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L’allargamento dell’Unione Europea verso est: il caso della Repubblica Ceca

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Scienze Politiche

Corso di laurea magistrale in Studi Internazionali

L’allargamento dell’Unione Europea verso est: il

caso della Repubblica Ceca

Relatore

Prof.ssa Elena Dundovich

Candidata

Martina Barbetti

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INDICE

Abstract p. 5 Introduzione p. 6

1 - Dalla costruzione dello Stato alla Rivoluzione di velluto ... p. 9 § 1.1 La Prima Repubblica cecoslovacca ... p. 10

§ 1.2 Gli anni della resistenza ... p. 17

§ 1.3 La questione dei tedeschi dei Sudeti ... p. 21 § 1.4 Post-1948: una società in trasformazione e “vittima” della normalizzazione

p. 22

§ 1.4.1 La “Primavera di Praga” ... p. 26 § 1.4.2 Il periodo della normalizzazione ... p. 28

2 - Il divorzio di velluto ... p. 31 § 2.1 La Rivoluzione di velluto ... p. 32

§ 2.2 Una separazione consensuale ... p. 36 § 2.3 1992: dalle elezioni allo scioglimento ... p. 39

§ 2.4 Dopo lo scioglimento: analisi del quadro politico e giuridico della Repubblica

Ceca ... p. 48 § 2.4.1 La forma di governo nello stato ceco ... p. 51

§ 2.5 Una nuova identità ceca ... p. 53

3 - Una democrazia da difendere ... p. 56 § 3.1 Transizioni e “giustizia post-autoritaria” ...p. 56

§ 3.2 Diritti delle minoranze ...p. 60 § 3.3 Il fenomeno dell’epurazione ...p. 66

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4 - La Repubblica Ceca e l’Unione Europea ... p. 71 § 4.1 L’allargamento europeo: 1 maggio 2004 ... p.75

§ 4.1.1 Analisi della procedura di adesione ... p.78 §4.2 Verso l’avvicinamento: approfondimento degli aspetti oggetto di valutazione da parte della Commissione europea ... p. 87

§ 4..2.1 Primo settore di analisi: il sistema costituzionale ... p. 90 § 4.2.2 Secondo settore di analisi: le autonomie territoriali ... p. 93 § 4.2.3 Terzo settore di analisi: la Pubblica Amministrazione ... p. 97 § 4.2.4 Quarto settore di analisi: il potere giudiziario ...p. 100 § 4.2.5 Quinto settore di analisi: i diritti delle minoranze ...p. 104

§ 4.3 Analisi dell’opinione pubblica: cosa ne pensano i cittadini dei paesi candidati circa l’adesione europea ...p. 107

§ 4.4 Euroscetticismo ceco ...p. 116 § 4.4.1 Panoramica dello scetticismo politico prima del 2004 ...p. 118 § 4.4.2 Panoramica dello scetticismo politico dopo il 2004 ...p. 122 § 4.4.3 Il mondo intellettuale si tinge dei colori dell’euroscetticismo p. 129

Osservazioni conclusive p. 137 Ringraziamenti p. 140 Bibliografia p. 141

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Abstract

Il lavoro svolto in questa tesi dal titolo “L’allargamento dell’Unione Europea verso est: il caso della Repubblica Ceca” offre spazio ad un ritratto il più possibile chiaro e puntale di quelli che sono stati i rapporti tra l’Unione e lo stato ceco e di come questi si sono evoluti nel tempo. In particolare l’obiettivo è quello di analizzare più da vicino il fenomeno euroscettico e capire come questo abbia influenzato la realtà ceca, dai partiti politici all’opinione pubblica.

La tesi articolata in quattro capitoli, parte dal tentativo di rispondere ad una curiosità nata dalla lettura di un libro di un diplomatico italiano, Giorgio Radicati il quale afferma che l’euroscetticismo è nato a Praga. E’ stato davvero così? Per rispondere a questa domanda nella prima parte della tesi viene fornita una dettagliata panoramica storica dello stato ceco, fino ad arrivare agli anni ’90, con l’indipendenza della Repubblica e la domanda di adesione all’Europa. Proseguendo, ci si addentra nell’argomento cardine: i rapporti tra l’Unione e lo stato ceco. In primis, è stata soffermata l’attenzione sulla peculiarità del “quinto allargamento”, successivamente sono state analizzate le diverse valutazioni espresse dalla Commissione Europea circa l’idoneità del paese all’adesione. Infine l’attenzione è concentra sul sentimento euroscettico e di come questo si sia insediato e sviluppato sia nella realtà politica che nell’opinione pubblica.

Con le nuove conoscenze acquisite durante la ricerca è possibile affermare che la Repubblica Ceca è stata la culla dell’euroscetticismo, dove ha potuto crescere forte e stabile. In aggiunta, esaminando i risultati delle ultime elezioni europee svoltesi a maggio, si è potuto constatare come tale fenomeno sia ancora ben radicato nella società ceca, che malgrado l’adesione e i benefici ottenuti, è ancora pessimista e diffidente nei confronti dell’Unione Europea.

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Introduzione

L’Unione Europea ha sempre avuto un forte interesse ad espandere i propri confini verso est e, approfittando del crollo del blocco sovietico, è riuscita a mettere in atto il suo progetto di allargamento quindici anni fa, il 1 maggio 2004, quando aprì le sue porte a dieci nuovi stati membri: Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Ungheria, Cipro e Malta. L’adesione dei paesi dell’Europa centro-orientale, meglio conosciuta come “quinto allargamento”, rappresentò una vera e propria sfida data la complessità che la caratterizzava. Rispetto ai processi di allargamento passati, questo si differenziò per diversi aspetti: l’elevato numero di candidati, la disomogeneità che contraddistingueva i paesi coinvolti e l’elaborazione di requisiti di adesione, i cosiddetti Criteri di Copenaghen.

In questo lavoro non verranno affrontate le molteplici realtà dei paesi candidati, in quanto si è preferito concentrarsi sul singolo caso della Repubblica Ceca che, nella fattispecie, è stato in più occasioni assunto a modello nelle indagini sull’integrazione europea. Le motivazioni che hanno spinto a prendere in analisi il caso ceco sono dunque ricollegabili alle peculiarità della vicenda; difatti verrà sottolineato come questo si sia distinto dai percorsi degli altri stati dell’Europa centro-orientale.

La tesi si articola in quattro capitoli: nel primo capitolo viene fornita una panoramica storica della Cecoslovacchia: partendo dalla costruzione stessa dello stato, si continua con l’affermazione del potere comunista e la trasformazione dello stato in una Repubblica socialista (Čssr). Si ripercorrono inoltre i vent’anni di “normalizzazione”, periodo in cui ogni settore dello stato cecoslovacco sì paralizzò.

Il secondo capitolo mostra come la Cecoslovacchia, vittima del perdurante regime comunista, tentò di riprendersi dalla fase di stallo in cui era caduta. Il dilagante malcontento dei cittadini dette vita alla manifestazione del 1989, meglio conosciuta come “Rivoluzione di velluto” portò al crollo del governo comunista, al potere da oltre ben quarant’anni. In seguito l’analisi verte sulla nascita della Repubblica federale ceca e slovacca (Česká a Slovenská Federativna Republika, Čsfr), per poi proseguire con l’analisi

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delle motivazioni della dissoluzione della Federazione a favore della creazione di sua stati indipendenti.

Il terzo capitolo è dedicato al periodo della transizione democratica, momento in cui l’obiettivo primario divenne la difesa dell’ordinamento democratico, volta a prevenire il costituirsi di vecchie forze autoritarie. In questi anni vennero messe in atto molteplici forme di giustizia volte a punire i crimini commessi al tempo del regime comunista; in particolare viene qui analizzato il fenomeno dell’epurazione. Si pone l’attenzione anche su di un’aspetto molto delicato per lo stato ceco, ovvero quello riguardante la tutela delle minoranze e di come questo tema abbia richiesto rilevanti interventi da parte del governo per potersi meglio adattare agli standard europei.

Infine, nel quarto capitolo, si procede all’analisi dell’argomento cardine di questo studio: i rapporti tra l’Unione Europea e la Repubblica Ceca. Si parte con un’introduzione di quella che era la situazione del paese, delineando una panoramica sociale, politica ed economica per poi soffermarsi, nello specifico, sul tipo di politica estera intrapresa dalla Repubblica Ceca in vista dell’allargamento. L’analisi prosegue con uno studio approfondito degli aspetti principali che caratterizzarono il “quinto allargamento”, di cui la Repubblica Ceca fece parte; si pone l’attenzione, in un primo momento, sul periodo di preparazione, contraddistinto dalla messa in atto delle decisioni prese in sede dei diversi Consigli europei che si svolsero prima del 2004, e successivamente sulle implicazioni derivanti dal rispetto dei requisiti imposti dall’Unione Europea. Proseguendo, si passa ad un esame dettagliato dei vari settori dell’ordinamento ceco (il sistema costituzionale, la tutela dei diritti umani, la pubblica amministrazione, il potere giudiziario e il decentramento territoriale) che passarono al vaglio delle valutazioni della Commissione Europea. L’obiettivo è quello di analizzare ogni singolo settore in base ai primi pareri della Commissione ricevuti nel 1997, per poi fare un confronto con le valutazioni finali espresse a ridosso dell’adesione in seguito alle modifiche apportate dal governo ceco. Parte del capitolo è stato riservato anche allo studio dei sondaggi riguardanti l’opinione pubblica; in questo caso, la visuale viene ampliata alla totalità dei paesi candidati, in quanto dall’analisi dei risultati dei sondaggi si evince come il loro pensiero circa l’adesione e l’immagine che essi avevano dell’Unione fosse il medesimo. Il

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capitolo si conclude con lo studio dell’euroscetticismo e di come questo si sia evoluto negli anni. Inizialmente venne considerato un fenomeno fine a sé stesso, circoscritto solo agli anni precedenti l’adesione; in realtà si diffuse rapidamente fino a diventare un argomento cardine dei programmi politici. L’analisi è stata condotta non solo da un punto di vista politico, analizzando l’evoluzione del sentimento euroscettico prima e dopo il 2004, ma si è proceduto ad approfondire anche le opinioni di alcuni rappresentanti del mondo intellettuale.

L’obiettivo del seguente lavoro è stato dunque quello di fornire una panoramica accurata dell’evoluzione dello Stato ceco, per poter al meglio comprendere le scelte effettuate dal governo in relazione all’entrata di questo Stato nel contesto europeo.

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1- Dalla costruzione dello Stato alla Rivoluzione di velluto

La storia della Cecoslovacchia è quella di una piccola nazione stretta fra popoli troppo potenti. La sua posizione geografica fra Germania, Austria, Polonia, Ungheria e Russia, segnò per la piccola nazione un destino atto di lotte lunghe e tremende, ma molto spesso inutili.

Nel VI secolo dopo Cristo alcune tribù slave, provenienti dall’Asia, occuparono il territorio e ne scacciarono gli abitanti di origine germanica. Il primo vero stato si formò nel IX secolo, sotto il regno di Mojmir I. Esso si consolidò e si ingrandì con l’annessione della Slovacchia e della Slesia, e prese il nome di “Grande Moravia” sulla quale, a partire dal X secolo, si affermò la dinastia dei Premyslidi, durante il cui dominio il paese conobbe un grande sviluppo economico, politico e culturale nonché la diffusione del cristianesimo.

La dinastia dei Premyslidi si estinse con l’assassinio di Venceslao III nel 1306 e il trono passò nelle mani di Giovanni, figlio di Enrico VIII di Lussemburgo, legato all’Impero germanico.

Sotto il regno di Carlo IV di Lussemburgo, figlio di Giovanni, lo stato ceco visse “un’epoca d’oro”; uomo colto, dalle grandi capacità diplomatiche e ottimo re consolidò Praga come capitale culturale dell’Europa. Carlo IV verrà ricordato come il più grande sovrano della Boemia.

Il XV secolo fu contraddistinto dai conflitti tra i protestanti e la Chiesa Cattolica di Roma. Culla della riforma religiosa era la l’Università di Praga dove a capo del movimento troviamo la figurati Jan Hus, predicatore della Città Vecchia. Nel 1415 Hus venne accusato di eresia e condannato al rogo, ma questo non placò gli animi della protesta che protrassero fino al 1436. Al termine della rivoluzione hussita, con il Consiglio di Basilea, la Boemia fu il primo paese in Europa in cui vennero riconosciute tolleranza e libertà religiosa , grazie alla possibilità di scelta tra la confessione cattolica e hussita. Dopo varie vicissitudini e il regno degli Jagelloni, sì arrivò al 1526, anno funesto per la Cecoslovacchia; il Parlamento, allo stremo per le continue lotte interne, offrì la

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corona del regno al principe Ferdinando d’Asburgo. Per quasi quattrocento anni la Boemia rimase sotto il dominio degli Asburgo e a nulla valsero le frequenti rivolte.

Fra le varie ribellioni, quella del 1618 fu certamente la più tragica. Avvenne durante la “Guerra dei Trent’anni” scoppiata per motivi religiosi. A quell’epoca non tutte le regioni germaniche avevano aderito al Luteranesimo, alcune erano rimaste legate al Cattolicesimo. In quell’anno l’Imperatore Mattia I della casa d’Asburgo, inviò dei messi a Praga per reprimere il Luteranesimo. Al loro arrivo essi furono gettati fuori dalle finestre del castello reale, tanto che l’episodio passò alla storia come la “defenestrazione di Praga”. Questo fatto scatenò una guerra fra le truppe imperiali, guidate da Ferdinando II, successore di Mattia I, e quelle boeme che furono sconfitte nella battaglia della “Montagna Bianca” l’8 novembre 1620. Per altri tre secoli i cechi rimasero sotto dominio straniero.

Quando, come già accaduto in diverse parti del mondo, i principi di libertà ed indipendenza della Rivoluzione Francese entrarono anche in Cecoslovacchia, il popolo si sentì incoraggiato a combattere contro l’invasore straniero. Ma nel frattempo la casa d’Asburgo era diventata un potente Impero d’Austria, che con la sua colossale preponderanza ebbe la meglio sui patrioti boemi. Neanche nel 1848 la situazione cambiò e le guerre per la libertà avevano ormai invaso tutti i paesi d’Europa sotto il domino straniero.

Allo scoppio della prima guerra mondiale, molti patrioti cechi colsero l’occasione per tornare alla carica ed ottenere la libertà del proprio paese, così fuggirono dal loro paese per arruolarsi negli eserciti francese, italiano e russo.

§ 1.1 La Prima Repubblica cecoslovacca

Fu durante la prima guerra mondiale che il sentimento a lungo represso dei cechi di riuscire ad ottenere una propria autonomia riprese vigore. In realtà alla vigilia del conflitto essi non riuscivano ancora ad immaginare un futuro al di fuori della dimensione asburgica. Sia loro che gli Slovacchi non avevano elaborato alcun piano di azione in caso

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di una possibile indipendenza o in caso di unificazione dei due paesi. Così come non era ancora chiaro chi sarebbe stato loro alleato in tale processo: da un lato essi volsero lo sguardo alla Russia non solo perché dettati dal loro sentimento russofilo, dall’altro una piccola parte dei Cechi, con a capo Thomas Masaryk, era orientata a ricercare l’appoggio dell’Occidente.

D’ispirazione socialista, il pensiero di Masaryk si ispirava ai valori supremi 1

dell’essere umano come discriminante dell’azione politica in una concezione di “democrazia umanistica” non da tutti condivisa. Alla fine del 1914 egli si trasferì a Parigi, decidendo di non far ritorno in patria; qui venne raggiunto da Beneš, che cercò rifugio nella capitale francese dopo aver incitato i giovani del suo paese a disertare dall’esercito asburgico, e inoltre collaborò con Stefanik, noto politico slovacco: essi divennero i volti ufficiali della “battaglia all’estero” . 2

Nel 1915 venne fondato un movimento per l’indipendenza, il Comitato ceco all’estero che richiedeva che venisse creato uno stato ceco indipendente. L’anno successivo il Comitato assunse le forme di un vero e proprio “Consiglio Nazionale dei Paesi Cechi“ (CNPT) . 3

Masaryk e Beneš si erano ritrovati isolati: da un lato la questione ceca era ritenuta una questione interna da parte degli Alleati; dall’altro gli stessi partiti cechi avevano sconfessato le attività svolte all’estero, poiché continuavano a seguire le politiche filo-asburgiche sia per paura che per opportunismo. La situazione cambiò nel 1917: seguendo l’influsso rivoluzionario russo , i cechi chiesero la trasformazione della 4

Era soprannominato “Tatiček” (padre). A differenza degli altri leader dell’Europa Centrale, Masaryk 1

era un uomo colto e non un militare, si veda R. Fawn, The Czech Republic: a nation of velvet, Amsterdam, Marston, 2000, p. 5.

Venne così nominata per differenziarla dalla “battaglia interna”, associata alla figura di Kramar, si veda 2

P. Wandyc, Il prezzo della libertà. Storia dell’Europa centro-orientale dal medioevo ad oggi, Bologna, Il Mulino, 2001, p. 279.

Sede del Consiglio era la città di Parigi. Masaryk ricoprì la carica di Presidente, Dürich e Stefanik 3

divennero vice-presidenti e Benes fu nominato segretario generale, si veda A. Chiribiri, Breve storia dei paesi cechi, Torino, Celid, 2003, p. 112.

Si ricordino le rivoluzioni di febbraio e di ottobre 1917 in Russia (marzo e novembre nel calendario 4

occidentale), si veda P. Wandycz, Il prezzo della libertà. Storia dell’Europa centro-orientale dal Medioevo ad oggi, op. cit., p. 279.

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monarchia in una federazione. Per la prima volta il Consiglio nazionale cecoslovacco aveva la possibilità di convincere gli Alleati sul riconoscimento dell’indipendenza nazionale, riconoscimento che arrivò l’anno successivo.

All’inizio del 1918, il Presidente americano Wilson, durante un suo discorso , 5

riconosceva “ai popoli dell’Austria-Ungheria […] la possibilità di uno sviluppo autonomo”

incoraggiandoli a ribellarsi; qualche mese più tardi anche Francia, Inghilterra e Italia si univano a quanto espresso nella dichiarazione americana. Entro il mese di settembre gli Alleati riconobbero il Consiglio nazionale come governo provvisorio e il suo diritto di sostenere l’indipendenza. Nel mese di ottobre, l’Imperatore Carlo, per mostrare la sua disponibilità a conformarsi a quanto riportato nel discorso di Wilson, pubblicò il manifesto federalista , che autorizzava la formazione di comitati nazionali. Quasi in 6

contemporanea, Masaryk dichiarò l’indipendenza cecoslovacca. Il 31 ottobre a Praga si riunì il governo provvisorio di Parigi e in tale sede fu discusso l’assetto della Cecoslovacchia che sarebbe nata come una Repubblica parlamentare e democratica con Masaryk eletto primo presidente dall’Assemblea Generale il 14 novembre.

Prima tappa del Comitato nazionale fu quella di adottare una Costituzione provvisoria. Si attribuì il potere legislativo all’Assemblea Costituzionale monocamerale, ma non veniva detto nulla al riguardo sull’ordine giudiziario e sui diritti e doveri del cittadino. In generale il passaggio dei poteri dagli Austriaci ai Cechi avvenne in maniera ordinata e pacifica.

Inutile affermare che la creazione del nuovo stato non fu priva di contrasti e difficoltà; sebbene esistesse un interesse comune, le differenze tra Cechi e Slovacchi non tardarono a manifestarsi . La fusione dei due popoli era però necessaria per affermare il 7

Discorso conosciuto come i “Quattordici punti”, si veda A. Chiribiri, Breve storia dei paesi cechi, op. 5

cit., p. 115.

Nel Manifesto era riconosciuta la trasformazione in federazione della sola parte austriaca dell’impero, 6

ivi, p. 117.

Prima del 1918, ciò che distingueva i due popoli andava oltre a divisioni legali e amministrative. Le 7

loro differenze soprattuto a livello economico incidevano sulle tradizioni, sulla divisione in classi e sui costumi sociali, si veda A. Innes, Czechoslovakia: the short goodbye, Yale University Press, 2001, p. 2.

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loro diritto di autodeterminazione . Masaryk aveva grandi speranze e si rivolse al popolo 8

slovacco con queste parole al fine di rendere chiare le sue intenzioni:

“There is no Slovak nation…the Czechs and Slovaks are brothers. Only cultural level separates them- the Czech are more developed than Slovaks, for the Magyars held in systematic unawareness. […] We must await the results; in one generation there will be no difference between of our national family.” 9

La neonata Repubblica era considerata lo stato dei Cechi e degli Slovacchi benché al suo interno fossero presenti anche altre nazionalità . Al fine di garantire la loro pacifica 10

convivenza gli Alleati richiesero ai cecoslovacchi la firma del “Trattato sulle minoranze” in modo che venisse garantita protezione senza alcun tipo di distinzione. 11

Per quanto concerne il nuovo governo fu approvata una legge elettorale con un sistema proporzionale con liste presentate dai singoli partiti. Si trattava ovviamente di partiti nati prima del 1918 e che si apprestarono ad estendere la loro organizzazione anche ai nuovi territori della Repubblica.

Ciò che caratterizzava lo scenario politico era la presenza di una moltitudine di partiti che rispecchiavano le diverse tradizioni, esperienze culturali e appartenenze religiose. Nonostante la presenza di ben sette diversi gruppi politici, il sistema risultò essere stabile . 12

Il 29 febbraio 1920 venne approvata dall’Assemblea Nazionale la prima Costituzione dello Stato indipendente. Questa ha rappresentato l’ultima possibilità per i C’era la necessità di creare una nuova nazionalità, si veda R. Fawn, The Czech Republic: a nation of

8

velvet, op. cit., p. 2.

R. Shepard, Czechoslovakia: the velvet revolution and beyond, St. Martin’s Press, 2000, pp. 11-12. 9

Lo stato essendo multinazionale rischiava di ereditare una serie di problemi che avevano 10

caratterizzato gli Imperi in passato. Presentandosi però come una repubblica democratica, la Cecoslovacchia assicurò che non sarebbe emerso nessun tipo di problema pericoloso per la sopravvivenza del nuovo stato. Lo slogan di Masaryk era “una nuova Svizzera nel cuore dell’Europa”. Si veda A. Di Gregorio, Il ventennale dello scioglimento pacifico della Federazione ceco-slovacca. Profili storico- politici, costituzionali, internazionali, Maggioli Editore, 2003, p. 30.

Trattato firmato a Saint-Germain-en-Laye nel settembre 1919, si veda A. Chiribiri, Breve storia dei

11

paesi cechi, op. cit., p. 123.

In questa maniera veniva data la possibilità ad ogni singolo gruppo di esser rappresentato. Inoltre la 12

nuova Costituzione prevedeva l’estensione del sistema proporzionale alle elezioni parlamentari, provocando così l’aumento del numero dei partiti, ivi, p. 133.

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partiti cecoslovacchi di dimostrare la loro intenzione di costruire uno Stato forte. La nuova Costituzione, ispirata al modello francese, definiva la Cecoslovacchia una repubblica democratica con un presidente eletto. Riconosceva come lingua ufficiale il cecoslovacco e la libertà d’uso delle lingue delle minoranze . Il potere legislativo era 13

affidato all’Assemblea Nazionale, quello esecutivo al presidente del Consiglio dei ministri e il potere giudiziario ad una magistratura indipendente. Il sistema politico previsto era fondato su tre pilastri: il castello (Hrad), nonché il Presidente e i suoi collaboratori; la coalizione governativa; l’establishment finanziario e economico . Questa carta 14

costituzionale verrà considerata, anche dopo il 1989, un importante punto di riferimento, simbolo del parlamentarismo democratico, tanto da essere ripresa anche all’interno della Costituzione del 1992.

Lo scenario partitico continuava ad esser caratterizzato da una grande stabilità, come era già accaduto in passato. Motore del sistema politico ceco era una coalizione governativa, che prese il nome di “comitato dei cinque” (Pētka): una struttura composta dai cinque maggiori partiti . La 15 Pētka, sebbene ritenuta incostituzionale e non democratica, ha permesso di evitare la paralisi parlamentare come avvenne in altri paesi vicini. Antonin Švehla prese le redini della coalizione e ricoprì la carica di Primo Ministro.

Con le elezioni del 1925 i socialdemocratici subirono una grave sconfitta e la colazione non fu più in grado di creare un nuovo governo; fu così che Masaryk chiese a Jan Černy , politico cecoslovacco, di costituirne uno provvisorio. 16

Sia gli Slovacchi che la minoranza tedesca erano insoddisfatti all’interno del nuovo stato. Nello 13

specifico, gli Slovacchi si sentivano privati della loro autonomia e non sufficientemente rappresentati, poiché il governo centrale era composto in prevalenza da Cechi. A livello politico, parte di loro approvava la nascita della Cecoslovacchia, altri, rappresentati dal Partito Popolare Slovacco, non se ne sentivano parte, si veda R. Fawn, The Czech Republic: a nation of velvet, op. cit., p. 5.

P. Wandycz, Il prezzo della libertà. Storia dell’Europa centro-orientale dal medioevo ad oggi, op. cit., p. 14

307.

Il Partito agrario, il Partito Socialdemocratico, il Partito Nazional Socialista, il Partito Nazional 15

Democratico e il Partito Popolare, ivi, p. 308.

Non era la prima volta che Masaryk si rivolgeva a lui. Già nel 1920 Černy era stato nominato Primo 16

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Sin dal 1918 i governi di coalizione hanno compreso al loro interno solo partiti cechi e slovacchi, basandosi sul “principio nazionale”, per garantire l’unità dello Stato. Nel 1926 il pensiero di alcuni politici cambiò al riguardo, credendo fosse arrivato il momento di includere nella scena politica anche le minoranze nazionali. Per la prima volta dei partiti tedeschi, gli agrari e i cristiano-sociali, presero parte al governo della Repubblica. Sotto la direzione di Masaryk, rieletto presidente nel 1927, lo stato cecoslovacco si rinforzò, situazione che rimase stabile fino al 1933 quando l’ascesa al potere di Hitler costituì un pericolo per l’integrità della Repubblica, nonostante Praga avesse sempre mantenuto buone relazioni con la Germania . Il governo mise in atto una 17

serie di provvedimenti con l’intento di tutelare la democrazia cecoslovacca: autorizzò la chiusura di certi giornali e sciolse il Partito nazionalsocialista tedesco e il Partito nazionale tedesco . 18

Nel 1933 Konrad Henlein formò il Sudetendeutsche Heimatsfront (Fronte nazionale dei Sudeti Tedeschi), un’organizzazione che poi si trasformò nel Sudetendeutsche Partei, un partito fedele alla Repubblica, ma che permise il diffondersi delle idee naziste.

Nel 1935 le redini dello Stato passarono nella mani di Beneš; Masaryk si era dimesso dall’incarico per motivi di salute dopo esser stato rieletto dal popolo per la quarta volta. Il governo cecoslovacco venne accusato di non aver posto la giusta attenzione alla politica di Henlein e di non essersi accorto quali fossero le sue vere intenzioni.

La questione delle minoranze tedesche occupò un posto di rilievo negli ultimi anni di vita della Repubblica fino a determinarne il crollo. Le rivendicazioni del Partito dei Sudeti erano diventate sempre più estreme dopo che Henlein era stato ricevuto da Hitler a Berlino nel marzo 1938 . Le intenzioni del Cancelliere tedesco erano chiare: il nuovo 19

obiettivo era impossessarsi della regione dei Sudeti, come aveva fatto con l’Anschluss Fino a quel momento il sentimento del nazionalismo tedesco non aveva destato mai troppe 17

preoccupazioni per la Cecoslovacchia. Il Partito socialdemocratico, il più forte tra i partiti tedeschi, aveva sempre avuto l’intenzione di partecipare alla vita parlamentare, ivi, p. 170.

Ivi, p. 158. 18

Le loro richieste furono riaffermate durante il discorso di Henlein al Congresso dell’SPD che si tenne 19

a Karlovy Vary., si veda P. Wandycz, Il prezzo della libertà. Storia dell’Europa centro-orientale dal medioevo ad oggi, op. cit., p. 312.

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dell’Austria. Francia e Inghilterra consigliarono a Beneš di cedere alle esigenze di Hitler; il presidente, sentendosi “tradito” dalle due potenze straniere che erano pronte a sacrificare gli interessi cecoslovacchi, decise di non accettare la proposta. In data 21 settembre venne emesso un ultimatum per Praga: dopo aver fatto le proprie considerazioni, Beneš si rese conto che accettare la resa fosse la soluzione migliore per il suo paese . 20

I capi di governo di Germania, Francia, Inghilterra e Italia presero parte ad una conferenza a Monaco di Baviera dove Hitler impose il suo Diktat. Il 29 settembre le potenze siglarono gli Accordi di Monaco. Il giorno seguente, il governo di Praga capitolò e il 5 ottobre Beneš si dimise dal suo incarico di Presidente. La Cecoslovacchia perse il 30 percento del suo territorio, un terzo della popolazione, due quinti della capacità industriale e le sue frontiere vennero ampiamente modificate . 21

Il periodo interbellico può esser considerato “un punto di non ritorno per la Repubblica cecoslovacca”. I molteplici sviluppi portati avanti per vent’anni dal paese e l’animo democratico che lo contraddistingueva capitolarono davanti al totalitarismo tedesco . 22

§ 1.2 Gli anni della resistenza

Dopo l’invasione tedesca, sia sul fronte esterno che quello interno si andarono a creare gruppi di resistenza. Figura principe di questo periodo fu quella di Edvard Beneš, che, considerato dalla maggioranza dei Cecoslovacchi come loro unico rappresentante, si era sempre occupato a pieno titolo della gestione della politica estera cecoslovacca.

Il Presidente era convinto che la Cecoslovacchia non sarebbe stata in grado di affrontare l’esercito 20

tedesco da sola. Dopo esser stato “tradito” dalle potenze occidentali, che secondo lui sarebbero dovute intervenire militarmente contro la Germania, Beneš rivolse lo sguardo ad Est. Però se ci fosse stata la possibilità di accettare l’aiuto da parte dell’Unione Sovietica, questo avrebbe significato per il paese entrare nel campo bolscevico. Ecco perché la scelta del Presidente di accettare l’ultimatum, si veda A. Chiribiri, Breve storia dei paesi cechi, op. cit. p. 164.

P. Wandycz, Il prezzo della libertà. Storia dell’Europa centro-orientale dal medioevo a oggi, op. cit., p. 313. 21

A. Chiribiri, Breve storia dei paesi cechi, op. cit., p. 191. 22

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Nel 1939 Beneš decise di rifugiarsi a Londra e qui costituì il suo centro politico; egli riteneva opportuno creare un movimento di liberazione unificato che venisse riconosciuto come governo effettivo. Ma solo dopo la sconfitta della Francia e l’entrata in guerra della Russia, l’Inghilterra decise di riconoscere ufficialmente il governo in esilio, decisione presa anche in seguito da Stati Uniti ed Unione Sovietica. Quasi la totalità delle disposizioni rilevanti furono nelle sue mani: dai rapporti con la resistenza clandestina, ai progetti riguardanti le riforme da attuare in epoca post bellica.

Dopo aver ottenuto il riconoscimento del suo governo, il principale obiettivo della politica di Beneš fu quello di rendere nulli gli Accordi di Monaco. L’intento del Presidente era di convincere gli attori della scena internazionale della continuità politica e giuridica della Cecoslovacchia dal 1938 in poi e di come tutto ciò che era poi stato imposto all’interno del paese era stato illegale e anticostituzionale . La sua politica sarà 23

conosciuta come “Dottrina Beneš” ma solo nel 1942 Gran Bretagna e Francia rinnegarono il Trattato di Monaco.

Per quanto riguarda invece la resistenza interna, sin dal 1939 erano stati costituiti nel paese gruppi clandestini. Gli uomini che li componevano non erano personaggi di spicco della scena politica. Le principali organizzazioni protagoniste della Resistenza furono : la Difesa della nazione (24 Obrana národa- ON); la Centrale politica (Politické ústredí- PU); Noi resteremo fedeli (Petiční vybor Vērni zustaneme- PVVZ); il Comitato centrale della resistenza interna (Ustrední vybor odboje domácího- UVOD), che venne costituito nel 1940 e comprese al suo interno l’ON, il PU e il PVVZ coordinati tra di loro; il Partito comunista cecoslovacco (KSČ).

Beneš credeva nell’unità del movimento di liberazione, per questo motivo consultò sempre i dirigenti dei singoli gruppi prima di ogni qualsiasi decisione dal 1942 in poi. La fiducia al presidente fu sempre mantenuta, bensì i loro programmi differissero su alcuni punti e non si trovassero sempre in accordo con i dirigenti in esilio.

Nello specifico, ciò che derivava dalle richieste di Beneš era che: la Repubblica nata nel 1918 23

continuasse ad esistere, la secessione slovacca del 1939 non avesse effetto e che i territori ceduti alla Germania, all’Ungheria e alla Polonia rimanessero parte del territorio cecoslovacco, ivi, p. 219.

Ivi, pp. 223-224. 24

(18)

La resistenza interna si trovò a dover affrontare notevoli difficoltà. In primis, c’era da decidere quale fosse il miglior modo di agire programmando forme di lotta efficaci. In secondo luogo, lo stesso territorio sul quale esse si trovavano a combattere non era favorevole: posizionati al centro del territorio tedesco, risultava difficile organizzare sabotaggi o scontri armati. Già dopo le prime manifestazioni si susseguirono fucilazioni ed arresti di grande portata. Sebbene i maggiori gruppi venissero decimati, il Comitato centrale della resistenza interna riuscì a perdurare.

Nel 1944 venne stipulato un accordo volto ad unificare le attività militari e politiche dei singoli gruppi. Il “Consiglio dei Tre” (R3) stabilì la collaborazione tra i comunisti, il 25

movimento sindacale illegale (ROH) e il Comitato per la preparazione della rivoluzione nazionale (PNRV). Nello stesso anno Beneš firmò l’alleanza con l’Unione Sovietica, una notizia che agevolò il riavvicinamento tra i partigiani della democrazia e la Resistenza comunista. Ciò che spinse il presidente cecoslovacco a volgere lo sguardo ad est fu la vulnerabilità del suo paese. Geograficamente parlando, dopo aver visto decimare il suo territorio , la Cecoslovacchia necessitava di nuove alleanze per garantirsi una maggior 26

sicurezza.

Con l’arrivo imminente degli Alleati e dell’Armata Rossa i dirigenti dei gruppi, decisero di unirsi sotto un unico Consiglio nazionale ceco (Česká národní rada- CNR) . 27

L’ultima fase della Resistenza interna iniziò però nell’ottobre del 1944: dopo numerosi combattimenti, i reparti ceco-sovietici vennero sconfitti dall’esercito tedesco.

Durante il periodo invernale tra il 1944 e il 1945 gran parte del territorio cecoslovacco era stato invaso dall’Armata Rossa, situazione che provocò la rottura dell’equilibrio politico a favore dei comunisti. Beneš era preoccupato per il futuro del proprio paese e decise quindi di convocare a Mosca una conferenza con l’intento di definire il nuovo governo. Perché venne scelta Mosca? Fu una decisione derivata dalla Il loro programma riteneva impensabile ritornare alla situazione politica del 1938 e contemplava 25

riforme economiche, sociali e una forte alleanza con l’Unione Sovietica, ivi, p. 226.

Si ricordi che, in seguito alla Conferenza di Monaco, territori cecoslovacchi erano stati ceduti alla 26

Germania, si veda R. Fawn, The Czech Republic: a nation of velvet, op. cit., pp. 7-8.

Il Consiglio nasceva dalla volontà di contrapporsi ulteriormente ai dirigenti in esilio, sottolineando 27

come questi ultimi non avessero mai provato sulla propria pelle cosa volesse dire combattere in prima linea con le armi in mano, si veda A. Chiribiri, Breve storia dei paesi cechi, op. cit., p. 227.

(19)

necessità di assicurarsi il consenso e l’aiuto del governo sovietico per rientrare in patria da Londra una scelta che giocava sicuramente a favore dei comunisti. Con una durata di otto giorni, la Conferenza si svolse a Mosca nel marzo del 1945. Il nuovo governo cecoslovacco prese forma nel mese di aprile e annunciò il suo programma, meglio conosciuto come “programma di Košice” . Non erano previsti grandi cambiamenti 28

all’interno della società cecoslovacca; venne deciso di affidare il potere al Fronte Nazionale.

Tornando con lo sguardo rivolto alla resistenza interna, la situazione precipitò nella primavera del 1945. I gruppi partigiani fecero della guerriglia la loro attività principale e ogni loro mossa provocava una reazione nemica: i tedeschi, preoccupati dell’imminente arrivo in Boemia e Moravia dell’Armata Rossa, anche se in ritirata, bruciavano villaggi e massacravano la popolazione.

Dal 5 all’8 maggio la città di Praga fu teatro dell’insurrezione lanciata dalla resistenza ceca, che si concluse con la capitolazione tedesca. La rivolta fu il preludio alla liberazione della capitale dalle forze naziste che avvenne ufficialmente con l’arrivo dell’Armata Rossa il 9 maggio . Nei giorni successivi il governo in esilio di Beneš fece 29

ritorno a Praga.

A differenza del resto d’Europa, in Cecoslovacchia nessun dirigente della resistenza interna ottenne posti rilevanti al governo; venne inoltre congedato il CNR. Lo scenario partitico vide la scomparsa dei partiti di estrema destra provocando così l’incremento dei comunisti. Il primato di questi ultimi venne successivamente confermato durante le elezioni del 1946; essi divennero protagonisti indiscussi della Repubblica con la possibilità di ispirarla ai loro principi . 30

Il nome è dovuto alla città slovacca Košice, luogo dove si recarono Beneš e gli altri partecipanti al 28

termine della Conferenza. Nel programma non si parlava molto di libertà. Dopo aver reso omaggio, inizialmente, sia all’Unione Sovietica che agli Stati Uniti, ci si soffermava sulla politica interna ed esterna. Da un punto di vista interno c’era l’intenzione di creare un’Assemblea nazionale costituente, dal punto di vista esterno invece si auspicava di portare avanti buone relazioni con gli alleati e la necessitò di formare un esercito cecoslovacco, ivi, p. 241.

Più di duemila cechi morirono nei combattimenti, si veda P. Wandycz, Il prezzo della libertà. Storia

29

dell’Europa centro-orientale dal Medioevo ad oggi, op. cit., p. 330.

L’ascesa dei comunisti venne definita “passive revolution”, si veda R. Fawn, The Czech Republic: a

30

(20)

Possiamo concludere affermando che il contesto in cui si ritrovò il paese in seguito alla liberazione fu quello di un precario ritorno alla democrazia, nonostante la situazione interna sembrasse normalizzata.

§ 1.3 La questione dei tedeschi dei Sudeti

Durante il suo governo in esilio, Beneš si era prefissato degli obiettivi da raggiungere e tra questi anche la risoluzione del problema della minoranza tedesca, le cui inclinazioni filo-naziste avevano permesso ad Hitler di distruggere la Cecoslovacchia.

Volgendo per un attimo lo sguardo al passato, ricordiamo che nel 1939 le truppe tedesche avevano invaso la Boemia e la Moravia. Per questi territori Hitler aveva scelto lo status di “protettorato”, ciò garantiva da un lato l’entità territoriale, dall’altro la loro subordinazione agli interessi del Terzo Reich . 31

Dopo esser rientrato in patria, Beneš sostenne che il miglior modo di gestire la situazione fosse quello di ridurre al minimo la presenza numerica dei tedeschi ; questo 32

poteva avvenire cercando di concentrare le minoranze all’interno dei territori di frontiera che successivamente sarebbero stati ceduti alla Germania. Agli occhi degli Alleati il piano di Beneš risultava credibile e avrebbe permesso di ricostituire un’omogeneità etnica sul territorio cecoslovacco come ebbe modo di osservare il Primo Ministro britannico Churchill:

Con la sconfitta del Führer nel 1945 cessò di esistere anche il Protettorato, la cui esistenza viene 31

solitamente divisa in quattro fasi: da marzo a novembre 1939: le due parti cercano di adattarsi alla situazione; da novembre 1939 a settembre 1941: periodo di repressioni nei confronti degli intellettuali cechi; da settembre 1941 a maggio 1942: Heydrich esercitò un potere illimitato; da giugno 1942 a maggio 1945: periodo di terrore per evitare sommosse, si veda, A. Chiribiri, Breve storia dei paesi cechi, op. cit., pp. 206-207.

La popolazione era di 13.9 milioni di persone, di cui 3.1 milioni erano tedeschi, si veda R. Shepard, 32

(21)

“Expulsion is the method which, so far as we have been able to see, will be the most satisfactory and lasting. There will be no mixture of populations to cause endless trouble. […] A clean sweep will be made. I am not alarmed by these large transferences […]” 33

Nel maggio del 1948 venne ufficializzata l’espulsione di circa tre milioni di tedeschi dal territorio cecoslovacco. Fu effettuata una vera e propria “pulizia etnica”; la decisione di Beneš provocò grandi difficoltà che hanno avuto ripercussioni sulle relazioni ceco-tedesche fino ai giorni d’oggi. L’espulsione fu inizialmente considerata come una vendetta per ciò che la popolazione ceca aveva subito nel 1942 . 34

§ 1.4 Post-1948: una società in trasformazione e “vittima” della normalizzazione

Con la fine della seconda guerra mondiale la Cecoslovacchia, insieme ad Ungheria e Polonia, grate a Mosca di esser state liberate dai tedeschi, iniziarono un rapporto di “dipendenza semi-coloniale” con l’Unione Sovietica. Stalin autorizzò diverse concessioni a livello locale: inizialmente le regioni avrebbero vissuto una fase di governi di coalizione per poi evolversi, solo in seguito, in democrazia popolari e infine in regimi socialisti a pieno titolo. A causa dei continui cambiamenti del contesto internazionale, i sovietici si trovarono però costretti a riorganizzare i loro presupposti iniziali. Con la preoccupazione di dover ridimensionare il proprio progetto di espansione verso occidente a causa dell’inizio della Guerra Fredda e delle politiche portate avanti dagli americani, Mosca adottò misure più drastiche al regime cecoslovacco . 35

R. Fawn, The Czech Republic: a nation of velvet, op. cit., p. 11. 33

Nel 1942 i tedeschi reagirono all’assassinio di R. Heydrich per mano dei partigiani cechi bruciando 34

villaggi, uccidendo circa 200 uomini e deportando donne e bambini nei campi di concentramento, R. Shepard, Czechoslovakia: the velvet revolution and beyond, op. cit., pp. 16-17.

P. Wandycz, Il prezzo della libertà. Satira dell’Europa centro-orientale dal medioevo ad oggi, op. cit., pp. 35

(22)

Il potere si concentrò presto nelle mani dei comunisti . Rispetto ai partiti di 36

sinistra di altri paesi, il KSČ cecoslovacco, costituitosi in seguito ad un scissione del Partito socialdemocratico, era sempre stato un partito legale con numerosi seguaci. La sua crescita dopo la guerra fu di rilevante importanza: nel 1947 venne superato il milione di iscritti . 37

Le elezioni del 1948 furono caratterizzate da un alto livello di tensione, la preoccupazione del partito comunista era quella di non riuscire a riottenere la maggioranza raggiunta negli anni precedenti. I timori dei comunisti si fecero da parte quando questi approfittarono di una crisi governativa trasformandola in una prova di forza. Difatti nel febbraio 1948 i comunisti assunsero il potere in seguito ad un coup d’etat38. Beneš si trovò costretto ad accettare le richieste di Klement Gottwald, nominando un nuovo governo costituito da rappresentanti del Partito Comunista (PCT) e da altri partiti di sinistra, il cui obiettivo principale era quello di adottare il modello “stalinista” sia nel sistema economico che nel sistema politico del paese. La trasformazione che il Partito Comunista aveva intenzione di mettere in atto si presentò in un primo momento come un processo di modernizzazione . 39

Gli stati principali della scena internazionale rimasero sconcertati di fronte agli ultimi avvenimenti cecoslovacchi. Gli Stati Uniti avevano inizialmente accettato l’espansione dell’influenza sovietica nella regione centro-orientale dell’Europa, a patto che questa mantenesse un’apertura alla circolazione di idee e alle vie del commercio. Ciò Il mandato conquistato alle elezioni dai comunisti fu uno dei più forti mai vissuti dall’estrema sinistra. 36

La democrazia era ritenuta ormai morta, i non-comunisti infatti verranno esclusi dal potere per quarant’anni, si veda R. Shepard, Czechoslovakia: the velvet revolution and beyond, op. cit., pp. 22-23.

Una crescita che continuerà negli anni avvenire permettendo al partito di aggiungere i 2,3 milioni di 37

aderenti nella primavera del 1949. Il Ksč cecoslovacco era considerato il più grande Partito comunista del mondo, si veda A. Chiribiri, Breve storia dei paesi cechi, op. cit., p. 254.

In segno di protesta, i rappresentanti del Partito Socialista Nazionale, del Partito Popolare Cattolico e 38

del Partito Democratico Slovacco presentarono le dimissioni sperando di indurre Beneš ad elezioni anticipate. Purtroppo non ottennero i risultati sperati, ritrovandosi invece auto-esclusi dal governo. Gli storici parlano di un “colpo di stato dal basso” in quanto la legalità venne rispettata a pieno, si veda A. Di Gregorio, Repubblica Ceca, Bologna, Il Mulino, 2008, p. 25.

L’idea di progresso era indicata dall’eliminazione della povertà e dell’analfabetismo, dall’imposizione 39

alla società dei valori dell’eguaglianza e di democratizzazione e da un’industrializzazione spinta all’estremo, si veda P. Wandycz, Il prezzo della libertà. Storia dell’Europa centro-orientale dal medioevo ad oggi, op. cit., p. 333.

(23)

che invece stava accadendo era inaccettabile, l’integrità della democrazia era minata dalla determinazione comunista e così il presidente Eisenhower formulò la “dottrina della liberazione” . 40

Nel giugno 1948 Beneš si dimise dopo aver rifiutato l’approvazione della Nuova Costituzione adottata dall’Assemblea Costituente; al suo posto venne eletto presidente Klement Gottwald che nominò a sua volta presidente del consiglio Zápotocky.

Furono allora poste le basi per uno stato fondato su di un’unica ideologia dominante, si assicurò il controllo della sicurezza da parte della polizia, venne previsto l’arresto degli oppositori e venne consolidata un’economia nazionalizzata , le 41

organizzazioni indipendenti furono sciolte e sostituite da strutture ufficiali del comunismo; fu introdotta la censura ed iniziò la persecuzione religiosa . 42

Il regime comunista presentava una struttura ben organizzata in diverse categorie che permetteva maggiore controllo ed ordine; unità e coesione diventarono le parole chiave. Nessuna opposizione interna riuscì a costituirsi, forse anche perché ogni forma di dissenso veniva subito sanzionato . Risultò vano anche il tentativo di costituire un 43

Consiglio cecoslovacco all’estero a causa delle molteplici divisioni interne. Il senso di legalità e lo stato di diritto vennero distrutti completamente dalla dittatura; la situazione, soprattutto l’utilizzo delle purghe politiche, era ormai fuori controllo . A livello 44

internazionale, il paese si ritrovò isolato e culturalmente impoverito nel tentativo di “imitare” l’Unione Sovietica sia negli affari internazionali sia nelle questioni interne.

Nel 1953 Gottwald morì e fu eletto Presidente Antonin Zápotocky, mentre le redini del partito furono affidate ad Antonin Novotny; il controllo dello stato rimase dunque L’intento era quello di alimentare il sentimento di libertà all’interno delle nazioni oppresse al fine di 40

demonetizzare il sistema di controllo sovietico, ivi, p. 349.

R. Shepard, Czechoslovakia: the velvet revolution and beyond, op. cit., p. 23. 41

R. Fawn, The Czech Republic: a nation of velvet, op. cit., p. 14. 42

Centinaia di politici furono giustiziati e migliaia di cittadini vennero accusati e puniti con l’arrestato o 43

con i lavori forzati. Ancora oggi, monumenti in molte città del paese commemorano le vittime di quel periodo, ibidem.

Si parla di una vera caccia alle streghe il cui intento era individuare i “trotskisti”, i nazionalisti 44

borghesi slovacchi, i sionisti, i nemici di classe e le spie. Nel 1952 si tenne un processo di massa, si veda P. Wandycz, Il prezzo della libertà. Storia dell’Europa centro-orientale dal medioevo ad oggi, op. cit., pp. 352-353.

(24)

nelle mani di vecchi militanti. Purtroppo entrambi non erano grandi personalità politiche e a causa della loro mediocrità il paese non riuscì a raggiungere lo stesso sviluppo positivo di Ungheria e Polonia negli anni avvenire.

Nello stesso anno venne a mancare anche Stalin, la cui morte suscitò una “crisi di successione” e un senso di attesa e di speranza a livello globale. Durante il XX 45

Congresso del Partito Comunista dell’URSS nel 1956, Nikita Chruščev criticò e denunciò il culto della personalità e i crimini di Stalin. Il suo discorso non ebbe effetti rilevanti e immediati sulla politica cecoslovacca; il paese proseguì la sua strada sotto il regime comunista , procedendo con lentezza verso la via della destalinizzazione. 46

Una nuova Costituzione fu approvata nel 1960 . Al suo interno si parlava della 47

Cecoslovacchia come di una Repubblica Socialista (Čssr) : la trasformazione attuata dai 48

comunisti era compiuta.

§ 1.4.1 La “Primavera di Praga”

Sebbene il tenore di vita dei cittadini fosse migliorato, la tensioni all’interno della società cecoslovacca con il passare degli anni aumentarono. L’opinione pubblica accusava il governo di aver messo in atto solo meri “ritocchi” della società e non le riforme necessarie. Secondo la campagna portata avanti da avvocati, scrittori e giornalisti era opportuno distaccarsi il più possibile dal “passato di terrore” derivato dai processi arbitrari che avevano caratterizzato gli anni Cinquanta.

Ibidem. 45

In questo periodo la Cecoslovacchia stava vivendo una situazione economica favorevole, grazie 46

all’incremento del commercio straniero. Solo più tardi le inefficienze delle politiche economiche comuniste iniziarono a farsi sempre più rilevanti, si veda R. Shepard, Czechoslovakia: the velvet revolution and beyond, op. cit., pp. 24-25.

Il cambiamento del nome era giustificato dal pieno raggiungimento delle “basi del socialismo”. 47

Inoltre, per la prima volta, un testo costituzionale prevedeva un articolo che riconosceva il ruolo dirigente del Partito comunista alla testa della società, si veda A. Chiribiri, Breve storia dei paesi cechi, op. cit., p. 258.

Da ricordare che la Cecoslovacchia fu il primo paese, dopo l’Unione Sovietica, ad essere definito 48

(25)

Nel gennaio 1968 Dubček, uomo giovane, ma con alle spalle anni di pratica nell’apparato del partito e aperto a idee riformiste, divenne Primo Segretario. Qualche mese dopo Novotny si dimise dal suo incarico di Presidente della Repubblica cedendo il posto a Ludvik Svodoba. Il nuovo governo contava al suo interno molti giovani riformisti affiancati da comunisti di lunga data; questi insieme portarono avanti un “socialismo dal volto umano”, un tentativo di proporre nuove riforme senza però rinunciare alle basi ideologiche . Gli animi dei cittadini si colmarono di entusiasmo: fino 49

a quel momento non credevano possibile poter parlare di vere e proprie riforme , le 50

quali vennero codificate all’interno dell’Action Programme51. Durante la “Primavera di Praga” si andarono a costituire organizzazioni giovanili e l’opinione pubblica giocò un ruolo fondamentale; i dibattiti politici e le attività promosse dalla Chiesa permisero alla società civile di rinascere pian piano. Purtroppo l’entusiasmo e i cambiamenti apportati nel paese non ebbero riscontro negli altri paesi vicini del blocco comunista; la Cecoslovacchia si ritrovò, come già accaduto in passato, in una condizione di isolamento.

Agli occhi dell’Unione Sovietica e degli altri “paesi fratelli” le riforme portate avanti dalla Cecoslovacchia risultavano drastiche ed inaccettabili a tal punto da apparire rivoluzionarie . Preoccupati dell’indebolimento del partito, gli esponenti del Patto di 52

Le riforme avrebbero interessato ogni campo (economico, politico e culturale) permettendo la 49

liberalizzazione della vita della società, si veda A. Chiribiri, Breve storia dei paesi cechi, op. cit., p. 260. Tra le riforme possiamo ricordare la modifica della legge elettorale, la rivalutazione del ruolo 50

dell’Assemblea nazionale, l’abolizione della censura, la riabilitazione degli epurati del periodo precedente, il pluralismo, si veda A. Di Gregorio, Repubblica Ceca, op. cit., p. 27.

Come possiamo leggere all’interno dell’Action Programme, la realizzazione del socialismo ebbe 51

conseguenze dannose per il paese: “Socialist democracy was not expanded in time, metodo of revolutionary dictatorship deteriorated into bureaucracy and became an impediment to progress in all sphares of life in Czechoslovakia”, si veda R Fawn, The Czech Republic: a nation of velvet, op. cit., p. 20.

Ciò che preoccupò i dirigenti della Germania orientale, della Polonia e dell’Unione Sovietica fu la 52

dichiarazione delle “duemila parole”: questa venne pubblicata nel mese di giugno dagli intellettuali e venne interpretata come un azione dal basso volta a minacciare la dirigenza del partito, si veda P. Wandycz, Il Prezzo della libertà. Storia dell’Europa centro-orientale dal medioevo ad oggi, op. cit., p. 362.

(26)

Varsavia, appoggiarono la cosiddetta “dottrina Breznev”, fondata sulla necessità e il dovere di intervenire in difesa del socialismo negli affari interni dei paesi socialisti . 53

Dubček fu molto cauto nel portare avanti la sua politica, non era intenzione del suo governo porre la parola fine al monopolio detenuto dal Ksč. Infatti non avrebbero mai pensato che le riforme da loro proposte potessero esser considerate come una “controrivoluzione” . Ciò che realmente veniva chiesto era una maggiore 54

democratizzazione. Come ha scritto R. Shepard:

“A more profound democracy and greater measure of civic freedoms will help socialism prove its superiority over limited bourgeois democracy and make it an attractive example for progressive movements even in industrially advanced countries with democratic traditions” 55

Nonostante ciò, continuarono le sollecitazioni nei confronti del governo praghese affinché ponesse fine al suo corso riformista. Di fronte al suo rifiuto, nella notte tra il 20 e il 21 agosto la Cecoslovacchia venne invasa dalle truppe militari dei paesi del Patto di Varsavia; Dubček e il suo entourage furono portati in Unione Sovietica. Vennero organizzate manifestazioni e scioperi e l’invasione fu denunciata come una violazione delle regole del diritto internazionale, in quanto avvenuta all’insaputa dei rappresentanti del paese. I leader della riforma cecoslovacca furono costretti a firmare il Protocollo di Mosca il 26 agosto e si andarono così a placare definitivamente gli animi della 56

“primavera di Praga”.

Alcuni stati del blocco, quali URSS, Polonia, Ungheria, Bulgaria e Germania dell’Est, temevano che la 53

via riformatrice avviata in Cecoslovacchia fosse pericolosa e fuori controllo. Sostenevano inoltre che non ci fosse alcun bisogno di modificare il vigente sistema sociale, si veda A. Chiribiri, Breve storia dei paesi cechi, op. cit., pp. 260-261.

Per il governo di Dubček le riforme non andavano intese come un rifiuto del pensiero socialista, 54

bensì come riforme inserite all’interno di esso, si veda R. Fawn, The Czech Republic: a nation of velvet, op. cit., p. 21.

R. Shepard, Czechoslovakia: the velvet revolution and beyond, op. cit., p. 27. 55

Furono sia accettate le condizioni di Breznev che la presenza (senza limiti di tempo) dell’esercito 56

sovietico sul territorio cecoslovacco, si veda A. Chiribiri, Breve storia dei Paesi Cechi, op. cit., pp. 261-262.

(27)

§ 1.4.2 Il periodo della normalizzazione

Nell’aprile 1969 Dubček si dimise dalla sua carica, dopo di che si aprirono le porte a un successivo ventennio di “normalizzazione” . Gustav Husák fu suo successore; agli 57

occhi dei sovietici egli era un leader di riferimento nel tentativo di riportare la situazione del paese sotto controllo. In questi anni tutte le riforme sopracitate sembravano esser congelate, come del resto tutta la società. Un’intera generazione verrà segnata dalle misure repressive e dalle epurazioni di massa messe in atto durante il regime di Husák. Nel paese aleggiava un sentimento di stanchezza e delusione; al riguardo, riporto qui di seguito le parole di Garton Ash:

“Il partito è solo più un’associazione di autoproduzione […]. La politica del paese è congelata nell’immobilità, un inverno di quindici anni è seguito alla Primavera di Praga […]. Nessun impulso di riforma proviene dall’apparato epurato, rannicchiato e corrotto. I leader di partito più giovani sono critici in modo devastante, ma cinicamente e solo in privato, mentre la maggioranza dei cechi non si rivolge al partito per nulla […]. Non mi è mai capitato di andare in un paese dove la politica e l’intera vita pubblica siano oggetto di tale, suprema indifferenza” 58

I cittadini vivevano la loro vita con passività e chi di loro non riusciva a sottostare alle dure condizioni di vita optava per l’emigrazione . Con l’imposizione di questo 59

sistema totalitario restrittivo fu chiaro che gli stati dell’Europa dell’Est non erano altro che colonie dell’impero Sovietico; ogni cambiamento interno al paese era strettamente collegato ai cambiamenti apportati da Mosca.

L’unica riforma della “primavera di Praga” sopravvissuta fu quella riguardante la creazione di una federazione, un’idea che sin dal 1948 era sempre rimasta nell’ombra. Nel maggio 1968 venne richiesto di preparare una bozza di legge che prevedesse il riconoscimento di due stati semi-indipendenti: la Repubblica Ceca e la Repubblica

Il programma venne discusso e approvato dal Comitato centrale nel 1970. Le giustificazioni 57

ideologiche dell’invasione sovietica e della normalizzazione in corso trovarono spazio nelle circa 1500 pagine di cui era composto il programma, ivi, pp. 264-265.

Ibidem. 58

Si conta che circa 750.000 persone decisero di lasciare il paese, ivi, p. 269. 59

(28)

Slovacca. La federazione si sarebbe occupata di gestire la politica estera e di difesa . La 60

legge dell’ottobre 1968 riformava il paese in uno stato federale, caratterizzato da un federalismo di stampo socialista con una forte centralizzazione a opera del partito. Con la legge costituzionale n. 143/1968 si ufficializzava la presenza di due entità nazionali uguali nei diritti, che mantenevano un rapporto di cooperazione con la federazione . 61

Venne stabilita la presenza di due governi, di un parlamento bicamerale federale e di una corte costituzionale; la legittimità della Cecoslovacchia derivava dal diritto all’autodeterminazione delle singole nazioni e dal loro intento di voler convivere in un unico stato. Negli anni avvenire, le correzioni apportate alla Costituzione del 1960 sopra citate, furono neutralizzate.

Negli anni ’70 gli oppositori crearono un movimento informale civico, denominato “Carta 77”. Il gruppo era composto principalmente da artisti e intellettuali riuniti intorno alle figure del filosofo Jan Patočka e dello scrittore Vaclav Havel; dopo la Conferenza di Helsinki e l’omonimo accordo del 1975, il loro principale impegno divenne la richiesta al governo di rispettare gli impegni presi dai rappresentanti cecoslovacchi in tale occasione soprattuto nel campo dei diritti umani.

.

Il processo di federalizzazione fu vissuto dall’opinione pubblica ceca come una necessità storica e 60

non come una vittoria, si veda A. Innes, Czechoslovakia: the short goodbye, op. cit., pp. 27-29.

Quella che si creò alla fine del processo, fu solo una federazione formale e non basata su entità e 61

istituzioni federate, si veda A. Di Gregorio, Il ventennale dello scioglimento pacifico della Federazione ceco-slovacca. Profili storico-politici, costituzionali, internazionali, op. cit., p. 46.

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