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Capitolo III. Il sistema economico di Terra di Bari

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Academic year: 2021

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Capitolo III. Il sistema economico di Terra di Bari

In questo capitolo vedremo l'emerge e il dispiegarsi del sistema economico barese, che può essere inteso come un vero e proprio polo di sviluppo, affermatosi in aperta concorrenza con quello che si andava sviluppando in Campania. La differenza che reputo fondamentale, e che giustifica il parlarne separatamente dal resto dell'economia del Regno delle Due Sicilie, sta nel fatto che esso fu il risultato del diretto impegno delle forze imprenditoriali e produttive della provincia nel pieno rispetto delle regole che il mercato internazionale andava imponendo alle economie europee (specializzazione produttiva, innovazione tecnologica, reinvestimenti di capitale nel ciclo produttivo ecc.), con un impegno minimo da parte del governo nella crescita e sviluppo del polo in questione, in quanto più propenso a sostenere industrie tessili e metalmeccaniche in Campania, in diretta rispondenza alle esigenze di Napoli e della politica dei Borbone.

Certamente però un'imprenditoria commerciale attiva come era quella provinciale e barese su tutte, seppe sfruttare al meglio i vari decreti e leggi emanati dai Borbone per sostenere l'economia del Regno, come invece altre nel resto del Mezzogiorno non seppero fare, cosa che garantì a Terra di Bari uno sviluppo continuo e che superò senza problemi il trauma dell'Unità.

Ma prima di arrivare a questo punto, vediamo ora come si è dipanato nel tempo lo sviluppo economico di questa provincia.

Le basi dello sviluppo: una visione generale

Abbiamo accennato alle due riconversioni, e relative crisi, che l'economia di Terra di Bari

attraversò tra Settecento e Decennio, e tra Decennio e Restaurazione. Se da un lato il blocco

continentale aveva sottratto il Regno al dominio inglese, conferendo nuovo impulso all'agricoltura e

alla introduzione di nuove manifatture, dall'altro aveva comportato un notevole cambiamento nelle

relazioni commerciali. Il calo della domanda del periodo bellico, la riapertura del mercato ai

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prodotti inglesi e gli effetti di un ferreo protezionismo degli stati europei gettarono il Regno in una crisi gravissima: la Puglia vide diminuire le esportazioni di olio, grano, agrumi e mandorle; ma al tempo stesso altre produzioni subirono un incremento, sopratutto il cotone, esportato in Francia, Svizzera e Germania (mercati non toccati dall'esportazione americana e che funsero da piede di porco per i mercanti baresi, che vi dirottarono gli altri prodotti prima destinati a Inghilterra e Spagna); seguivano poi lana, vino e acquavite che si esportavano in altri paesi. Si posero a coltura cerealicola estesi territori, si impiantarono nuovi vigneti ed oliveti, si estese la semina del cotone per incentivare la lavorazione dello stesso, si insediarono manifatture per l'estrazione dello zucchero. Con la fine del blocco e la riapertura dei commerci, diminuì la domanda dei prodotti prima richiesti (ora portati nel Regno dagli inglesi a miglior prezzo e qualità) e per la coltivazione dei quali si era operata una conversione delle colture. Il crollo dei prezzi dei prodotti agricoli non fu, poi, soltanto conseguenza della liquidazione del blocco continentale, ma risentì anche delle grandi quantità di prodotto disponibili ora sui mercati europei, sopratutto per la concorrenza che Egitto, Spagna e paesi del Levante facevano ai tipici prodotti pugliesi

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. Sopratutto nel campo dei cereali, i prezzi sul mercato internazionale non eguagliavano nemmeno i costi sopportati per la produzione in Puglia, e, come conseguenza,

le terre perdettero il 30% del loro valore; di eguale misura diminuì il profitto dell'agricoltura;

il denaro diventò più caro e i salari […] precipitarono.

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Parliamo di sistema economico di Terra di Bari e non di sistema economico pugliese per una semplice ragione: la Puglia non offriva dal punto di vista dello sviluppo economico un quadro omogeneo. La stessa, al tempo, si presentava divisa in 3 zone macroeconomiche, corrispondenti alle tre Intendenze. Sede di due tipi di agricolture, una evoluta e partecipe degli sviluppi d'oltralpe e

1 Davis, Società e imprenditori, op. cit., p. 52

2 Atti del III convegno di studi sul Risorgimento in Puglia, L'età della Restaurazione, Tipografica Meridionale, Cassano, 1983,

Mercato e congiuntura in Puglia dal 1815 al 1830, F. Assante, p. 189

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l'altra ancora arretrata e collegata alla pastorizia; e di una manifattura domestico-artigianale dispersa (sino agli anni '30). In Capitanata vi era complementarietà tra agricoltura e pastorizia, con il il 40%

del territorio adibito a pascolo; in Terra di Bari i due settori erano rivali e il 40% del territorio era adibito al seminativo nudo e arborato; infine in Terra d'Otranto ci si avvicinava alla prima o alla seconda, a seconda delle zone, col 46% di terre adibite a seminativi

3

.

Gli anni della Restaurazione furono “un periodo di avversità e di lotte inutili” in cui “le grandi vittime […] furono sopratutto i proprietari terrieri che avevano acquistato terreni”

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, che si trovarono imprigionati tra profitti in diminuzione e tributi in aumento. Tanto Capitana, quanto Terra d'Otranto soffrirono gravose condizioni, dovute anche alle scarse infrastrutture di comunicazione che le mantenevano in stato di isolamento (e siamo in pianura!), ciò dovuto al disinteresse governativo (che continuava a privilegiare i lavori prossimi alla capitale) e alla scarsità dei capitali disponibili, dovuto alla povertà delle popolazioni, a sua volta causata dal rastrellamento di risorse operato da case napoletane e straniere di cui s'è detto più volte. Terra di Bari era l'unica che vantava un'agricoltura più progredita e dotata di una migliore struttura viaria che metteva in collegamento i centri della costa con l'interno e questi tra loro, oltre a strade che raggiungevano i principali centri delle provincie limitrofe, anche lucane. Importante fu, per la Terra di Bari, che le sue maggiori produzioni (olivo,viticoltura e mandorleti) non fossero soggette ai provvedimenti congiunturali cui i governo fece ricorso per i cereali, produzione tipica, invece, delle altre provincie

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. Inoltre, lì dove prevalevano le colture arboree (come in Terra di Bari), l'occupazione era molto più elevata che non nelle zone ad impianto cerealicolo-pastorali (Capitanata e Terra d'Otranto).

Tra tutte le regioni del Regno, la Puglia era la più vulnerabile dal punto di vista dei cambiamenti di politica economica, in quanto perno della sua agricoltura e in quanto godeva di molti accessi al mare dove avviare la produzione agricola. All'epoca del blocco infatti, molti oliveti furono sacrificati alla coltura del cotone, dato il rilevante aumento dei prezzi (più del doppio) e la

3 F. Assante, Città e campagne nella Puglia del secolo XIX, Genève, Librairie Droz, 1974, p. 21 4 Atti del III ecc., Assante, op. cit., pp. 193-195

5 Vedi Davis, op. cit., pp. 66-108

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possibilità di rifornire le manifatture di Francia, Svizzera e Germania; tramite questa via sembrò che il vuoto lasciato dal commercio oleario dovesse essere colmato dai nuovi introiti provenienti dal cotone. Poi però, venuto meno il blocco, la concorrenza di Gran Bretagna, America, Egitto e Bengala comportò il crollo dei prezzi, che divennero talmente bassi che il cotone sparì dalla voce delle esportazioni

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. Alla contrazione della quantità prodotta, si accompagnò lo scadimento qualitativo, che ne rese difficile l'utilizzazione per le manifatture. Sarebbe servito un grosso sforzo per impiantare macchine e nuove manifatture per trasformare il prodotto in loco, oltre a migliorare la qualità stessa del cotone coltivato. Ma gli indirizzi governativi andavano da tutt'altra parte.

... a parte lo scadimento, le nuove tariffe del 1823-24, volte secondo il nuovo indirizzo di politica economica a favorire lo sviluppo dell'industria, chiaramente ubicata fuori dalla Puglia.

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Questo sottolinea ancora come lo sviluppo industriale successivo di Terra di Bari sia stato frutto della diretta iniziativa della borghesia commerciale locale, in opposizione ai progetti

“Napolicentrici” dei Borbone. La manifattura del cotone di Terra d'Otranto conobbe la definitiva crisi quando a Taranto fu aperta una succursale della ditta Zublin-Marstaller negli anni '40, che proprio in quegli anni aveva fondato a Bari una fabbrica di tessuti di cotone.

Il mercato granario fu quello che segnava le più forti oscillazioni, date le frequenti alterazioni tra libero commercio/divieto del commercio sanciti dal governo con lo scopo di tutelare le classi povere, garantendo che l'alimento base fosse sempre accessibile a prezzi bassi. Se nell'immediato ciò beneficiò i consumatori, nel lungo periodo fu un danno enorme per i produttori, poiché la produzione poteva crescere solo quando v'erano prezzi alti e diminuiva quando c'erano prezzi bassi. In tal caso però fu la Capitanata a subire le peggiori conseguenze, mentre la maggior

6 Millenet, Coup d'oeil sur l'industrie agricole et manifacturiere du royame de Naples, Naples, De l'Imperimerie et papeterie du Fibrene, 1832, pp. 17-18; da Atti del III ecc., Assante, op. cit., p. 201

7 Atti del III convegno ecc., Assante, op. cit., p. 202

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varietà di colture di Terra di Bari le consentì di resistere meglio. Per lei, invece, il blocco era stato dannoso per l'olio, con un crollo dei prezzi che non garantiva nemmeno la copertura delle spese. La chiusura delle esportazioni pugliesi aveva poi spinto moti paesi (come la Liguria) ad avviare la messa a coltura o il miglioramento di oliveti, col risultato che, alla riapertura dei mercati, alcuni tradizionali sbocchi risultarono perduti. Tuttavia i prezzi tornarono a buoni livelli, tanto che tra il 1826-31 nelle casse della provincia di Bari entrarono 4 milioni di proventi generati dall'esportazione di 200.000 salme d'olio. Sempre in questo periodo si formò una folla di intermediari che, ben lungi dall'essere i piccoli commercianti al dettaglio che in seguito si formarono, erano un'ulteriore piaga, in quanto aumentavano o abbassavano a piacimento i prezzi dei generi

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.

Negli anni dal 1820 al 1830, dunque, ripetuti erano stati i danni inflitti all'agricoltura, origine stessa della ricchezza e base del sistema economico, dalla politica governativa fondata unicamente su basi fiscali, che da un lato colpì l'attività agricola, gravata da pesi sulla proprietà fondiaria;

dall'altro annientò l'attività commerciale attraverso un sistema proibitivo estremo. Per tenere bassi i prezzi dei principali generi alimentari, si condusse una politica annonaria e doganale che soffocava ogni tentativo di ripresa. E questo per la volontà di dare al Regno una struttura industriale moderna (localizzata in Campania, che abbiamo visto come la Puglia fosse stata destinata a produttrice di derrate agricole). Non aiutò la visione con cui il governo affrontò la questione dell'ammodernamento della rete stradale, tutta incentrata sui trasporti da e per la capitale, senza alcun interesse per quella (economicamente più valida) tra luoghi di produzione e porti. Così la Puglia,

che pur contribuiva in misura notevole a tale gettito [la sovraimposta del 2% per

l'ammodernamento stradale], non ricevette un corrispettivo adeguato, e i produttori dovettero continuare a trasportare i loro prodotti avvalendosi della vecchia rete stradale.

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8 Atti del III convegno ecc., Assante, op. cit., p. 210

9 Ibidem , p. 211

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Come si vedrà, in seguito sarà la stessa provincia (spinta dai produttori) a provvedere da sé ad un sistema stradale moderno basato sulle necessità economiche della stessa.

Nel periodo della Restaurazione, comunque, erano gli stessi produttori ad essere restii ad affrontare i cambiamenti necessari per modernizzare e rendere più produttiva l'agricoltura, e ciò perché vi era in quel periodo un'estrema vulnerabilità del mercato, tanto che le nuove colture impiantate divenivano inutili quando se ne sperava di iniziare a ricavar guadagno (vedi l'esempio del cotone) e le riconversioni in agricoltura generalmente richiedono anni di lavoro e cospicui investimenti. Affrontare ammodernamenti in simili condizioni, era davvero un azzardo che pochissimi potevano affrontare; ed infatti nei 15 anni seguiti alla fine del regno di Murat, l'economia pugliese aveva fatto ben pochi progressi, mentre tante erano le difficoltà e i drammi umani nascosti dietro i numeri di questo periodo di riconversione

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. Ciò nonostante, ogni crisi prepara il terreno al successivo sviluppo e, difatti, in questo periodo vi furono pochi ma ben fondamentali sviluppi: 1) una prima e migliore distribuzione della proprietà (pur se l'alto costo del denaro indica una scarsa accumulazione di capitali e la loro concentrazione in poche mani); 2) una diversificazione delle colture, con l'introduzione di piante destinate a supportare le manifatture (robbia, quercia vallonea, sommaco e barbabietola); ed infine, il più importante per Terra di Bari, 3) l'introduzione del trappeto idraulico del Ravanas nel 1827. La stessa Assante conferma:

I progressi erano stati lenti ed isolati; ma non si è lontani dal vero se si afferma che il periodo preparò le basi del futuro risveglio.

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L'evoluzione dei mezzi di produzione agricola fu quindi il punto di partenza obbligato dello sviluppo del sistema economico di Terra di Bari. Non si poteva, pertanto, omettere di trattarlo.

Vedremo adesso di capire come da questo “punto X” si diramino successive trasformazioni negli altri settori economici e come ciò diede luogo ad una “manifattura diffusa”, futura base

10 Atti del III convegno ecc., Assante, op. cit., pp. 214-216

11 Ibidem, p. 216

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d'investimento per le industrie. Va compreso che questi cambiamenti furono possibili grazie alla mentalità della nuova classe borghese, che le riforme francesi avevano formato e le politiche borboniche confermato. Il processo di riforme avviato nel 1806 dai francesi, fece si che si creasse una nuova borghesia tramite la vendita delle terre ex-feudali e della Chiesa, che permise l'ingresso in agricoltura di agenti modernizzati e volti al profitto, dunque favorevoli all'introduzione di nuove colture e tecniche. Fu sopratutto questo che rese possibile l'opera della Società esplicata prima, opera che in altre provincie non fu altrettanto incisiva.

Specie nei paesi a ridosso dei centri marittimi, si affermò una media proprietà terriera che risentì del benefico influsso dei mercati internazionali, apportando vantaggi che si irradiarono in tutta la provincia grazie all'avvio di quel circolo virtuoso che chiamiamo sistema economico di Terra di Bari: sopratutto dagli anni '30, coincidente con la ripresa europea, iniziò a prender forma una sensibile diversificazione della produzione. L'incremento demografico fu una importante molla dell'avvio del processo economico. L'accresciuta pressione demografica allargò la disponibilità di manodopera e ciò accrebbe la domanda di generi di consumo e strumenti da lavoro; di conseguenza, fu sollecitata l'iniziativa economica volta a soddisfare la domanda interna sia di beni e, per conseguenza, di occupazione. Anche i progressi della marineria barese, va notato, furono dovuti alla crescita demografica ed alle crisi agricole degli anni '20 e '40

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, quando cioè molta manodopera fu espulsa dalle campagne e venne dirottata sulla costa

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, sopratutto a Bari, attratta dalle nuove possibilità di impiego che il commercio in espansione forniva. La costa, infatti, risultò essere il punto di maggior densità demografica della provincia, senza però che ciò significasse un depauperamento delle campagne, grazie alla sostenuta crescita demografica.

Le prime esperienze della borghesia provinciale si orientarono, però, non verso industrie ad alto concentramento di capitali, bensì si preferì “il decentramento produttivo di tipo artigianale, o al

12 Per approfondire il tema, si veda Atti del IV convegno di studi sul Risorgimento in Puglia, L'età ferdinandea (1830-39), Bracciodieta Editore, Bari, 1985, F. Assante, Mercato e congiuntura in Puglia dal 1815 al 1830, pp. 183-218 e L. Palumbo – G.

Rossiello, Salaridi contadini in Terra di Bari nell'età della Restaurazione, pp. 481-500

13 Si veda V. Petruzzella, L'avvio dell'industrializzazione in Terra di Bari, in Atti del IV convegno ecc., pp. 407-428 e la già citata

Assante

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limite un'industria dalle strutture e dimensioni ridotte”

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di tipo tradizionale. Le manifatture di canapa, lana e paglia, tipiche della zona, furono tutte impostate sul lavoro a domicilio, tant'è che sino al 1830 le migliori manifatture risultavano essere quelle degli Ospizi di Giovinazzo e di Putignano, i quali lavoravano tessuti molto fini con metodi e macchine moderne. Nel resto della provincia, invece, abbondavano i lavori di tipo domestico-artigianale: a Gravina e Montrone erano presenti manifatture di calze, che ne producevano abbastanza da esportare parte del prodotto; tele e coperte si lavoravano a Noci, Molfetta, Monopoli e Bisceglie. Pur se egualmente diffusa sul territorio al pari delle prime, le produzioni di canapa e paglia erano volte ai soli bisogni domestici, con le sole eccezioni di Molfetta e Altamura. Nel primo caso, la canapa era utilizzata per produrre corde e reti da pesca (vi lavoravano alcune centinaia di donne e ragazzi in botteghe artigianali, circa 10), mentre nel secondo la paglia si produceva per farne mangime animale. Sino al 1840, in buona sostanza, la trasformazione e lavorazione dei prodotti agricoli non era andata oltre la struttura semi- artigianale. Solo a Bari, già dal 1842, risultano una fabbrica tessile da 20 operai (Zublin-Marstaller), una di rosoli e confetture che fatturava 3000 ducati annui, un mulino a vapore, due tipografie con 30 e 16 operai

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; ma per dirla con Salvemini, esse erano “iniziative trainate e non trainanti”, ovvero si innestavano sull'economia provinciale esistente e non erano, invece, un motore che la modificava.

Più che un limite, questo processo creò solide basi per il successivo sviluppo, per due ragioni: 1) creò reddito addizionale in provincia al di fuori del lavoro agricolo, allargando dunque il mercato interno per i beni che dai porti della costa si vendevano in provincia; 2) un diffuso tessuto semi- artigianale poteva creare (non sempre, comunque, accade) le premesse per un futuro decollo delle industrie, quando le circostanze lo avrebbero reso favorevole. Fu una strategia scientemente perseguita dai gruppi dirigenti baresi e provinciali, come si legge in molti articoli degli Annali Civili del Regno delle Due Sicilie

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. Inoltre, quando in effetti le circostanze favorevoli vi furono, il processo si mise in moto, inaugurato nel 1842 con lo stabilimento della prima fabbrica tessile, la già

14 Petruzzella, op. cit., p. 410

15 ASBa, Agricoltura, Industria e Commercio (d'ora in poi a.i.c.), b. 8, fasc. 60 bis

16 Vol. XIX, Napoli, 1839, p. 13, da Petruzzella, op. cit., p. 410

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citata ditta di Zublin-Marstaller.

Fatto altrettanto importante, una produzione artigianale tanto estesa mise in moto un certo traffico commerciale, dato che i suoi manufatti (di qualità non certo pregiata) venivano venduti sia in altre regioni del Regno, sia sui mercati dell'opposta sponda adriatica, particolarmente in Dalmazia, garantendo così un'alta occupazione a livello tanto di lavorazione che di commercializzazione.

Un siffatto modello economico, dunque, fino agli anni '40 fu la soluzione alle particolari condizioni della provincia, date le ancora insufficienti qualità e quantità della produzione agricola (ancora in fase di trasformazione e quindi non in grado di sostenere le esigenze di una grande industria), la mancanza di adeguati sostegni e incentivi politici (Napoli, lo ripetiamo, prelevava molto, ma investiva prevalentemente in Campania), e sopratutto per la mancanza delle necessarie strutture di credito commerciale e finanziario. Detto con le parole della Petruzzella “modelli industriali più complessi non avrebbero potuto concretamente e ragionevolmente svilupparsi”

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. Proprio qui si vede l'intelligenza dell'imprenditoria barese, la quale invece di buttarsi in avventure industriali improbabili come quelle che registriamo in quegli anni in Campania

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, preferì differenziare i suoi investimenti tra migliorie in campo agricolo e investimenti nelle manifatture più diffuse della provincia, creando con i primi un iniziale accumulo di capitale da reinvestire in migliori produzioni, col secondo preparando una base di manodopera che si sarebbe utilizzata in futuro per lavorazioni ben più grandi e moderne. Di più, la moderna mentalità imprenditoriale barese risulta essere cosa assolutamente unica, se andiamo a vedere il tipo di investimenti effettuati in altre zone del Regno e in Sicilia

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.

Dobbiamo ricordare che, tra la fine del Settecento e la fine del Decennio, l'economia della provincia dovette affrontare in tempi ristretti due riconversioni: con le guerre napoleoniche e il

17 Atti del IV ecc., Petruzzella, op, cit., p. 414 18 Si vedano ancora Davis e De Matteo, op. cit.

19 Si vedano i saggi in Il Mezzogiorno preunitario, Edizioni Dedalo, 1988, in particolare V. Giura, Infrastrutture, manifatture, commercio, pp. 229-242; R. Battaglia, Qualità e trasformazione del ceto mercantile siciliano a metà dell'Ottocento, pp. 243-256;

M.R.A. Onorato, Rotte marittime e vie di comunicazione nel Principato Citeriore borbonico, pp. 271-290 e F. Volpe, Mercati e

fiere in Principato Citra nella prima metà dell'Ottocento, pp. 319-336

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blocco continentale, venne incentivata la produzione di grano e cotoni in regime di semi-autarchia, vista la perdita dei mercati esteri di esportazione del grano e dell'olio; con la fine del decennio, i mercati furono riaperti, ergo molte produzioni (tra cui quella del cotone) decaddero senza aver avuto il tempo di formare delle manifatture di un certo spessore, mentre al contempo i tradizionali mercati di esportazione risultarono persi, vista la sostituzione dell'olio da surrogati sia in campo industriale che per l'illuminazione. In entrambi i casi, le variazioni furono repentine e la riconversione fu difficile e dovette procedere “a vista”. Ma da ogni crisi nasce qualcosa di nuovo.

Nel caso particolare, la prima riconversione aveva lasciato in eredità nuove forme di organizzazione economica ed una borghesia imprenditoriale tecnicamente capace, invece la seconda stimolò la produzione di derrate di maggiori qualità (per l'olio, vedremo il Ravanas) con le quali ci si avviò alla conquista di mercati nuovi, come quello svizzero, tedesco e francese (nei quali, oltre alle derrate tradizionali quali olio, mandorle e grano, si aggiunsero acquavite, lino e canapa, produzioni eredi del periodo francese). Ciò detto, non sorprende che per buona parte dell'800, l'imprenditoria borghese della provincia appaia restia ad utilizzare capitali in operazioni a rischio o su tempi lunghi.

Invece investimenti più limitati e a basso rischio permisero concreti ed ampi margini di sicurezza in periodi di ricorrenti crisi economiche, garantendo un lento ma sicuro accumulo di capitali.

Industrie e manifatture che si fossero basate su modelli più complessi […] non avrebbero potuto ragionevolmente svilupparsi ed affermarsi, perché la carenza di una produzione agricola adeguata alle esigenze di un'industria tessile di dimensioni più ampie ne scoraggiava l'impianto.

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Il che è assolutamente vero, se solo si pensa alle tribolate vicende dei lanifici napoletani e delle varie altre imprese fallite nel corso delle ricorrenti crisi finanziarie (vedi quanto scritto da Davis e De Matteo), che da un giorno all'altro si erano volute creare per volontà governativa o dietro suo incentivo.

20 Atti del IV convegno ecc., Petruzzella, op. cit., p. 416

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Come abbiamo già detto e in parte visto, diverso fu l'approccio della classe dirigente di Terra di Bari, che prima incrementò e migliorò la produzione agricola, reinvestendovi parte del capitale generato, dotandosi così nel tempo di maggiori capitali che solo successivamente sarebbero stati investiti in attività commerciali e/o industriali. Solide basi dunque, che mancavano nel caso napoletano. Inoltre la borghesia barese e provinciale si mosse con l'esplicito intento di staccarsi dal dominio commerciale esercitato dalle case napoletane ed estere, che altro non facevano che sottrarre capitali alla regione (i casi dei porti di Barletta e Gallipoli sono esplicativi: pur essendo centri commerciali di grandi dimensioni, il commercio era tutto nelle mani di napoletani e forestieri, per cui la ricchezza generata prendeva il largo senza apportare benefici). Aiuti in tal senso, da Napoli, erano impensabili... e forse, anche non desiderati.

Fu raccogliendo panni di lana e tele fatte in casa, ed incanalando tali prodotti nei circuiti commerciali, che si formò un'attiva classe di piccoli commercianti, che insieme ai mercanti d'olio ed altre derrate pregiate, costituirono il nucleo della borghesia imprenditoriale barese.

I primi risultati arrivarono già verso il 1835, quando i capitali accumulati da questo nucleo di imprenditori vennero avviati verso nuove produzioni artigianali-industriali, aumentando così il ventaglio di produzioni, spesso connesse alle attività commerciali in pieno sviluppo: furono aperte miniere di nitro puro cristallizzato, cave di tufo, pietre e marmi per sostenere le prime manifatture di trasformazione; si estese la produzione di piccole fabbriche di utensili e laterizi, delle vetrerie (famosa quella di Trani, che nel 1840 occupava 100 operai) e delle botti in legno. Certo, non c'era ancora stato il salto qualitativo compiuto nello stesso periodo dagli imprenditori lombardi e toscani, ma occorre tenere a mente le difficoltà con cui gli imprenditori della provincia dovettero scontrarsi.

I risultati di questo procedere “a piccoli passi”, comunque, non mancarono: il crescente peso

economico e, quindi, politico di Terra di Bari fece si che si ottenne dal potere regio la risistemazione

del porti provinciali (come quello di Trani) e la costruzione di nuovi, tra tutti quello

importantissimo di Bari (pur se furono costruiti ex novo anche i bacini portuali di Molfetta e

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Barletta). L'accresciuto ruolo del commercio stimolò attività collaterali, attirando nuove forze di lavoro dalle campagne, sì che la marineria barese risultò l'unica del Regno ad alimentare un commercio attivo (tolte quelle delle due capitali Napoli e Palermo), che oltre ai porti dell'Adriatico si spingeva anche verso Levante (Alessandria e Istanbul). Ciò nonostante, essa rimase caratterizzata dal piccolo tonnellaggio, sempre per la mancanza di adeguate strutture creditizie nel capoluogo. Le limitate dimensioni del naviglio fecero si che non si sviluppassero cantieri navali, ma solo attività a livello semi-industriale, come le fucine e le officine che a Barletta, ma sopratutto a Molfetta

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,costruivano ferramenti e attrezzi per barche.

Oltre ai già noti prodotto agricoli, dai porti provinciali partivano (anche su navi estere) botti di cremor tartaro e di acquavite, casse di saponi, sacchi di farina e legumi, reti da pesca, telerie, cordami e cuoiami. Tutti prodotti inviati in Albania e Dalmazia, zone povere che potevano accettare un tal genere di manufatti di bassa qualità o, comunque, che non incontravano i raffinati gusti europei; ma ciò nonostante, indicano uno sforzo produttivo maggiore che per il solo mercato interno ed un investimento di capitali (sopratutto per il cremor tartaro e l'acquavite) volto quantomeno all'incremento della produzione, se non della qualità, “segno di una società che […] stava gradatamente uscendo dal ristretto ambito dell'autoconsumo per inserirsi in un'economia di mercato”

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. Naturalmente tali segnali erano più evidenti per quei prodotti esportati nei mercati austriaci e francesi, ma è significativo che tali processi si stessero avviando anche nel settore di merci povere. Era evidente quindi che gli imprenditori possedevano la capacità produttiva necessaria per adeguarsi alle richieste del mercato, il che voleva dire che si era formato (o andava formandosi) “una evoluzione ed un adeguamento in senso produttivo e distributivo delle strutture economiche”

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. Va poi tenuto presente che i porti non erano solo centro di esportazione, ma anche di importazione, sia di derrate agricole non prodotte localmente (riso, grano, fagioli e spezie), sia di materiali da trasformare (legnami duri per la costruzione di velieri, ferro per le fonderie, lana, seta e

21 Archivio comunale di Molfetta (d'ora in poi ACM), Cat. XI, relazioni, da Petruzzella, op. cit., p. 420 22 Atti del IV convegno ecc., Petruzzella op. cit., p. 421

23 Ivi

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petrolio per usi industriali, marmi pregiati), evidente segno di un mercato interno attivo e di produzioni che necessitavano anche di merci estere da lavorare o trasformare.

Era dunque un terreno pronto per essere fecondato da iniziative innovative, le quali arrivarono per mano di imprenditori stranieri, stabilitisi nella regione per le opportunità che offriva, e che col loro esempio introdussero metodi produttivi e colturali più efficaci che la borghesia locale s'affrettò a copiare e a far suoi. Basti citare Ravans per l'introduzione del trappeto idraulico per la migliore spremitura delle olive, Suè e Avigdor che introdussero innovazioni produttive per accelerare il processo di lavorazione, Zublin-Marstaller che introdussero la navetta volante su telai industriali, il francese Henry che introdusse la prima trebbiatrice a vapore e l'elenco potrebbe continuare. Invece che avviare processi di subordinazione coloniale, come avvenne per le industrie svizzero-salernitane, qui gli imprenditori stranieri trovarono una borghesia mercantile che disponeva di capitali (non enormi, ma li aveva) e che, sopratutto, gestiva direttamente un attivo traffico commerciale ed era insediata in tutti i livelli amministrativi. Mercanti e commercianti fecero in modo di essere presenti nel ciclo che andava dalla produzione al consumo per ricavare il massimo guadagno possibile, venendo così ad impiantare una struttura economica che, seppur debole e localizzata in poche zone ai suoi esordi (un diretto impegno nel solo stabilimento di produzione industriale richiedeva un immobilizzo di capitali per cui non c'era stata ancora un'accumulazione sufficiente), lentamente andò affermandosi dagli anni '40, come mostrano chiaramente le relazioni economiche sulla provincia, che vede un indubbio risveglio produttivo tra gli anni 1830-50.

Non fu certo una evoluzione rapida, ma fu solida e costante, garantendo alla provincia un

trend positivo anche in anni di crisi per il Regno. Le scelte operate dalla borghesia provinciale,

dunque (accrescimento delle basi produttive agricole, diffusione delle piccole manifatture, primo

accumulo di capitali da reinvestire e indipendenza dagli interventi governativi), pagarono sul lungo

periodo.

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L'agricoltura come industria: lo sviluppo agricolo visto tramite le relazioni della Società Economica di Terra di Bari

L'errore più comune che si possa fare è impiantare fabbriche ed industrie slegate dal contesto in cui si trovano ad operare. Un paese come le Due Sicilie era una nazione chiaramente agricola da tempi remoti e non si poteva pretendere di far prosperare di punto in bianco delle industrie di grosse dimensioni, soprattutto lì dove mancavano i capitali necessari e un adeguato mercato interno che ne sostenesse la crescita. Eppure, questo fu proprio l'errore che fecero tanto i Napoleonidi, tanto i Borbone, ognuno per ragioni sue di politica economica. Indubbiamente entrambi avviarono azioni decisive alla modifica delle vecchie strutture produttive feudali e settecentesche, i francesi sopra tutti, ma l'agricoltura, che avrebbe dovuto essere considerata la base di qualsiasi progetto di rilancio e modernizzazione dell'economia, non fu trattata come avrebbe dovuto essere, anche perché le radicali riforme dei francesi furono attuate in misura troppo morbida in molte province. Sopratutto i Borbone ignorarono clamorosamente la questione, volti com'erano a progettare improbabili disegni di modernizzazione ed industrializzazione

24

.

La questione invece non sfuggì alle Società Economiche, tra cui quella di Terra di Bari, che si troverà ad operare in favorevolissime condizioni, le quali molto aiuteranno la diffusione di idee e concetti che, in buona sostanza, puntavano a sostenere il principio “l'agricoltura come manifattura”.

L'agricoltura, dunque, andava vista con la stessa importanza e doveva seguire la stessa logica di un'impresa manifatturiera

25

. Una tal visione è stata attivamente promossa dai membri della società e vedremo come essa si diffuse in provincia con esempi concreti.

Gli anni 1810-20 e 1835-48 dovettero essere i periodi di più incisiva trasformazione, come si può notare dal maggior numero di relazioni scritte in quei periodi. Ai nostri fini è però molto più stimolante il secondo periodo, nel quale si denota un progressivo spostarsi dai temi legati

24 Al proposito, si vedano Davis, Società e imprenditori nel Regno borbonico, 1815-1860, Bari, 1979, Laterza; De Matteo, Governo, credito ed industria laniera, Istituto Italiano per gli studi filosofici, 1984

25 Un concetto già fatto proprio dai proprietari terrieri toscani e dai quali certamente lo mutuarono i membri della Società, che come vedremo aveva un serie di rapporti col Granducato. Per approfondire il concetto, si veda G. Biagioli,“Agricoltura come

manifattura”:Le condizioni per lo sviluppo agricolo in Biagioli-Pazzagli, Agricoltura come manifattura, Olschki, Firenze, 2004,

pp. 63-80,

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all'agricoltura a temi quali il commercio e l'industria, che notiamo sopratutto nelle relazioni del secondo periodo, il che può essere indice di come la politica delle “solide basi” attuata dall'imprenditoria barese (ovvero uno sviluppo economico che partisse da un'agricoltura moderna) sia stata premiata dal successo.

Sin dalla sua fondazione, la Società (forte di nomi illustri, uno su tutti Luca Samuele Cagnazzi

26

, per gli altri si veda appendice IV) mostrò di avere ben chiaro quali erano i problemi connessi allo sviluppo agricolo della provincia e si attivò di conseguenza: determinò quali tipi di albero si prestassero meglio al rimboschimento e al contempo producessero un utile (il castagno, come abbiamo visto, era ritenuto il più idoneo), curava i rapporti coi sindaci con lo scopo di far largamente penetrare i nuovi metodi di produzione sia tra i proprietari terrieri che tra le masse contadine e assegna numerosi premi di incoraggiamento agli agricoltori che mettevano in pratica le nuove tecniche e colture

27

. E' del 1812 l'estensione delle sue prerogative anche alle manifatture e alle arti e nemmeno il cambio di regime (dai Napoleonidi ai Borbone) ne spense l'intesa attività.

Sino al 1820 la Società curò il perfezionamento della coltura della patata, l'introduzione di quelle del ricino e del guado (per ricavare l'indaco utile alle manifatture tessili che si volevano veder sorgere, primi sintomi di quella consapevolezza che porterà al comparto agro-industriale), studiò i rimedi per le malattie della vite e dei bachi da seta e sulla varietà di piante arboree che si adattavano meglio al clima del posto, lotta ai parassiti delle piante e miglioramento delle razze ovine. Già da questo periodo la mancanza di un orto sperimentale verrà sentita come una grande mancanza.

Inoltre dispensò largamente consigli tecnici agli agricoltori.

Dopo i moti costituzionali del '21, però, buona parte dei suoi animatori, che furono partecipi

26 Luca de Samuele Cagnazzi (1764 –1852) è stato un politico, economista e presbitero. Insegnò matematica e fisica nell'antica Università di Altamura sotto il rettorato di mons. De Gemmis. Si trasferì nel 1799 dapprima a Firenze nella cui università insegnò e poi a Napoli dove divenne professore di statistica e di economia e membro della Real Società d'Incoraggiamento. Fece parte del governo di Murat come capo dell'Ufficio di statistica e commercio, e vi restò fino al 1821. Scrisse su Il progresso delle scienze, delle lettere e delle arti, di cui fu per breve tempo direttore. Nel 1848, ad 84 anni, fu eletto deputato; partecipò alle proteste liberali e per questo finì sotto processo a Napoli; morì nel 1852 ad 88 anni durante una seduta del processo. (da Wikipedia).

Maggiori informazioni in Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 16 (1973): http://www.treccani.it/enciclopedia/cagnazzi- de-samuele-luca_%28Dizionario-Biografico%29/

27 Archivio di Stato di Bari (d'ora in poi ASBa), Atti della Società economica, fascio 151

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della rivolta costituzionale, vennero esiliati o allontanati dalla vita politica e culturale del Regno.

Solo dal '43 in poi le attività torneranno ad essere fiorenti e fruttuose.

Per un'agricoltura moderna, non di sole innovazioni tecniche si abbisognava. Proprio per questo, in una relazione della Società Economica di Bari datata 1 ottobre 1823

28

, il socio Mizzi sottolineava la necessità per il Regno di dotarsi di migliori strutture creditizie, e particolarmente in campo agricolo, vero generatore di ricchezze, reali o potenziali, del paese. Sottolineata l'importanza dei commerci per la circolazione delle merci prodotte, viene chiarito che l'agricoltura ha bisogno di un aumento dei capitali, cosa che può essere assicurata da una Cassa Rurale, che assolverà diverse funzioni: 1) pagare le obbligazioni; 2) assicurare i debiti ipotecari; 3) assicurare i crediti derivanti dai capitali prestati; 4) assicurare il prezzo di vendita degli immobili; 5) prestare il denaro in cassa.

Questo è il punto più importante in un'economia dotata di scarsi capitali com'era quella del Regno delle Due Sicilie. E' facile notare come fossero tutti interventi miranti a dare sicurezza e stabilità nel settore finanziario, all'epoca appannaggio di strozzini e usurai che mettevano alla fame contadini, braccianti e piccoli imprenditori sopratutto. Ma anche garantire la disponibilità dei capitali necessari ad attuare quelle innovazioni in campo agricolo che la Società cercò sempre di attuare in Terra di Bari era un punto importante.

La Società si sforzò sempre di diffondere le nuove scoperte applicabili al lavoro agricolo, per aumentare il pregio e la qualità dei prodotti, nonché la loro abbondanza, in vista dei proventi commerciali che potevano far introitare alla provincia. Basti vedere i saggi dedicati a tale scopo, come la memoria tecnica di Turi circa l'utilità dei paragrandini

29

; la relazione del barone Giovene circa l'utilità di piantare alberi, sopratutto nei distretti di Barletta, per due ragioni, cioè risolvere la cronica mancanza di combustibile e aumentare la salubrità dell'aria; porre a freno il disboscamento selvaggio e studiare i territori per conoscere quale genere di alberi meglio si adattino alla natura del

28 Relazione n. 1, Memoria sulla Cassa Rurale delle Due Sicilie, ossia dei mezzi più affacenti alla proprietà privata della privata e pubblica economia, Mizzi, 1823, in Le relazioni alla Società economica di Terra di Bari, Vol. II, a cura di Fantasia, Mezzina, Molfetta, 1983, pp. 21-40

29 Relazione n. 3, Commento sulla teoria dei paragrandini del socio Michele Turi, 1825, in Le relazioni alla Società economica di

Terra di Bari, op. cit., pp. 53-69

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suolo (murgiano sopratutto)

30

. Sul tema torna anche la relazione 15 di de Jatta, il quale effettuò vari esperimenti sulla coltivazione e gli usi economici del castagno, che rendeva legname per la combustione e frutti. Se questi saggi sono “accessori” in campo agricolo, ossia trattano di interventi ausiliari al progresso agricolo, ve ne sono molti altri che guardano più direttamente all'agricoltura dal punto di vista produttivo, che sono molto interessanti e rendono palese l'interesse mostrato dalla borghesia uscita fuori dal decennio francese ad incrementare le sue ricchezze tramite gli investimenti produttivi sui suoli da poco acquisiti a danno di nobiltà e, sopratutto, Chiesa. Non solo l'agricoltura, ma anche l'allevamento, per la prima volta visto non come antagonista, ma come alleato dello sviluppo agricolo, diviene oggetto di riflessione. Tale è la visione che emerge dalla relazione 6 di Schiavelli, il quale affermava che l'allevamento poteva e doveva essere migliorato in provincia, ma non lo si poteva estendere se non a danno delle piantagioni viticole e cerealicole, che godevano la preferenza (causa aumento della popolazione), probabilmente perché si continuava a ritenere l’allevamento alternativo alla coltivazione dei terreni, non prevedendo la stabulazione del bestiame e i foraggi in rotazione. Tuttavia l'allevamento offriva prodotti essenziali come latte, agnelli, cuoi, lane e concimi, e questi ultimi 3 in particolare erano in diretta relazione con le manifatture conciarie diffuse in provincia, con le manifatture di lana di cui si lamenta l'assenza e con la fertilizzazione dei suoli. Per questo molta importanza viene posta sulla vaccinazione del bestiame e si fece richiesta affinché nel Real Liceo delle Puglie di Bari venisse aperta una cattedra di veterinaria, sì da formare veterinari esperti. A distanza di qualche anno, infatti, leggiamo nei verbali della Società (anni '40-'50) di molteplici campagne di vaccinazione, segno evidente di una certa diffusione di questo prezioso patrimonio di conoscenze.

Il nesso tra agricoltura e industria fu importante per lo sviluppo del sistema economico barese e fu improntato sopratutto sulle industrie di trasformazione. Tale coscienza emerse già dal 1825, quando Siracusa, socio, scrisse una relazione

31

circa la possibilità di installare una

30 Relazione n. 5, Relazione sui su i vantaggi di una piantagione di alberi nel Tavoliere di Puglia, Giovene, in Le relazioni alla società economica, op. cit., pp. 73-81

31 Relazione 7, Memoria sul cotone e su una manifattura di cotone del socio Vito Siracusa, 1825, in ibidem, pp. 90-101

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promettente industria di lavorazione del cotone in Acquaviva, dato che il territorio disponeva di acque abbondanti, necessarie al funzionamento delle nuove macchine inglesi e francesi che si volevano usare, la presenza di molta materia prima (essendo il cotone ben presente in provincia, in quanto introdotto dai francesi ai tempi del blocco continentale) e la presenza di molta manodopera, che poteva essere in parte reperita presso l'Ospizio di Giovinazzo, che avviava i suoi ospiti al lavoro tessile.

... che s'installino tra noi delle fabbriche grandiose, onde manifatturare i prodotti grezzi

dell'agricoltura ed imprimere ai medesimi quel grado di perfezione, che ricevono dalle mani dell'estero.

32

Se pure concretamente la Società economica fece poco, sono innegabili i benefici sul lungo periodo della diffusione di questo tipo di mentalità nella provincia, che fu l'unica tra le provincie meridionali ad avere un commercio attivo ed uno sviluppo industriale e manifatturiero scevro da interferenze di natura governativa, che tanto condizionarono (e sostennero) analoghe imprese in Campania. Anche la relazione 32 (autore sconosciuto) si sofferma su questo tipo di coltivazione industriale, il cotone, elargendo consigli pratici sulla coltivazione e cura dello stesso, a testimonianza dell'interesse verso un tipo di manifattura (la lavorazione del cotone) che era diffusa da tempo a Taranto, Corato e Gallipoli, ma che non riuscirà mai a dar vita alle industrie di trasformazione che si sperava, anche a causa della concorrenza dei cotoni americani e di altri paesi che rendeva il profitto quasi nullo.

Circa le migliorie da apportare in agricoltura, vi sono vari saggi, dal quale vediamo bene lo sforzo teso sempre più all'incremento della produttività e della qualità dell'agricoltura della provincia, col passar del tempo sempre più integrata in mercati extraregnicoli e bisognosa, dunque, di prodotti di qualità che incontrassero i gusti europei, oltre che di quantità tali da soddisfare tanto la domanda interna, quanto la domande esterna (entrambe in crescita). Vediamo la relazione 19 di Ricchetti

33

32 ivi

33 Relazione 19, Memoria sugli agrumi acclimatati nella Provincia di Bari del socio Francesco Ricchetti, in Le relazioni alla

società economica op. cit., pp. 172-178

(19)

circa i metodi per acclimatare e coltivare gli agrumi in Provincia con profitto; la successiva di Doleo

34

, che tratta dei metodi errati di rotazione delle colture, spiegando nuovi e più profittevoli metodi: abolizione del maggese, introduzione dei prati artificiali, utili per l'allevamento e quindi per l'economia agricola (ancora una volta, vediamo l'integrazione tra i due rami, come nel precedente caso inglese o in altri sistemi agrari italiani, ad esempio la piccola coltura a mezzadria). Di pastorizia si tratta nella relazione 23 del Mizzi

35

circa il miglioramento delle razze ovine, da attuare tramite la scelta degli arieti da riproduzione (ariete di Spagna o montone di Tunisi), la costruzione di ovili riparati dalle intemperie, l'uso di fieno o patate per il buon nutrimento dei capi ecc.

Ma come si diceva inizialmente, è stato il secondo periodo quello maggiormente interessante, in quanto iniziano a venire presi in considerazioni anche temi più strettamente legati al commercio, come per esempio il miglioramento del vino locale, di pessima qualità e quindi invendibile all'estero, al quale furono dedicate varie relazioni ed iniziative, poi col tempo sfociate in attività produttive vere e proprie, che apportano significativi miglioramenti. Ma vediamo le relazioni. Per eguagliare la qualità dei vini d'oltralpe, la relazione 25 di Santoliquido

36

passa in rassegna tutte le varie fasi di lavorazione, suggerendo metodi migliori e più efficaci per ottenere vini eccellenti e, quindi, esportabili assieme all'olio, motore dell'economia provinciale. Sullo stesso argomento verte la relazione 29

37

, dello stesso autore.

Il modello di integrazione tra agricoltura e allevamento mutuato dalla Toscana, viene più volte messo in pratica dai vari soci e fu attivamente promosso, trovando (nel lungo periodo) una larga applicazione. Si legga la relazione 39 di Mancini

38

, il quale sperimentò sui suoi terreni un nuovo tipo di avvicendamento, con l'uso di prati artificiali per l'allevamento in stalla, che è molto produttivo, e l'introduzione di colture quali l'erba medica, le rape, la segala, il miscuglio di orzo,

34 Relazione 20, Memoria sulla ruota seminale dell'avvicendamento seminale del socio Giuseppe Doleo, in Relazioni alla Società Economica, op. cit. , pp. 179-183

35 Relazione 23, Memoria sulla migliorazione delle pecore gentili e mosce del segretario Domenico Mizzi, in ibidem, pp. 189-201 36 Relazione 25, Memoria sulla fabbricazione dei vini comuni del socio Francesco Santoliquido, 1830, in ibidem, pp. 202-217 37 Relazione 29, Memoria come migliorare la qualità dei nostri vini comuni del socio Francesco Santoliquido, 1831, in ibidem , pp.

228-238

38 Relazione 39, Memoria su di un avvicendamento per aumentare gli annui prodotti della terra del socio Beniamino Mancini,

1834, in ibidem, pp. 281-296

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piselli e fave, l'anice e la barbabietola, oltre al cotone e al grano: un tipo di rotazione che rompeva con la coltivazione estensiva, concentrandosi su quella intensiva volta a più settori. Non solo nuove tecniche e mezzi da adoperare, anche la preservazione della produzione era fondamentale. Per tale ragione molto la Società si interessò all'eliminazione di specie di insetti dannosi, elargendo premi a coloro i quali avessero sperimentato efficaci soluzioni. Leggiamo la relazione 35 di de' Jatta

39

circa i mezzi per estirpare quelle specie dannose per l'agricoltura.

Il merito maggiore della Società è, si diceva, l'aver diffuso tra i proprietari terrieri (anche piccoli) il concetto di agricoltura come impresa, cambiando dunque il tipo di mentalità: non più fattore di sola rendita, ma impresa che necessita di investimenti per progredire e fruttare profitti maggiori. Chiaro esempio di questa nuova mentalità è la relazione 40 di De Palma

40

, il quale sostiene che l'agricoltura è strettamente legata alla scienza e che questa può essere adoperata con profitto solo dal proprietario di un appezzamento. Le relazioni circa il nuovo squadro agrimensorio

41

, sulla necessità di sostituire la coltivazione dei cereali (che stavano perdendo valore di mercato e che sottolineano ancora una volta la stretta relazione dell'agricoltura della provincia con i mercati esteri) con alberi di gelso bianco

42

, sulla necessità di impiantare prati artificiali (fonte di ricchezza per altri paesi e mezzo per la piena integrazione tra agricoltura e allevamento, tema che ritorna spesso)

43

e di propagare le coltivazioni di patate

44

, sono altrettante dimostrazioni di quanto questo genere di mentalità fosse incoraggiato e iniziasse a diffondersi, grazie all'elevato grado di mercantilizzazione dell'agricoltura pugliese, sempre più votata all'esportazione ed alla trasformazione dei suoi prodotti in loco, sopratutto olio e vino, dai quali era possibile ricavare profitti maggiori che dalla vendita di semplici prodotti agricoli (che era ciò che interessava la grande borghesia mercantile, barese sopratutto). La trasformazione dell'economia pugliese verso

39 Relazione 35, Gli insetti ed altri animali che deteriorano la nostra agricoltura e i mezzi per estirparli del socio Donato de' Jatta, 1833, in Le relazioni alla società economica op.cit., 266-269

40 Relazione 40, Fattori economici sull'agricoltura: memoria del socio Vito De Palma, 1834, in ibidem, pp. 297-307 41 Relazione 54, Nuovo squadro agrimensorio del socio Nicola Nitti, 1836, in ibidem, pp. 347-349

42 Relazione 57, Discorso intorno al deperimento dei cereali e alla piantagione del gelso bianco del socio Giuseppe Rubino, 1836, in ibidem, pp. 350-353

43 Relazione 59, Necessità dei prati artificiali del socio Francesco Santoliquido, 1838, in ibidem, pp. 361-371

44 Relazione 60, Memoria con cui si raccomanda la preparazione e conservazione delle patate del socio Michele Frisari, 1839, in

ibidem, pp. 372-375

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modelli più industriali e commerciali la si nota dalla comparsa di relazioni (dagli anni '30 in poi) non connesse all'agricoltura, come la memoria 27 di Andriani

45

circa le fabbriche di saponi di Monopoli e Fasano, che producevano un bene non rispondente ai requisiti della tecnica moderna, data l'ignoranza della chimica dei produttori. Questo faceva si che i saponi prodotti fossero esportati grezzi a Marsiglia, dove venivano rilavorati e da dove erano riesportati in provincia a prezzo maggiore. Si rendeva necessario quindi l'adeguamento tecnico di tali imprese. La memoria 47 di De Giorgio

46

, direttore dell'Ospizio di Giovinazzo, ci da invece una panoramica dello stato delle manifatture esistenti nella struttura: la scuola dei telari, la tintoria, i calzolai, i sarti, i falegnami ed i ferrai. Essa era un importante laboratorio di esperimenti e vi venivano sperimentate nuove tecniche ed impiantati, nuove macchine estere (inglesi principalmente), cosa che ne fece l'unico stabilimento industriale della provincia sino agli anni '40, ma solo nell'ambito delle produzioni tessili, i cui lavori saranno sempre molto apprezzati nelle Solenni Esposizioni di Napoli. Circa l'attenzione per il commercio, essa inizia ad emerge chiaramente dalla relazione 49 di Campione

47

sulla necessità di risanare il porto di Trani per ridargli l'antico splendore.

S'è detto dell'impegno profuso per la diffusione delle moderne tecniche agricole tra la popolazione, affinché si mettesse la produzione agricola al passo con quella europea, sì da sostenere i ritmi imposti dalla integrazione commerciale, e favorisse i commerci. Si è anche detto che, nel lungo periodo, si ebbero notevoli risultati quanto a migliorie della produzione, che denota certamente una lenta, ma costante, modifica della mentalità, sempre più improntata alla vendita del prodotto che non al mero autoconsumo. Come fu possibile ciò? Vediamo da due relazioni anonime che furono aperte scuole di agricoltura e diritto civile, oltre ad un'Accademia agraria stabilita a Bari nel 1810

48

. Abbiamo detto (e ribadiremo spesso) che l'olio va considerato il motore dello sviluppo economico e poi industriale della provincia. Già per il periodo 1810-20 vediamo l'interesse per

45 Relazione 27, Memoria sui quesiti avanzati dal Ministero dell'Interno circa i complessi industriali della Terra di Bari del socio Gaetano Andriani, 1831, in ibidem, pp. 221-227

46 Relazione 47, Stato della Manifattura nell'Ospizio Francesco I di Giovinazzo del direttore Luigi de Giorgio, 1835, in ibidem, pp.

315-316

47 Relazione 49, Sulla necessità di conservare il porto di Trani del socio Leopoldo Campione, 1836, in idem, pp. 317-326

48 Le relazioni alla Società economica di Terra di Bari, Vol. I, Molfetta, 1959, p. XIX

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questo genere di coltivazione nelle relazioni di Affatati (Lettera intorno all'abusivo taglio dell'olivo e Memoria sulla necessità del credito ai coltivatori dell'ulivo

49

, qui sollevando l'annoso problema della necessità di fornire capitali per l'ulteriore sviluppo di un settore in piena espansione) e de Jatta (Su di un facile e sicuro modo di propagare l'olivo per mezzo di alberi radicati e piantoni e Memoria economica rustico-sanitaria sulla morchia ossia feccia delle olive)

50

. Come diremo in seguito, lo sviluppo della produzione e commercio di olio fornì i capitali necessari alla crescita economica provinciale, capitali che furono reinvestiti prima in nuove migliorie e nuove coltivazioni, anche d'uso industriale (vedi le relazioni sul cotone), e poi in industrie di trasformazione agro- chimiche (come vedremo poi), che costituiranno quel circolo virtuoso che si stabilì tra agricoltura- industria di trasformazione-commercio.

Leggiamo numerose memorie e atti che riguardano la necessità di importare semi puri di grano duro, dato l'imbastardimento dei semi locali; ci si occupava anche del baco da seta su pressione degli organi di governo centrali, che spingevano affinché si facesse tornare all'antico splendore questa manifattura. Le proposte fatte in merito furono: 1) creazione di un semenzaio in Bari; 2) convogliare gli aiuti del fondo provinciale di beneficenza in favore dei piccoli contadini che avessero piantato gelsi e di accreditargli 10 grana per ogni albero piantato ad ogni rinnovo del contratto di fitto; 3) diffusione delle nuove tecniche di coltivazione.

Affrontando i temi dell'agricoltura barese, la Società trovò talvolta soluzioni che si premurò di diffondere con ogni mezzo ai contadini di provincia, assieme ai moderni concetti tecnici ed economici necessari al pieno sviluppo di un'agricoltura moderna capace di sostenere il lancio commerciale della provincia, e poi industriale. Tornò spesso il problema del rimboschimento delle Murge, per il quale furono mobilitati anche i parroci, affinché diffondessero al meglio progetti e conoscenze tecniche necessarie. Una maggior penetrazione di tali concetti fu ottenuta anche grazie alla creazione del periodico “Atti della Società economica”, che nonostante i molti limiti, riuscì “ad

49 Relazioni 9 e 21, in Le relazioni alla Società economica di Terra di Bari, Vol. I, pp. 65-71 e 177-184

50 Relazioni 16 e 27, in ibidem, pp. 138-140 e 233-238

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incrementare la diffusione dei concetti che la Società si sforzava di rendere popolari tra gli agricoltori”

51

. Ma non fu questo l'unico mezzo per diffondere le nuove tecniche agrarie. Dagli anni '40, infatti, ci fu in provincia un fiorire di scuole agrarie, come per esempio quelle di Andria, Bitonto, Canosa, Terlizzi e Turi, mentre precorritrice era stata la città di Barletta, che aveva fondato un Scuola secondaria di agricoltura pratica già nel 1835. Tutte quante utilizzavano un solo testo, il Catechismo di agricoltura di Luigi Granata. Sfortunatamente ebbero tutte vita breve in quanto i

finanziamenti loro destinati furono bloccati dall'Intendenza, che non riconobbe la legittimità delle nomine dei maestri. Tuttavia in molti dei corsi tenuti si iniziava a parlare un linguaggio scientifico e questo gettò le basi per una futura ripresa di tali istituzioni nel periodo post-unitario. Vale la pena citare il maestro della cattedra di Bitonto, Giovanni Carelli, che si premurò di studiare il terreno del territorio da lui coperto determinando le caratteristiche dei terreni nei loro aspetti chimici e fisici, la loro correlazione col tipo di coltivazioni effettuate e la qualità dei prodotti; su tali basi egli elaborò il suo programma di corso, che prevedeva l'introduzione dei prati artificiali, le prospettive dell'industria serica, miglioramenti dei terreni murgiani, la manifattura degli oli fini, il perfezionamento dei vini, la lotta ai parassiti e l'incremento della pastorizia in sintonia con l'agricoltura. Tutti temi che abbiamo visto affrontati nelle relazioni della Società e ciò indica la stretta collaborazione tra le due istituzioni (scuole agrarie e Società Economica) nella diffusione di tali saperi che, a dispetto della brevità della vita delle cattedre, non andranno perduti

52

.

Fu tuttavia con la nomina a segretario perpetuo di Santoliquido che verrà impostato un programma di lavoro che impiegò per anni la Società e che, se fosse riuscito in pieno, “avrebbe in effetti potuto rivoluzionare l'economia agricola della provincia”

53

. E' risaputo tuttavia che i grandi cambiamenti, specie in agricoltura, sono lenti a prodursi; sicché pur non trovando piena esecuzione, tal programma fu in grado nel medio-lungo periodo di trasformare l'agricoltura barese, dotandola di più

51 E. Pennetta, L'azione delle Società Economiche nella vita delle provincie pugliesi durante il regno borbonico, Società editrice tipografica, Bari, 1954, p. 45

52 Per approfondimenti, si veda G. De Gennaro, La diffusione delle conoscenze agrarie nel Mezzogiorno: Puglia e Basilicata (1809-1915), in Le conoscenze agrarie e la loro diffusione in Italia nell'Ottocento, a cura di S. Zaninelli, 1987, Giappichelli Editore, Torino, pp. 450-451

53 Pennetta, op. cit., p. 45

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solide competenze scientifiche e rendendola più produttiva e competitiva, come lascia intravedere il florido commercio di derrate alimentari. Inoltre, vennero tracciate con precisione le linee di intervento per rendere maggiormente produttiva l'agricoltura e l'allevamento, sì da sostenere così i commerci: 1) migliorare numero e qualità degli animali da pascolo; 2) installazione e diffusione dei prati artificiali; 3) rimboschimento delle Murge; 4) lotta al parassita delle fave, ricercandone la soluzione; 5) miglioramento della coltivazione dell'olivo e studiare metodi di lotta contro i suoi parassiti; 6) miglioramento generale dell'avvicendamento delle colture; 7) miglioramento della coltivazione dell'uva e della lavorazione del vino

54

. Queste linee di intervento (che abbiamo visto venire proposte nelle varie relazioni citate) combaciano bene coi successivi sviluppi della regione sino ai primi del '900 e nulla più di questo sta a dimostrare l'importanza della corretta analisi dei membri della Società e che il loro lavoro non è stato puro accademismo, bensì perfettamente legato agli effettivi problemi e alle possibili soluzioni poste dal nascente sistema economico di Terra di Bari.

Molto si insistette sulle piantagioni industriali, di più alto reddito potenziale, come il sommacco (necessario ai conciatori che vi erano in provincia) e il cotone, come visto. Pur se testimoniano come si avesse ben chiaro l'imprescindibile nesso tra agricoltura e industria, non saranno essi i protagonisti dello sviluppo (pur se a Bari fu installato il cotonificio di Zublin e Marstaller), bensì ancora l'olio, prodotto base per tutte le produzioni chimiche che si svilupperanno da metà 800 in poi. Premi furono poi stanziati per coloro i quali avessero incrementato la coltivazione di sommacco, cotone, gelso e prati artificiali.

Abbiamo già detto che il nuovo modo di vedere ed impostare lo sviluppo dell'agricoltura venne mutuato dal Granducato di Toscana. A ulteriore dimostrazione di questo legame, si ricorda che il socio Lamparelli introdusse un nuovo aratro proveniente da quella regione

55

.

Sino al 1848, dunque, la Società si occupò di studiare e risolvere i problemi dell'agricoltura

54 Pennetta, L'azione delle Società Economiche, op. cit., p. 46

55 Ivi

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barese, pur se la stessa soffriva di scarsità di fondi, come fanno intendere bene i numerosi tentativi di ottenere i fondi per l'orto sperimentale, richieste cui il Ministero continuò a far orecchie da mercante. Solo nel 1845 le vennero assegnati 18 moggia di terreno, cui se ne aggiunsero poi altre 27, per l'istituzione dell'orto, ma la mancanza di fondi farà si che esso non verrà mai del tutto aperto. Concreti sono comunque i risultati di questo periodo: vi è chi importava nuovi modelli di aratri francesi, chi impiantava bigattiere, chi faceva progredire la scuola di tessuti e tinteggiatura di Giovinazzo (con ottimi risultati, come si rileva dai dati forniti da fonti d'archivio), chi introduceva macchine a vapore per macinare il grano

56

, introduzione che avrà enorme fortuna, dato l'elevato numero di molini a vapore sparsi per la provincia (con maggior concentramento tra Bari e Molfetta) che vengono registrati nel secondo '800. Con la crisi della cerealicoltura, la Società spinse affinché i suoli venissero convertiti alla coltura del gelso, tant'è che dispensò ben 15.000 talee di gelso nella sola Gioia del Colle

57

, dimostrando ancora di viaggiare in sintonia tanto con gli interessi economici della provincia, tanto con gli sviluppi del mercato internazionale, che non si cercava di forzare o ignorare (come invece tentavano ostinatamente di fare le molte iniziative del governo), bensì di assecondarli. Progressi si registrarono particolarmente dopo il 1840, indice di come la provincia, dotatasi di una più solida struttura economica, riuscisse a competere meglio nei mercati esteri: vi fu un notevole aumento degli alberi da frutta e da legna (sopratutto nei distretti di Altamura e Barletta) e migliorò la qualità dei vini grazie allo di una moderna macchina pigiatrice, di cui si iniziava ad installare qualche esemplare per riuscire a migliorare il prodotto e renderlo tale da eguagliare la superiore qualità dei vini concorrenti di Francia e Ungheria, il che ci mostra che era in atto una lenta svolta anche di questo settore (così frantumato a livello di produttori) verso il mercato extraprovinciale. Inoltre, come abbiamo detto, vennero avviate campagne per la vaccinazione degli armenti.

Emblematico di come la mentalità e gli apporti tecnici divulgati dalla Società abbiano

56 Atti della Società Economica, anno 1860, p. 18

57 Pennetta, L'azione delle Società Economiche, op. cit., p. 47

(26)

prodotto rilevanti e duraturi effetti, è il caso delle mucche murgiane odierne, che producono il latte della Cooperativa Allevatori di Putignano o che fornisco latte allo stabilimento Perla di Gioia e altri piccoli caseifici: esse sono discendenti di selezionate razze di vacche svizzere introdotte nel territorio murgiano da soci della Società nel 1843

58

. La diffusione di tale mentalità è aiutata dall'istituzione delle già citate scuole pratiche di agricoltura in provincia (nel 1844 ne esistevano 55 e contano 153 allievi)

59

.

Nel periodo che va dal 1835 al 1848 la Società ottenne soddisfacenti risultati nel campo dell'incremento del nuovo sistema di rotazioni agrarie, il rimboschimento di alcune aree e l'introduzione di nuove macchine. Gli stessi Atti della Società testimoniano “l'incremento apportato alle colture, il diffondersi di più moderne pratiche tecniche ed il tentativo di introdurre macchine capaci di perfezionare le lavorazioni della terra e la trasformazione dei prodotti”, cosa, questa, che vedrà il suo pieno sviluppo dalla fine del 1860 in poi

60

. Foriere di ulteriori sviluppi furono le parole del Santoliquido, che per risolvere il problema delle frequenti crisi che colpivano l'economia barese, indicò la necessità di convertire alle colture arboree più remunerative le terre coltivate a grano (i cui proventi, tra l'altro, venivano portati fuori dalla provincia dalle case napoletane ed estere, come rilevato da Davis

61

, divenendo perdite secche di capitali) ed intensificare l'industrializzazione dei prodotti per liberarsi dalle importazioni e dall'accaparramento di prodotti grezzi da parte degli stranieri

62

. Il fatto che si parli di sistema economico di Terra di Bari, non deve far credere che vi fosse omogeneità di sviluppo in tutto il suo territorio. Differenze esistevano, naturalmente, tra i 3 distretti: in particolare, quelli di Barletta e Altamura arrancavano rispetto allo sviluppo del distretto barese, dovuto ciò all'agricoltura estensiva dei cereali (nel primo) e di tecniche ancora arretrate (nel secondo)

63

. Un dato, questo, che sarà bene tenere sempre a mente, sì da comprendere appieno il significato dei diversi tipi di interventi effettuati e/o auspicati e della stretta complementarietà che

58 P. Rossi, Paesaggi di Puglia, Cacucci, Bari, 2010

59 Pennetta, L'azione delle Società Economiche, op. cit., p. 50 60 Ivi

61 Davis, Società e imprenditori nel regno borbonico, 1815-60, Bari, 1979, Laterza, pp. 66-92 62 Atti della società ecc., anno 1840, p. 14

63 ibidem, anno 1842, p. 36

(27)

questi avevano con quelli previsti per il distretto barese.

L'olivo e l'olio, lo ribadiamo, sono stati il motore dello sviluppo e ciò ci viene confermato dall'estensione dell'olivicoltura in Terra di Bari: su 17.433 miglia quadrate, vi erano ben 594.350 moggia di oliveto, superati solo dai vigneti (di cui, però, va ricordata la scarsa qualità a favore della quantità e dell'enorme frazionamento dei produttori), 757.950 moggia; seguivano poi frutteti (128.260 moggia) e orti e giardini (47.916 moggia); il resto era condotto a seminativi nudi e pascolo

64

. Il consiglio rinnovato da Santoliquido rimase l'abbandono della cerealicoltura e il passaggio a colture intensive, con l'apporto dell'allevamento nel fornire concime e forza lavoro animale. Anche Carlo d'Addosio, presidente della Società, mostrò come la visione del proprietario e dell'imprenditore barese fosse ormai proiettata su scala extraregionale. Basti vedere le esigenze della città che egli sottolinea: industrie da sviluppare ulteriormente, anche se quelle esistenti avevano “resa indipendente la provincia nella più parte dei suoi bisogni”, potenziamento dei commerci interni ed esteri, una banca, una scuola di mercatura pratica e nautica, un nuovo porto per incrementare i traffici

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. Tutte indicazioni che, in seguito, troveranno pratica attuazione.

Non sfuggiva nemmeno alla Società che il grosso problema della provincia fosse il costante prelievo di risorse operato a favore della capitale, che molto prendeva e poco o nulla investiva in loco

66

. Questo diede poi il via allo sviluppo di una classe dirigente consapevole del problema e che coerentemente e con tutti i mezzi si mosse per contrastarlo. Ma lo vedremo in seguito. Qui basti guardare una relazione di Zella-Milello del 1848, nella quale scriveva amaramente che il contante prelevato in provincia veniva avviato tutto verso la capitale, nella quale si concentrava anche quello apportatovi dal commercio, facendo sì che il capitale si allontani dalle disponibilità degli agricoltori, per concentrarsi nelle mani “degli imprenditori e speculatori banchieri della Capitale”

67

. Se questa è una lamentela frequente in tutta la letteratura meridionale dell'epoca, certo è che in Terra

64 Atti della Società Economica, anno 1847, p. 33 65 Atti della Società Economica, anno 1842, pp. 1-33

66 Si vedano al proposito le tabelle di N. Ostuni nelle Appendici di Finanza ed economia del Regno delle Due Sicilie, Liguori Editore, 1992

67 Zella-Milello, Ricchezza pubblica nazionale e privata che può ottenersi dal Regno delle Due Sicilie senza gravar lo stato ed i

cittadini di debito pubblico e di prestito forzoso, Napoli, 1848, p. 4

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