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Nietzsche si sente allo stesso tempo, così vicino e così lontano da Socrate che

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1. Socrate in Nietzsche.

Centrale nell’atteggiamento intellettuale di Nietzsche è il desiderio di misurarsi con quei “grandi” nei quali egli riconosce sé stesso. Tra questi “tipi” vicini a Nietzsche ricordiamo Gesù, Paolo, Wagner e per l’appunto Socrate. Il Socrate che Nietzsche prende di mira è il Socrate dialettico di Platone, perchè il Socrate di Senofonte sarebbe stato incapace di compiere la rivoluzione epocale che il filosofo di Röcken attribuisce a Socrate. Questi, come ricordavamo nelle pagine precedenti, è per Nietzsche colui che ha ucciso la tragedia e avviato un’era di razionalismo ottimistico. Nietzsche prende la figura di Socrate con ironia e al tempo stesso con serietà, tracciandone una caricatura e indicando in lui una svolta dell’intera civiltà occidentale. Il tentativo di restituire l’immagine di Socrate da Nietzsche genialmente tracciata non è facile, perché nel corso della sua vita, a partire da La Nascita della tragedia dallo spirito della musica (1872) fino al Crepuscolo degli idoli (1888), egli tende a lasciare in secondo piano gli aspetti negativi della dottrina socratica per concentrarsi sulla personalità di Socrate. Desta un certo stupore la constatazione che Nietzsche, pur accusando spietatamente Socrate, finisce per subirne il fascino: d’altronde lo stesso Nietzsche, in un frammento dell’estate 1875 pubblicato postumo, lascia emergere l’intreccio di vicinanza e ostilità che contraddistingue il suo rapporto con Socrate: «Socrate – lo confesso – mi è così vicino che quasi sempre sono in lotta con lui»

1

.

Nietzsche si sente allo stesso tempo, così vicino e così lontano da Socrate che

1 F. Nietzsche, Frammenti Postumi (1875-1876), in Opere, IV, t. I, 6 [3], Adelphi, Milano, 1964.

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deve combattere contro di lui, vedendolo come il suo “miglior nemico”, che ha sempre dovuto contrastare a causa di quell’inquietante vicinanza. Nietzsche ha lottato contro l’ombra del grande maestro di Platone, abbracciando questa figura per tutta la sua vita, in un abbraccio che fonde odio e amore. È opportuno chiarire fin da subito che i contorni di Socrate nelle opere di Nietzsche non sono costanti in quanto cambia di volta in volta la distanza che Nietzsche pone tra sé stesso e il Maestro. Si passa dall’identificazione e dalla professione di stima alla presa di distanza e al rifiuto completo. Una descrizione univoca e sintetica della posizione di Nietzsche è impossibile perché ogni passo in cui compare il nome di Socrate deve considerarsi singolarmente, e ogni tentativo di presentazione unitaria di tal rapporto finisce per sminuire le contraddizioni di Nietzsche tra un’opera e l’altra. Si può quindi dire che “Socrate” sia per Nietzsche carico di tanti e diversi significati, dei quali viene attualizzato ora uno ora l’altro. Nei primi lavori filologici di Nietzsche non vi è particolare interesse per la figura di Socrate, eccetto che in un breve scritto giovanile del 1864, La relazione del discorso di Alcibiade con gli altri discorsi del Simposio platonico. Al centro di questo saggio

Socrate rappresenta il lato astratto e teorico della consacrazione alla bellezza,

quanto quella dello stesso Eros che attraversa, con forza crescente, tutti i discorsi

illuminandoli di parziali verità. Si pone poi un confronto tra Socrate e Alcibiade,

in cui attraverso la loro opposizione viene in luce la doppia natura demonica di

Eros stesso, in mezzo tra il divino e l'umano, lo spirito e i sensi. Così il discorso

di Alcibiade, ispirato dal vino, agisce attraverso dati di fatto, quello di Socrate

attraverso idee. La figura di Socrate emerge poi nella conferenza tenuta il 1

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febbraio 1870 dal titolo Socrate e la tragedia, al centro della cui riflessione è la morte della tragedia. Secondo questo scritto, la tragedia era già in crisi ai tempi di Eschilo, quando si era diffuso il dialogo a danno del coro, avviandosi così in una direzione contraria a quella dionisiaca. Da questo momento Socrate accompagnerà l’intero percorso filosofico di Nietzsche. Se ne La nascita della tragedia Nietzsche afferma che il miracolo della civiltà ellenica è stato la

capacità di armonizzare, nella tragedia di Sofocle ed Eschilo, l’impulso dionisiaco e quello apollineo, questo equilibrio si spezza con Euripide che distrugge ogni traccia di dionisiaco. E dietro questa decadenza dello spirito greco, Nietzsche vede Socrate. Nel Crepuscolo degli idoli Socrate diventa l’emblema dell’uomo decadente, che inaugura l’epoca del declino, contrassegnata dall’emergere di metafisiche (quella platonica e quella cristiana) razionalistiche e ottimistiche, che fanno perdere ogni contatto con la visione dionisiaca.

Socrate si presenta nel mondo greco come il nuovo poeta tragico. Ma cos’è

questa sua “poesia”? Questa “poesia” consiste nella sua razionalità, nella

contraddittorietà che affligge la vita e la realtà degli uomini. Socrate attraverso la

sua dialettica risolve la contraddizione mostrandola come errore logico o

mancanza di metodo. L’eroe socratico è un uomo consapevole e responsabile

degli eventi della sua vita: tutto quello che sembra contraddittorio e assurdo sarà

dunque da imputare ad un errore di interpretazione della realtà, ad una falla

logica a cui la dialettica socratica è in grado di porre rimedio. Per Socrate l’intera

esistenza deve essere rivolta alla sola ricerca del giusto e del vero: per Nietzsche,

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Socrate ha sostituito il mondo del mito, dell’istinto e dell’ebbrezza con quello della scienza e del dialogo. Sulla scena, in luogo dei Satiri inneggianti Dioniso, prende posto l’uomo teoretico, animato dalla costante ricerca della verità che tenta di distruggere l’illusione. Nietzsche vede nel maestro dell’antichità l’unico responsabile del cambiamento della concezione d’essere che avrebbe portato l’uomo alla svolta verso la metafisica: così facendo Socrate ha negato il passato dei Greci.

Ma cosa odiava Nietzsche di Socrate? Nietzsche odiava l’uomo Socrate, distruttore di un’intera civiltà, che ha disgregato il mito e distrutto gli dei con l’introduzione dei concetti di bene e male; odia anche il suo spirito poco greco, privo di elementi orfici e mitici, che erano invece elementi basilari del mondo greco. Egli è un logico, un sostenitore della scienza che ha messo a morte la tragedia per far trionfare la dialettica.

Chi è costui, che osa da solo negare la natura greca, quella che attraverso Omero, Pindaro ed Eschilo, attraverso Fidia, attraverso Pericle, attraverso la Pizia e Dioniso, attraverso l’abisso più profondo e la cima più alta è sicura della nostra stupefatta adorazione? Quale forza demoniaca è questa, che può ardire di rovesciare nella polvere un tale filtro incantato? Quale semidio è questo, a cui il coro degli spiriti dei più nobili fra gli uomini deve gridare: “Ahi! Ahi! Tu lo hai distrutto, il bel mondo, con polso possente; esso precipita, esso rovina!”.

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Durante la lezione universitaria a Basilea su I fìlosofi preplatonici (Nietzsche aveva annunciato questo corso ad Erwin Rohde per il semestre invernale 1869/70, ma si presume che esso venne tenuto per la prima volta nel semestre

2 Nietzsche, La nascita della tragedia, p. 91.

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estivo del 1872 e poi ancora due volte) Nietzsche dà un ritratto storico di Socrate:

Socrate è posto alla fine di quella schiera di saggi che va da Talete ai Pitagorici, indicato come iniziatore di una nuova epoca, quella dei sophoi che ha come obiettivo una riforma etica che vede la dialettica come unica via verso la conoscenza.

Nietzsche intende la dialettica come un intrattenersi nel gioco di domanda e risposta; secondo lui, Socrate utilizzava il metodo dialettico perché non gli interessavano i contenuti ma gli individui. Le sue sono, infatti, domande rivolte a coloro che si ritengono saggi.

Questo suo modo di fare domande poteva risultare fastidioso, ma era nello stesso tempo costruttivo perché poteva nascerne qualcosa di buono, infatti, Nietzsche coglie e approva il senso di “missione” in un certo modo profetica che orienta l’interrogare socratico e da questo punto di vista Nietzsche ammira Socrate, perché dà vita ad una nuova epoca basata sul culto della discussione critica:

se tutto va bene, verrà il tempo in cui, per promuovere il proprio progresso morale e intellettuale, si prenderanno in mano i Memorabili di Socrate più della Bibbia (…) A lui conducono le strade dei più diversi modi di vita dei vari temperamenti, consolidati dalla ragione e dalla consuetudine e tutti rivolti alla gioia di vivere e al proprio io.

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Qui sembrerebbe assente ogni traccia di odio per Socrate, eppure nel corso della sua riflessione questa ammirazione nei confronti del metodo dialettico di far

3 F. Nietzsche, Umano troppo umano, introduzione di G. M. Bertin, traduzione di M. Ulivieri, Newton, Roma, 2010, § 86.

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“partorire idee” viene meno.

Ne La Gaia scienza

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l’ammirazione di Nietzsche per Socrate raggiunge la sua apoteosi: Nietzsche loda la sua guerra contro l’ignoranza, riconoscendo che gli antichi pensatori, a partire da Socrate, additarono come fonte principale dell’infelicità il fatto che si tenesse conto delle opinioni altrui, mentre loro, in quanto pensatori, erano appunto i più beati. E perciò Nietzsche dichiara:

Socrate morente. Ammiro la forza d’animo e la saggezza di Socrate in tutto quanto egli fece,

disse – e non disse. (La gaia scienza §340).

Nietzsche afferma ciò come un pensatore dialettico, nel senso che dichiara di

“ammirare” qualcosa che deve essere superato, appunto i Greci, ma tale ammirazione non ferma il suo pensiero critico e nello stesso tempo la sua critica non influenza il suo apprezzamento. Nel contesto storico Socrate ha agito come saggiamente e coraggiosamente era possibile, ma nello stesso passo del Socrate morente sopra citato, Nietzsche afferma che Socrate era un pessimista perché

vedeva la vita come una malattia.

Mentre nello Zarathustra due capitoli di questo scritto, Dell’amico e Della libera morte non possono essere compresi se non si tiene conto dell’ammirazione

di Nietzsche per Socrate:

«Si deve nel proprio amico avere il miglior nemico.»

5

: si può leggere qui

4 Nietzsche, La gaia scienza e idilli di Messina, § 328

.

5 F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, in Opere, trad. ital. di A. Romagnoli, Casini Editore, Roma, 1955, p. 407.

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quell’odio amoroso che lega Nietzsche a Socrate; o ancora, «Non sei per il tuo amico aria pura e solitudine e pane e medicina? Taluno è incapace di sciogliere le proprie catene, ed è invece il liberatore dell’amico.»

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L’inno sul morire al tempo giusto nel capitolo Della libera morte ha messo in

difficoltà i suoi interpreti: viene menzionato Gesù ed indicato esplicitamente come colui che è morto prematuramente e non al tempo giusto, perché se avesse vissuto più a lungo, avrebbe sicuramente ritrattato la sua dottrina. A chiusura invece del capitolo ci sono intensi riferimenti alla morte di Socrate, alla sua maturità, data anche dall’età avanzata, e alla dignità con cui affrontò la sua condanna a morte, lasciando, fino alla fine dei suoi giorni, un ultimo insegnamento ai suoi amici – discepoli:

La vostra morte non suoni rimprovero per gli uomini e per la terra, o miei amici: questo io imploro dal miele dell’anima vostra.

Nella vostra morte deve ancora rifulgere la vostra intelligenza e la vostra virtù, simile a un rosso tramonto sulla terra: altrimenti avrete fallito anche nel morire. È così amici, che io voglio morire affinché per amor mio amiate di più la terra; e alla terra io voglio tornare per aver riposo in colei che mi ha generato.

7

Ma già nella prefazione di Al di là del bene e del male si legge l’avversione di Nietzsche per Socrate: Socrate avrebbe “infettato” Platone, l’inventore dello spirito puro e del bene in sé; Socrate è colui che ha corrotto la gioventù e ha perciò meritato la sua cicuta.

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In quest’opera poi Nietzsche si scaglia contro l’identificazione socratica del bene

6 Ivi, p. 408.

7 Ivi, pp. 421 – 422.

8 Nietzsche, Al di là del bene e del male, in Opere, p. 640.

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con l’utile, collegando questo atteggiamento alla sua origine plebea e intravedendo, perciò, nella filosofia di Platone del socratismo:

Nella morale di Platone vi è qualche cosa che non può dirsi che sia proprio di Platone, ma che invece si trova nella sua filosofia quasi contro di lui, vale a dire il socratismo (…). “Nessuno vuol nuocere a se stesso: e dunque tutto il male è involontario. Poiché il cattivo fa male a se stesso, egli non farebbe il male se sapesse che il male è nocivo. Di conseguenza il malvagio non è malvagio che per errore; se gli si toglie il suo errore, lo si rende necessariamente buono”.

Questo modo di concludere sente della sua origine plebea, dato che la plebe di una cattiva azione vede soltanto le conseguenze dannose e sentenzia che “ è da stupido agir male”, identificando dunque senz’altro “buono” e “utile”.

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Ma nonostante ciò Nietzsche ci invita a non essere “ingrati” nei confronti di Socrate, perché la sua influenza è stata comunque un ingrediente fecondo e necessario per lo sviluppo dell’uomo occidentale, facendo di lui un grande uomo:

Nel secolo di Socrate, fra uomini d’impulsi stanchi, fra i vecchi Ateniesi conservatori, i quali si lasciavano andare “alla felicità”, come dicevano, ma in effetti al piacere, e che con tutto ciò avevano sempre sulle labbra le antiche parole magnifiche, che avevano perduto il diritto di pronunciare per tutta la loro vita, l’ironia era forse necessaria alla grandezza spirituale, quell’ironia socratica e maligna del vecchio medico e del vecchio plebeo, il quale tagliava senza riguardo nella propria carne e nei cuori dell’aristocrazia, con uno sguardo che chiaramente diceva: “ è inutile fingere con me!”.

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Nietzsche ammette che la grandezza di Socrate è indubitabile ma nello stesso tempo problematica: Socrate rimane filosofo modello, ma il tafano (così come viene descritto nell’Apologia di Platone) si è trasformato in vivisezionista.

9 Ivi, p. 718.

10 Ivi, p. 747 – 748.

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Nietzsche conclude questa riflessione lasciando come domanda aperta se la grandezza sia possibile anche oggi: purtroppo nella modernità gli uomini si stanno appiattendo, hanno perso l’ambizione di essere eccellenti, rassegnandosi alla mediocrità. Essi entrano in contrasto con tutto ciò che è superiore, o di pregio, o strano. Ma il filosofo deve comunque essere sempre in contrasto con il suo tempo e mai conformista, perché è la sua stessa formazione critica che lo rende senza paura, proprio come lo fu Socrate. Nietzsche sente di tenere fede all’eredità socratica quando richiama l’attenzione sui pericoli della moderna

“uguaglianza” e invita al coraggio, alla diversità e all’ indipendenza.

Socrate, secondo Nietzsche, appartiene ad un mondo assurdo e rovesciato, in cui la coscienza lotta ostinatamente contro l'inconscio, fino ad un disprezzo manifesto dell'istinto e della stessa arte. Per una sorta di parallelismo con la propria condizione interna, Socrate è monstrum anche nella fisionomia, in quanto il suo corpo rimanda ad una naturalità istintiva, da lui combattuta con la riflessione. Nietzsche spiega la bruttezza fisica di Socrate come qualcosa che significativamente rompe l’ideale greco di armonia tra bellezza interiore e bellezza esteriore, il modello del kalòs kai agathòs. Nietzsche dunque si mostra costantemente interessato alla fisionomia socratica, dando ad essa, ancora una volta, significati diversi a seconda dei contesti.

Già nella conferenza Socrate e la tragedia, Nietzsche ricorda l’aspetto fisico del filosofo greco riportando la somiglianza con il Sileno:

quell’aspetto esteriore di Sileno che era proprio di Socrate, i suoi occhi sporgenti, le sue labbra

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tumide, il suo ventre cascante.»

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, ed afferma: « è significativo che Socrate fosse il primo grande Greco a essere brutto .

Ma l’apice della descrizione della bruttezza socratica culmina nel Crepuscolo degli idoli: Socrate, monstrum in fronte, monstrum in animo. Qui la bruttezza di

Socrate è interpretata come il sintomo primo di una fisiologica degenerazione che invece di affermare il senso tragico dell’esistenza tenta di controllarlo e giustificarlo:

la bruttezza è abbastanza spesso l’espressione di uno sviluppo ibrido, ostacolato dall’incrocio.

In altri casi appare come un’involuzione nello sviluppo. Gli antropologi che si interessano di criminologia ci dicono che il delinquente tipico è brutto: monstrum in fronte, monstrum in

animo. Ma il delinquente tipico è un décadent. Era Socrate un delinquente tipico? Per lo meno a

ciò non contraddice quel famoso giudizio fisionomico che aveva un suono così urtante per gli amici di Socrate. Uno straniero che si intendeva di facce, allorché venne ad Atene, disse in faccia a Socrate che egli era un monstrum - che nascondeva in sé tutti i vizi e le bramosie peggiori. E Socrate si limitò a rispondere: “Lei mi conosce, signore!”.

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(Il problema di Socrate, 3).

Nietzsche valorizza l’incontro tramandatoci dalle antiche fonti, (fra cui Cicerone) tra Socrate e il fisiognomico Zopiro, il quale aveva visto in Socrate un’abbondanza di vizi suscitando il riso degli altri che, al contrario, ne riconoscevano qualità morali; ma fu Socrate stesso a dare conferma di ciò e a precisare che quei vizi da Zopiro riconosciuti erano stati dominati da un controllo

11 Nietzsche, Socrate e la tragedia, pp. 39 – 40.

12 F. Nietzsche, Il crepuscolo degli idoli ovvero come si filosofa col martello, Adelphi, Milano, 2010, p.

34.

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della ragione.

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Nietzsche riporta l’esplicito riferimento in conferma della degenerazione fisiologica di Socrate e di cui la bruttezza fisica ne è il sintomo maggiore.

Dal canto suo Nietzsche aveva trovato conferma del giudizio di Zopiro anche in alcune recenti letture: egli trova, per esempio, nello scritto Dégénérescence et criminalité dello psichiatra positivista Charles Féré, il richiamo alle opinioni di

Lombroso che, in quanto antropologo e criminologo, sostenne la tesi secondo cui i comportamenti criminali sarebbero determinati da predisposizioni di natura fisiologica, le quali spesso si rivelano esteriormente nella configurazione anatomica del cranio. Ma Nietzsche non si ferma qui: egli fa del demone socratico un simbolo, anch’esso, di degenerazione fisiologica, interpretandolo come una sorta di allucinazione acustica:

Non dimentichiamo nemmeno quelle allucinazioni acustiche che sono state interpretate in senso religioso, come il “demone socratico”

14

.

Nietzsche prende sul serio il tema della bruttezza esteriore di Socrate come segno di decadenza, tanto da vedere nel dominio della ragione non un rimedio ma l’espressione di un istinto degenerato. Con il richiamo del demone che scaturisce dal profondo dell’inconscio, dove per inconscio si intende ciò che si sottrae al sapere, Nietzsche offre una sua interpretazione del sapere socratico: la cultura

13 Per le fonti riguardante l’incontro tra Zopiro e Socrate, vedi G. Campioni, Il Socrate monstrum di Friedrich Nietzsche, in Socrate in Occidente, di E. Lojacono, Le Monnier università, Firenze, 2004, pp.

232 – 233.

14 Nietzsche, Il crepuscolo degli idoli ovvero come si filosofa col martello, p. 34.

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presocratica si basava sull’incosciente istinto creativo, mentre l’interrogare socratico annulla l’azione produttiva dell’istinto. Da questo momento, per Nietzsche, Socrate e istinto si pongono in una contrapposizione alla quale appartiene l’interrogare stesso: egli intende infatti il demone socratico come residuo dell’istinto che non è più produttivo ma soltanto critico, ed è qui che individua un’inversione secondo cui l’istinto, negli uomini creativi, è una forza produttiva inconscia, e la coscienza è istanza critica, mentre in Socrate avviene il contrario: la coscienza diviene la forza produttiva e l’istinto diventa critico, intervenendo così sottoforma di voce del demone per dissuadere, insomma «Una vera e propria mostruosità per defectum»

15

.

Il Socrate che interroga, e cioè il Socrate di Platone, inteso in questo modo, diventa una personificazione della coscienza e della ragione che distrugge l’azione naturale dell’istinto. Socrate ha rovesciato tutto perché in lui si sono rovesciati i ruoli dell’istinto e della coscienza, e diventa così un caso interessante per lo psicologo, perché la coscienza agisce con la spontaneità propria dell’istinto e l’istinto con la forza riflessiva inibitoria della coscienza. In questa inversione di ruoli, Nietzsche individua il principio del male, in cui muoiono l’intuizione tragico - ilare del mondo e il dramma musicale greco, nato dall’impulso e dall’ebbrezza, dalla necessità della festa, della danza e del canto, dal traboccare dell’elemento vitale nell’estasi dionisiaca. Con Socrate tramonta la sapienza greca tragica che nel linguaggio della musica, nelle figure di Dioniso e Prometeo ci parla del mistero dell’unico duplice mondo che è vita - morte, gioia - dolore,

15 Nietzsche, La nascita della tragedia, pp. 91 – 92.

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eccesso - misura.

Socrate e la sua dialettica diventano simbolo di decadenza e rappresentano per Nietzsche un disgustoso razionalismo tipico di una persona brutta, proprio come Socrate, che per poter dominare le forze della sua passione deve sradicarle invece di lasciarle sviluppare e fiorire.

è questa l’enorme perplessità che ci prende ogni volta di fronte a Socrate e che ogni volta ci sprona a riconoscere il senso e il fine di questa problematicissima apparizione dell’antichit à.

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Con Socrate inizia dunque l’era della ragione e della scienza, l’età in cui l’uomo sembra essere incapace di sostenere il tragico. Socrate come uomo teoretico nato ne La nascita della tragedia è innalzato al ruolo di antagonista e vincitore di Dioniso ma ciò non solo non fa di lui il modello dell’uomo di scienza ma esaurisce così poco la sua natura enigmatica che potrà rivelarsi alla fine come

“maschera ironica”.

tutto ciò che è profondo ama mascherarsi (…) Ogni spirito profondo ha bisogno d’ una maschera: anzi intorno a questo spirito profondo si forma di continuo una maschera, grazie all’interpretazione continuamente falsa, perché piatta, d’ogni parola, d’ogni passo, d’ogni segno di vita che da lui emani .

17

16 Ibidem.

17 Nietzsche, Al di là del bene e del male, in Opere, pp. 677 – 678.

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Come ha brillantemente spiegato Bertram

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, ci sono uomini che non vogliono essere visti altrimenti che velati per metà, e Nietzsche è uno di loro. Nietzsche, scrivendo le sue Considerazioni Inattuali, si è messo la maschera dei suoi maestri, Schopenhauer e Wagner, ma un’altra delle maschere di Nietzsche è quella socratica: di quel Socrate a cui dedica lo stesso odio amoroso che prova contro se stesso, e che dice di sentire così vicino che lo deve combattere quasi costantemente. In Socrate, Nietzsche odia il Nietzsche che dissolve il mito per mettere al posto degli dei la conoscenza del bene e del male, quel Nietzsche che riconduce gli spiriti alle cose umane, troppo umane, mentre ama in Socrate,e anche invidia, ciò che egli stesso vorrebbe essere: il seduttore e la guida delle anime. Questa maschera socratica è quella dell’ironia, la quale come dice Nietzsche: «la sua ironia era prima di tutto la necessità di mostrarsi superficiale per poter in genere avere rapporti con gli altri.»

19

.

L’odio amoroso di cui parla Bertram si può comprendere meglio se analizziamo l’atteggiamento di Nietzsche rispetto alla figura di Socrate nel Simposio di Platone: Nietzsche conosce la seduzione erotica del maestro, che ne La Gaia scienza definisce come uno «spirito ammaliatore, beffardo e innamorato, che faceva tremare e singhiozzare i giovani più tracotanti»

20

. Socrate è stato erotico con la sua dialettica, ha ben capito quale ruolo poteva svolgere per porre rimedio, attraverso la razionalità, alla decadenza degli istinti. Secondo Nietzsche l’aspetto più affascinante di Socrate, che ha sedotto anche i posteri, è il suo atteggiamento

18 E. Bertram, Nietzsche. Per una mitologia, a cura di L. R. Santini, traduzione di M. Keller, Il Mulino, Bologna, 1988, p. 393 ss.

19 F. Nietzsche, Frammento postumo1885, 34 [148] , Adelphi, Milano, 1975.

20 Nietzsche, La Gaia scienza e Idilli di Messina, §340.

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di fronte alla morte, un atteggiamento, a suo parere, volontario:

Ma che per lui fosse sentenziata la morte e non soltanto l’esilio, sembra che lo abbia voluto, con piena chiarezza e senza il naturale brivido di fronte alla morte, lo stesso Socrate: andò incontro alla morte con quella stessa calma con cui, secondo la descrizione di Platone, egli lasciò il simposio, ultimo dei bevitori, al primo albeggiare, per cominciare un nuovo giorno, mentre dietro a lui rimanevano, sui sedili e in terra, i convitati addormentati, per sognare di Socrate, il vero erotico. Il Socrate morente divenne l’ideale nuovo mai prima contemplato, della gioventù nobile greca

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.

Nietzsche ha intuito nella fine del Simposio platonico un simbolo della morte di Socrate, ma si domanda: perché Socrate, che sembrava tanto amare la vita, odia l’esistenza nella sua volontà di morte? Anche nel Socrate morente Nietzsche vede riflettersi questo dramma: Socrate ha voluto morire e proprio prima di morire ha pronunciato le sue ultime parole enigmatiche: «O Critone, devo un gallo ad Asclepio» (Plat. Phaed. 118a), come se essendo guarito da qualche malattia fosse debitore al dio della salute.

Avrei voluto che anche nell’ultimo momento della vita fosse restato silenzioso - allora, forse, sarebbe appartenuto a una categoria di spiriti ancor più elevata. Fosse stata la morte o il veleno, la religiosità dell’animo, o la malvagità – certo è che qualche cosa, all’ultimo momento, gli sciolse la lingua, e lui disse: “O Critone, sono in debito d’un gallo ad ad Asclepio”. Queste ridicole e terribili “ultime parole” significano per chi ha orecchie: “O Critone, la vita è una malattia!”. Possibile? Pessimista un uomo par suo, che visse serenamente e sotto gli occhi di tutti, come un soldato? Non s’era appunto preoccupato d’altro che di far buon viso alla vita, e per tutta la durata di essa aveva tenuto nascosto il suo giudizio ultimo, il suo più intimo sentimento! Socrate, Socrate ha sofferto della vita! E se ne è anche vendicato – con quelle

21 Nietzsche, La nascita della tragedia, pp. 92-93.

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parole velate, atroci, pie e blasfeme!

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Bertram mostra che Nietzsche stesso lascia intravedere qui il suo segreto, cioè il dramma della sua esistenza: forse Nietzsche stesso, che ha sempre decantato la gioia di vivere, teme che la vita altro non sia che una malattia? Socrate con le sue ultime parole ha tradito il suo segreto mentre Nietzsche vuole mantenerlo tale fino alla fine, inserendosi così in una classe di spiriti superiori. Forse tutto il discorso dionisiaco di Nietzsche altro non è che lo stesso metodo utilizzato dai grandi educatori per celare quello che in realtà pensava, e cioè che la vita è una malattia? Con il suo modo di fare Socrate ha fatto innamorare i Greci, stregandoli anche per il modo in cui affrontò la morte.

Nietzsche mai è stato così vicino a Socrate come quando traccia la figura del Socrate morente. Nella Nascita della tragedia, nel momento di prendere

commiato da Socrate e di intraprendere il cammino che porta all’annuncio della morte di Dio e dell’eterno ritorno, egli avverte ancora il richiamo assoluto e il fascino inesplicabile che provengono da questa immagine platonica. Dinanzi alla morte, Socrate dichiara di non essere soggetto alla legge della physis né a quella della polis, ma solo e unicamente al logos. Perciò va incontro ad essa con una nuova forma di serenità, fiducioso d’essere destinato a quella vita non- mortale che il filosofare stesso gli schiude. Come l’eroe della tragedia, così anche Socrate conosce nella morte il gioioso e, nel Fedone insegna ai suoi discepoli che la filosofia, nella sua genuina natura, è desiderio ed esercizio anticipato di

22 Nietzsche, La gaia scienza, §.340.

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morte, testimoniando per l’ultima volta, come aveva fatto davanti ai giudici del tribunale ateniese, la sua vocazione divina.

L’ardita interpretazione proposta, nel Socrate morente, delle ultime parole di Socrate come l’affermazione che la vita è una malattia e la morte una guarigione, fornisce la chiave per capire il senso dei paragrafi intensi dedicati a Socrate nel Crepuscolo degli idoli ovvero come si filosofa col martello (1888).

Qui Socrate cambia: non è più il monstrum “uomo teoretico” della Nascita della tragedia, ma diventa “ il problema” inscritto nella prospettiva della décadence,

anzi è identificato con il problema stesso della decadenza. In questa sede, Nietzsche tenta di raggiungere in modo nuovo il punto da cui il suo cammino è iniziato; cerca, tornando su se stesso, di chiudere l’anello della sua esistenza.

Così ne La nascita della tragedia come nel Crepuscolo degli idoli, dunque, si tratta di comprendere il problema di Socrate come sintomo di vita. Ma, in quest’ottica, decisivo risulta essere quello che Socrate ha sempre taciuto e che solo alla fine si è lasciato sfuggire. Adottato il punto di vista della fisiologia, Socrate è una malattia, è il segno della vita declinante, sintomo di una malattia da cui la storia occidentale non è ancora guarita.

Quando quel fisionomista ebbe rivelato a Socrate chi egli fosse, un covo cioè d’ogni malvagia brama, il grande ironista disse ancora qualcosa che ci dà la chiave per comprenderlo. “ Questo è vero – furon le sue parole – ma io sono diventato signore di tutti”. (…) egli affascinò, come è facile comprendere, ancor più fortemente in quanto risposta, soluzione, in quanto apparente terapia di questo caso. (Il problema di Socrate, 9).

Con Socrate, la cui ironia e dialettica sembrava a Nietzsche espressione di

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risentimento plebeo, una forma di vendetta, inizia allora una subordinazione contro natura della vita alla morale. Egli fu quel buffone che si fece prendere sul serio nella vecchia Atene, ma quanti filosofi si affidano al suo rimedio basato sulla razionalità? Sono tutti colpevoli per tal motivo, ma Socrate è quello che più ne è consapevole: egli sapeva che della concezione morale del mondo e della fede nel compimento trascendente dell’esistenza non si può fornire una piena giustificazione razionale, e conosceva il pericolo racchiuso nella nuova valutazione della vita che deriva dalla sua posizione. Come nel Socrate morente de La Gaia Scienza, anche nel Crepuscolo degli idoli il silenzioso pessimismo di Socrate è la chiave per comprendere il suo mistero.

Se ne La nascita della tragedia si intravede l’inizio del socratismo, inteso come

l’alba della decadenza, e Nietzsche vede Socrate come il prototipo dell’ottimista

teoretico, che concede al sapere e alla conoscenza la forza di una medicina

universale e vede nell’errore il male in sé, nel Crepuscolo degli idoli è in atto una

guerra contro il concetto di decadenza, a partire appunto da Socrate. Nella

Prefazione Nietzsche esordisce che «vi sono nel mondo più idoli che realtà» e

sono proprio questi ideali che hanno avviato il mondo alla decadenza. Nietzsche

dichiara guerra a tutti gli idoli e smaschera così Socrate, perché vede in lui uno

dei più grandi creatori di ideali. Nel Crepuscolo Nietzsche spiega perché Socrate

è un decadente: innanzitutto Socrate era plebeo, e come tale ha sconfitto il gusto

aristocratico e il correlato principio della volontà di potenza, soppiantandoli con

la sua dialettica. Il socratismo risulta essere il problema del rapporto di

decadenza e di razionalità. Socrate, che fonda un nuovo stile di vita, una nuova

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morale, è per questo un antigreco, tipico ideale di decadenza.

Tutta la sua morale è stato un equivoco: il voler usare la razionalità

assolutamente, il voler combattere gli istinti, è la formula della decadenza, e perciò Nietzsche non può far altro che affermare nel Crepuscolo che

Socrate volle morire – non fu Atene, ma lui stesso a darsi la coppa del veleno, egli costrinse Atene a dargliela … “Socrate non è un medico” – disse piano a se stesso: “ In questo modo la morte soltanto è il medico … Quanto a Socrate, egli fu semplicemente a lungo malato …”. (Il

problema di Socrate, 12).

Contro i mali del suo tempo dunque Socrate si pone come un medico, ma egli

stesso dovette constatare di essere malato, e che l’unico vero rimedio, e in quanto

tale unico vero medico, era la morte. Perciò nel Crepuscolo degli idoli, si rivela

poi peggiore del male stesso. Cosa vuol dire essere un rimedio peggiore del

male? Nietzsche considera tutta la filosofia occidentale come un tentativo di

rimediare alle paure dell’uomo, della morte, del nulla, del caos, dell’ignoto. Ma

nota come ogni tentativo di rimediarvi a questa paura fonda un mondo di realtà

eterne ed immutabili assolutamente fittizio: le verità metafisiche non

corrispondono ad alcuna verità, mentre il mondo vero è per Nietzsche questo

mondo, quello che abbiamo davanti, dove si manifesta il vigore vitale, unica

fonte di benessere. Ogni tentativo di porre rimedio alla paura dell’ignoto finisce

insomma per indebolire il vigore vitale dell’uomo. La vita è per Nietzsche un

ignoto movimento di impulsi e, quando si tenta di mettere ordine in questo caos

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attraverso leggi prevedibili, si finisce per allontanare l’uomo dalla vita ed irrigidirlo in un razionalismo che uccide l’istinto e la passione. Ciò che la filosofia occidentale nega, a partire da Socrate, è il caos, andando così contro la vita stessa: se la ragione pretende di trovare ordine nel caos, questo ordine finisce per andare contro quell’istintualità primordiale che è la fonte di ogni impulso vitale. Socrate con la sua dialettica e la sua razionalità ha ucciso la tragedia, il mito, l’istinto.

Il costante riferimento a Socrate da parte di Nietzsche è quasi come

un’ossessione per lui; nessuno ha descritto e commentato Socrate meglio di

Nietzsche, che ha saputo disegnare un Socrate sotto vari aspetti e caricature,

indicando in lui un punto di svolta nel destino della civiltà occidentale.

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