• Non ci sono risultati.

29 CAPITOLO II

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "29 CAPITOLO II"

Copied!
23
0
0

Testo completo

(1)

CAPITOLO II

L'EVOLUZIONISMO

Dal momento in cui la vita ha finalmente avuto origine, è immediatamente iniziata la sua storia di continue trasformazioni. Affronterò qui l'argomento dell'evoluzionismo darwiniano, per come Boncinelli ce lo descrive, delle critiche costruttive o

puramente emotive a cui ha dovuto far fronte, e infine degli apporti preziosissimi che gli sono arrivati da altre discipline, tra cui spicca in primo luogo la genetica, che lo hanno arricchito e trasformato.

L'EVOLUZIONISMO COME SCIENZA

L'evoluzionismo, essendo storia della vita, per quanto ampio, non può essere onnicomprensivo, è cioè limitato nel tempo e propriamente si applica dall'epoca del Cambriano - in cui comparvero improvvisamente le principali specie animali e vegetali che ancora oggi esistono - fino ad oggi. Vale dunque per gli ultimi cinquecentocinquanta milioni di anni, che possono sembrare tantissimi, ma che sono ben poca cosa rispetto alla storia della Terra, che data tre miliardi e ottocento milioni di anni.

Questa autolimitazione temporale è una delle tante che sempre si dà la scienza, che circoscrive il proprio oggetto e il proprio raggio di azione.

L'evoluzionismo biologico è infatti scienza, non è una semplice teoria, perché è documentata dai fatti, e, come ogni scienza, non è mai perfetta e completa, ma è passibile di essere corretta e modificata, arricchendosi ulteriormente, come finora ha fatto, quando le critiche che le vengono rivolte sono costruttive. È anche, come ogni scienza, scevra da ideologie1.

Boncinelli afferma che la scienza si occupa di fenomeni riproducibili e perciò la biologia, occupandosi della vita, che è un fenomeno probabilmente irriproducibile, è una "scienza

anomala". Tutto ciò dunque dovrebbe valere, per quanto Boncinelli non lo affermi esplicitamente, anche per l'evoluzionismo. D'altra parte, perfino la cosmologia, dal

momento che l'universo pare avere avuto un'origine, si occupa di un fenomeno unico e

irriproducibile, ma con ciò non non gli si può disconoscere di essere una vera e propria scienza. L'evoluzionismo è scienza perché ha un grande potere esplicativo rispetto alla realtà.

Spiega infatti la straordinaria varietà del vivente - provocata soprattutto dal caso - e spiega la sua ubiquità, cioè il gran numero di nicchie ecologiche e l'esistenza di organismi nelle condizioni climatiche più diverse, fin negli anfratti più inaccessibili. Ciò significa che chiarisce sia il perché della diversificazione, che procede assieme all'adattamento all'ambiente, sia la sostanziale unitarietà del vivente.

Ma, grazie agli apporti soprattutto della genetica, è capace di spiegare oggi anche le grandi discontinuità - cosa che il darwinismo non riusciva a fare - le quali talvolta hanno cause esterne (come la caduta di un meteorite che è forse alla base della scomparsa dei dinosauri), ma talaltra hanno cause di tipo biologico (come per la colonizzazione delle terre emerse da parte dei pesci o la comparsa dell'uomo, che furono provocate probabilmente da mutazioni di geni regolatori o da una loro diversa regolazione o da precedenti mutazioni silenti).

1 "Che cosa conosciamo oggi dell'evoluzione della vita", pag. 33: "...spiegazione evoluzionistica dell'origine della

vita e dell'uomo, che rappresenta l'atteggiamento più aperto e scevro da ideologie che la nostra storia abbia mai saputo proporre."

(2)

Quando si verifica un grosso cambiamento biologico, questo comporta una rottura di simmetria spesso irreversibile, in cui qualcosa di casuale emerge; segue un periodo di adattamento in cui la selezione naturale cerca di utilizzare al meglio ciò che per caso si è formato; tale lavoro di spola tra discontinuità ed adattamento costituisce l'innovazione. Infatti, la vita si conserva trasmettendosi in uno sforzo di adattamento continuo all'ambiente2.

DARWIN E IL DARWINISMO

Il nucleo portante dell'evoluzionismo è tuttora la teoria darwiniana, quasi inalterata nonostante i suoi due secoli di storia. Darwin ebbe il grande merito di avere sentito ciò che "era nell'aria" anche nella sua stessa famiglia3, di avere genialmente raccolto e costruito delle ipotesi che non potevano essere a quell'epoca verificate, e che apparivano ed appaiono ancora oggi controintuitive, ma che col tempo sono poi state puntualmente confermate da prove paleontologiche, sistematiche, genetiche e molecolari. La sua affermazione di una differenza puramente di grado tra l'animale e l'uomo fu, secondo Boncinelli, una vera e propria "preveggenza"4, che soltanto negli anni '60 e '70 del '900 la genetica ha saputo dimostrare.

Questo apprezzamento sembra contrastare col criterio di circospezione a cui ogni scienziato è tenuto, ma come ho già detto Boncinelli ammette perfino nella scienza il contributo di idee non ancora dimostrate e di una creatività di tipo particolare5

. Non manca d'altronde di lodare la lunghissima, ventennale meditazione a cui Darwin si sottopose prima di pubblicare “L'origine delle specie”, anticipando con straordinario scrupolo ogni possibile critica, trovandovi un'adeguata risposta, evitando ogni possibile passo falso, con la lentezza, la serietà e l'accuratezza che contraddistinguono lo scienziato.

Al termine “evoluzione”, che significa svolgimento secondo un piano, che comporta anche il concetto di progresso, il giovane Darwin avrebbe preferito quello di “trasmutazione delle specie”6, che indica il nòcciolo della teoria, vale a dire il passaggio dal fissismo alla trasformazione delle specie, la quale include anche l'uomo.

Ma ormai è invalso l'uso del termine “evoluzione” anche se sarebbe molto più corretto parlare quanto meno di coevoluzione. Se anche è vero per Boncinelli che specie differenti tendono più spesso a non ostacolarsi piuttosto che a competere e che dunque la competizione per la vita è soprattutto all'interno di una data specie, perché è prima di tutto lotta per la riproduzione, c'è però anche una competizione interspecifica, perché nessuna specie evolve da sola, ma i predatori con la preda, la pianta con chi se la mangia e con chi la impollina7.

È del resto proprio la trasformazione delle specie, quindi la loro comune origine, la loro storia interspecifica, che sembra meglio descrivere il concetto della vita come fiamma, per quanto poi questa si articoli in innumerevoli lingue diverse e con

continue trasformazioni (le quali danno luogo a processi irreversibili che la metafora della fiamma invece non riesce a descrivere).

Poche sono le considerazioni da cui Darwin parte grazie alle osservazioni durante il suo viaggio sul

Beagle ( che era stato organizzato con un'intenzione ben diversa dall'esito che ebbe, in quanto

avrebbe dovuto raccogliere prove del racconto biblico della creazione):

1. la nascita casuale, che ad ogni generazione si verifica, all'interno di una popolazione con caratteristiche comuni, di individui varianti, portatori cioè di caratteristiche differenti (oggi

2 Pagg. 29-30 di "Perché non possiamo non dirci darwinisti". 3 Pag. 3 di "Le forme della vita".

4 “Perché non possiamo non dirci darwinisti”, pag. 81.

5 Tratterò quest'argomento nel paragrafo "La creatività" a pag. 166. 6 "Perché non possiamo non dirci darwinisti", pag. 62.

(3)

sappiamo che si tratta di mutazioni genetiche);

2. il comportamento della natura, che in analogia con quello degli allevatori che procedevano già allora alla selezione artificiale mediante incroci per generare nuove varietà, opera anch'essa, attraverso l'ambiente, una selezione - che egli chiamò naturale - che di solito punisce ma eccezionalmente premia i portatori di tali varianti mediante una prolificità differenziale;

3. molti individui nascono, ma pochi arrivano all'età della riproduzione, perché stroncati prima dalle condizioni ambientali e dunque dalla selezione. Tale osservazione gli derivava dalla lettura di Malthus, che afferma che la popolazione umana aumenta con progressione

geometrica mentre le risorse in proporzione diminuiscono, perché crescono con proporzione aritmetica;

4. la straordinaria somiglianza tra l'uomo e le scimmie antropomorfe, per cui la trasformazione delle specie deve certamente includere l'uomo, che non fa eccezione ed è parte integrante di questa storia. Questo, come vedremo, secondo Boncinelli è uno degli scogli più grossi da far accettare alla Chiesa.

Mentre la produzione di varianti è casuale e creativa, l'opera svolta dall'ambiente, cioè la selezione naturale, è tutt'altro che casuale, è direzionale e conservativa, perché tende a conservare lo status

quo. Queste due caratteristiche opposte sono compresenti in tutta l'evoluzione, di cui costituiscono

il meccanismo fondamentale ed a cui si aggiungono altri eventi ancor più schiettamente casuali -che per Boncinelli vuol dire soprattutto estranei alla biologia e indipendenti da questa8 - come cadute di meteoriti, glaciazioni, terremoti, tempeste solari, etc.

Le conclusioni che Darwin trasse sono soltanto due e rappresentano il pilastro della teoria : 1. tutti gli organismi viventi hanno una comune origine e derivano da un ceppo primitivo; 2. da tale primitivo ceppo comune, attraverso variazione e selezione naturale, si è originata

tutta la straordinaria variabilità del vivente.

Boncinelli nelle sue opere non parla però mai di lotta per l'esistenza e di selezione eliminativa, limitandosi a quella riproduttiva9. Forse questo dipende anche dai grossi successi che medicina ed igiene hanno avuto rispetto ai tempi di Darwin, rendendo sempre più infrequente la mortalità infantile e sempre più potente la lotta contro le malattie. Ma se si pensa alla storia della vita come ad un unico evento dalle mille forme, la sopravvivenza -che pure egli afferma come fine unico della vita- va intesa prima di tutto come sopravvivenza del genoma; quindi la lotta riproduttiva guadagna il primo posto rispetto alla sopravvivenza individuale. L'ANTILAMARCKISMO

Una teoria dell'evoluzione che secondo Boncinelli contrasta col darwinismo e che ha avuto ed ha tuttora largo seguito è quella di Lamarck, che egli definisce intuitiva, popolare e bella quanto falsa. Per illustrare l'opposizione del darwinismo al lamarckismo, Boncinelli fa l'esempio classico delle ipotetiche antenate delle giraffe, che ancora non avevano il collo lungo. Supponiamo che per una carestia queste protogiraffe abbiano finito per cercare le foglie non in terra, dove non ce n'erano più, ma sui rami alti, dove gli altri animali più bassi non arrivavano. Con l'uso certamente il collo di alcune di loro si allungò, e fin qui siamo tutti d'accordo.

Mentre però per Lamarck tale carattere è indotto dall'ambiente ed è ereditabile, per Darwin e i

8 “Lo scimmione intelligente”, pag. 94.

(4)

neodarwinisti afferma Boncinelli10 che questo è escluso, perché uso e apprendimento non possono essere ereditati e inoltre le mutazioni sono casuali e non dirette dall'ambiente.

Come si spiega allora che siano nate le attuali giraffe col collo lungo? Il fatto è che sempre e comunque nascono casualmente individui varianti, che di solito vengono bocciati dalla selezione, ma che in quella circostanza le protogiraffe casualmente nate con un collo più lungo della media furono eccezionalmente premiate, visto che si adattavano meglio al cambiamento ambientale, mediante una vita più lunga e quindi una più abbondante riproduzione, che permise loro di soppiantare col tempo le altre11.

Che avesse ragione Darwin è stato dimostrato però soltanto con l'avvento della moderna genetica: le mutazioni (almeno quelle germinali) non sono mai dirette dall'ambiente e i caratteri acquisiti non sono ereditabili.

Tutto ciò si spiega per due diversi ordini di ragioni, che non erano note a Darwin. La prima rientra nel più ampio fenomeno della "segregazione dell'informazione", ed è la seguente.

Come Boncinelli più volte c'illustra, nella primissima fase dello sviluppo embrionale umano, dopo il 14° giorno di gestazione, quando inizia la gastrulazione, le cellule germinali, che sono quelle che andranno in eredità al futuro individuo, sono già formate e si separano per sempre dalle altre cellule, andando a confluire nel sacco vitellino, proprio per essere protette contro possibili mutazioni. Mentre le cellule della “linea somatica" parteciperanno allo sviluppo e alla lotta della vita, incontrando e scontrandosi con l'ambiente e con la storia personale, trasformandosi nel bene o nel male per le continue mutazioni casuali, imparando e deteriorandosi, quelle della "linea germinale" ed il corrispondente DNA saranno preservati e rimarranno sempre simili a se stessi, senza imparare e senza "invecchiare", pronti ad essere utilizzati per confezionare un individuo nuovo. È dunque evidente che l'esperienza non tocca le cellule della linea germinale in alcun modo, dunque non può essere ereditata ed è perciò che Lamarck aveva torto.

Ma c'è una seconda ragione. Il DNA delle cellule, sia germinali che somatiche, è

impermeabile a qualsiasi reazione dell'ambiente o delle proteine. Infatti, come afferma il "dogma centrale della biologia molecolare", che dobbiamo a Crick, lo scopritore insieme con Watson della struttura a doppia elica del DNA, il flusso delle informazioni avviene a senso unico: dal DNA all'RNA e alle proteine, e mai in senso inverso, e ciò rende impermeabile il DNA a qualunque influsso ambientale12.

È vero che nei virus accade anche l'inverso, così che l'informazione passa dall'RNA al DNA, ma, osserva Boncinelli, "finora non si è trovato – ma nella scienza non vuol dire che sia impossibile farlo – un solo esempio di informazione che passa dalle proteine all'RNA o dalle proteine al DNA"13.

L'ambiente può, è vero, incrementare il numero delle mutazioni attraverso gli agenti mutàgeni, ad esempio attraverso l'inquinamento, ma non può dirigerle in un senso o nell'altro, cioè non può determinarne la natura, eccezion fatta per le cellule della linea somatica, come Boncinelli ammette, pur con riserva, nell'intervista allegata a pag. 215. "In primo luogo gli agenti mutàgeni sono rarissimi in natura" e purtroppo sono generalmente un portato dell'opera dell'uomo:

"rappresentano una sorta di dubbio privilegio della specie umana evoluta. In secondo luogo,

10 Vedi "La teoria dell'evoluzione oggi" a pag. 6 o "Perché non possiamo non dirci darwinisti" alle pagg. 52-53. 11 "La teoria dell'evoluzione oggi", pagg. 12-14.

12 Pag. 29 de "I nostri geni".

(5)

non c'è alcuna relazione significativa fra gli eventi della vita e il tipo di mutazioni che questi possono arrivare a indurre"14.

E poco oltre scrive: "Le mutazioni del DNA avvengono quindi a caso. Ciò non significa che non potremmo, volendo, analizzare i meccanismi che portano alla comparsa di nuove mutazioni. Significa soltanto che la comparsa di tali nuove mutazioni non è in alcun modo correlata alle esigenze degli individui della specie in questione, né a qualche cosa che sia accaduto

precedentemente né alla direzione che prenderanno successivamente gli eventi. Non si tratta perciò di una casualità incondizionata ma di una casualità specificamente riferita a

un'ipotetica direzionalità degli eventi mutazionali. Più che di casualità si dovrebbe parlare di non-direzionalità e di non-finalizzazione".

Dunque, se il DNA in base al dogma della biologia molecolare è sempre

impermeabile, tanto nelle cellule germinali quanto in quelle somatiche, quello delle cellule germinali ha però una doppia protezione, in quanto le relative cellule

vengono separate, risparmiate e tenute da parte fin dall'inizio dello sviluppo. Il genoma ha una vita indipendente dalla cellula che lo ospita e questa segregazione è così importante da essere considerata un segreto fondamentale per capire la vita15. È grazie a tale segregazione se l'esperienza non incide direttamente sul DNA e se il dialogo tra ciò che è innato e ciò che è esterno avviene – come vedremo - attraverso

l'intermediazione del corpo.

Oggi è dunque dimostrato che l'apprendimento non può entrare nel genoma. La teoria di Lamarck deve perciò essere abbandonata, in quanto falsa, mai verificata: i caratteri acquisiti non possono mai essere ereditati, grazie alla doppia storia del DNA germinale e di quello somatico!

Già in Darwin le variazioni insorgono in modo indipendente dall'ambiente e dalle necessità16, così che talvolta vi risultano favorevoli, talaltra sfavorevoli, e spesso neutrali. Non nascono cioè in funzione dell'adattamento, ma sono puramente casuali. Soltanto in un secondo momento l'ambiente (e dunque la selezione naturale) lavorerà su di esse, su questo materiale grezzo fornito dal caso, premiandone alcune con una maggior riproduzione o "riproduzione differenziale" e

bocciandone altre (mediante eliminazione e scarsa riproduzione). La selezione naturale arriva cioè solo quando il più è fatto, e serve solo a riciclare l'esistente, perfezionando ciò che il caso offre. Non crea nulla ma fa un lavoro di rifinitura e di cesello, come una "lima" o come "carta vetra", quando la sbozzatura è già stata operata dal caso17. In tal modo Boncinelli intende sminuire il ruolo della necessità, sottolineando quello del caso, ma il còmpito che rimane alla selezione non è certo marginale. Certamente il caso è il vero creatore delle novità mentre la selezione è descritta come un “poco fantasioso tutore dell'ordine". Ma per esempio, Boncinelli afferma che se è probabilmente per caso che l'elefante si è trovato una proboscide al posto del naso, la selezione ne ha preso atto ed ha cercato e cerca di renderla utile18

, con un ruolo che a me sembra quello della fatina buona della "Bella addormentata", che intervenendo per ultima riesce a cambiare la sorte. Un esempio analogo, ma con conseguenze ben più rilevanti, almeno per noi, è l'ampliamento del nostro cervello e della corteccia e perfino la nascita del

linguaggio e della coscienza, che se pur nati per caso, come vedremo19 , e

14 "Io sono, tu sei", pag. 39

15 “Lo scimmione intelligente”, pag. 28 16 “Le forme della vita”, pagg. 10-11.

17 "Tempo delle cose, tempo della vita, tempo dell'anima", pag. 105. 18 "Le forme della vita", pag. 99.

(6)

inizialmente inutili, sono stati piegati dalla selezione ad un ruolo di tutto rispetto e sono all'origine dell'intera evoluzione culturale! Più sono capricciose le creazioni del caso, tanto maggiore appare l'arguzia e la forza della selezione che riesce a piegarle a proprio vantaggio! Nonostante i tentativi di Boncinelli, il rilievo della necessità non mi sembra affatto sminuito.

La stessa direzionalità della selezione ammette d'altro canto frequenti eccezioni, che aumentano la casualità degli eventi; infatti la genetica insegna che molte sono le mutazioni che, se non riguardano il fenotipo e se non sono fortemente lesive, passano al traino di altre, inosservate e di soppiatto (così come nel racconto omerico Ulisse passò aggrappato alle pecore tastate una ad una da Polifemo o così come il Cavallo di Troia introdusse surrettiziamente i nemici). In un secondo momento la stessa selezione cercherà di recuperare tutto ciò nel modo migliore, cioè nel modo più adeguato all'ambiente.

Fino agli anni '40 del novecento però, non si riusciva a spiegare, se non con l'ereditarietà dei caratteri acquisiti, il fenomeno della resistenza dei batteri agli antibiotici. Vista la grande velocità con cui i batteri riuscivano a reagire, sembrava evidente che ereditassero dai genitori la loro esperienza di lotta contro l'antibiotico con cui questi ultimi avevano avuto a che fare.

Fu l'italiano Salvador Luria che tolse ai lamarckiani questo ultimo baluardo di difesa, dimostrando con tecniche molecolari avanzate - che segnarono la nascita della biologia molecolare - che nei batteri, come in tutte le forme di vita, nasce di tanto in tanto, in modo assolutamente casuale, qualche esemplare mutato, che in un secondo momento, se si rivela resistente all'antibiotico presente nell'ambiente, viene selezionato; è solo la grande velocità riproduttiva di questi esserini che dà l'illusione di un adattamento per apprendimento ereditato.

Tutto il mondo capì tale lezione, osserva Boncinelli, tranne l'URSS di Stalin, perché, accecata dall'ideologia e - come sempre succede - da questa resa sorda alla ricerca scientifica, continuò a procedere con colture d'ispirazione lamarckiana che ebbero risultati catastrofici.

Un altro esempio del contrasto tra queste due teorie è quello della Biston betularia, che è una farfallina inglese bianca a puntini scuri, che vive sulle betulle mimetizzandosi sulla loro corteccia. Per via dell'inquinamento industriale nel corso del 1800 sulle betulle morirono i bianchi licheni che le ricoprivano così che i loro tronchi divennero scuri e queste farfalline pure, lasciandoci pensare che si fossero adattate all'ambiente. In seguito ai provvedimenti anti-inquinamento che furono presi, tornarono i licheni, così che le betulle da scure che erano diventate tornarono ad essere bianche e le farfalline pure, con un apparente adattamento in senso inverso.

Cos'era successo in realtà? Tutto si spiega con l'azione dei predatori. Questi infatti, com'è evidente, individuano meglio le farfalle meno mimetizzate, cioè di colore diverso dal tronco, così che quelle casualmente nate del colore che di volta in volta è più simile a quello della betulla possono vivere più a lungo e riprodursi di più.

Tutto ciò è stato poi anche verificato sperimentalmente distribuendo farfalle di vari colori nei vari ambienti e constatando l'azione selettiva dei predatori e la sopravvivenza differenziale di alcuni tipi d'individui20.

Qualcuno sostiene che lo sviluppo convergente dell'evoluzione, che porta specie diverse e senza antenati comuni ad organi e funzioni "analoghe", come l'ala del pipistrello e quella della vespa, sarebbero una prova del grande peso dell'adattamento e perciò dell'ambiente, a favore della direzionalità; ma non è così secondo Boncinelli, perché di contro a quest'unico fenomeno ce ne sono molti di più a tendenza erratica e casuale.

(7)

CONTROINTUITIVITÁ

Se l'idea della comune origine dei viventi è stata generalmente accettata, non altrettanto è stato dunque per il secondo punto fondamentale del darwinismo, circa l'origine casuale dei varianti, avversato dai tanti sostenitori della teoria di Lamarck, che tanto successo ha avuto e continua ad avere, nonostante la sua manifesta falsità, soltanto perché è bella e intuitiva 21 .

Abbiamo visto che nella teoria di Lamarck la direzionalità svolge il ruolo fondamentale, mentre il caso tende a scomparire; al contrario la rilevanza della casualità nell'evoluzionismo darwiniano e

neodarwiniano lo rende controintuitivo ed ostico per i più, perché ciò che soprattutto non

accettiamo è di essere definiti, noi umani, come un prodotto del caso. Eppure si tratta di una risultanza sperimentale e incontrovertibile, che dunque dobbiamo accettare come vera, ma, come spesso càpita, vero e intuitivo - osserva Boncinelli 22- non vanno insieme. Come già abbiamo visto a proposito della meccanica quantistica, la verità sta dalla parte delle risultanze sperimentali anche quando queste ci sembrano incredibili.

Dovremmo anzi imparare a diffidare di tutto ciò che è bello e intuitivo, a buttar via le belle idee proprio perché al contrario tendiamo automaticamente a farle passare per vere, accettandole cioè acriticamente, senza alcuna seria verifica.

Del resto, la controintuitività caratterizza anche altre moderne teorie altrettanto solide, come quella dei quanti, quella della relatività, le neuroscienze, così che l'evoluzionismo si trova in ottima compagnia.

Abbiamo appena detto che per Boncinelli ciò che è bello è intuitivo ma spesso è falso. Ma che cosa vuol dire “bello”? In realtà Boncinelli non definisce il bello, ma ci parla di qualcosa che ad esso mi sembra affine, vale a dire del sentimento della grazia in Bergson. Scrive infatti a pagina 123 di "Tempo delle cose, tempo della vita, tempo dell'anima": "Nel suo Saggio sui dati

immediati della coscienza (Bergson) propone una seducente interpretazione del fenomeno

della grazia, anzi, come dice lui, del sentimento della grazia: 'Inizialmente esso non è altro che una certa disinvoltura, una spontaneità nei movimenti esteriori. E poiché i movimenti spontanei sono quelli che si predispongono l'un l'altro, finiamo per trovare una maggior disinvoltura nei movimenti che si lasciano prevedere, negliatteggiamentipresenti in cui è come se fossero indicati e preformati gli atteggiamenti futuri. Se i movimenti bruschi sono privi di grazia, ciò è dovuto al fatto che ognuno di essi basta a se stesso e non annuncia quelli che stanno per seguirlo.' Insomma, una movenza ci appare dotata di grazia se in ogni istante possiamo prevedere ciò che accadrà all'istante successivo" Meglio ancora - secondo Bergson - quando i movimenti sono accompagnati dalla musica, e Boncinelli conclude che forse il fascino e il potere trascinante della musica consiste proprio nella ripetizione ordinata e prevedibile ma non per questo monotona. Immagino dunque che il bello sia qualcosa di molto simile; sarebbe dunque non solo ciò che, come abbiamo detto, è in linea con l'intuito, ma - come risulta da questo brano - che è prevedibile e conforme all'aspettativa (ecco un altro concetto importante, che troveremo a varie riprese nel pensiero boncinelliano). Possiamo dunque dedurre che controintuitivo per Boncinelli significhi inatteso, vale a dire non congruente con la nostra aspettativa, la quale deriva, come egli dice, dalla nostra esperienza personale e dai nostri ricordi23

. Se così fosse,

21 Gli aggettivi con cui la definisce sono anche: seducente, brillante, conforme alla nostra intuizione (da “Le forme

della vita”, pagg. 5,6,11), attraente e accattivante (da “Perché non possiamo non dirci darwinisti”, pag. 53).

22 Pag. 11 di “Le forme della vita”. 23 In “Io sono tu sei” a pag. 99.

(8)

l'apprendimento e la consuetudine potrebbero rendere intuitive cose che non lo erano in origine (per esempio, posso pensare che per capire l'arte contemporanea sia sufficiente abituarcisi, frequentandola di più, ascoltandola a lungo - facendoci "l'orecchio" se si tratta di musica, guardandola e facendoci "l'occhio" se si tratta di pittura e così via. Ciò sembra confermato per esempio dalla distinzione che i

musicologi fanno tra "orecchio moderno" e "orecchio antico"- e dal fatto che la storia dell'arte attesti che i grandi artisti spesso non erano capiti dai loro

contemporanei). Ma Boncinelli giudica improbabile che ciò che è controintuitivo oggi diventi intuitivo col tempo, e che tutta la questione consista soltanto nel dovercisi abituare, perché egli afferma che il nostro intuito è rimasto lo stesso dalla notte dei tempi, da quando è nato l'uomo, è genetico e difficilmente modificabile. Mi appare strano che qualcosa di evidentemente genetico e sempre identico a se stesso come l'intuito sia così legato a qualcos'altro che, come la grazia, dipende invece dalle aspettative, che sono variabili, legate alla conoscenza e all'apprendimento.

A questo proposito nell'intervista allegata (pag. 214) ribadisce l'immodificabilità dell'intuito facendo l'esempio della teoria copernicana che nonostante siano passati vari secoli continua a non essere intuitiva, tant'è che continuiamo a dire che il sole sorge ad est. Sostiene che l'unico modo per capire ciò che non è intuitivo, per esempio l'infinitamente piccolo, è fare ricorso allo sforzo culturale collettivo, che ci permette una razionalità di livello ben più elevato di quanto sia consentito ai singoli, in quanto è anche sorretta dal metodo sperimentale e perciò ci fa tendere verso la verità. Infatti Boncinelli osserva che talvolta neanche ciò che è chiaro, bello e logico è vero24, a conferma che la ragione, individuale o collettiva che sia, da sola non è sufficiente, ma che occorre sempre una puntuale verifica e sperimentazione, secondo la regola appunto del metodo sperimentale. Infatti, il concetto di vero e tutta la razionalità, specie se individuale, sono pesantemente condizionati

dall'intuito, tendenzialmente immodificabile.

Secondo Boncinelli dunque, il nostro intuito non è cambiato, è quello di centocinquanta milioni di anni fa, adatto a farci muovere nella savana, mentre le moderne scienze parlano di oggetti che non avendo fatto parte del mondo dei nostri progenitori noi non siamo attrezzati ad immaginare. Proprio in rapporto a quest'ultima considerazione mi si apre un problema che in forme differenti mi si ripresenta puntualmente in vari punti del suo pensiero. Se l'esperienza non entra nel genoma, come può essere diventato genetico qualcosa per il semplice fatto di essere stato presente nella vita dei nostri

progenitori? Come diventa – perché questo, come vedremo, è il concetto di fondo _ a priori per l'individuo qualcosa che era in origine a posteriori per la specie?

L'unica risposta plausibile che ho trovato è la seguente: ciò che esiste ed è utile, per il fatto stesso di esistere, fa sì che individui casualmente nati con un'idoneità genetica atta a capire o ad usare tale cosa la capiranno e la useranno, finendo col venir privilegiati da una riproduzione differenziale. Dunque, ciò che fa parte della realtà esperienziale o culturale vincente finisce per affermarsi geneticamente negli organismi futuri, non perché vi sia in qualche modo entrato, come pensava

24 Vedi per es. a pag. 65 de "Il posto posto della scienza", in cui si parla del meccanismo a retroazione negativa di

Jacob-Monod da cui ci si aspettava che potesse spiegare l'intera regolazione degli esseri viventi. Boncinelli commenta:"Tutto chiaro, tutto logico, tutto bello, ma purtroppo non rispondente al vero".

(9)

Lamarck, ma perché soltanto coloro che saranno nati casualmente capaci di capire o usare quella certa cosa sopravviveranno e si riprodurranno in misura maggiore ad opera della selezione.

Boncinelli non fa affermazioni esplicite di questo tipo, ma io mi trovo costretta ad attribuirgli questo retropensiero per sciogliere il nodo del ragionamento. Se così fosse, verrebbe un po' ridotta la rilevanza del caso, perché ciò che esiste e funziona (e ciò lo stabilisce la selezione) finirà quasi inevitabilmente nel nostro futuro.

L'immodificabilità dell'intuito deriva dalla sua natura genetica; ma poiché secondo Boncinelli l'evoluzione non si è arrestata, deve trattarsi di una immodificabilità relativa, che avrebbe bisogno di migliaia e migliaia di anni per diventare evidente. Eppure le mutazioni avvengono ordinariamente, tutti i giorni, anche dentro al

genoma, e dunque perché non si può immaginare che chi casualmente nasce con un intuito più idoneo a capire la scienza dei nostri tempi potrà essere favorito

anch'egli da una riproduzione differenziale? Perché mai l'intuito dovrebbe sfuggire a questo meccanismo?

Io sospetto che la grande diffidenza di Boncinelli nei confronti dell'intuito non

derivi soltanto dal fatto che esso è inadeguato rispetto all'uomo contemporaneo, ma che derivi dal suo stretto collegamento con l'emotività, della quale Boncinelli

diffida, perché le emozioni ci guidano, come vedremo, indipendentemente dalla nostra consapevolezza. Infatti, egli conclude che tutto ciò ci deve insegnare a diffidare delle teorie belle ed intuitive, che adescano la nostra emotività, che è alla base delle nostre decisioni. L'emotività – mi pare - sarebbe in conclusione alla base di ciò che è bello e intuitivo. Non a caso Boncinelli definisce emotiva, senza alcun fondamento scientifico, la natura delle numerose polemiche che attaccano l'evoluzionismo in quanto controintuitivo, appellandosi spesso al creazionismo, nelle sue varie forme. L'emotività egli afferma però che non è completamente genetica, perché dipende in grandissima parte dalle nostre esperienze25, e di nuovo mi lascia dubitare che anche l'intuito, se le è legato, non possa essere totalmente impermeabile a queste.

IL CRITERIO DELLA CONTINGENZA

L'evoluzionismo è una scienza un po' particolare, perché è una scienza storica. Per capire un qualsiasi organismo, nella sua fisiologia e nelle sue funzioni, occorre cioè fare ricorso, più che alla logica, fondamentale in fisica, all'indagine sui vari stadi attraverso cui esso si è sviluppato, sia individualmente, a partire dall'embrione, vale a dire ontogeneticamente, sia come specie da specie precedenti, cioè filogeneticamente. Infatti tali stadi non si susseguono l'un l'altro secondo regole di necessità stringente e in ogni momento può essere imboccato un percorso imprevisto.

La storia degli organismi è storia delle successive rotture di continuità (o di simmetria), attraverso cui emergono sempre nuove proprietà, in cui il caso svolge un ruolo di primo piano anche se la base su cui esso lavora è di permanenza chimica, fisica e genomica.

(10)

Gli esseri viventi non sono infatti costruiti con una finalità chiara fin dall'inizio, sono un palinsesto di strutture e di funzioni che si sono succedute e parzialmente sovrapposte e modificate o di cui è cambiata la destinazione d'uso, paragonabile forse alla progressiva ricostruzione di un villaggio sulle sue stesse fondamenta e strutture originarie. Analizzando il vivente, è difficile distinguere ciò che ha una funzione attuale da ciò che rappresenta un retaggio storico superato26, perché la storia dell'organico è un percorso di tentativi ed errori, un percorso erratico, che non è ispirato ad un progetto preesistente e non è prevedibile.

Per conoscere un essere vivente devo quindi sapere come si è formato, vale a dire che devo ricostruire sia la sua storia individuale, biologica e ambientale, sia quella della specie a cui appartiene. Devo trovare le cause contingenti che non sono deducibili logicamente perché non sono legate da un criterio di necessità; devo forse trovare, come abbiamo visto, ciò che nella sua vita è casualmente (o per qualsiasi ragione

esterna) comparso esercitando la sua influenza e determinandolo almeno in parte. Aiutano ben poco invece l'introspezione e la riflessione, delle quali Boncinelli diffida,

probabilmente perché anche queste sono connesse all'intuito e all'emotività.

Già il concetto di causa è poco adeguato alla vita, la quale c'insegna casomai a chiederci “qual è lo scopo?”, “a che cosa serve?”, in quanto tutto ciò che è dettato dai geni è ciò che la selezione ha lasciato passare in quanto utile alla sopravvivenza. Ma neanche questo criterio funziona sempre, e qualche volta, ci dice Boncinelli, bisogna anche abbandonare la ricerca, concludendo che"è così perché è così"27. Infatti l'evoluzione non si svolge neanche sempre secondo la logica della sopravvivenza, perché la selezione spesso lascia passare anche mutazioni che non sono utili, o che sono perfino nocive, purché non siano letali.

L'evoluzione dunque non solo non si muove secondo un progetto, non ha cioè una causa finale, ma non rappresenta neanche la conseguenza necessaria di ciò che l'ha preceduta: è solo una delle possibili conseguenze.

Egli parla di un riduzionismo del vivente che è necessariamente storico e diacronico28 perché si basa su un meccanismo di proprietà che pur emergendo in maniera casuale diventano poi determinanti. Tale dimensione storica non va intesa come svolgimento nel tempo in senso crociano, ma come processo d'interazione tra l'organismo e l'ambiente29, che rende ogni fatto biologico

“quadridimensionale”, in quanto necessita della dimensione temporale e storica. Ogni essere vivente rappresenta infatti l'incontro di uno specifico genoma - che gli detta in modo

abbastanza rigoroso e deterministico il percorso - con l'ambiente circostante e il caso, che tendono a scalzare tale determinismo. Ciò che l'individuo troverà sulla propria strada e che lo trasformerà non è strettamente prevedibile, non gli è predestinato, ma è al

contrario in gran parte fortuito. L'evoluzionismo pone dunque accanto al criterio di causalità quello della ricostruzione del percorso storico, perché oltre che per necessità la vita si svolge per pura contingenza e quindi occorre adottare un metodo storico per studiarla.

Questo discorso sembra saldarsi all'osservazione che abbiamo fatto di ciò che emergendo nel presente, qualunque sia la sua causa (un oggetto può essere stato progettato da qualcuno o essersi assemblato casualmente o essere arrivato da pianeti extraterrestri...) per il fatto stesso che esiste e funziona entrerà nel nostro

26 Pag. 246 de "Il cervello, la mente e l'anima". 27 Pag. 158 de "Il cervello, la mente e l'anima". 28 "Il posto della scienza", pag. 98.

(11)

futuro. Le cause appaiono qui come inessenziali: di qualunque tipo esse siano, tale oggetto finirà comunque nel futuro genoma, anche se ciò non avverrà attraverso un meccanismo lamarckiano. Più che di caso, mi sembrerebbe più adeguato parlare di cause contingenti o non strettamente necessitanti.

In tal modo l'ambiente esercita sull'individuo un'influenza a sua volta determinante, che però quasi paradossalmente si risolve in un allargamento delle possibilità comportamentali. Ciò equivale forse a dire che quando una causa è unica ha un potere assoluto e deterministico, mentre quando ce n'è più d'una si crea un piccolo spazio di libertà da gestire mediante una scelta più o meno consapevole.

HAECKEL E LA LEGGE DI RICAPITOLAZIONE

La "legge di ricapitolazione" di Haeckel è una delle tesi biologiche più famose e sostiene che lo sviluppo embrionale, cioè l'ontogenesi, ricapitola la filogenesi, cioè attraversa le stesse tappe dell'evoluzione che ha portato a quel tipo di organismo. Boncinelli ci dice che questa teoria "non sta né in cielo né in terra"30, vale a dire che non ha alcun fondamento reale.

Per quanto sia vero che in alcuni gruppi di vertebrati gli embrioni sono più simili tra loro in specie diverse che all'adulto della rispettiva specie, ciò non avviene sempre, e un embrione di pesciolino non sarà mai simile ad un embrione di cane. Si tratta dunque di un abbaglio, di una generalizzazione avventata, dovuta forse al fatto che è soprattutto negli stadi embrionali avanzati che si evidenziano i cambiamenti evolutivi, visto che se questi avvenissero in stadi precoci i rischi sarebbero di gran lunga maggiori e probabilmente letali.

Casomai si può dire che l'ontogenesi anticipi la filogenesi, se non altro per ragioni di priorità

temporale, perché innesca l'evoluzione, la quale consiste prima di tutto in evoluzione dei processi di sviluppo31.

Ma l'errore più grande da parte di chi ragiona in base alla "legge di ricapitolazione" è soprattutto di volerla applicare all'evoluzione culturale, come quando si sostiene che i nostri primitivi antenati rispecchiavano i bambini attuali e che, come questi, avevano un linguaggio più elementare. Si tratta per Boncinelli di "fandonie imperdonabili!"32. L'evoluzione culturale ha infatti regole proprie e ben

diverse da quella biologica, nonostante il comune termine di evoluzione e, come vedremo, la derivazione della prima dalla seconda. Quest'errore rientra in una tipologia specifica e molto ricorrente di errori, che abbiamo già incontrato, che consiste nell'applicare all'insieme più generale le regole specifiche che valgono solo per un suo sottoinsieme. Per esempio, mentre le leggi della chimica e della fisica valendo per l'inorganico, che è alla base di tutto, valgono anche per l'organico, le regole della biologia o del mentale non si possono applicare al fisico.

GLI APPORTI COSTRUTTIVI AL DARWINISMO

La biologia nasce nel primo decennio del '900, così che Darwin non poté conoscerla. Quanto all'embriologia, questa era allora ad uno stadio primitivo e non si sa neanche se Darwin avesse letto

30 "Lo scimmione intelligente", pagg.65-66. 31 "Lo scimmione intelligente", pag. 32. 32 "Lo scimmione intelligente", pag. 66.

(12)

l'articolo di Mendel del 1866 sull'ereditarietà, perché questo frate lavorava quasi del tutto sconosciuto ad un'opera che solo molto tempo dopo venne conosciuta e compresa come fondamentale. È soltanto a partire dagli anni '30 del novecento infatti che si scoprì il grande contributo di Mendel con la sua teoria sull'ereditarietà, che finisce per spiegare alcuni meccanismi importanti della teoria darwiniana.

Negli anni '30-'40 il darwinismo diventò una vera e propria scienza anche grazie agli apporti della biologia matematica e della genetica delle popolazioni, dando luogo a quella che si chiama "sintesi moderna".

Ma è verso il 1960 che arrivarono le critiche del neutralismo e del saltazionismo, che porteranno all'attuale neodarwinismo.

Mentre fino allora si pensava, col cosiddetto selezionismo, che il processo evolutivo fosse

interamente controllato e guidato dalla selezione operata sui fenotipi in base alle loro mutazioni, il genetista Motoo Kimura osservò che sono moltissime le mutazioni che non hanno alcun effetto apparente, che non modificano cioè il fenotipo e che quindi non possono venir promosse dalla selezione (la quale lavora esclusivamente sui fenotipi); esse sono continue, silenti o neutrali, da cui il termine "neutralismo". L'evoluzione cioè sarebbe dovuta alla casuale fluttuazione dei geni (o "deriva genetica") che produrrebbe una variabilità scarsamente significativa per il fenotipo e quindi per la selezione naturale.

Tale lettura sembrava contrapporsi in modo inconciliabile a quella "selezionista". Invece entrambe le teorie sono state recepite e accolte dal neodarwinismo, che riconosce nell'evoluzione la

coesistenza di processi di tipo diverso.

Un'altra variazione al modo di concepire l'evoluzione venne dalla paleontologia. Eldredge e Jay

Gould osservarono infatti che i resti fossili testimoniano chiaramente che ad epoche di stagnazione

seguono epoche di straordinari stravolgimenti, per cui l'evoluzione anziché essere lenta e

progressiva, come si era ritenuto fino ad allora, è un processo discontinuo e per salti. Questa teoria prese il nome di "saltazionismo" o "discontinuismo" o "teoria degli equilibri punteggiati" ed è molto utile per spiegare alcune grandi discontinuità, come l'esplosione del Cambriano, seicento milioni di anni fa, ma anche la nascita dell'uomo.

È vero che in biologia le mutazioni sono continue, ma esse restano spesso sommerse, perché

vengono tenute a bada dalla selezione che è stabilizzante, in quanto tende a penalizzare ogni novità. Ma allorché succede intorno qualcosa di eclatante, per esempio un improvviso mutamento

ambientale che sconvolge tutto, ecco che l'organismo che è portatore di novità può rivelarsi adatto alla nuova situazione e quindi si riprodurrà più degli altri organismi, e tale novità finirà con

l'imporsi. Una volta affermatasi, cercherà poi nuovamente di stabilizzarsi coi metodi poco visibili, lenti e stabilizzanti della selezione, attraverso mutazioni continue e silenti, fintanto che le

condizioni ambientali rimarranno le stesse. Prima o poi però accadrà nell'ambiente qualcos'altro d'imprevisto cosicché organismi mutati potranno prendere di nuovo il sopravvento e così via. Sarebbe dunque in concomitanza coi grandi eventi naturali che si verificano le grandi rivoluzioni evolutive, studiate dal saltazionismo, mentre nelle lunghe fasi di stagnazione verrebbero selezionati i portatori di caratteristiche medie, studiate dai sostenitori del continuismo.

Del resto - ci dice Boncinelli33 - anche nella vita individuale ci sono lunghi periodi in cui non succede niente di speciale (la vita di un adulto è spesso cristallizzata) e brevi periodi rivoluzionari che sconvolgono tutto (come lo sviluppo, l'infanzia, la vecchiaia). In tal modo si può dare perfino una spiegazione evolutiva ad un fenomeno di tipo sociale che Boncinelli detesta: il conformismo. L'evoluzione infatti nei suoi periodi lenti sembra premiare chi più si attiene alle norme, mentre soltanto nei brevi scossoni in controtendenza premia coloro che "sanno trasgredire".

(13)

Neutralismo e saltazionismo hanno avuto il pregio di ridimensionare il ruolo direzionale della selezione, facendone soltanto un tutore dell'ordine in funzione della sopravvivenza, e dando invece il giusto risalto al caso, che è il vero inventore dell'evoluzione. Pur essendo partite da una posizione di critica all'evoluzionismo, queste teorie hanno dunque finito col migliorarlo entrandovi a farne parte a pieno titolo.

A partire dagli anni '80 del novecento si delineò un neodarwinismo ben più solido, supportato dalle acquisizioni della genetica. Critiche ulteriori di carattere scientifico sono certamente presenti (es.

Dawkins e Williams che difendono l'adattamento), ma l'impianto dell'attuale teoria secondo

Boncinelli è ben solido e difficilmente scardinabile con argomentazioni serie.

Vi è infine una nuova disciplina di grande successo, l'Evo-Devo – che è una contrazione di

Evolutionary Developmental Biology - che studia l'evoluzione dei processi di sviluppo embrionale.

Essa rientra a pieno titolo nell'evoluzionismo, perché, come si è detto, questo consiste propriamente nella storia delle mutazioni del genoma e dunque nella storia dell'evoluzione dei meccanismi di sviluppo. Se tali studi non furono fatti prima non è perché non fossero in linea con l'evoluzionismo, ma perché sono stati resi possibili soltanto grazie agli enormi progressi recenti della genetica.

LE CRITICHE IDEOLOGICHE ALL'EVOLUZIONISMO

Negli Stati Uniti, all'interno del mondo protestante, si è formato alla fine del '900 un movimento di opinione, chiamato Creazionismo, che sostiene, in nome di un' interpretazione letterale delle Sacre Scritture, che tutto è stato creato, così com'è ora, da Dio, in altrettanti atti di creazione, e in nome di ciò scredita il darwinismo e allarga poi la polemica a tutta quanta la scienza.

Le argomentazioni da loro usate contro l'evoluzionismo secondo il nostro autore sono una sorta di "ricerca del pelo nell'uovo", che tende ad allargare come "un piede di porco" le piccole “crepe” 34 che ogni teoria scientifica porta inevitabilmente con sé, anche se l'insieme, come in questo caso, è solidissimo.

L'opposizione di fondo su cui esse si basano è puramente ideologica, psicologica, ed emotiva, e cerca di sostituire all'atteggiamento sperimentale di ricerca, aperto a tutte le possibili risposte e che è proprio di tutte le scienze e della biologia in particolare, un atteggiamento fideistico che esclude tutto ciò che non è coerente con i suoi presupposti. (Traducendo tutto ciò nei termini in cui spesso Boncinelli analizza i costrutti umani, esse si basano su preconcetti intuitivi di natura emotiva e irriflessa; la ragione vi interviene non per saggiarne la validità, ma per fornirne gli alibi, per costruire dei sostegni atti a renderli plausibili, che sono simili a razionalizzazioni, che pretendono la verità senza neanche averla cercata. Anche qui è implicita la sua diffidenza e la polemica nei confronti di tutto ciò che è emotivo, intuitivo e non razionale)

Qualsiasi ideologia – egli afferma - è per definizione opposta alla ricerca scientifica ed infatti nelle nazioni in cui essa prevale, come già abbiamo visto a proposito dell'URSS col lamarckismo, la scienza e la biologia ristagnano, a dimostrazione dello stretto legame tra scienza e democrazia. Un gruppo di creazionisti assieme ad altri hanno successivamente fondato l'Intelligent Design, che non nega più l'evoluzione, ma alla cui base postula l'esistenza di un progetto, cioè di una vera e propria regìa al posto del procedimento erratico e casuale che invece la caratterizza. Ciò si fonda su argomentazioni note e affrontate fin dai tempi di Darwin, che non apportano alla discussione niente di nuovo ed originale, e fanno leva sulla controintuitività dell'evoluzionismo, che crea un certo

(14)

disagio in noi tutti soprattutto quando parla dell'uomo affermando che la sua origine animale è uguale a quella di tutti gli altri esseri viventi.

Scrive a pagina 107 di "Io sono, tu sei": "volendo, si sa, si possono scorgere innumerevoli "segni" o "prove" dell'esistenza di un progetto e di una regia dietro le cose del mondo, ma soprattutto dietro quelle del mondo della vita, quasi come se dietro la vita non ci potesse essere che altra vita, magari di tipo superiore. D'altra parte, i nostri sensi e circuiti nervosi che ne elaborano il messaggio sono stati calibrati essenzialmente per cogliere le manifestazioni della vita stessa, sia per perseguirle sia per fuggirle. Tanto è vero che, anche a livello teorico, è sempre stato ed è tutt'oggi difficilissimo definire la vita in opposizione alla materia

inanimata". È infatti la nostra condizione biologica che ci rende animisti e "cercatori di senso". Cercare per esempio la causa in una volontà deliberata è qualcosa di genetico che ci è stato finora molto utile nella lotta per l'esistenza, dal momento che gli agenti umani e animali sono per noi i più temibili e insieme i più

interessanti; si sarebbe in tal modo formata in noi un'attitudine automatica a cercare sempre e comunque una volontà – o più in generale una vita - anche laddove non può esserci, facendoci cadere nell'animismo. L'evoluzionismo capisce dunque il fondamento biologico, legato alla sopravvivenza, delle argomentazioni dei suoi stessi avversari. Ma bisogna imparare ad abbandonare anche i più rodati meccanismi interpretativi

quand'è il caso, non riproporli sempre e comunque, altrimenti si cade nella logica comportamentale delle scimmie studiate da Khöler, si cade in una forma di conformismo, che dovrebbe invece essere superato dall'uomo o quanto meno vagliato in maniera critica.

L' APPORTO DELLA BIOLOGIA E DELLA GENETICA

Darwin stesso, ci ricorda Boncinelli, provava un "brivido freddo" quando osservava la fisiologia di un organo complesso come l'occhio, che pare impossibile che possa derivare da tante piccole e continue mutazioni accumulate nel tempo. La sua teoria sembrava non spiegare fino in fondo fenomeni di questo tipo, lasciando aperto lo spazio a critiche di segno opposto.

Del resto, lo stesso Darwin doveva sentire bene la pregnanza di tali critiche, perché da giovane era profondamente religioso e era stato sedotto dalle argomentazioni del teologo Paley, che ad esempio sosteneva che la presenza di un orologio presuppone l'esistenza di un orologiaio. La sua fede religiosa era così forte che Boncinelli ipotizza35, forte della sua esperienza terapeutica, che la malattia che lo colpì fosse d'origine psicosomatica, in quanto egli non riusciva a conciliare i risultati dei suoi studi con le Sacre Scritture.

Per risolvere definitivamente questi scrupoli e dubbi, occorse il contributo della biologia del

novecento, che partendo dallo studio della drosofila – e qui s'inserisce di diritto l'apporto scientifico di Boncinelli - scoprì l'esistenza di geni di differente valore gerarchico, vale a dire l'esistenza dei geni regolatori e dei geni esecutori. I secondi ricevono ordini dai primi e vengono da questi attivati o disattivati.

Questi geni regolatori, chiamati anche master, tra cui i "geni architetto"36 scoperti da Boncinelli, sono grosso modo simili in tutte le specie, mentre ciò che fa la differenza tra una specie e l'altra sono i geni esecutori.

Ciò conferma innanzi tutto la fondamentale unità del vivente, già dimostrata dal fatto che tutti gli organismi noti utilizzano gli stessi nucleotìdi e che tutti producono la sintesi proteica.

Ma ha al contempo dimostrato, sempre a sostegno della teoria dell'evoluzione, che quando una

35 Tratto dal DVD “L'uomo: evoluzione di un progetto?”

(15)

mutazione interessa geni di alto livello gerarchico, come questi "geni architetto", che presiedono contemporaneamente organi differenti ed apparentemente autonomi, le conseguenze sul piano organico possono essere enormi, possono dare luogo a discontinuità clamorose, come quelle osservate dal saltazionismo, e che il darwinismo da solo non riusciva a spiegare.

Diventa così plausibile, grazie alle mutazioni di tali geni, che un organo complesso come l'occhio, per esempio, si sia istallato improvvisamente, senza aver avuto nessuna funzione iniziale oppure con una funzione inizialmente diversa da quella finale, e che si sia poi perfezionato lentamente, mediante successivi e graduali cambiamenti operati attraverso un lavoro di limatura ad opera della selezione naturale, che ha cercato di utilizzarlo nel modo più confacente alla sopravvivenza, piegandolo e adattandolo all'ambiente.

Dunque il "brivido freddo" di Darwin non ha più ragione di esistere. Addirittura il famoso "anello mancante", cioè l'esistenza di una specie intermedia tra noi e le scimmie antropomorfe, diventa un'ipotesi non necessaria, perché le mutazioni dei geni master potrebbero da sole aver prodotto cambiamenti enormi e discontinuità di questo tipo.

Ma affinché si verifichino cambiamenti repentini e importanti non è neanche necessaria la mutazione di tali geni regolatori; è più che sufficiente infatti che ne venga alterata la loro

applicazione temporale o spaziale, cioè la loro "espressione genica ectopica" o "eterocronica", che da sole bastano a determinare cambiamenti fenotipici carichi di conseguenze straordinarie. Che venga prodotta una quantità minore o maggiore di una certa proteina o che questa venga prodotta non più in una certa zona del corpo ma in un'altra può avere già di per sé conseguenze eclatanti, basti pensare ad esempio cosa comporti avere una corteccia cerebrale più o meno grande.

Un altro fondamentale apporto, dovuto alla genetica, è l'osservazione che uno stesso gene presiede contemporaneamente una molteplicità di organi e di funzioni, per cui quando la selezione naturale premia una singola mutazione in quanto vantaggiosa in rapporto ad un certo organo passano "a rimorchio" di questa, inosservati o comunque non direttamente selezionati, un certo numero di altri cambiamenti, a carico magari di altri organi apparentemente lontani, che possono anche non essere vantaggiosi o che sono addirittura svantaggiosi – purché l'effetto non sia deleterio e letale – . Si ipotizza ad esempio che l'ampliamento della corteccia cerebrale che ha finito col dare origine all'uomo sia soltanto una conseguenza di una mutazione di un gene master relativa ai reni e accettata dalla selezione in funzione di un miglior adattamento climatico”37!

Càpita anche che una mutazione silente, cioè invisibile nel fenotipo, dunque non scelta direttamente dalla selezione, la quale opera sui fenotipi, diventi improvvisamente importante da un punto di vista selettivo.

LA DINAMICA DELLE POPOLAZIONI

Abbiamo già detto che gli studi sulla dinamica delle popolazioni negli anni '30 e '40 dettero un consistente contributo al darwinismo e uno dei fenomeni più importanti evidenziato da questi studi è quello denominato "effetto collo di bottiglia". Quando cioè una qualsiasi popolazione per qualsiasi motivo si assottiglia riducendosi a pochi esemplari, le mutazioni che vi si verificano provocano effetti che verranno mantenuti nei componenti della stessa popolazione, anche quando essa tornerà ad espandersi, risultandone dunque trasformata nella sua globalità.

Per quanto riguarda gli esseri umani, tale fenomeno è più spesso chiamato "effetto del fondatore", perché si verifica allorché chi va ad abitare ad esempio un'isola poco popolata ed è portatore di una caratteristica specifica, anche se tale caratteristica non ha nessun valore di adattamento rispetto al nuovo ambiente, provoca nella popolazione successiva l'insorgenza di una grande quantità di individui detentori di quella stessa caratteristica. È il caso delle isole Tristan de Cunha in cui

(16)

approdarono alcuni portatori di asma, la quale nel tempo vi si è largamente diffusa indipendentemente da qualsiasi utilità o influenza climatica.

Sia l'effetto "collo di bottiglia" che quello "del fondatore" sono espressione della fluttuazione degli alleli38 eterozigoti non chiaramente dannosi, che non viene operata dalla selezione ma dal caso e che è sempre attiva, anche se tende a fissarsi in popolazioni ridotte. A determinare le

caratteristiche di una popolazione sono spesso tali fenomeni, chiamati in generale di "deriva genetica"o di "fluttuazione casuale", che non sono diretti dalla selezione naturale.

Se infatti si separa una popolazione in due su un identico territorio, in condizioni ambientali pressocché identiche e se si mantiene tale separazione per molte generazioni, alla fine ne risulteranno due specie differenti, a causa di un "ribollio" mutazionale casuale e continuo, che talvolta porta a un contributo adattivo, ma talaltra no39. Mutazioni e alleli nuovi possono quindi determinare, indipendentemente da selezione e adattamento, perfino delle speciazioni e queste sono irreversibili, com'è dimostrato dal fatto che l'accoppiamento tra individui di specie diverse genera figli handicappati o sterili; si tratta dunque di punti di non ritorno, di rotture di simmetria

fondamentali nell'evoluzione.

Ciò conferma che la vita è un cambiamento continuo, un'esplorazione alla cieca in tutti i meandri delle possibilità, senza direzioni o logiche prestabilite.

ADATTAMENTO E SELEZIONE NATURALE

Abbiamo visto che il caso ha dunque un ruolo fondamentale nell'evoluzione, ma sappiamo che essa non sarebbe possibile se la continua variazione operata da mutazioni e ricombinazioni non fosse entrata nelle maglie di un meccanismo ripetitivo e deterministico e quindi prevedibile, rappresentato da una parte dalle leggi della fisica e della chimica e dall'altra dalla selezione naturale in funzione della sopravvivenza. Analogamente, non ci sarebbe evoluzione se non ci fosse una tendenziale permanenza del genoma. Quest'ultimo cambia nel tempo, ma così lentamente che rispetto alla vita effimera di una cellula appare eterno. La selezione dunque, come il DNA, giocherebbe a favore della regolarità e della permanenza, scandite su un altro fronte anche dalle leggi fisiche e chimiche. Ciò equivale a dire che non c'è cambiamento senza

permanenza e che caso e necessità sono le due anime dell'intera esistenza biologica.

Scrive infatti Boncinelli alle pagine 82 e 83 di "Verso l'immortalità": "...fortunatamente il nostro mondo è popolato di fenomeni estremamente ripetitivi: vale a dire che, date certe condizioni, si verificano sempre determinate conseguenze, almeno nelle scale di grandezza a noi

familiari" e prosegue: "se invece di comportarsi in modo così disciplinato, il mondo

macroscopico fosse casualmente bizzarro, come pare sia quello subatomico, l'evoluzione non avrebbe potuto realizzarsi." ed ancora:" ...è stata la grande regolarità della concatenazione degli eventi a far sì che una qualsiasi prerogativa vantaggiosa, apparsa casualmente nel genoma di un individuo, rimanesse vantaggiosa anche per la sua discendenza, favorendone l'affermazione. Passo dopo passo, il filtro della selezione naturale ha pilotato l'evoluzione verso organismi sempre più complessi e sempre più adatti a sfruttare a proprio favore la suddetta regolarità del mondo."

Permanenza e determinismo sono dunque una delle condizioni d'esistenza della vita, perché permettono soltanto ad alcune mutazioni d'imporsi, valutandole in base al criterio della sopravvivenza. Dunque la selezione pare introdurre un finalismo e una complessità nell'evoluzione, che di per sé nelle mutazioni non c'è. Boncinelli tuttavia cerca di ridimensionare, per quanto possibile, il ruolo direttivo della

38 Sono chiamati "alleli" le diverse forme che un gene, in virtù delle sue mutazioni, può assumere. 39 Da "Le forme della vita" pag. 81.

(17)

selezione, sottolineando i casi in cui, attraverso mutazioni silenti o a rimorchio, sembra aprirsi anch'essa alla casualità, e la stessa cosa fa per quanto riguarda l'adattamento, il cui un ruolo segnatamente direttivo è "tutt'altro che casuale".

Scrive infatti Boncinelli che quando si dice che la selezione naturale premia gli individui più adatti, si fa un'affermazione circolare, perché "più adatto" è chi sopravvive e chi sopravvive è il più adatto. Si dice inoltre qualcosa che è verificabile solo a posteriori. È semmai più chiaro cosa significhi "non adatto".

Infatti non conosciamo nei dettagli come fosse quell'organismo prima dell'adattamento e neanche si può dire tra individui differenti quale sia il più adatto, perché non esiste un criterio unico; le

caratteristiche di un individuo sono ovviamente molteplici e chi è ben adatto per alcune è spesso meno adatto per altre. Non esistono cioè caratteristiche-guida, privilegiate dalla selezione e atte a guidarla, perché la selezione sceglie i fenotipi nella loro globalità e non premia caratteristiche specifiche.

L'adattamento può inoltre avvenire in forme differenti, quindi tale concetto non è comparabile o misurabile, ma può essere definito in maniera soltanto approssimativa o intuitiva. Organismi differenti in uno stesso ambiente hanno infatti forme di adattamento ben diverse, per quanto tutte efficienti; cosa li porta a scegliere quella forma particolare, e chi dice che non ce ne potrebbe essere una migliore?

In conclusione, noi definiamo come più adatto ciò che di fatto è stato selezionato dalla natura, vale a dire ciò che semplicemente è esistente. Non è dunque un criterio scientifico e non ha nessun potere predittivo.

Come lavora la selezione naturale? Premiando alcuni individui attraverso l'attribuzione di una prolificità differenziale o fitness (abbiamo già detto che di selezione eliminativa Boncinelli parla ben poco).

E con quali criteri? L'ambiente valuterà quali individui, esaminati come si è detto nella loro globalità fenotipica e non per qualche loro caratteristica specifica, sono più adatti. Ma gli ambienti possibili sono tanti e c'è un adattamento diverso per ciascun ambiente e non un concetto fisso di adattamento, che dunque è valutabile solo a posteriori.

La selezione naturale elimina subito le caratteristiche assolutamente nocive, ma conserva spesso quelle che non sono troppo negative, anche se è stabilizzante, perché tende ad escludere ogni novità. Le novità negative che esclude sono di solito quelle evidenti, monozigotiche e fenotipiche, mentre lascia passare quelle silenti, eterozigotiche e genotipiche, che però in seguito possono rivelarsi importanti.

È soprattutto in concomitanza di improvvisi cambiamenti ambientali che le mutazioni vengono utilizzate, e ciò è all'origine dell'evoluzione. Dunque la selezione mira alla conservazione del fenotipo, ma lascia passare anche tutto ciò che non provoca cambiamenti apparenti ma che nell'evenienza di un mutamento ambientale può essere

successivamente ripescato per dare un'ulteriore chance di sopravvivenza. Si può forse dire che la selezione è conservativa finché l'ambiente non la costringe a cambiare direzione, ma che proprio conservando tutto, anche gli apparenti scarti, si prepara al meglio ad ogni eventuale cambiamento futuro.

La selezione favorisce i fenotipi nel loro complesso. In particolare, in una popolazione stabilizzata, sono favoriti i portatori di caratteristiche medie - secondo la curva gaussiana - mentre in una

(18)

dunque di solito i valori medi e si parla perciò di aurea mediocritas 40.

Noi esseri viventi al contrario preferiamo gli estremi. Questo risulta evidente nelle competizioni sessuali, dove l'esibizione di una caratteristica svantaggiosa, che addirittura mette a repentaglio la sopravvivenza, come la coda del pavone che ne limita il volo o le corna troppo grandi e pesanti da sostenere, è preferita dalle femmine ed è vincente sugli avversari, forse perché dimostra, in maniera che negli umani sarebbe definita un po' smargiassa, che chi la detiene, dal momento che sopravvive lo stesso, ha una maggiore forza e capacità rispetto agli altri. Si tratta di un "rischio calcolato", in cui il messaggio che passa è: "Sono così forte – cioè ho geni così buoni - che me lo posso anche permettere"41.

Ciò è un'ulteriore prova che la natura ama il disordine, cioè l'omogeneità e l'indifferenziato, mentre noi amiamo l'ordine. Vale a dire che la natura smussa tutte le punte che trova. Infatti, una

popolazione ricca di individui medi affronta più facilmente sia i cambiamenti improvvisi che quelli striscianti dell'ambiente e in tal modo si mantiene meglio. Inoltre, difficilmente i valori più alti per una determinata caratteristica si associano a valori alti anche per altre caratteristiche, così che per esempio chi è molto bello difficilmente sarà anche molto intelligente. Ciò conferma che noi ragioniamo con criteri ben diversi da quelli della natura, la quale, perlomeno nei suoi periodi quieti, sembra sostenere e forse fondare il nostro spirito gregario e il nostro conformismo.

Qualora potessimo anche pilotare il nostro genoma, scegliendo le caratteristiche che giudichiamo migliori, in base a valori alti anziché medi, le caratteristiche scelte ne porterebbero inevitabilmente al traino delle altre, forse negative, senza che noi ne fossimo consapevoli. Questa è una ragione per respingere l'eugenetica, cioè il tentativo di migliorarci anche su caratteristiche che sono inessenziali, magari d'ordine estetico, ma non toglie nessun valore al nostro impegno per eliminare invece

malattie e difetti che sono evidenti e importanti42.

Il concetto di adattamento è stato inoltre modificato e ampliato, e comprende oggi quello di

"preadattamento" e di "transadattamento" o exaptation. Anche questi concetti contribuiscono ad aumentare il rilievo del caso.

Mentre nell'adattamento alcuni caratteri vengono premiati dalla selezione perché risultano

vantaggiosi per la sopravvivenza, nel preadattamento i caratteri che risultano vincenti non sono stati selezionati di per sé, per il loro valore adattivo, ma perché semplicemente "a rimorchio" di qualche carattere adattivo. Ad un certo momento, in seguito ad uno sviluppo articolato e complesso, può capitare che manifestino improvvisamente la loro utilità o che la selezione inventi per loro un ruolo; la comparsa di questi caratteri è casuale e non è dunque improvvisa, mentre può essere improvvisa la rivelazione della loro utilità.

Il transadattamento o exaptation si verifica invece quando un determinato organo smette di avere la funzione per cui è nato e ne assume un'altra. Un esempio sono le ali, che all'inizio erano un organo di equilibrio; un altro sono le vesciche natatorie dei pesci, che nel passaggio ai vertebrati sono stati "riciclati" diventando polmoni.

Occorre sottolineare che ciò che si trasforma nella storia evolutiva non sono soltanto gli organi (anche se questi sono ciò che noi vediamo e da cui possiamo dedurre che c'è stata un'evoluzione), ma sono in primo luogo i geni e i loro circuiti (o per meglio dire pezzi di cromosomi contenenti più geni, perché difficilmente una mutazione riguarda un solo gene), anche quando ciò non è visibile nel fenotipo (talvolta infatti un gene assume una nuova funzione per così dire di soppiatto, mantenendo la vecchia).

40 Vedi pagg. 120/124 de "I nostri geni" e pag. 161 de "Il male". 41 "Perché non possiamo non dirci darwinisti", pag. 261. 42 “Genoma: il grande libro dell'uomo”, pag. 198.

(19)

IL CASO

Osserviamo meglio come Boncinelli ci descrive il caso. Egli afferma che questo termine è per lui una “comoda abbreviazione”43 per indicare molte cose ed escluderne altre.

Abbiamo visto che la sua valenza negativa è fondamentale, in quanto serve ad escludere qualcos'altro: la progettualità dell'evoluzione. È tale esclusione che rende indigesto e

controintuitivo l'evoluzionismo, che afferma che gli esseri viventi e gli umani in particolare sono costruiti non in base ad un progetto di partenza, ma secondo un'autocostruzione erratica, decisa un passo alla volta, per tentativi, fortemente casuale. Ciò che non accettiamo è questa

mancanza di progettualità nella storia della vita e di quella dell'umanità in particolare.

Il caso incide tanto a livello molecolare quanto a livello macroscopico.

A livello molecolare, ciò avviene spesso per via della ristrettezza dei tempi in cui le reazioni

biochimiche devono avvenire. Infatti in un organismo la cellula si riproduce al ritmo di ventiquattro o venticinque ore (che è il cosiddetto ritmo circadiano), e tutte le reazioni devono perciò compiersi in tempi molto limitati. Quando genoma e ambiente non riescono a imporre la loro scelta entro tali tempi, la reazione avverrà comunque, e la direzione che essa prenderà sarà decisa in maniera casuale. Questo càpita soprattutto durante lo sviluppo embrionale, ma anche dopo. Succede per esempio in relazione alle sinapsi che si formano. Succede agli organi che si possono attaccare un po' più a sinistra o un po' più a destra, determinando in ciascuno un'inevitabile piccola asimmetria, così che gli orecchi ad esempio per quanto simili in una stessa persona non saranno mai identici, e i cui canali saranno uno un po' più largo o un po' più dritto dell'altro. Stessa cosa per le proteine, in cui nulla vieta che le molecole siano vénti o ventidue, anche se poi per l'individuo ciò avrà

conseguenze assai rilevanti. È soltanto per caso se una proteina rimane attaccata al DNA che la controlla oppure se ne distacca smettendo con ciò di esserne controllata. Come vedremo in seguito, questo spazio in cui il caso può agire esiste fin dall'inizio dello sviluppo e ancora prima, fin dalla fecondazione, ma aumenta quando i geni smettono di provvedere a tutto, il che avviene quanto più l'organismo è complesso e cresce. Attraverso il meccanismo dell'indeterminazione genetica, più passa il tempo più il DNA delega infatti a ciò che è esterno – vale a dire all'ambiente ma anche al caso – esecuzioni di compiti e scelte.

Il caso dunque influenza sempre in un senso o nell'altro il programma genetico, trova sempre dei pertugi in cui infilarsi, lasciati liberi come vedremo dalla stretta determinazione dei geni o da quella meno rigida dell'ambiente44. Non è necessaria l'insufficienza o la conflittualità o

l'equivalenza delle diverse alternative affinché il caso entri in gioco: esso s'insinua comunque, come risulta chiaramente in risposta ad una mia domanda nell'intervista allegata45

. Il caso è un principio talmente presente nella vita e nell'evoluzione e così fondamentale che Boncinelli afferma: "tutto ciò che non è caso nel nostro mondo l'abbiamo immaginato e costruito noi"46. La stessa grandiosa e fantasmagorica diversificazione del vivente, dal momento che esso ha un'origine unica e comune, non sarebbe stata possibile se nella vita esistessero esclusivamente meccanismi deterministici e può essere spiegata soltanto grazie all'intervento del caso.

Mentre ciò che appartiene alla materia inorganica, sia naturale che artificiale, in tutto l'universo non

43 “Lo scimmione intelligente”, pag. 94. 44 Vedi a pag.16 di "La vita della nostra mente". 45 Vedi da pag. 212, in fondo.

Riferimenti

Documenti correlati

Se qualche volta non c’è più nulla da Se qualche volta non c’è più nulla da.. fare, non

 Per sapere la posizione di un corpo sulla Per sapere la posizione di un corpo sulla superficie della Terra occorre avere un superficie della Terra occorre avere un. reticolato

Per fortuna l’informatore decide di aiutare ancora l’ispettore fornendogli indizi proprio attraverso il computer. Il numero

Finalmente arrivano informazioni sul complice della Signora Violet, l’abilissima ladra arrestata da Numerik.. Gli indizi sono contenuti in una busta chiusa: l’ispettore Numerik la

nell’attività didattica degli alunni delle classi che hanno adottato il testo Idee per insegnare le scienze con. Tibone FACCIAMO SCIENZE seconda edizione ©

Mentre leggi e studi le pagine del tuo libro di geografi a dedicate alle coordinate geografi che, inserisci nel disegno i numeri corrispondenti alle parole elencate sotto..

David Attenborough (nato nel 1926) è stato un pioniere del documentario naturalistico e uno dei massimi divulgatori scientifici a livello mondiale. Per più di 50 anni ha

Nel Crepuscolo degli idoli Socrate diventa l’emblema dell’uomo decadente, che inaugura l’epoca del declino, contrassegnata dall’emergere di metafisiche (quella