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Capitolo 1. L’analisi della redditività dei clienti: un
inquadramento teorico.
1.1 L’analisi della redditività dei clienti: introduzione.
La necessità di sviluppare un sistema di contabilità a livello di cliente nasce per la prima volta intorno agli anni ’60, ma solo dopo venti anni ci sarà un forte interesse nei confronti di tale tipo di contabilità1. La crescente incidenza delle spese di marketing, vendita, amministrazione e generali ha aumentato l’interesse ed accelerato la necessità di conoscere le modalità di consumo di tali risorse, sia con riferimento all’oggetto di costo che alle tecniche di calcolo dei costi. Per quanto riguarda il primo aspetto, si tratta di approfondire dimensioni diverse rispetto al prodotto, spostando l’attenzione su come i costi insorgano a livello di ordine, singolo cliente o gruppi di clientela (ed è qui che nasce con il termine anglosassone la Customer Profitability Analysis, da qui in avanti CPA), canale distributivo, mercato, fino ad arrivare a livello di business unit. Sotto il secondo aspetto, si tratta di applicare tecniche di cost accounting più elaborate rispetto a quelle impiegate tradizionalmente dalle imprese in anni passati, come il full
costing e il direct costing2. Il primo, infatti, assegna al cliente anche una quota di costi indiretti di produzione ed eventualmente di spese commerciali, amministrative e generali in base a parametri volumetrici; il secondo, invece, imputa al cliente soltanto costi variabili (produttivi, commerciali e logistici) ed
1
Silvi et al. , 2011: pp. 254-256.
2 Non si è voluto inserire nella trattazione l’opzione del costo medio, proprio per il semplice fatto che la
significatività dei costi orientati al cliente non sta nel loro valore medio che, per caratteristiche statistiche tende a livellare le differenze, ma proprio nel modo in cui variano a seconda del cliente, dell’ordine, ecc privilegiando, al contrario, la messa in evidenza delle differenze tra un cliente e un altro.
5 eventualmente dei costi fissi diretti. Nella prassi, i metodi di tipo direct costing o
full costing tradizionale hanno trovato senz’altro grande applicazione. I moderni
sistemi informativi dell’Information and Communication Technology (fattore che, ricordiamo, con il suo continuo ed esponenziale sviluppo, ha contribuito all’alimentazione della turbolenza nel mercato nelle ultime decadi) gestiscono senza difficoltà l’assegnazione ai clienti di costi diretti (sconti, provvigioni, trasporti, costi variabili di produzione) o di quote di costi indiretti secondo metodi di allocazione convenzionale. Tali approcci, pur presentando il vantaggio della semplicità di rilevazione, non sono però in grado di fornire al management adeguate informazioni circa la modalità con la quale i clienti consumano le risorse dell’impresa. La sola considerazione dei costi diretti o l’assegnazione al cliente del costo del venduto determinato tramite la metodologia del direct
costing, lascia completamente irrisolta la questione dell’assegnazione di quei
costi che abbiamo detto essere sempre più rilevanti in termini di intensità: acquisizione, gestione e mantenimento della relazione con il cliente. Allo stesso modo, sistemi di tipo full costing che assegnano al cliente costi commerciali, amministrativi e generali in funzione del fatturato o in egual misura a tutti i clienti non tengono in considerazione il fatto che il consumo di tali risorse sia differenziato in funzione delle caratteristiche del cliente servito o che, se differenziato, non sia comunque esclusivamente collegato al diverso ammontare di acquisto, incorrendo nell’errore del sovvenzionamento incrociato tra clienti (il cliente realmente più redditizio vede, “nei numeri”, cedere parte della sua profittabilità al cliente con redditività minore se non negativa). Un discorso simile può essere fatto con riguardo alla gestione dei costi delle attività connesse alla gestione del cliente, che richiede valutazioni relative al livello di capacità inutilizzata, se tale livello risultasse elevato e ai clienti venissero allocati i costi complessivi e non solo quelli relativi alla capacità utilizzata, il rischio si concretizzerebbe, come sopra richiamato, nell’evidenziare marginalità ridotte o in diminuzione ed in ogni caso non veritiere. Il principio di base della CPA risulta, quindi, essere quello di cercare di attribuire tutti i costi specifici ai singoli clienti; un supporto logico valido può essere quello dell’impiego del “principio
6 dell’evitabilità”, secondo il quale ci si domanda: “Quali costi eviterei se non lavorassi con quel cliente?”. L’impiego di tale principio è vantaggioso in quanto molti costi del servizio ai clienti vengono in effetti ripartiti tra parecchi o molti acquirenti (un esempio può essere quello del magazzino: a meno che il fornitore potesse cedere lo spazio d’immagazzinamento per altri scopi, sarebbe sicuramente scorretto imputare in percentuale i costi complessivi di magazzino ai vari clienti).
La problematica, di non poco conto, relativamente al calcolo dei costi indiretti, è affrontabile attraverso l’impiego di un sistema di contabilità basato sulle attività che vengono svolte per un cliente, o un gruppo di clienti, ovvero attraverso l’Activity Based Costing (da qui in avanti indicato con l’acronimo ABC). La logica di fondo di tale sistema di calcolo dei costi verte sulla quantificazione delle risorse consumate da un’attività svolta per un cliente; ciò che causa l’insorgere di un costo viene denominato activity driver, nel caso si parli di un’attività compiuta per un cliente, o resource driver, se stiamo calcolando il consumo di risorse da parte dell’attività in questione3. In altre parole, con tale strumento è possibile quantificare in maniera corretta il contributo che ogni attività fornisce al consumo delle risorse e quindi calcolarne il costo, non solo, con l’ABC le aziende possono esaminare l’informazione relativa alla redditività del cliente e determinare le modalità di gestione della relazione con esso al fine di aumentare sia la profittabilità sia la soddisfazione del cliente stesso; per avere una visione d’insieme si veda quanto schematizzato in Fig. 1.
Fig. 1 Logica risorse – attività – oggetto di costo finale.
3
Ju-fang e Kun-yuan, 2008.
Risorse Attività Cliente
risorse
driver attività driver
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Fonte: Adattamento da Ju-fang e Kun-yuan, 2008.
La logica di fondo sottostante l’esigenza di misurare i costi, quindi la redditività a livello di cliente, risiede nel fatto che la vendita dello stesso prodotto può generare profili di redditività differenti in funzione del comportamento del cliente (o delle categorie di cliente a cui questo viene venduto) ed in base alle caratteristiche di quest’ultimo. Infatti, anche il solo semplice diverso comportamento d’acquisto può comportare un diverso grado di assorbimento delle risorse. Per esempio, clienti che ordinano una volta al mese in grandi quantità di un determinato prodotto e clienti che invece acquistano piccole quantità più volte nella stessa settimana, richiedono un diverso livello di utilizzo delle attività di inserimento ordini, piuttosto che di spedizione materiali o fatturazione (ma anche la capacità di prevedere l’ordine o la modalità con la quale viene ricevuto, ad esempio tramite internet o via telefono può rendere, ad esempio, più efficiente lo svolgimento di tale attività oppure renderla più lenta, consumando le stesse risorse per più tempo, quindi facendo lievitare il costo dell’attività). Lo stesso ragionamento può essere fatto per le altre attività connesse con l’acquisizione del cliente e degli ordini, come per le visite a clienti, l’attività di contrattazione, quella di marketing sul cliente, per quelle relative al servizio post vendita o alla fatturazione e all’incasso dei crediti.
L’analisi della redditività del cliente può essere, quindi, definita come quel metodo di analisi, con oggetto di costo finale il cliente, che permette di capire, dopo il calcolo e l’attribuzione di costi e ricavi (nella logica activity based) di competenza del cliente o del gruppo di clienti, non tanto se un cliente è più o meno “profittevole” rispetto ad un altro, ma da cosa dipende la maggiore o minore profittabilità di uno rispetto ad un altro4; in altre parole, come differenti clienti, presi singolarmente o in gruppo, contribuiscono alla profittabilità, in termini di quante risorse dell’impresa, consumano, per contribuire alla redditività di essa. Ciò che è importante è vedere quante risorse vengono consumate da ciascun cliente in relazione all’entrata che egli porterà in azienda in termini di
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8 fatturato, la comparazione tra questi due aggregati evidenzierà la profittabilità di ciascun cliente.
È possibile, però, che un comportamento di un cliente, o le caratteristiche di questi, che generino elevati costi per l’azienda, siano, dal punto di vista di quest’ultimo, dei fattori che, in termini di valore, hanno portato a scegliere di instaurare una relazione proprio con l’azienda in questione o che, in generale, hanno portato il cliente a scegliere quel sistema prodotto. In questi casi, prendere la decisione di abbandonare il cliente “oneroso”, sulla sola base di un’analisi che identifica il profilo reddituale di questi, può determinare un errore catastrofico o che comunque è stato compiuto in una modalità di ragionamento grossolana e superficiale. È quindi importante collocare la valutazione sui costi di gestione del cliente nell’ambito del più ampio sistema di offerta dell’impresa, tenendo conto anche degli attributi che hanno valore per il cliente e che sono il motivo per il quale egli si serve da una specifica azienda e non dai suoi competitors.
La scelta di fornire una più attenta ed efficace comprensione dei costi di supporto al cliente, raggiungibile unicamente attraverso le logiche dei sistemi activity based, infatti i Conti Economici che utilizzano sistemi di costing tradizionali non evidenziano tutte le voci di costo di tipo indiretto poiché spesso sono ricomprese in macro-aggregati (come “spese generali), senza evidenziare oltretutto la particolare voce sulla quale un cliente può impattare in modo considerevole. Predisporre un Conto Economico per cliente (Fig. 2) può risultare utile per l’esplicitazione dei costi del servizio al cliente, non solo, tale strumento può avere un valore aggiunto informativo per la comprensione delle ragioni di un’ elevata incidenza di questa o quella categoria, costituendo così un punto di partenza importante per la gestione di tali costi e per individuare possibili azioni di miglioramento.
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Fig. 2 Conti economici per cliente a confronto: un esempio5.
Conto Economico per cliente - Ottica Tradizionale
Conto Economico per cliente - Ottica Activity Based
Cliente A Cliente B
Fatturato netto € 100000 Fatturato netto € 100000 Costo del venduto € 82000 Costo del venduto € 82000
Sconti € 900 Sconti € 900
Trasporti € 4800 Trasporti € 4800
Provvigioni ad agenti € 1200 Provvigioni ad agenti € 1200
Margine € 11100 Margine € 11100 Margine % 11,10% Margine % 11,10% Ricezione e immissione ordini € 800 Raccolta e imballaggio € 1100 Caricamento vettore € 200 Consegna € 450 Commercializzazione € 650 Attività promozionali € 1400 Solleciti pagamento € 200 Servizi post-vendita € 500 Marketing Cliente € 700 Listini € 50 Partecipazione a fiere € 250
Costo totale gestione
cliente € 6300
RO cliente € 4800
RO % 5% Il risultato di tale calcolo porta al configurarsi di diversi profili di redditività che, forniscono una “classifica” (Fig. 3) dei clienti in ordine decrescente di redditività, misurata dal valore del Reddito Operativo risultante dal calcolo tramite il sistema ABC implementato. È evidente che ogni realtà aziendale collocherà nei calcoli specifiche voci di costo che atterranno all’ambiente competitivo in cui operano, ciò a conferma della flessibilità degli strumenti utilizzati in relazione al fine ultime che si vuole andare ad indagare. L’utilizzo di un qualsiasi strumento teso a identificare la profittabilità del cliente, sarà configurato e calibrato a seconda
5 Cfr. Silvi R., Bartolini M., Raffoni A. e Visani F. (2011), “Costi e vantaggio competitivo”: pp. 256.
Esempi di voci di costo, delle quali i sistemi di costing tradizionali, non tengono conto
10 delle attività che possono essere la fonte del vantaggio competitivo oppure possono essere inserite per motivi di controllo dell’efficienza interna, ecc.
Fig. 3 Redditi Operativi in ordine decrescente
Una volta cumulati, per numero di clienti in ordine decrescente, sull’asse delle x di un grafico cartesiano, portano alla nota “80:20 rule” di Pareto (Fig. 4), secondo la quale il 20% dell’intero portafoglio clienti rappresenta l’80% della profittabilità dell’impresa. -100 -50 0 50 100 150 200 250 300 a b c d e f g h i l m n o p q r s t u v
Reddito operativo
Reddito operativo11
Fig. 4 Curva delle percentuali cumulate del Reddito Operativo
Ma allora perché le aziende non si limitano a servire percentuali di clienti inferiori, interfacciandosi, così, soltanto con i più profittevoli? La risposta a tale interrogativo la possiamo trovare, parzialmente, in Kaplan (1992)6, secondo il quale ci sono tre tipologie di clienti che possono presentare bassi profili di profittabilità ma che devono essere mantenuti nel portafoglio clienti di un’impresa per i seguenti motivi:
1. Clienti nuovi e con potenzialità di crescita considerevoli, che possono garantire un business redditivo nel futuro e/o che possono favorire accessi in mercati nei quali, altrimenti, la penetrazione sarebbe più difficoltosa; 2. Clienti che garantiscono benefici più qualitativi che finanziari, perché si
ritiene che abbiano progetti innovativi e stimolanti per nuovi business e/o mercati;
3. Clienti che forniscono un’elevata credibilità, per il semplice motivo di essere leaders nei loro mercati e/o esperti nel loro campo.
Per valutazioni di tipo prospettico devono essere utilizzati altri strumenti di costing (che saranno analizzati nel proseguo della trattazione) che permettano di 6 Cfr. Smith, 2005: pp. 90. 0,0% 20,0% 40,0% 60,0% 80,0% 100,0% 120,0% 140,0% 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20
% Cumulata di RO
% Cumulata di RO12 evidenziare quale sia il profilo di redditività futuro del cliente, poiché la CPA è uno strumento capace di catturare con estrema chiarezza le dinamiche svoltesi nel passato per quanto concerne la relazione con il cliente o le poche transazioni con essi avvenute, ma se utilizzata in ottica retrospettiva non è una tecnica adatta per stabilire in ottica di lungo periodo quale sarà il profilo di redditività del cliente.
1.2 Finalità e potenziale informativo della Customer Profitability
Analysis
I benefici informativi direttamente attribuibili alla CPA prendono in considerazione molte aree della gestione dei costi di un’azienda, segnando delle vere e proprie nuove opportunità di conoscenza dei motivi che hanno portato un cliente a consumare particolari risorse, in certe modalità, con una determinata frequenza. Tali “Management areas”, dal valore aggiunto informativo in ottica cliente, sono riconducibili a7:
1. La gestione dei costi, relativa all’incremento dell’efficienza delle attività e del valore prodotto per il cliente (Cost Management);
2. La gestione delle entrate (Revenue Management);
3. La gestione del marketing in ottica strategica (Strategic Marketing
Management);
4. La gestione del rischio (Risk Management).
Per quanto riguarda il primo punto, la CPA, vista come un’applicazione specifica dell’ABC (e di tutti quei sistemi ibridi di costing che comprendono tale metodologia di calcolo dei costi), rivela quale sia il consumo di risorse da parte di un particolare cliente; a questo punto una comparazione tra clienti differenti in
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13 relazione al consumo di risorse di una medesima attività può farci capire, innanzitutto, che un determinato cliente consuma più degli altri tali risorse in riferimento a quell’attività ed inoltre, ciò può dare l’input al management di andare a scoprire il motivo di tale consumo eccedente rispetto agli altri clienti (simili per caratteristiche e/o comportamento, altrimenti si andrebbe contro gli stessi principi logici del benchmarking) presi a confronto. Non solo, il contributo della CPA alla gestione dei costi è conducibile anche attraverso l’evidenziazione di quali siano le attività a valore aggiunto (VA) e quelle a non valore aggiunto (NVA), questo perché le risorse che vengono consumate non sono tutte uguali, esse hanno un peso differente proprio come i clienti i quali ne usufruiscono. Un cliente scarsamente profittevole e importante a livello strategico che consuma in maniera maggiore risorse di attività ad alto VA a scapito di un cliente altamente profittevole e strategico, è un campanello d’allarme importante in termini di coerenza. Anche in questi casi il management dovrà ristabilire un consumo delle risorse coerente in base al profilo sia valoriale che reddituale del cliente.
Per quanto concerne il secondo punto, la gestione dei ricavi generati dal cliente, la CPA stabilisce una base per le informazioni corrette in ottica di prezzatura, fruizione di bonus e sconti ai clienti. L’importanza di tale tematica è da riscontrarsi nella “Cascata del Prezzo” (Price Waterfall, Fig. 1) che ci permette di capire tutti passaggi che intercorrono dal “Prezzo di listino” al “Pocket Price” (o Prezzo vivo) finale. Il modo più rapido ed efficace per un’azienda di raggiungere la profittabilità ottimale consta nel determinare il “giusto” prezzo (funzione tra le più importanti per il management). Pertanto sono stati sviluppati dei modelli di pricing legati alle attività necessarie per servire il cliente; questi modelli sono il
Menu-based Pricing o l’ Activity Based Pricing (ABP)8. Il primo, è basato sul
cost-to-serve calcolato secondo i principi di costing dell’ ABC, il secondo,
invece, migliora la comprensione del nesso tra clienti e fornitori con la potenzialità di far aumentare la profittabilità per entrambi lungo la Supply chain. Dividendo su tre livelli la gestione degli elementi caratterizzanti il prezzo,
8
14 possiamo ottenere il livello di: operazione (l’elemento critico sarà la gestione del prezzo ricaricato su ogni operazione: quali incentivi, bonus, termini e sconti applicare), quantità e cliente. In linea teorica, gli sconti e gli abbuoni, che influenzano il prezzo a livello di singola transazione con il cliente ed a quest’ultimo concessi, fanno parte delle cosiddette “politiche commerciali” (trade terms). La logica di fondo sottostante a questa divisione su più livelli relativamente ai trade terms consta nel fatto che le aziende che gestiscono le proprie politiche commerciali in maniera ottimale, sono quelle che, empiricamente, lo fanno combinando la CPA a tali politiche commerciali. In altre parole, il managament di un’azienda, per migliorare la profittabilità di quest’ultima, dovrà leggere le transazioni che avvengono quotidianamente con i clienti, attraverso la lente d’ingrandimento della CPA.
Anche in per l’area commerciale, quindi, si abbandona il parametro volumetrico del quantitativo di ordini per abbracciare quello relativo alla redditività del cliente e della profittabilità della relazione con questi intessuta. Poiché alcuni ordini costano più di altri, perché ad esempio richiedono quantitativamente più attività per via dei prodotti oggetto dell’ordine (qualora sia una merce pericolosa da trasportare si spenderà più tempo in fasi di predisposizione della documentazione) o per via del cliente che ha fatto l’ordine (ad esempio se questi ha uno storico di pagamenti che lo vede insolvente più di una volta, in questo caso necessiterebbe di un controllo sull’affidabilità creditizia in caso di dilazioni di pagamento) permettendo all’azienda di stabilire con cura prezzi diversi che riflettano tale differenza, fornisce delle linee guida per la concessione di sconti sulla merce ordinata sganciate dal volume di prodotti ordinato. Le imprese dovrebbero analizzare la profittabilità a livello di singola transazione, andando a vedere non il profilo del cliente coinvolto nella transazione ma alla transazione stessa che ogni cliente completa con l’azienda; non solo, per avere una visione corretta dell’operazione, le aziende dovrebbero esaminare la profittabilità della transazione basandosi sul Pocket Price. Quest’ultimo si riferisce al margine lasciato in azienda dopo tutti i costi a diminuzione del prezzo di listino per ogni
15 singola transazione9 (si noti che il prezzo di listino, dal quale la “cascata” ha inizio, può essere ottenuto secondo vari approcci contabili, ma ciò che rimane univoco è la considerazione, già avvenuta, dei costi di produzione, inquadrando il “prezzo di listino” come al netto di tali costi). Tali costi possono variare in base ad elementi facilmente individuabili come gli sconti fuori fattura e le promozioni, a quelli meno immediati da scovare come quelli relativi ad attività come il trasporto e altre attività che costituiscono i costi indiretti. I costi che incorrono ad ogni fase della transazione sono graficamente rappresentati dalla “Cascata del Prezzo”, grafico che raffigura l’impatto di ciascun elemento del “cost-to-serve” sul prezzo di listino. Il Pocket Price fornisce all’azienda una visione chiara della quantità di ricavi che ogni elemento della transazione determina, quanto esso costa all’azienda per generare tale ricavo e, cosa ancor più importante, quando e perché tali costi si generano. Tale modello del Price Waterfall ha il vantaggio di essere personalizzato in base alle esigenze informative delle quali l’azienda necessita, del livello di dettaglio ricercato. Tale modello basato sul Pocket Price può fornire all’azienda un’efficace visione di ciò che essa spende per servire un cliente piuttosto che un altro, non solo, “calibrando” la gestione degli sconti, dei bonus e di tutto ciò che influenza il Pocket Price (o che va a diminuire il valore del Prezzo di Listino) al profilo di redditività del cliente, si può migliorare l’economicità stessa della relazione con il cliente.
9 Cfr. Van Veen-Dirks P., Molenaar R. (2009), “Customer profitability pricing”, in Cost Management,
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Fig. 1 La cascata del prezzo: da quello di listino al Pocket Price
Fonte: Adattamento da Van Veen-Dirks, 2009.
In riferimento al terzo punto, la CPA apre a possibilità di segmentazione e definizione di strategie basate sui costi del servizio al cliente e sui profili di redditività di essi. In merito a tale Management area, Raaij (2005) sottolinea il valore strategico della CPA mettendo in evidenza come grazie alla più approfondita conoscenza della contribuzione dei clienti al profitto, sia possibile migliorare il posizionamento strategico. La CPA rappresenta uno strumento utile
€6,00 €4,47 €5,78 €0,10 €0,12 €0,30 €0,37 €0,35 €0,20 €0,09 €0,00 €1,00 €2,00 €3,00 €4,00 €5,00 €6,00 €7,00
Price Waterfall
17 anche per l’individuazione dei clienti target e il posizionamento rispetto a questi; tramite questo strumento di gestione dei costi è possibile, non solo classificare i clienti in base alla loro profittabilità, ma anche comprendere le caratteristiche comportamentali dei clienti target ad alto margine, sviluppare value proposition maggiormente mirate in relazione a tali elementi. Alcune aziende segmentano il loro portafoglio clienti distinguendo quest’ultimi in: clienti platino, oro, ferro e piombo in base al contributo che danno al profitto d’impresa10
. Una classificazione di questo tipo permette di stabilire strategie legate alla retention, allo sviluppo di appositi programmi di estensione della relazione soprattutto se si prevede un aumento del potenziale futuro del cliente stesso. Una volta trovati tutti i profili di redditività dei clienti il “lavoro” non può dirsi concluso: la segmentazione della clientela basata sulla profittabilità dei clienti non ha un valore statico, bensì dinamico: l’intento è quello ti trasformare clienti poco profittevoli in clienti altamente profittevoli o, in generale, migliorare la redditività di ciascuno di essi. Per quanto riguarda la gestione delle attività per impattare positivamente su tale azione di trasformazione del profilo reddituale del cliente abbiamo già parlato a sufficienza per quanto riguarda il punto 1, adesso vogliamo mostrare l’altra faccia della stessa medaglia. Al cliente non profittevole, in questo caso, non si cercherà solo di modificare lo svolgimento delle attività che esso richiede, ma in base proprio al suo profilo reddituale si cercherà di portare a termine azioni e decisioni di stampo strategico atte al miglioramento della sua condizione di profittabilità a sua volta raggiungibile in diversi modi. Se costruiamo una tabella a doppia entrata (Fig. 2), nella quale sull’asse delle ascisse inseriamo il cost-to-serve, alto o basso, necessario per servire il cliente e sull’asse delle ordinate il margine sul prodotto, alto o basso, ottenuto dalla differenza tra il Pocket Price e i costi di produzione, sorgono quattro quadranti. Il primo di essi (basso costo di servizio al cliente e basso margine su prodotto) attiene a gruppi di clientela che hanno una redditività bassa ma coerente con lo sforzo sostenuto dall’azienda nel servirli, sono sensibili al prezzo e di conseguenza azioni strategiche volte a spuntare margini superiori
10
18 attraverso l’aumento di questo possono comportare gravi conseguenze. Il secondo quadrante (basso cost-to-serve e alto margine sul prodotto realizzato) riguarda quel gruppo di clientela ottimale, che reputa il prodotto importante e che ha instaurato una relazione costruttiva con l’azienda venditrice, tali clienti devono essere mantenuti per questo motivo devono essere implementate strategie di retain volte alla fidelizzazione ti tale clientela. Il terzo quadrante (Alto cost-to-serve e alto margine sul prodotto) riguarda clienti esigenti da un punto di vista della gamma di servizi svolti (ad esempio quelli post vendita) ma che sono disposti a pagare tanto, essi avranno una redditività positiva ma non eccessivamente elevata come può indicare, a prima vista, il fatturato da essi generato. Il management in questi casi non deve abbandonare l’idea di poter rendere più redditizi tali clienti se ci fosse la possibilità di agire sui costi (esempi possono essere l’aumento della dimensione minima, il raggruppamento delle consegne magari acquisendo nuovi clienti nella stessa area geografica). Il quarto e ultimo quadrante è una vera e propria “Zona di pericolo” poiché attiene alla peggior categoria di clienti: coloro che consumano tante risorse per avere un servizio di “prima classe” ma che contemporaneamente sono molto sensibili a variazioni di prezzo; il profilo reddituale di questi clienti è chiaramente facente parte della zona di perdita, il management dovrà quindi porre in essere azioni strategiche al fine di far migrare tali clienti verso altri quadranti, ridefinendo le condizioni contrattuali ad esempio oppure andando a rivedere insieme al cliente come modificare la relazione che fino ad oggi ha fatto lievitare il costo del servizio (evadere ordini meno frequentemente con volumi maggiori potrebbe aumentare la probabilità di ricevere sconti e abbuoni ad esempio). Prima di prendere la decisione, che a prima vista sembrerebbe la più logica di tutte, di abbandonare tali tipi di clienti dobbiamo chiederci se esiste una prospettiva di lungo termine di migliorare il valore netto delle vendite oppure di ridurre i costi del servizio, se c’è una ragione strategica per mantenere questa clientela oppure se la loro presenza è giustificata dal fatto che ne abbiamo bisogno per il volume che ne ricaviamo anche se la rispettiva contribuzione al profitto è bassa.
19
Fig. 2 Decisioni strategiche per gestire la profittabilità del cliente.
Mar gi n e net to A B B A Cost - to - serve
Fonte: Shapiro, Rangan, Moriarty e Ross, 1987 (adattata)
L’ultima area alla quale la CPA aggiunge un valore informativo abbiamo detto che è quella interessata alla gestione del rischio. Abbiamo già introdotto, anche graficamente, la regola dell’ “80% : 20%” che ci permette di comprendere come si distribuisce la profittabilità all’interno del portafoglio clienti in azienda, il fatto è che tale curva (chiamata anche curva di Stobachoff) può assumere varie configurazioni, di conseguenza la regola di Pareto precedentemente richiamata può dirsi non rispettata. La curva può assumere varie forme in relazione alla vulnerabilità del portafoglio clienti e, più precisamente, l’area al di sotto di tale curva indica il grado di sovvenzionamento incrociato che ci può essere tra i clienti in portafoglio. In altre parole, una grande area al di sotto della curva, indica che ci sono clienti altamente profittevoli che sovvenzionano quelli con un profilo di redditività negativo. Se combiniamo questo aspetto con la problematica
Sensibili al Prezzo ma non richiedono servizi particolari Passivi:
- Importanza del prodotto - Buon rapporto col
fornitore Costosi da servire ma pagano bene Aggressivi: - Impongono il loro potere contrattuale richiedendo prezzi bassi e servizi personalizzati
20 della dipendenza nei confronti di una base ristretta di clienti (la percentuale di clienti profittevoli), possiamo avere un quadro di riferimento chiaro per parlare di vulnerabilità del portafoglio clienti. Secondo quanto riportato da Raaij (2005), la CPA può mettere in relazione il livello di dipendenza da un numero ridotto di clienti con la misura in cui i profitti generati da clienti profittevoli sovvenzionano le perdite generate dagli altri. Ne risulta una migliore comprensione di potenziali situazioni di rischio, infatti, come mostra la Fig. 3, a livello grafico emergono quattro possibili combinazioni di “effetto sovvenzionamento – dipendenza”.
Fig. 3 Curva di Stobachoff per combinati livelli di effetto sovvenzionamento e dipendenza
Fonte: adattato Van Raaij et al. , 2003.
Possibilità di gestire tale situazione che vede un piccolo numero di clienti non
profittevoli
Situazione ad alto rischio; dipendenza su pochi clienti; sovvenzionamento incrociato
esteso Situazione ideale; assenza totale o
parziale di sovvenzionamento incrociato
Situazione a basso rischio; assenti casi estremi
A
A B
B
EFFETTO SOVVENZIONAMENTO INCROCIATO
D I P E N D E N Z A
21
1.3 Variabilità di contesti e di approcci per l’implementazione
dell’ananalisi di redditività dei clienti.
Date le premesse che abbiamo introdotto all’inizio dell’elaborato, sappiamo che lo strumento della CPA è un tool per la gestione dei costi che si sposa perfettamente con il cambiamento che ha subito il contesto macroeconomico in termini di elevata competizione nei mercati, repentinità di cambiamento della domanda, flessibilità dell’offerta per far fronte alle particolarità richieste dai diversi tipi di clienti con diversi comportamenti d’acquisto, ecc. A livello generale andare a studiare la redditività di cliente può avere senso nella totalità delle tipologie dei contesti aziendali; riguardo alla possibilità d’implementazione, quindi, non c’è un caso limite che esclude la possibilità e/o fattibilità di implementazione, salvo quello che fa riferimento al confronto che deve essere analizzato tra costi relativi allo studio e implementazione necessari per analizzare la totalità del portafoglio clienti (oggi i sistemi informatici relativi all’ ICT favoriscono e semplificano grandi moli di calcolo oltre che a fornire supporti informativi per via digitale andando a impattare favorevolmente su variabili quali la tempestività e l’efficienza in generale), ed i possibili benefici che ne possono derivare (con tempi di circa 8-12 settimane a seconda del business nel quale ci troviamo) in termini di risparmio di costi o di correttezza nelle decisioni che possono essere prese. Non inficia neanche la variabile “numero di clienti in portafoglio”, poiché la chiarezza a livello di profittabilità ha sempre una sua valenza informativo-decisionale indipendentemente dal numero di clienti che vengono serviti. Non ci sono limiti alla possibilità di implementazione. Ci sono però delle particolarità nel modello della CPA tutte le volte in cui esso viene calato nella realtà di una singola impresa; si dice, a giustificazione del fatto di implementare la CPA, che non tutti i clienti sono uguali… ma neanche le imprese lo sono! Il vincolo insito nell’analisi di redditività del cliente è il dovere del management di “confezionare” un’analisi di profittabilità del cliente su
22 misura di quest’ultimo, in modo tale che gli stessi benefici che ne potranno risultare siano cuciti su misura di quella e soltanto quell’azienda.
Per quanto concerne le modalità di approcciare l’implementazione di un’analisi di redditività per cliente, in un’azienda qualunque, si possono seguire vari approcci11:
1. Dalla selezione dei “clienti attivi”;
2. Dalla mappatura e valorizzazione delle attività;
3. Dall’aggregazione di cost drivers in fattori che maggiormente impattano nel business di riferimento.
Per quanto riguarda la prima modalità citata di implementare la CPA in azienda, questa vede come primo step, come precedentemente detto, la presa in esame della lista dei clienti attivi, cioè quelli per i quali sono ancora in essere le relazioni commerciali e che hanno richiesto almeno un ordine durante il periodo preso a riferimento. Lo step successivo è quello relativo alla costruzione del modello di redditività attraverso la comprensione di quali attività vengono svolte e quali driver causano i costi di una determinata attività (ad esempio il cost driver delle attività commerciali sarà il numero di visite commerciali, il cost diriver dell’attività di pro cessazione dell’ordine sarà il numero di ordini processati, ecc). Infine, tutti i costi dovranno essere assegnati alle attività con gli opportuni cost driver identificati. Si procederà poi al calcolo della customer profitability possibilmente attraverso il supporto informatico (si ricorda che per il calcolo dovremmo partire dal Pocket Price per quantificare le entrate del cliente). Terminata la fase di pura analisi, seguirà quella relativa all’interpretazione dei dati risultanti; i profili di redditività dipenderanno dalle scelte effettuate nel secondo step. Nella quinta fase i risultati derivanti dalla CPA vengono usati per migliorare le strategie di gestione della relazione con il cliente (Customer Ralationship Management), ad esempio, intervenendo sul prezzo o sui costi delle attività per esso svolte, oppure stabilendo premi per i dipendenti in base alla
11 Per i tre approcci, rispettivamente: Van Raaij et al. , 2003: pp. 574-575; Silvi et al. , 2011: pp. 262-266;
23 profittabilità che fanno ottenere all’impresa piuttosto che sulle vendite, a livello puramente quantitativo, che riescono a far raggiungere. La sesta e ultima fase prevede la costruzione di infrastrutture tecnologiche e organizzative per migliorare l’efficacia (in termini di accuratezza nel calcolo dei costi) e l’efficienza della CPA, possibilmente facilitando l’allargamento dell’applicazione di tale strumento a tutto il portafoglio clienti. Uno schema riassuntivo di tale procedimento di implementazione della CPA può essere schematizzato nella Fig. 1.
Fig. 1 Schema riassuntivo di una possibilità di analisi e implementazione della CPA
Fonte: Adattato da Van Raaij et al. , 2003.
La seconda modalità di implementazione della CPA verte sulla iniziale mappatura e valorizzazione delle attività12; i benefici che possono derivare da questo approccio sono individuabili: nell’evidenziazione delle sequenze e interdipendenze tra le attività, nel miglioramento dell’analisi del valore delle attività cercando di evidenziarne gli sprechi, nell’efficientare i processi anche in termini di tempo e non solo di costi, nella comprensione di quali siano veramente
12 In questo caso si combinano più tipologie di analisi, oltre a quella dell’ ABC ci sono anche la Value
Analysis, Cost Driver Analysis e l’Acitivity Based Management, l’impiego di tali strumenti di calcolo e gestione dei costi è finalizzato, in questo caso, a definire concreti interventi di miglioramento su una determinata attività, come, ad esempio la processazione dell’ordine.
1. Selezione dei clienti attivi 2. Disegnare il modello di profittabilità 3. Calcolo della redditività del cliente 4. Interpretazione dei risultati 5. Attuazione delle strategie 6. Stabilire infrastrutture Analisi Implementazione
24 i driver che causano l’insorgere di un costo, nel rendere più puntuali le simulazioni. L’iniziale processo di mappatura delle attività può iniziare attraverso la somministrazione di questionari che intervengono nei processi dei quali sono responsabili, per poi proseguire nell’effettiva assegnazione delle risorse avvalendosi, ad esempio, della contabilità per centri di costo. Le attività vengono poi classificate a VA e NVA ma necessarie; qui, a livello di attività, non si evidenziano sprechi perché si ha ancora una visione poco profonda delle micro-attività che vengono svolte. In altre parole, dobbiamo fornirci di una lente d’ingrandimento che ci consenta di vedere nella profondità di un’attività, ovvero come vengono gestite le attività stesse e se tali modalità generano sprechi, ma anche nella profondità di un intero processo perché è importante anche capire a livello microscopico quali sono le intersezioni tra le attività per capire le criticità di questi collegamenti. Una volta raggiunta tale profondità di analisi, con l’evidenziazione delle micro-attività facenti parte di un processo, del valore a esse connesso e alle risorse assorbite da ciascuna, si passa all’analisi dei cost drivers con la finalità di ipotizzare degli interventi di miglioramento. L’analisi di una micro-attività NVA può essere utile poiché possono essere individuati sprechi che libererebbero risorse che andrebbero a vantaggio di altre micro-attività; può essere utile poiché analizzando come diverse micro-attività si interfacciano tra di loro, gli strumenti che usano per “dialogare” (ad esempio: sostituire l’utilizzo di e-mail e controlli ottici al posto di un tipo di archiviazione cartacea che richiede tempi più lunghi e costi di personale, può essere una correzione, relativa a nuove modalità di gestione di un’attività, presa grazie all’analisi di cost driver). Proponiamo di seguito uno schema logico utile per l’implementazione di tale approccio per l’attività di gestione dell’ordine, ma l’approccio è valido per qualsiasi tipo di attività.
25
Fig. 2 Un esempio di pianificazione della gestione delle attività. Macro attività Micro attività Tempo (sec.) Driver Costo lavoro totale Altri costi
Tot. Spreco Cost
Driver Gestione Ordine Ricevimento ordine 20 Ordini di vendita € 4.000 € 200 € 4.200 - Controllo cliente 80 Ordini di vendita € 7.500 € 7.500 - Inserimento ordine nel sistema 130 Ordini di vendita € 10.000 € 50 € 10.050 - Conferma ordine e richiesta dati cliente 50 Ordini di vendita € 3.500 € 200 € 3.700 - € 50.000 Attesa 100 Ordini di vendita € 8.000 € 8.000 80 Tecnologia (sist. Gestionale calibrato per quantitativi di ordini più piccoli)
Fonte: Adattato da Silvi et al. , 2011.
L’ultimo tipo di approccio all’implementazione della CPA in azienda può essere condotto attraverso una preventiva aggregazione dei cost drivers all’interno di categorie di driver che si comportano nello stesso modo; il secondo step consta nel mettere in luce quali siano le principali categorie di cost drivers per l’analisi della redditività del cliente (la metodologia di scelta di una o di un’altra categoria varierà da business a business) ed infine, l’ultimo passaggio, mostra come avviene la selezione dei cost drivers per costruire un modello ad hoc di CPA con la considerazione dei più importanti cost drivers (key cost drivers) senza però perdere tanto in termini di accuratezza. Ad esempio, prendiamo come categorie di driver13 quelle relative alla:
13 Cardinaels E., Van Ierland D. (2007), “Smart ways to assess Customer Profitability”, in Cost
26  Complessità;
 Efficienza;  Intensità;  Volume.
In ognuna di queste categorie di driver, rientreranno dei cost drivers che riescono a fornire un contributo nel quantificare il livello di complessità, efficienza, intensità e volume relativo alle attività svolte per un determinato business. Il contributo informativo relativamente al business nel quale si opera, invece, lo daranno le categorie di driver sopra elencate. Per quanto riguarda la prima categoria, essa attiene alla difficoltà nella gestione di un’attività o micro-attività, un esempio di cost driver ad essa associabile può essere il tempo speso dal management durante una visita del cliente, oppure il tempo speso da personale tecnico per la ricerca insieme al cliente di un determinato attributo da inserire nel prodotto. I cost drivers relativi alla seconda categoria fanno riferimento a extra-servizi offerti al cliente, essi possono essere esemplificati nella velocità con la quale si conclude efficacemente una transazione od un’attività in generale, come nel caso “numero di ordini giornalieri inseriti”, “Kg giornalieri di materie prime controllati” , ecc. Per quanto riguarda la terza categoria, facciamo riferimento a cost drivers che hanno a che vedere con il “numero di elementi in ingresso”, ai quali corrispondono attività svolte internamente; in altre parole, questi tipi di cost driver sono in grado di catturare gli “extra-service” offerti ai clienti (si pensi al numero di chiamate ricevute per supporti tecnici di vario tipo, ecc) rispondendo alla domanda “quanto intensamente viene richiesto supporto?”, quindi, quanto intensamente si raccolgono richieste da parte dei clienti in merito ad una determinata attività per essi svolta. In ultima istanza, la categoria “volume” che comprende tutti quei driver di costo che possono variare in relazione alla quantità di volume di prodotti/servizi richiesta dal cliente.
Il passo successivo consta nel capire quali categorie e drivers sono critici per l’azienda nel raggiungere la profittabilità e come essi impattano sul margine di contribuzione industriale e sul reddito operativo finale del cliente, attraverso
27 simulazioni di tipo what if ad esempio, si può capire quale fattore, o categoria, impatta maggiormente su tali aggregati e se c’è una correlazione tra i due. La validità di tale modello è stata empiricamente provata nel settore bancario14, dove la ricerca di dati passati rimane difficile per la mole di clienti ed operazioni con essi svolte, ed ha fornito risultati soddisfacenti andando a misurare l’impatto che aveva un singolo fattore, misurato da uno o più cost driver, sul reddito operativo del cliente, ricavato tramite la CPA, e sul margine industriale, ovvero rispettivamente dopo e prima la contabilizzazione dei costi di servizio al cliente. I risultati hanno confermato l’accuratezza del modello che utilizza un solo cost driver per quantificare i costi della relativa categoria di appartenenza (efficienza, complessità, intensità e volume) e ciò è stato dimostrato confrontando il precedente modello con quello che prende a riferimento tanti cost drivers per ogni attività.
Fig. 3 Il modello semplificato per l’analisi della redditività del cliente
Fonte: Adattata da Kuchta et al. , 2007.
14 Kuchta et al. , 2007: pp. 29-33. 49% 38% 8% 5%
Costi Indiretti per servire il cliente
Complessità (n. operazioni di carico, tempo speso, ecc.) Intensità (n. chiamate ricevute, ecc.) Efficienza (n. ordini giornalieri inseriti, altri indici di velocità) Volume (entrate)
28 Riassumendo il caso aziendale riportato come esempio, possiamo porci la domanda se tale modello scelto possa essere implementato anche in altri contesti aziendali diversi da quello legato agli intermediari finanziari; possiamo anche chiederci se è possibile ricreare un modello simile adattato secondo altri fattori, o categorie, che comprendono più cost driver che possano meglio indicare ciò che “causa” un costo a tale riferito a quella determinata categoria.
1.4 La filosofia di costing del Customer Relationship
Management e il valore della relazione con il cliente
L’evoluzione del contesto competitivo, tecnologico e della domanda hanno, come detto in precedenza, cambiato il modo di approcciarsi nei confronti dei clienti da parte delle aziende, per fare in modo che la linfa vitale di ogni singola impresa continuasse a esistere e non finisse di cessare è stato necessario avvicinarsi al cliente stesso costruendo su di esso e con esso, una transazione continua legata non più a soli aspetti puramente legati allo scambio di beni e moneta. Si è instaurato un rapporto che portasse a un reciproco vantaggio tra imprese e clienti, per le prime un profitto da spuntare nel servire ogni singolo cliente per le seconde una soddisfazione in termini riferita a ciò che viene acquistato. Possiamo sintetizzare la soddisfazione del cliente come la capacità dell’offerta di soddisfare le aspettative del cliente15, quest’ultime legate alla percezione che la clientela ha riguardo alle caratteristiche del prodotto che acquista; in altre parole la possiamo definire come l’uguaglianza tra ciò che il cliente si aspetta e ciò che viene apprezzato, in termini di caratteristiche di qualsivoglia tipo, una volta acquistato. Con i repentini cambiamenti della domanda la soluzione migliore per le aziende è stata quella di avvicinarsi e relazionarsi continuamente col cliente in modo tale da poter prevedere, capire e tradurre le aspettative e le esigenze di quest’ultimo. La transazione cede il posto
15
29 al concetto di relazione e con ciò nasce lo stesso marketing relazionale. L’informazione riguardante il grado di soddisfazione della clientela (customer satisfaction) ha uno scarso valore aggiunto informativo se non la consideriamo alla luce dei fattori che hanno portato a rilevare quel determinato numero (l’applicazione di strumenti di costing per la rilevazione del grado di CS si caratterizzano per la produzione di informazioni quantitativo-non monetarie e qualitative che necessariamente devono essere “tradotte” in numeri). È importante, quindi, conoscere le motivazioni sottese ad un certo grado di soddisfazione o insoddisfazione del cliente come ritardi di consegna, errori di qualsivoglia tipo, le modalità di relazionarsi con il cliente stesso, ecc ciò permette di capire e interpretare il valore numerico e di accrescere il patrimonio informativo sui clienti in portafoglio. Prende avvio così un tipo di marketing ancora più specifico, quello one-to-one che prevede come antecedente logico per l’instaurazione e il proseguimento di una relazione con un cliente, la soddisfazione del cliente, per raggiungere tale obiettivo, la conoscenza del cliente delle sue caratteristiche e del suo comportamento d’acquisto è diventato fondamentale per l’individuazione e applicazione di politiche e strategie pensate con riferimento a singoli segmenti di clientela, con l’intento di instaurare relazione redditizie e durature.
È così che prende avvio la filosofia di costing del Customer Ralationship
Management (CRM), che vede tale strumento oggetto di una duplice
interpretazione: in quella strategica, è studiato come una filosofia gestionale volta a preservare la relazione con i clienti, in quella tecnica viene considerato come uno strumento di raccolta e gestione delle informazioni sui clienti reso efficace ed efficiente mediante l’utilizzo di basi tecnologiche e digitali16. Vari filoni si sono poi sviluppati a livello “meramente” teorico ma il pensiero che risulta preminente fa riferimento al CRM come strumento atto alla raccolta di informazioni riguardanti la clientela con il fine ultimo di migliorare la gestione della relazione con il cliente attraverso una profittevole e coerente gestione delle
16
30 risorse tra i vari segmenti di clientela, quest’ultima a sua volta, determinata sulla base dei profili di redditività risultanti dall’applicazione del modello della CPA, per la stima della redditività attuale del cliente, e, soprattutto, di altri modelli riguardanti il calcolo della profittabilità futura di quest’ultimo. Secondo Winer (2001)17, un sistema di CRM deve contenere quattro tipi di informazioni per supportare efficacemente le scelte a livello politico e strategico dell’azienda:
 Informazioni sulle transazioni storiche;  Contatti dei clienti;
 Informazioni utili per determinate segmentazioni (sulla base psicologica, anagrafica, ecc);
 Informazioni riguardanti i feedback conseguentemente ottenuti dall’applicazioni di determinate politiche di marketing.
Un sistema di CRM, quindi, integra varie tipologie di informazioni riguardanti sempre lo stesso oggetto finale, fornendo così un’interpretazione più ampia, più utile in chiave gestionale rispetto a l’informazione prodotta da strumenti di calcolo dei costi. In altre parole, viene ad ampliarsi la prospettiva di analisi senza dare particolare enfasi sul limitativo risultato derivante da strumenti che si focalizzano solo sui costi o sulla mera quantificazione della soddisfazione del cliente. Coesistono, così, informazioni di tipo qualitativo, quantitativo, monetarie, riferite a un cliente o ad interi gruppi, contemplando tipologie diverse di informazioni, da quelle comportamentali a quelle monetarie, tutte indirizzate verso un unico fine: quello di rendere più efficacemente e facilmente gestibile una relazione redditizia con il cliente mediante l’impiego di informazioni altamente differenziate tra di loro.
Precedentemente, abbiamo fatto riferimento alla maggiore importanza che rivestono strumenti di costing proiettati nel futuro per quantificare in maniera più corretta possibile la redditività della relazione futura con il cliente, rispetto alla CPA “concentrata” più su una visione retrospettiva. Una giustificazione
17
31 importante che spinge a calcolare i costi di una relazione è quella relativa al fatto che, empiricamente provato, i clienti diventano più profittevoli nel tempo grazie a tutta una serie di fattori, esterni ed interni, che col passare del tempo migliorano i risultati raggiunti grazie ad una logica learing by interacting in riferimento al cliente ed a un learning by doing protratto negli anni che porta ad una standardizzazione dei processi favorendo l’efficiente gestione dei costi del cliente (Fig. 1)18:
Fig. 1 Perchè i clienti sono più profittevoli nel tempo?
Fonte: Adattato da Epstein, 2000.
18
32 Uno strumento che permette la quantificazione del valore della relazione futura con il cliente è il Customer Lifetime Value (CLV). Il valore strategico di una relazione con un cliente viene individuato nella profittabilità futura (che viene considerata in termini potenziali superiore al profilo, calcolato con la CPA; che il cliente possiede adesso) che esso si presume, con considerevole certezza, avrà nel lungo periodo ed è il CLV lo strumento capace di catturare tale valore strategico attraverso la quantificazione monetaria del valore della relazione stessa. Lo stesso strumento ha poi seguito uno sviluppo lungo due direttrici, una centrata sui metodi di calcolo e sugli elementi quantificabili da inserire nella formula (riportata di sotto), mentre l’altra legata agli impatti gestionali/reddituali derivanti dal suo utilizzo.
CLV
= ∑
( ( ) )- AC
Si propongono per correttezza informativa anche altri due approcci al calcolo del CLV, a testimonianza della flessibilità che tale strumento possiede in base alle informazioni che se ne vogliano estrapolare. Il primo esposto, fa riferimento a contesti applicativi nei quali si hanno categorie di clienti abbastanza omogenee al loro interno in termini di profittabilità, pertanto rimane conveniente calcolare un profilo medio di CLV. Il secondo, più dettagliato, viene invece sviluppato a partire da dati rilevati a livello di cliente e il CLV viene calcolato come somma dei flussi attesi di ricavi e costi specifici del cliente nel ciclo di vita delle relazioni (Wayland & Cole, 1997).
Dove:
= prezzo pagato dal cliente al tempo t;
costi diretti per servire il cliente;
- margine operativo per cliente, al lordo di taluni
costi di incerta attribuzione o non direttamente riferibili al cliente;
i= tasso di sconto o costo del capitale;
probabilità che il cliente ripeta l’acquisto (tasso di
retention atteso);
33 = ∑ ( )
( )
= ∑ ( ) ∑ ( )
Il complicarsi della formula a causa dell’inserimento di sempre più variabili riguardanti il comportamento in fase di acquisto del cliente ha portato ad uno scadimento di tale modello in termini di flessibilità e facilità di calcolo, rendendolo poco utilizzabile in chiave gestionale. La seconda direttrice che esamina il CLV affronta i benefici gestionali ed economici derivanti dal calcolo del valore della relazione con il cliente, senza dimenticare però, il grado si soggettività comunque presente all’interno del modello legate ad una previsione che viene fatta sulle variabili oggetto della formula ma anche a tutte quelle variabili che possono incidere significativamente sul risultato finale ma delle quali è impossibile darne una quantificazione corretta (bisogni, aspettative, il tipo di offerta, ecc.).
Un altro possibile approccio19 riguardante la filosofia di costing del CRM, per quanto attiene a tematiche di gestione strategica del cliente o dei gruppi di clienti, consta nel privilegiare l’aspetto di fare crescere le vendite attraverso la profittabilità e per far ciò, non è soltanto importante calcolare il margine industriale per la vendita di prodotti poichè molti prodotti o servizi richiedono in maniera abbastanza simile lo svolgimento di attività standardizzate o che comunque non variano molto da mese a mese, non dipendano dal volume o dalla soddisfazione del cliente. In altre parole, le aziende dovrebbero cercare di evidenziare ciò che differenzia un cost-to-serve di una tipologia di cliente rispetto
19
Approccio proposto dalla Columbia University, da Mathias P. e Capon N. CLV
medio
CLV
GC= margine medio di contribuzione; M= costi
di marketing; r= probabilità di ri-acquisto; A= costo medio di acquisizione del cliente; d= fattore di sconto. P= Probabilità; Q= Volume acquisti; M= margine di contribuzione; d= fattore di sconto; D= costi di sviluppo della relazione; R= costi di mantenimento; A= costo di acquisizione
34 a quello di un’altra categoria, in modo tale da avere una alla domanda: “In quale business stiamo facendo (o perdendo) soldi?”. Secondo tale approccio, non ci si deve concentrare sulla singola entrata di breve termine, ma guardare oltre a d essa cercando di interpretare la relazione con il cliente come un investimento, di conseguenza massimizzare il valore attuale netto dei profitti che vuole ottenere da quegli specifici clienti; affinchè ciò avvenga è necessario impostare e mantenere una relazione di lungo periodo che permetta di massimizzare il capitale investito nella relazione con il cliente. L’informazione che entra nel macrocosmo informativo ed eterogeneo del CRM è di tipo prettamente finanziario e si prefigge di innalzare il valore del cliente durante le fasi del ciclo della relazione nella quale esso interagisce con l’azienda. Per incrementare tale valore devono essere messe in atto strategie di pari passo alla gestione dei costi nelle seguenti fasi20:
 Acquisizione;
 Intensificazione della relazione;  Fidelizzazione della clientela;  Termine della relazione.
Ad ogni singola fase del ciclo di vita della relazione con il cliente, corrispondono in via del tutto teorica, opportune strategie da implementare che possono tradursi nei modi più disparati in ragion del fatto del mercato in cui l’azienda opera, dal ciclo di vita del prodotto, la concorrenza interna, da fattori interni all’azienda, ecc.
20
35
Fig. 2 Il ciclo di vita della relazione con il cliente.
Tipo di
fase
Acquisizione (costi
di acquisizione) Intensificazione Fidelizzazione Terminale
Strategie
Acquisizioni più efficienti (es. controllo
campionature inviate)
Miglior cross selling e upselling
Più efficace ed efficiente
fidelizzazione (es.sconti, co-progetti,ecc)
Fonte: Adattato da Cokins, 2009.
Attraverso l’utilizzo del CLV possiamo capire quale sia il valore strategico futuro di un cliente o di un gruppo di clienti, tale tipologia di valore può essere ricompresa nel concetto di potenzialità futura. Sorge spontanea, quindi, la domanda: “Le aziende devono vendere ai clienti più profittevoli (individuati tramite lo strumento retrospettivo della CPA) o a quelli con maggior potenziale futuro (individuati tramite lo strumento prospettico del CLV)?”. La risposta in termini generici la si può trovare nella ricerca della massimizzazione del valore delle relazioni che si intrattengono attualmente con il cliente; la quantificazione può avvenire attraverso l’elaborazione di dati che prendono in considerazione indicatori concernenti la fidelizzazione, attrattività, propensione al riacquisto ma anche aspetti sociodemografici e attitudinali. Una cosa è certa, individuare 4 alternative strategiche per clienti che presentano varie configurazioni “contribuzione presente al profitto – potenziale futuro”, può essere uno strumento importante per prendere decisioni di marketing atte ad incrementare la profittabilità del cliente o del gruppo di clienti (Fig. 2).
36
Fig. 2 Confronto tra potenziale valore futuro e corrente del cliente
Difendere e fidelizzare Situazione ottimale
Gestire o abbandonare Massimizzare
Fonte: Adattato da Cokins, 2009.
Un altro strumento capace di evidenziare il valore economico della relazione futura con cliente in termini finanziari a livello complessivo d’impresa, trattandolo appunto come un vero e proprio asset per incrementare la profittabilità dell’impresa, è il Customer Equity. Il CE di un’impresa può essere definito sia in termini statici che dinamici: in termini statici, rappresenta il valore attuale dei flussi di cassa attesi dalla complessiva clientela in portafoglio; in termini dinamici, esso include non solo i flussi di cassa attesi dai clienti attuali ma anche da quelli potenziali, necessariamente inserendo indici riguardanti tassi di attrazione di nuova clientela, indici relativi alle dimensioni del mercato, ecc.
1.5 L’analisi della redditività del cliente: argomenti ancora aperti
Abbiamo sin qui capito che è necessario avere un “database” informativo sul cliente comprendente varie tipologie di informazioni da quelle di tipo economico, attraverso l’utilizzo della CPA, a quelle di tipo finanziario, attitudinale, psico-demografico, comportamentali prima e dopo l’acquisto, ecc. Trovare un modello di qualsiasi tipo, sia esso statistico o manageriale, che riesca a comprendere tutte queste tipologie di informazioni debitamente quantificate risulterebbe
Potenziale futuro (lungo termine) Contribuzione al profitto corrente (breve termine) A B B A
37 impegnativo e di scarso impiego vista la difficoltà di poterlo riproporre in contesti aziendali differenti e diversificati nel core business portato avanti. Ai fini di una segmentazione che possa apportare valore informativo per decisioni strategiche e di marketing potrebbe essere rilevante cercare di capire come integrare informazioni di tipo economico riguardanti la redditività dei clienti. In altre parole, l’intento di questo elaborato è, combinare informazioni economiche derivanti dal reddito generato da un cliente e da indici economici costruiti per determinate tipologie di cliente, al fine di dare un contributo manageriale su come potrebbe essere monitorata e gestita una relazione con un cliente coerentemente con il suo profilo. Data l’importanza di avere a disposizione varie tipologie di informazioni sulla relazione che si intrattiene col cliente, si può cercare di integrare tale mix informativo in ottica strategica ed economica, in modo tale che ciò risulti utile sia per decisioni di marketing strategico sia per un corretto dimensionamento del portafoglio clienti.
Oltre ad un tentativo di integrazione a livello quantitativo di diverse tipologie di informazioni per gli scopi sopracitati sembra potere esserci un fine supplementare nell’impiego di tale approccio che muove verso l’integrazione delle informazioni quantitative: favorire il bilanciamento tra logiche, interne, contrapposte come quelle relative a figure commerciali e figure finanziarie di un’azienda, per formazione divergenti per quanto riguarda la decisioni che possono essere prese in merito alla relazione con un cliente. Tale tipo di approccio all’integrazione di tre tipologie di informazioni, fornisce una possibilità di “mettere d’accordo” più linee di pensiero, derivanti da soggetti interni all’azienda, con diverse possibilità di impattare sul vantaggio competitivo aziendale in termini strategici ed operativi in riferimento alle diverse responsabilità possedute.
Un altro aspetto del quale si vuole dare differenziazione nelle argomentazioni rispetto alla letteratura esaminata in materia di redditività del cliente, attiene alla flessibilità di manipolazione della formula del CLV. Il contributo che è intenzione offrire è quello relativo alla costruzione di un indice capace di fare da
38 fonte informativa della capacità dell’impresa nella soddisfazione del cliente, con tutti i limiti della traduzione in “numeri” che ciò comporta qualora si parli, come in questo caso, di variabili complesse da quantificare e da collegare ad altre. La proposta sarà illustrata nei successivi capitoli.