di cui s'è detto; tra il 1864 e il 1870 furono aperte le linee ferroviarie tra Foggia e Lecce (che collegava la Puglia alle regioni centrali e settentrionali) e tra Bari e Reggio Calabria. Quest'ultimo dato è importante, in quanto il collegamento con i mercati del centro-nord, ribaltando la logica dei collegamenti stradali

meridionali seguita da secoli, sino ad allora incentrati su Napoli. Viene così allentandosi del tutto il vincolo tra Napoli e le province meridionali, favorendo in tal modo un più massiccio inserimento della Puglia nel mercato nazionale ed europeo. Alla stessa maniera, la Bari-Reggio Calabria sancisce il definitivo passaggio della Basilicata e della Calabria nella sfera d'attrazione di Terra di Bari, nel quale erano già state inglobate in forma più o meno consistente durante l'800 borbonico: dagli anni '70 in poi, infatti, quantità sempre maggiori di grano, olio ed altre derrate verranno inviate dalla Calabria (sopratutto quella ionica) verso Bari e da lì esportate verso altri mercati. Verranno poi realizzate le così dette ferrovie economiche provinciali (anni 1880-1900), che vide il ramo nord-occidentale che collegava Bari e Barletta, passare per Bitonto, Terlizzi, Ruvo, Corato e Andria, e quello di sud-est da Bari verso Terra d'Otranto, passare con due tronchi paralleli per Noci,Alberobello e Locorotondo (I tronco) e Capurso, Rutigliano, Conversano, Castellana,

32 Tutte le informazioni citate sono reperibili nel lavoro di F. De Mattia – C. Verdoscia, Ricerca documentaria sugli insediamenti

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Putignano, con la deviazione nei pressi di Casamassima-Turi-Putignano (II tronco). Gli obbiettivi espliciti di queste iniziative si indirizzavano verso l'ulteriore crescita del ruolo politico e

commerciale di Bari rispetto al resto della provincia e delle altre province pugliesi e lucane; cosa che dovette riuscire se si pensa che la costruzione della ferrovia contribuì a ridimensionare il ruolo di altri porti, accentrando in Bari sempre maggiori quantità di merci provenienti da altre province33.

Ovviamente non fu tutto rose e fiori. Per quanto capace di trasformare il trauma dell'Unità in favorevole occasione di sviluppo, le imprenditorialità di Bari e provincia si trovarono, in quanto “meridionali”, ad operare in una realtà “sempre più fisicamente e politicamente periferizzata”34, che verrà sfavorevolmente investita dai favori accordati ai concorrenti settentrionali, in quanto la

vicinanza fisica ai nuovi centri del potere era essenziale per l'accaparramento delle commesse statali o per far sentire le proprie necessità al governo, come possiamo leggere bene dalle pagine

autobiografiche di Tommaso Columbo, il quale nel 1864 impiantò un'industria di nastri in cotone, ma che si scontrò in seguito con le difficoltà ora accennate35. Sino alle soglie della prima guerra mondiale, però, la provincia seppe trarre profitto dal nuovo corso in materia di politica economica portato avanti dalla Destra Storica, riuscendo a far valere tutto il suo peso economico.

Negli anni '70, per esempio, fu costituita tramite l'iniziativa dei più importanti commercianti d'olio, grano, conserve alimentari e tessuti di Bari, nonché di proprietari di moderne aziende

agricole (Columbo, Pantaleo, Accolti, Zonno, Petruzzelli, Alberotanza, Buonvino, Milella,

Marstaller ecc.) la già citata Società di Navigazione Puglia, un'iniziativa che univa il tipico assetto integrato e di filiera del commercio e dell'agro-industria provinciale, con la vocazione

internazionale che l'imprenditoria provinciale era andata assumendo nel corso del secolo. Furono commissionati i primi vapori in Inghilterra e furono aperte agenzie a Trieste, Nizza e Marsiglia, attirati dalle promesse del liberismo promosso dalla Destra Storica nei confronti dei traffici

mediterranei e dalle nuove prospettive che potevano aprirsi per lo sviluppo regionale. Nonostante il

33 Massafra, Produzione, commercio e infrastrutture nel decollo di Bari, in Storia di Bari, vol. IV L'Ottocento, a cura di Massafra -Salvemini, Laterza, Bari, 1995, pp. 145-146

34 Bianchi, L'impresa agro-industriale, op. cit., p. 33 35 Columbo, I miei ricordi, Bari, 1918, pp. 76-77

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buon successo dell'iniziativa, che venne coronata dalla concessione da parte dello Stato del servizio postale nell'Adriatico nel 1890, le successive politiche accentratrici della Grande Guerra (e del fascismo poi) ne segnarono il declino36. Indubbio è però che in quel lasso di tempo vi fu un'espansione quantitativa degli scambi commerciali, come attestano chiaramente le crescite registrate dei movimenti portuali in provincia, col porto di Bari in testa, il quale crebbe di rango grazie all'enorme aumento del numero di traffici37. A tal proposito, illuminanti sono le informazioni che si ricavano da alcune perizie commerciali degli anni '80-'90, che ci danno una panoramica non completa, ma orientativa: molte erano le case commerciali di imprenditori locali, come la Paganini che si occupava di commercio di frutta e conservanti derivati, la F.lli Milella, Fizzarotti e altre. Mi soffermerò però su alcune perizie in particolare, che trovo essere molto illuminanti e degne di attenzione. Nel 1894 vi è un litigio tra la ditta dei Milella e la Bought of Bolton Fane & C. di Londra circa un carico di lamiere38, litigio dal quale traiamo due conclusioni, cioè che molti baresi erano ormai in grado di commerciare su piazze europee non adriatiche autonomamente, senza risultare subordinate a case estere, e poi che quel carico di lamiere era certamente destinato ad essere venduto alle officine Lindemann, De Blasio o altri, mostrando un solido legame tra commercio e industrie, oltre al fatto che si importavano materie prime per poterne trarre prodotti industriali finiti. Circa il bisogno di materie prime necessarie a sostenere l'industria, abbiamo due perizie: una riguarda Marstaller, che risultò aver importato diverse casse di petrolio39, pur se non è chiaro quale fosse il loro scopo; l'altra è invece decisamente inequivocabile, in quanto vediamo la ditta Fizzarotti comprare dalla ditta dei F.lli Cosentino grandi quantità di carbone40, che aveva con ogni probabilità intenzione di vendere ai vari stabilimenti a vapore di Bari e provincia, oltre che per gli usi domestici.

Il primo colpo inferto dallo Stato italiano all'economia provinciale arrivò nel 1887, ossia con

36 Si veda T. Pedio, La fine della Società di Navigazione, in “Archivio Storico Pugliese”, Bari, 1973 37 Petroni, Della storia di Bari, op. cit., pp. 295-313; in Bianchi, op. cit., p. 34

38 ASB, t.c.B., f. 36, n° 2157 39 Idem, n° 2158

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l'aggravarsi della guerra tariffaria con la Francia, che vide molte aziende legate alla produzione vinicola (sia agricole, che di trasformazione) andare in crisi e fallire a causa della chiusura del mercato francese. La Puglia, e quindi Terra di Bari, da quel momento in poi, con la sconfitta della Destra Storica e in seguito con l'alleanza tra industriali del nord e grandi latifondisti del sud (portatori di interessi opposti a quelli avanzati dall'imprenditoria barese) nei successivi governi, partecipò del generale declino del Mezzogiorno, come evidentemente dimostra il fatto che a fine '800 due tra i più antichi nomi dell'industria barese, Nickmann e Lindemann, vendono le loro proprietà, talvolta in maniera definitiva come nel caso dello stabilimento Nickmann, che era stato fatto abbattere41. Fu sopratutto l'estromissione delle forze economiche della provincia barese quali interlocutrici del governo, a favore di quelle più reazionarie di Capitanata e Salento, dedite al latifondo estensivo, la più grave disgrazia, in quanto andò a tutto svantaggio di un'area

economicamente solida e possibile volano per lo sviluppo di altre aree del Mezzogiorno ad essa legate da lunga tradizione commerciale (come le stesse Capitanata e Terra d'Otranto, o la Basilicata) Cito per esteso un brano della Bianchi, che ben esplica quanto sinora affermato

Si avvia così, sia pure in definite parti del Mezzogiorno, una ripresa dell'infrastrutturazione territoriale e urbana che si atteggia però ora in termini di attività autonoma e meno integrata che in passato in chiave urbano-agro-industriale come anche in termini di potenziamento e creazione di gerarchie insediative e produttive chieste dall'emergente militarismo e imperialismo (si vedano per esempio Napoli o Taranto o anche il ruolo di avamposto del grande porto di Bari per la penetrazione nei Balcani): una ripresa che troverà eccezionale dispiegamento nel ventennio fascista e che finirà per rivelarsi preclusiva rispetto a ogni altra scelta d'investimento e anzi fattore di subordinazione e “specializzazione improduttiva” dell'economia meridionale nel contesto di quella nazionale.42

41 ASB, Comune di Bari, b. 520, f. 6

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Per riassumere in un'unica frase, il centralismo statale inaugurato dalla Sinistra Storica spezzò il circolo virtuoso che da oltre un secolo si era avviato in provincia grazie all'integrazione di produzione agricola, commercio e industrie di trasformazione. Nuove figure di imprenditori nasceranno, ma nulla apporteranno, sfruttando semmai la situazione di generale

deindustrializzazione cui la provincia (assieme al resto del Sud) andrà incontro, anche grazie alla politica di ri-ruralizzazione che dai primi del '900 venne perseguita dai governi nazionali, nefasto effetto di quel blocco latifondista-industriale del periodo giolittiano cui s'è accennato. Costoro, ormai non più capaci di raggiungere dimensioni e produzioni comparabili con quelle settentrionali, si sostituiranno al poco che era rimasto dell'impresa (industriale e non) meridionale formatasi nel corso dell'Ottocento. A conferma di ciò, basta consultare l'Inventario delle ditte cessate

dell'Associazione degli industriali della Provincia di Bari, che segna il fallimento di 42 ditte, tutte nate le fortunato periodo del governo della Destra Storica: alcune di esse furono direttamente travolte dalla guerra tariffaria con la Francia (ditte De Toma S.A. e Dellisanti di Trani, Casa Vincola Cardone di Locorotondo43), mentre le altre furono segnate da un lento declino, che nella maggioranza dei casi si concluse con la definitiva chiusura nel secondo dopoguerra. E' comunque d'obbligo sottolineare due fatti: la maggioranza delle ditte cessate non erano site in Bari e raramente occupavano più di 20 dipendenti, ma quest'ultimo dato può essere fuorviante, poiché il numero dei dipendenti registrato è relativo alla data di cessata attività. La crisi intaccò dapprima il tessuto industriale provinciale, più debole e legato ai mercati locali, che logorandosi nella lotta per la sopravvivenza, smise di alimentare il mercato interno dei prodotti industriali prodotti a Bari, cosa che rese più debole tutto il polo industriale barese, che andò infatti declinando col tempo.

La brutale amputazione del nesso urbano-agro-industriale, attuata da una classe dirigente estranea al Sud e

incapace di comprendere il peculiare nesso agro-urbano che caratterizzava campagne e

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città del Mezzogiorno […] che andava evolvendosi […] in un ancor più peculiare nesso urbano-agro-industriale”44,

fu dunque la causa che suonò la campana a morto per il sistema economico di Terra di Bari.

Conclusioni

Il processo di sviluppo economico avviatosi nel 1810, ma che traeva le sue basi dai decenni precedenti, diede dunque il la per una nuova gerarchizzazione territoriale della provincia e tra le province meridionali. Da tale processo emerse un rafforzamento del peso economico e politico di Terra di Bari (e all'interno di essa, di Bari) nel panorama dell'economia meridionale e adriatica. Durante tutto l'Ottocento, l'area che gravitava su Bari si era andata espandendo sino ad comprendere intere regioni (Puglia e Basilicata, in parte la Calabria), che nel capoluogo avevano un referente imprescindibile per lo sviluppo delle loro attività produttive e commerciali, oltre ad essere lo stesso dispensatore di servizi amministrativi, finanziari e culturali che non era possibile reperire altrove. Perno di tutto il sistema fu la stretta integrazione tra vie di comunicazione (terrestri e marittime) e produzione agricola moderna, che permise l'ascesa di un ceto mercantile forte e consapevole del proprio ruolo, al quale si deve la crescente dotazione di infrastrutture della provincia, la più importante delle quali fu il porto di Bari.

Con le realizzazioni dei primi decenni post-unitari, tra le quali spicca la costruzione di tutta una serie di strade rotabili che finalmente collegarono i comuni della regione murgiana tra loro e con le vicine province di Basilicata e Terra d'Otranto, il sistema economico di Terra di Bari è ormai un fatto compiuto, un “modello” di sviluppo che funzionava a pieno regime e si trovava già al suo apice. A fine secolo abbiamo un'area corrispondente a circa la metà del vecchio Regno delle Due Sicilie che aveva come referente Bari, invece che Napoli, grazie ad un sistema viario fatto di strade rotabili e ferrovie che collegano i centri di produzione e di commercio tra loro e con le vicine

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province in modo efficace e rapido; un ceto mercantile in grado di dominare nei traffici adriatici e con capacità di penetrazione dei propri prodotti nelle regioni mitteleuropee ed un vertice (Bari) capace di offrire servizi di natura finanziaria (grazie alle numerose banche di credito apertesi dall'Unità in poi) e commerciale che era possibile trovare in pochissimi porti adriatici, tutti al di fuori del Mezzogiorno; ed infine offriva un panorama industriale che non era secondo né a quello campano, né tanto meno ad altre realtà italiane, anche se qui fare dei paragoni è azzardato, in quanto i presupposti non erano gli stessi. Inoltre, tutto ciò era stato realizzato dalle sole forze locali, in quanto il governo borbonico concentrò i suoi sforzi di modernizzazione nelle aree limitrofe a Napoli, ignorando del tutto le realtà provinciali. Il fatto, poi, che il “modello” di sviluppo adottato non avesse alcuna rassomiglianza né con quello campano, né con nessun altro esempio italiano, è ancora una conferma dell'assoluta originalità dello stesso e del suo essere un progetto scientemente perseguito, la cui realizzazione fu dovuta alla capacità imprenditoriale di quanti lo avviarono e sostennero nel tempo.

La tesi sostenuta, ovvero di uno sviluppo economico ed industriale della provincia di Terra di Bari slegato ed anzi in competizione con Napoli, in grado (una volta liberatosi della presenza dell'ex capitale) di sostenere il passaggio ad un mercato più moderno e competitivo, può dunque dirsi confermata. Suona dunque amara la constatazione che, anche in un panorama tanto promettente rispetto alle più povere realtà di Basilicata e Calabria, il processo di periferizzazione delle provincie meridionali all'interno del Regno d'Italia si tradusse in breve nella rovina economica e nello smantellamento del panorama produttivo (tanto in campo agricolo, quanto industriale) che si era formato, a tutto vantaggio delle realtà settentrionali.

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1 macchina a vapore con rispettiva caldaia, 8 cavalli

1 mulino a vapore con 2 palmenti e tutto l'accessorio ad uso meccanico

1 tornio inglese grande

2 torni ad uso inglese piccoli

2 torni in legno con palombella in ferro

1 macchina grande per spianare il ferro

1 macchina piccola per spianare il ferro

3 macchine per bucare

1 ventilatore

fabbricati alla rustica in diverse località

16 morse di ferro, usate per i cimatori, di peso totale 436 kg

247 lime diverse

22 martelli a mano

410 scalpelli e utensili di vari in acciaio, 95 kg

Stampe diverse, pali di ferro, martelli, scalpelli e scrofole, 594 kg

8 madrevite con 34 maschi diversi, per la fabbricazione di viti e scrofole

10 righe di ferro e acciaio spianato

2 livelli ad acqua

2 chiavi inglesi

utensili di acciaio inglese, torni e spianatrici, 547 kg

INVENTARIO DI TUTTE LE MACCHINE, UTENSILI E

MATE-RIALI DELLO STABILIMENTO MECCANICO LINDEMANN DI

VIA CALEFATI

Stegli per i calderai delle caldaie a vapore con fucina mobile, macchina per piegare

lamiere doppie, 2 macchine per bucare i così detti “prosciutti”

Stegli degli ottonari, cassa per la terra, monza, martelli, saldatura di rame, tenaglio,

crogiuoli e modelli in legno

14 prestamaschi di ferro, 47 kg

3 manzette a mano, 1 batticante, 2 tenaglie per avvitare i tubi, 2 trapani per bucare, 3

mancine per campagna e diversi focini e coltelli per bucare

Diversi apini per tornieri, lunette, pezzati e contrappesi, guide, barrinatori, altri

uten-sili, 471 kg

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2 calchi, 4 compassi a punta ecc.

112 polacche di ferro fuso e 49 lanterne di ferro fuso, 6.368 kg

Lamiera vecchia usata, 138 kg

Drappe di ferro battuto, vite e scrofale e crocheto, 810 kg

Tubi di ferro fuso per le anime, 545 kg

Tubi di ferro malleabile, 380 kg

1 lametta in ferro per portare le forme alla stufa con portelle di lamiera

Modelli di ferro fuso, 3.920 kg

Modelli di zinco, 18 kg

Modelli di legno

109 staffe di ferro fuso, 7.172 kg

330 staffe di legno

5 boette

Ghisa nuova, 43 kg

Ferro fuso vecchio, 6.769 kg

12 cilindri vecchi di ferro fuso, 14.669 kg

Coke, 8.260 kg

Carbone di legno, 2.700 kg

Terra per la fonderia, grezza, 8.400 kg

Terra preparata con carbone

6 panche da lavorare uso tedesco

2 panche uso barese

1 panca con sega circolare

7 seghe grandi a due mani

13 seghe diverse

84 scalpelli da taglio

4 asce

12 martelli a mano

46 trapani di acciaio inglese

10 pianazzi grandi, 12 pianazzi piccoli e 14 pianazzi acrosfini

Fonderia di ferro. 2 grece con doppio ingranaggio in ferro a carretta munita di

cate-ne

Lamette di ferro e planche, 19 bocci di lamiera di ferro, bocchi corrispondente per

portare e gettare il ferro liquido, 1.000 kg

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22 squadri diversi in legno e 30 righe

Legname d'abete esistente

Legnami di noce

Legnami vari

2 gru in legno con catene di ferro

6 tagliatori, 10 cubbie e 8 scalpelli

3 campagli a punta, 4 a grossezza e 2 calibri

8 piggiatori, 4 pale

1 vasca di sfuso per l'acqua e carbon fossile, 122 kg

30 colonne di ferro battuto, 2.847 kg

Ferro tondo, quadrato e sciolto, 3.572 kg

Ferro veneziano nuovo, 784 kg

1 caldaia a vapore da 16 cavalli nuova

1 riscaldatore di lamiere con 12 piatti di ferro fuso, 485 kg

3 ruote coniche di sfusa per mulini, 414 kg

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Soda caustica, 3.548 kg Olio di cocco, 726 kg

Olio di olive, 10 kg

Olio di noccioli, 15.804 kg Olio di ricino, 30 kg

Saponi fini ad uso di Francia, 1.757 kg Sapone verde ordinario, 11.240 kg Sapone trasparente, 240 kg

Soda

51.248 piccole bottiglie di olio diverso 84 forme di ottoni per saponi

Carta di paglia, 245 kg 3.000 turaccioli 10 botti di legno 20 botti diverse 6 casse da spedizione 5 damigiane

Grande caldaia di lamiera in ferro, 1.000 kg 1 caldaia mezzana di sfuso

1 testa di rame

1 bilancia a bilico, 300 kg di portata 2 forme di latta

5 casse di legno foderate di lamina di ferro per gettare il sapone

2 stipi con lastre

Scaffale di legno per deporre i saponi Cassetta lettere

2 scatole di cartone

Essenze diverse per saponi Carta furia

1 antiporta allo studio in lastre 1 conca di rame, 4 kg

1 resto di sfuso, 17 kg 2 gallette di legno

1 bilancia a bracci uguali 1 testa a bracci uguali piccola Pesi diversi, 26 kg

INVENTARIO MATERIALE DELLA SAPONERIA

LINDE-MANN, VIA MELO 231

Olio di cochese, 342 kg Olii di Ceylon, 100 kg Olii di palma, 610 kg

Nasferceas, 200 kg

Stecchette diverse a stampa e colorate Sapone in retagli, 295 kg

Bancone grande, 2 tavole, 2 utensili per battere il sapone coi mazzoli

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