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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO TESI DI LAUREA MAGISTRALE

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO

Dipartimento di Culture, Politica e Società

Corso di laurea in Comunicazione Pubblica e Politica

TESI DI LAUREA MAGISTRALE

L’IMPRENDITORIALITÀ COME COMPETENZA PER L’INTEGRAZIONE SOCIALE E LAVORATIVA DEGLI

IMMIGRATI

Orientamento, formazione e incubazione d’impresa:

analisi del contesto italiano.

RELATORE

Professore Giuliano Bobba

CANDIDATA Camilla Fogli

Anno Accademico 2017/2018

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L’IMPRENDITORIALITÀ COME COMPETENZA PER

L’INTEGRAZIONE SOCIALE E LAVORATIVA DEGLI IMMIGRATI Orientamento, formazione e incubazione d’impresa: analisi del contesto

italiano.

INTRODUZIONE 1

MIGRANTE,IMMIGRATO,RIFUGIATO…QUALETERMINOLOGIA? 6

PARTE PRIMA 12

BREVEPANORAMICADELL’IMMIGRAZIONEINITALIA 13 1.1. Da Paese di emigrazione a Paese d’immigrazione: evoluzione del

fenomeno migratorio in Italia. 13

1.1.1. La popolazione straniera in Italia 15

1.1.1.1. I dati di contesto 15

1.1.1.2. Le comunità straniere: demografia e distribuzione geografica 19 1.2. Lo sviluppo giuridico in tema di immigrazione 23

ILMERCATODELLAVOROIMMIGRATO 32

2.1. Prospettive teoriche 33

2.1.1. La scelta del lavoro indipendente 37

2.2. L’occupazione straniera in Italia 45

2.2.1. I canali di ingresso 51

2.2.2. L’imprenditoria straniera in Italia 54

L’INTEGRAZIONESOCIO-ECONOMICADEGLIIMMIGRATI 59

3.1. Cosa si intende per integrazione? 59

3.2. L’inserimento lavorativo 62

3.2.1. Le problematiche comuni 66

3.2.2. Il ruolo delle reti sociali 68

3.3. L’imprenditoria come strumento di integrazione 71

FORMAZIONEPROFESSIONALEEORIENTAMENTO 73

4.1. Europa e Italia, quale situazione? 74

4.2. Il ruolo della formazione professionale per l’inserimento lavorativo dei

migranti 80

4.2.1. Orientamento e competenze 82

4.3. Imprenditorialità come competenza 87

4.3.1. Formazione imprenditoriale e incubazione d’impresa 91

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PARTE SECONDA 98

IMPOSTAZIONEMETODOLOGICA 99

5.1. Piano di ricerca 99

5.2. Oggetto d’indagine e obiettivi 102

5.3. Metodologia e strumenti di ricerca 103

5.3.1. Costruzione della documentazione empirica 103

5.3.1.1. Interviste 103

5.3.1.2. Documenti 106

5.3.2. Analisi della documentazione empirica 106

ILCASOSTUDIO:MENT PROJECT 108

6.1. Descrizione del progetto 108

6.1.1. Obiettivi 109

6.1.2. Prodotto 111

6.2. Risultati e valutazione 112

6.2.1. Metodologia di valutazione d’impatto 112

6.2.2. Metodologia di valutazione qualitativa 113

6.3. Considerazioni finali 116

FORMAZIONEPROFESSIONALEEIMPRENDITORIALEINITALIA:

VISIONIERAPPRESENTAZIONIDEGLIADDETTIAILAVORI 119 7.1. Descrizione e interpretazione dei risultati 119

7.2. Prospettive indagate 120

7.2.1. L’ecosistema di riferimento 121

7.2.1.1. L’importanza delle reti 127

7.2.2. L’inserimento lavorativo degli immigrati 130 7.2.3. Incubazione e formazione imprenditoriale 135

7.2.4. Focus su orientamento e mentoring 140

7.2.5. L’imprenditorialità come competenza 145

7.2.5.1. Una via per l’integrazione? 147

7.2.6. Le soluzioni possibili, i modelli proposti 148

CONCLUSIONI 153

BIBLIOGRAFIA 158

SITOGRAFIA 168

ABBREVIAZIONI 169

APPENDICE1 170

APPENDICE2 172

APPENDICE3 174

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INDICE DELLE FIGURE

Figura 1 - Percentuale di stranieri sul totale dei residenti. Dati Eurostat, 2016. __ 17 Figura 2 - Provenienza degli stranieri residenti in Italia. Dati Istat, 2018. ______ 20 Figura 3 - Percentuale degli stranieri residenti sulla popolazione totale in Italia. Dati Istat, 2018. ________________________________________________________ 22 Figura 4 - Numero di lavoratori stranieri in Italia (numero assoluto in milioni) __ 46 Figura 5 - Distribuzione percentuale dei giovani occupati (25-34 anni) per

cittadinanza e tipologia di lavoro. Anno 2017. _____________________________ 48 Figura 6 - Peso percentuale delle imprese di stranieri sullo stock delle imprese

registrate (confronto al 31 marzo di ogni anno) ____________________________ 55 Figura 7 - Imprenditori immigrati in Italia per settore. Anno 2016. ____________ 58 Figura 8 - Percentuale di cittadini extra EU (25-54 anni) che hanno dichiarato di aver partecipato a corsi di formazione per adulti nelle 4 settimane precedenti

all’intervista. Anno 2018. _____________________________________________ 76

INDICE DELLE TABELLE

Tabella 1 - Definizione dei termini utilizzati ______________________________ 10 Tabella 2 - Distribuzione degli occupati stranieri in Italia (migliaia) 15 anni e oltre per sesso e tipologia di professione. Anno 2017. ____________________________ 50 Tabella 3 - Distribuzione degli occupati stranieri in Italia (migliaia) 15 anni e oltre per sesso e settore di occupazione. Anno 2017. ____________________________ 51 Tabella 4 - Distribuzione percentuale degli occupati 15 anni e oltre per canale di inserimento lavorativo e cittadinanza. Anno 2017. _________________________ 52 Tabella 5 - Titolari di imprese nati in paesi extra UE per regione, incidenza

percentuale sul totale e variazione percentuale. Anni 2016 e 2017. ____________ 56 Tabella 6 - Modelli di impiego del lavoro immigrato in Italia. _________________ 65

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INTRODUZIONE

Alla maggior parte degli studenti vengono ancora assegnati temi come “I turchi a Berlino, “I berberi a Parigi”, I sikh a New York”. Si concentra l’attenzione, insomma, su una minoranza etnica o religiosa come se tutti potessero sapere in anticipo come questa minoranza è definita e quali processi avvengano all’interno e quali all’esterno di quella presunta comunità. Abbiamo creato in effetti una piccola isola; studiamo quest’isola, e di solito concludiamo che l’isola è per tanti versi un’isola. Che noia. (Baumann, 2003, p. 151)

Parlare di migrazioni, oggi più che mai, può risultare un compito arduo e a tratti rischioso. Per quanto uno si impegni ad analizzare e approfondire le infinite sfaccettature che presenta questo fenomeno, la ricerca continua ad aprire nuovi orizzonti, dubbi e riflessioni, senza mai arrivare a conclusioni certe. A ciò si aggiunge poi il fatto che, in generale, la narrativa sulle migrazioni, soprattutto per quanto riguarda i flussi in entrata – i.e. l’immigrazione – è in Italia e in Europa sempre più spesso caratterizzata da una carica emotiva, di chi scrive, di chi legge, di che ne parla.

Si tratta di un fenomeno che riguarda tutti noi ed è spesso difficile trattare l’argomento in modo scientifico e neutrale. Inoltre, nell’analizzare la controversa questione migratoria, si possono adottare infinite prospettive e approcci; gli stessi Migration Studies sono un campo interdisciplinare in continua evoluzione, che si basa su studi di antropologia, storia, economia, giurisprudenza, sociologia.

Il presente lavoro intende inserirsi in quel filone di studi che osserva e analizza la questione dal punto di vista economico e lavorativo. Volendo affrontare quelle che sono le dinamiche di inserimento degli immigrati nei sistemi economici e nei mercati del lavoro delle società ospitanti, emerge con chiarezza come la figura centrale dei fenomeni migratoria sia stata – e rimanga tutt’ora – quella del “lavoratore che attraversa le frontiere per cercare lavoro all’estero” (Ambrosini, 2005, p.57). È indiscutibile il fatto che le condizioni economiche e lavorative abbiano storicamente costituito le principali cause di partenza dai Paesi di emigrazione: esiste tra immigrazione e lavoro un legame indissolubile, con la conseguenza che la figura dell’immigrato, nella legislazione e nella prassi amministrativa così come nell’opinione comune dei Paesi riceventi, viene difatti identificato con la figura del lavoratore (Ambrosini, 2005).

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La natura dei flussi, le modalità di insediamento, le relazioni che si instaurano con il contesto locale di accoglienza sono fortemente condizionate dalle caratteristiche che assume l’inserimento lavorativo degli stranieri. Il lavoro, infatti, rappresenta un aspetto fondamentale dell’integrazione ed è considerato il principale punto di contatto e confronto tra il mondo degli immigrati e quello dei cittadini. Esso non è solo il mezzo con cui gli immigrati traggono le risorse materiali per vivere, ma va associato anche ad altre dimensioni centrali della loro esistenza: è uno spazio di socializzazione e integrazione, di apprendimento, di costruzione di ruoli, status e legami sociali, un mezzo di realizzazione umana. L’inserimento professionale non è solo il risultato dell’accesso al mercato del lavoro, ma fa parte del più ampio insieme di condizioni materiali necessarie a un individuo per integrarsi in un nuovo sistema.

Un inserimento lavorativo virtuoso, che tenga in considerazioni le reali capacità, esperienze e aspirazioni dei lavoratori stranieri, può quindi portare a un miglioramento anche di altre risorse più attinenti alla sfera sociale, come ad esempio la casa, la famiglia, la formazione.

L’avvio di un’impresa o di un’attività autonoma rappresenta uno degli sbocchi occupazionali non secondari per gli immigrati. Come molti studi evidenziano, la scelta del lavoro autonomo da parte degli immigrati va interpretata più in generale in termini di una risposta reattiva alle difficoltà di inserimento sociale, soprattutto laddove le società d’arrivo risultino caratterizzate da discriminazioni nei loro confronti. Tale impostazione sembra essere quanto mai vera nel caso italiano, se si tiene conto delle vulnerabilità sociali degli immigrati (Reyneri, 2007).

Negli ultimi decenni del XX secolo, il lavoro autonomo per migranti e minoranze etniche è diventato ancora più importante in quanto, da un lato, i flussi migratori sono aumentati e, dall’altro, sono state ampliate le opportunità per le piccole imprese.

È un dato di fatto che i migranti contribuiscono alla crescita economica dei Paesi di accoglienza, sia come dipendenti sia come imprenditori, in molti modi, come l’introduzione di nuove competenze e capacità, l’aumento della manodopera e la creazione di nuove imprese. Questo contributo alla crescita delle attività imprenditoriali e alla creazione di occupazione nei Paesi europei è aumentato negli ultimi decenni, sia in termini qualitativi sia quantitativi.

A livello statistico, risulta evidente il rapporto che lega migrazione e imprenditoria.

L’Organizzazione internazionale per la cooperazione e lo sviluppo economico (OECD) in uno dei suoi rapporti annuali, ha rilevato come, a livello generale in tutta Europa, il tasso di avvio di attività in proprio risulti maggiore tra la popolazione

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immigrata rispetto a quella nativa (OECD, 2010). Sempre l’OECD, nel Rapporto

“Entrepreneurship and Migrants”, rileva come in generale i migranti abbiano uno spirito più imprenditoriale rispetto alla popolazione indigena, rappresentando così un importante bacino di potenziali imprenditori in Europa (OECD, 2010).

Inoltre, nella maggior parte dei Paesi europei, i migranti sono più inclini a impegnarsi in attività imprenditoriali rispetto ai nativi. La stessa Commissione Europea, nel suo Entrepreneurship 2020 Action Plan1, attribuisce agli imprenditori immigrati un importante ruolo per il rilancio economico-produttivo dell’Unione Europea, riconoscendo che gli immigrati risultano avere una maggiore propensione alla costruzione di nuove imprese e sottolineando la rilevanza del loro contributo per il sistema imprenditoriale europeo (Fondazione Leone Moressa, 2017).

Dunque, nonostante le difficoltà che i migranti incontrano nell’avviare un’impresa – oltre a quelli che, in generale, incontrano nel loro processo di integrazione in un nuovo Paese – diversi studi dimostrano che hanno l’atteggiamento giusto o una mentalità appropriata per avviare un’impresa.

Gli imprenditori con un background migratorio sono in grado di distinguersi per la loro capacità di offrire servizi completamente innovativi e creare posti di lavoro sia per altri immigrati sia per i lavoratori locali, fungendo da ponte tra mercati locali e globali. La crescita in campo imprenditoriale favorisce l’opportunità di integrazione dei migranti, aumenta la fiducia tra loro e promuove una coesione sociale, contribuendo alla rivitalizzazione dei centri urbani (Gnetti, 2014). Grazie ai loro legami transnazionali, gli imprenditori migranti possono anche contribuire all’espansione degli scambi tra i Paesi di arrivo e i Paesi di origine. Molti migranti e persone appartenenti a minoranze offrono importanti beni sociali, culturali ed economici, oltre alle reti transnazionali, come le abilità linguistiche e la consapevolezza multiculturale, che sono sempre più importanti in un mondo globalizzato.

Considerando poi alcuni trend demografici che caratterizzano non solo l’Italia ma tutti i Paesi europei, primo tra tutti l’invecchiamento demografico europeo rispetto ai più alti tassi di crescita registrati tra le comunità di immigrati, il contributo dei giovani stranieri e delle minoranze aumenterà sempre di più.

1 Nel 2013 la Commissione Europea ha presentato un piano d’azione a sostegno degli imprenditori. Il piano si basa su tre pilastri, con azioni da sviluppare a ogni livello, europeo e nazionale: a) educazione all’essere imprenditori; b) rimozione delle barriere che frenano le imprese; c) migliori opportunità per donne, giovani, senior e immigrati.

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Ciò viene ad esempio confermato, per quanto riguarda il contesto italiano, dai dati in possesso di Infocamere, che confermano come la crescita della componente straniera nel tessuto imprenditoriale in Italia abbia assunto dimensioni davvero rilevanti. Per fare un confronto, nel 2011 gli stranieri iscritti nei registri delle imprese delle Camere di commercio italiane quali titolari e soci d’impresa risultavano essere circa 400.000, nel 2017 le imprese guidate da immigrati sono quasi 590.000, pari al 9,6% del totale di imprese attive in Italia. Dunque, guardando agli ultimi sette anni, il fenomeno dell’imprenditoria straniera si conferma uno dei motori che mantengono in equilibrio il sistema imprenditoriale nazionale.

Alla luce di tutto ciò, appare dunque evidente come garantire l’integrazione e il successo degli immigrati nel mercato del lavoro e nel tessuto imprenditoriale nazionale, supportandoli nella realizzazione del proprio potenziale e aspirazioni, sia un elemento fondamentale per uno sviluppo economico sostenibile e per la creazione di una società multiculturale e inclusiva.

Il tale contesto, il presente lavoro si propone dunque di offrire un ulteriore contributo alla comprensione di alcune dinamiche che legano la competenza dell’imprenditorialità – e gli strumenti che la supportano – ai processi di integrazione socio-economica dei migranti in Italia e all’analisi della varietà dei modelli e iniziative sviluppate in tale direzione. Questo obiettivo è stato perseguito ponendo un particolare accento sugli strumenti e gli approcci di formazione professionale e imprenditoriale, sul ruolo dell’orientamento e delle pratiche di mentoring, sulla rete di servizi attualmente disponibili in Italia e sulla costituzione di un ecosistema italiano intorno a tali tematiche.

Per quanto riguarda la struttura, il lavoro si divide in due parti distinte: una prima parte teorica e una seconda parte di ricerca empirica.

I primi quattro capitoli andranno quindi ad analizzare il tema da un punto di vista teorico, tramite un’approfondita revisione della letteratura sull’imprenditorialità dei migranti e lo sviluppo delle capacità imprenditoriali nella migrazione, congiuntamente a un’analisi dei dati, statistici e non, riguardanti le migrazioni e il mercato del lavoro immigrato in Italia.

Gli ultimi tre capitoli sono invece dedicati a descrivere la parte di ricerca empirica svolta negli ultimi mesi. In particolare, dopo aver illustrato la metodologia

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utilizzata, vengono presentate due analisi parallele. Una prima legata a un progetto specifico, selezionato come caso studio e studiato in modo approfondito, e scelto tra una lista di progetti e iniziative precedentemente selezionati in quanto ritenuto particolarmente rilevante per l’utilizzo di processi e strumenti innovativi; e una seconda analisi inerente invece all’indagine del contesto italiano, tramite lo studio di altri progetti e iniziative e una serie di interviste a diversi esperti e operatori del settore.

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MIGRANTE, IMMIGRATO, RIFUGIATO… QUALE TERMINOLOGIA?

Una delle tante problematiche poste dalle ondate di immigrazione che hanno investito l'Italia - l’Europa e il mondo intero - negli ultimi trent'anni, è anche quella definitoria. Termini come migrante, immigrato, profugo, rifugiato, vengono spesso utilizzati nei contesti più disparati come sinonimi o comunque come termini sovrapponibili, anche se nella realtà dei fatti indicano situazioni tra loro legate, ma comunque distinte. Inoltre, considerate le numerose implicazioni e conseguenze che essa comporta, la questione definitoria appena descritta non può essere affrontata tramite una mera analisi terminologica. Occorre piuttosto far riferimento alla semantica dei termini, così come al loro utilizzo e sviluppo nel corso della storia. Al riguardo, è dunque importante sottolineare che, negli ultimi anni, si è acceso un vero e proprio dibattito sociolinguistico che ha visto coinvolte testate internazionali del calibro di Al Jazeera, The Guardian e Le Monde, e in cui rientrano riflessioni tanto politiche quanto culturali, economiche e sociali.

Per quanto riguarda il contesto italiano, negli ultimi anni sono stati fatti degli sforzi per migliorare l’approccio mediatico all’immigrazione, come per esempio l’elaborazione delle linee guida per l’applicazione della Carta di Roma2, uno strumento pratico a servizio degli operatori dell’informazione che condividono la necessità di una maggiore cura nella pratica professionale sui temi dell’immigrazione e dell’asilo (Fondazione Leone Moressa, 2015). Nonostante ciò, i nostri giornali e quotidiani utilizzano in maniera piuttosto indifferenziata i diversi termini del contesto migratorio (Calvanese, 2011). L’unica eccezione è rappresentata dall’utilizzo del termine “clandestino” che ha assunto un’accezione ben precisa in seguito alla legge Bossi-Fini del 2002, in cui si parla appunto di clandestini in riferimento agli individui che arrivano in Italia senza documenti.

Riguardo la questione terminologica in Italia, crediamo possa essere interessante presentare una riflessione esposta in un articolo del sito dell’Enciclopedia Treccani3, secondo cui negli ultimi anni il termine più generico di

“migrante” si stia progressivamente sostituendo alla parola “immigrato”, oltre ad

2 Il codice deontologico su migranti, richiedenti asilo, rifugiati e vittime della tratta, firmato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti e dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana, in collaborazione con l’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati ed entrato in vigore nel 2008.

3http://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/domande_e_risposte/lessico/lessico_395.html

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essersi caricato di un’accezione quasi drammatica: “migrante tende a sostituire progressivamente negli usi immigrato, anche se, nell’uso comune, migrante viene identificato soltanto con la persona più disperata, quella che affronta il viaggio di trasferimento sui barconi, mentre, in realtà, la maggior parte dell’immigrazione avviene attraverso i confini terrestri e soltanto occasionalmente con esiti tragici”. Sempre secondo la Treccani, ciò avviene anche a causa del senso di durata espresso da tempo verbale del termine: un participio presente che starebbe a indicare “una perpetua migrazione, un continuo spostamento senza requie e senza un approdo definitivo”.

Troviamo lo stesso tipo di osservazione anche nel Rapporto annuale dell’Associazione Carta di Roma, che si occupa appunto di analizzare il comportamento e i contenuti dei media italiani in riferimento al tema della migrazione. A proposito, nell’introduzione, Ilvo Diamanti, Docente dell’Università di Urbino, scrive: “È utile ripercorrere rapidamente i rapporti realizzati dalla Carta di Roma, nel corso degli anni recenti, perché ci mostra e ci dimostra quanto sia cambiato – in fretta – il clima d’opinione verso “l’immigrazione”. O, meglio, verso i “migranti”. Il termine più diffuso.

Perché, come si osserva nel Rapporto, ne sottolinea il “movimento”, l’instabilità. Infatti,

“immigrato” è un participio passato. “Migrante” è un participio presente. Evoca una figura, un soggetto, un percorso: in atto. In continuo cambiamento. In continuo divenire. E quindi, non ancora “avvenuto” e “divenuto”. E quel che non è ancora avvenuto, non può essere superato, accolto, risolto. Perché può cambiare. Rimane, dunque, “irrisolto”. E in questo modo accentua il nostro senso di precarietà. (Diamanti, 2018, p. 5)

Generalmente parlando, anche al di fuori del contesto giornalistico e mediatico, riuscire a individuare la giusta definizione può risultare complicato, vista la varietà di casi possibili e la giustificabile confusione che possono creare le varie definizioni fornite dalle istituzioni competenti. Abbiamo quindi ritenuto opportuno inserire qualche paragrafo per aiutare a mettere ordine e per specificare quali termini – e con quale accezione – verranno utilizzati nel corso del testo.

Partendo dalla definizione data dall’Unione Europea, nel Glossario sull’asilo e la migrazione alla voce migrante troviamo scritto: “una persona che lascia il proprio paese o regione per stabilirsi in un altro”, viene poi specificato che tale definizione può riguardare “qualsiasi tipo di spostamento qualunque sia la sua durata, composizione e causa”. Un primo passo dunque per sottolineare che ad essere definiti come migranti non sono solo rifugiati, sfollati e migranti irregolari ma anche tutte quelle persone che si spostano per motivi di lavoro, di famiglia, di studio.

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Passando poi alla definizione fornitaci dalle Nazioni Unite, migrante è “una persona che si è spostata in un paese diverso da quello di residenza abituale e che vive nel paese ospitante da più di un anno”. L’immigrato è, dunque, “chi si è trasferito in un altro paese”

o anche “chi si è stabilito temporaneamente o definitivamente per ragioni di lavoro in un territorio diverso da quello d’origine”. Nelle sue indicazioni, l’ONU specifica anche la durata temporale necessaria affinché una persona possa essere definita tale, che deve corrispondere almeno ad un anno.

Coerentemente con tale definizione, le raccomandazioni internazionali 4 sul censimento specificano che si deve considerare come luogo di residenza abituale il luogo dove una persona risiede per 12 mesi o più (Unece, 2008). Sempre facendo riferimento al regolamento europeo5 relativo alle statistiche in materia di migrazione, troviamo il concetto di immigrazione è definito come “l’azione con la quale una persona stabilisce la sua dimora abituale nel territorio di uno Stato membro per un periodo minimo di dodici mesi, o che si presume almeno di dodici mesi, dopo aver avuto in precedenza la propria dimora abituale6 in un altro Stato membro o in un paese terzo”. Per l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, immigrato è invece “chiunque si muove o si sia trasferito in un confine internazionale o all'interno di uno Stato lontano dal suo luogo di residenza abituale, a prescindere dallo status giuridico della persona; se il movimento sia volontario o involontario; quali sono le cause del movimento; o qual è la durata del soggiorno”.

Dunque, teoricamente parlando, possiamo giungere a una prima conclusione e descrivere la migrazione internazionale come il processo che vede una persona trasferirsi - ufficialmente - dalla popolazione di un paese a quella di un altro.

Definizione che traccia una distinzione netta tra le migrazioni e quelle che possono essere le altre forme di mobilità, relative a soggiorni di più breve durata.

In sintesi, possiamo identificare tre elementi fondamentali per poter parlare di migrazioni internazionali: un paese di appartenenza, uno di arrivo e un periodo minimo di residenza. Tuttavia, ciò non basta a definire il fenomeno nella sua interezza e complessità; utilizzare tale definizione risulterebbe infatti riduttivo nei confronti di tutte quelle categorie di persone che si spostano da un paese all’altro per periodi più brevi così come le cosiddette seconde generazioni.

4 Ci si riferisce alle Raccomandazioni internazionali dell’UNECE (United Nations Economic Commission for Europe) e il Regolamento (CE) n. 763 del 9 luglio 2008 del Parlamento europeo.

5 Regolamento CE n. 862/2007

6 Secondo il Regolamento CE n. 862/2007 dell’UE, per dimora abituale si intende “il luogo in cui una persona trascorre normalmente il periodo quotidiano di riposo a prescindere dalle assenze temporanee a fini ricreativi, di vacanza, visita a parenti e amici, affari e motivi professionali, trattamenti medici o pellegrinaggi religiosi, oppure, in assenza di dati disponibili, il luogo di residenza legale o registrato”.

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Nella pratica, però, ciò non è sufficiente. Esistono infatti una miriade di altre variabili da tenere in considerazione. Un elemento importante è, per esempio, costituito dalle differenze esistenti a livello nazionale. Il problema definitorio, infatti, non si limita a creare confusione solo nel linguaggio comune o mediatico, ma può porre serie difficoltà anche sul piano istituzionale e legislativo, andando a determinarne una frammentazione sia sul piano internazionale che sul piano interno, dove si può verificare che diversi aspetti dello stesso fenomeno - l’immigrazione - vengano nella realtà regolati in maniera differente tra loro.

Ad esempio, in Italia, all’interno della categoria degli stranieri, in ragione della durata della loro residenza o del titolo si soggiorno da essi posseduto, Stato, Regioni e enti locali hanno già introdotto alcune differenziazioni nel godimento di diritti sociali, che hanno posto alcuni problemi sulla legittimità dei fini perseguiti e sulla congruità tra detti fini e i mezzi prescelti alla luce del principio di non discriminazione (Biondi dal Monte, 2008).

Oltre che alle differenze legislative, i singoli Paesi ospitanti si discostano tra loro anche per i metodi di misurazione dei flussi e i relativi modi di definire e categorizzare il fenomeno migratorio. Nei Paesi di lunga tradizione immigratoria, ad esempio, le seconde e terze generazioni di stranieri non vengono considerate nella categoria degli immigrati, così come, al contrario, nei Paesi in cui l’immigrazione tende ad essere un fenomeno più recente, i requisiti per essere registrato come immigrato risultano più ampi.

Volendo concludere, tali riflessioni ci portano a sostenere che, al di là delle definizioni fornite in modo ufficiale dalle organizzazioni internazionali e dalle istituzioni nazionali, alla definizione e classificazione del fenomeno migratorio partecipino anche in larga parta le società riceventi. “L’immigrazione è sempre una questione di definizione dei confini tra: “noi”, la comunità nazionale insediata su un territorio ben demarcato, i “nostri amici”, ossia gli stranieri che accogliamo con favore come residenti ed eventualmente come futuri concittadini, e “gli altri”, gli estranei propriamente detti, che siamo disposti ad ammettere provvisoriamente, per esempio come turisti, ma che in linea di principio non vorremmo vedere insediati stabilmente nelle nostre città, e tanto meno annoverati tra i cittadini a pieno titolo. Questo potere svolge, dunque, una funzione rilevante nel costruire la categoria sociale degli immigrati, ossia gli stranieri provenienti da paesi più poveri, autorizzati a soggiornare in maniera provvisoria e condizionata. Questo avviene specialmente quando siamo costretti, tra molte reticenze, ad ammettere che ne abbiamo bisogno, per ragioni di copertura dei fabbisogni di manodopera, oppure quando riconosciamo,

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anche in questo caso con molta riluttanza, che hanno titolo per chiedere protezione sotto la bandiera dei diritti umani di cui ci proclamiamo difensori” (Ambrosini, 2009).

Nel linguaggio comune, si tende sempre di più ad utilizzare il termine “immigrati”

per descrivere indistintamente “coloro che arrivano”, considerandoli così unicamente in quanto altri, con una concezione talvolta anche decisamente negativa. In un contesto tale, risulta quindi evidente che a caratterizzare il lessico della migrazione sia sempre più spesso un sentimento di diversità.

Dunque, nell’ottica di voler riportare il discorso a un livello più scientifico, nella trattazione che segue, i termini e categorizzazioni relative al fenomeno migratorio verranno utilizzate nel modo più neutrale possibile, seguendo le definizioni fornite nella tabella 1. In particolare, ci teniamo a specificare che i termini “migrante” e

“immigrato” verranno spogliati delle loro differenze concettuali e accezioni negative e utilizzati come sinonimi.

Tabella 1 - Definizione dei termini utilizzati

TERMINE DEFINIZIONE FONTE

Migrante

“chiunque si muove o si sia trasferito in un confine internazionale o all'interno di uno Stato lontano dal suo luogo di residenza abituale, a prescindere dallo status giuridico della persona; se il movimento sia volontario o involontario; quali sono le cause del movimento; o qual è la durata del soggiorno”

Organizzazione delle Nazioni Unite

Rifugiato

“persona che nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato”

Convenzione di Ginevra art. 1

Richiedente asilo

colui che “è fuori dal proprio paese e presenta, in un altro stato, domanda di asilo per il riconoscimento dello status di rifugiato in base alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951, o per ottenere altre forme di protezione internazionale. Fino al momento della decisione finale da parte delle autorità competenti, egli è un richiedente asilo e ha diritto di soggiorno regolare nel paese di destinazione. Il richiedente asilo non è quindi assimilabile al migrante irregolare, anche se può giungere nel paese d’asilo senza documenti d’identità o in maniera irregolare, attraverso i cosiddetti flussi migratori misti,

Glossario delle Linee Guida per l’applicazione della Carta di Roma, 2012

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composti, cioè, sia da migranti irregolari che da potenziali rifugiati”

Clandestino

“un migrante irregolare, dunque i cittadini di paesi terzi dei quali è stata ufficialmente constatata la presenza sul territorio di uno Stato membro e che non soddisfano, o non soddisfano più, le condizioni di soggiorno o di residenza per quel determinato Stato membro”

Regolamento CE n. 862/2007 art. 2, lett. r

Beneficiario di protezione sussidiaria

“chi, pur non rientrando nella definizione del termine “rifugiato” ai sensi della Convenzione del 1951 poiché non sussiste una persecuzione individuale, necessita comunque di una forma di protezione in quanto, in caso di rimpatrio nel paese di origine, subirebbe un

“danno grave” a causa di conflitti armati, violenze generalizzate e/o massicce violazioni dei diritti umani”

Glossario delle Linee Guida per l’applicazione della Carta di Roma, 2012

Beneficiario di protezione umanitaria

viene “accordata al migrante quando ragioni di carattere temporaneo e legate a condizioni particolari ne impediscono l’allontanamento dal territorio nazionale, ad esempio per motivi di salute e di cure”

Glossario delle Linee Guida per l’applicazione della Carta di Roma, 2012

Profugo

“colui che ha lasciato il proprio Paese, per il ragionevole timore di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità e appartenenza politica e ha chiesto asilo e trovato rifugio in uno Stato straniero, mentre il profugo è colui che per diverse ragioni (guerra, povertà, fame, calamità naturali, ecc.) ha lasciato il proprio Paese ma non è nelle condizioni di chiedere la protezione internazionale”

Dizionario Treccani

Sfollato

Spesso usato come traduzione dell’espressione inglese Internally displaced person (IDP). Per sfollato si intende colui che abbandona la propria abitazione per gli stessi motivi del rifugiato, ma non oltrepassa un confine internazionale, restando dunque all’interno del proprio paese. In altri contesti, si parla genericamente di sfollato come di chi fugge anche a causa di catastrofi naturali.

Alto

commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati

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Parte prima

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CAPITOLO 1

BREVE PANORAMICA DELL’IMMIGRAZIONE IN ITALIA

1.1. Da Paese di emigrazione a Paese d’immigrazione: evoluzione del fenomeno migratorio in Italia.

Storicamente parlando, l’Italia è sempre stato un Paese caratterizzato da una lunga e costante storia di emigrazione e da una più recente, seppur rapida, crescita dei flussi in entrata. Per la maggior parte della sua storia l’Italia ha di fatto vissuto il fenomeno dell’immigrazione solo in casi straordinari seguiti alla Seconda guerra mondiale, come il rientro degli italiani dalle ex-colonie africane o l’esodo istriano (Rosoli, 1978). L’immigrazione è dunque un fenomeno relativamente recente nel nostro Paese, diventato strutturale negli ultimi decenni. Il flusso di stranieri in entrata ha infatti cominciato a raggiungere dimensioni significative a partire da inizio anni Settanta, fino a diventare un fenomeno demograficamente rilevante nei primi anni del XXI secolo.

A partire dagli anni immediatamente successivi all’Unità, l’Italia ha vissuto un secolo caratterizzato da uno dei fenomeni migratori in uscita più rilevanti dell’età moderna, con circa 27 milioni di espatriati e 13 milioni di rimpatriati in oltre un secolo di storia unitaria (Bonifazi, 2013). Ancora oggi, i dati forniti dai rapporti annuali della Fondazione Migrantes sostengono che gli italiani residenti all’estero sono oltre 4,5 milioni, di cui il 95% vive in Europa o in Nord America. Non è quindi un caso che l’Italia venga storicamente considerata un Paese di emigrati. Fino all’inizio degli anni Sessanta, infatti, l’emigrazione di cittadini all’estero risultava ancora essere un fenomeno rilevante per la demografia italiana (Tola, 2018). Tuttavia, fu in questo stesso periodo che iniziarono a formarsi i primi insediamenti di lavoratori stranieri su suolo italiano, in maggior parte attratti dal benessere economico raggiunto dal Paese con il boom degli anni Cinquanta. Tanto che nel 1973 si registrò, per la prima volta nella storia del Paese, un saldo migratorio positivo7 (Idos, 2011).

Il 1975 segna un passaggio importante nella storia dell’immigrazione in Italia:

non solo fu l’anno in cui si registrò un saldo positivo tra emigrazioni e rimpatri

7 Anche se bisogna sottolineare che la maggior parte di tali ingressi erano in realtà dovuti a migranti italiani che rientravano.

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dall’estero, ma anche quello in cui il Parlamento italiano ratificò la convenzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) sulla tutela dei lavoratori migranti (Idos, 2011). È infatti proprio in questi anni che inizia a verificarsi un primo interesse istituzionale e scientifico al fenomeno. Interesse confermato, per esempio, dalla pubblicazione del Censis8 del primo rapporto organico sui lavoratori stranieri in Italia, avvenuta nel 1978.

Negli anni Ottanta, poi, la presenza di lavoratori stranieri sul territorio inizia a ramificarsi e intensificarsi, soprattutto in alcune zone e in alcuni settori: nel 1981, il primo censimento Istat degli stranieri in Italia calcolava la presenza di 321.000 stranieri, e nel giro di un decennio tale numero risultava essere praticamente raddoppiato, passando a 625.000 individui nel 1991. Nel corso degli anni Novanta il saldo migratorio ha poi continuato a crescere fino al punto che, a partire dal 1993 (anno in cui per la prima volta il saldo naturale della popolazione italiana è diventato negativo), ha iniziato a rappresentare la sola causa di incremento della popolazione italiana. Oggi9 gli stranieri residenti in Italia contano 5.144.440 individui, e rappresentano l’8,5% della popolazione residente.

Alla fine degli anni Ottanta risale inoltre il varo della prima legge dell’Italia repubblicana in materia di migrazione: la cosiddetta legge Foschi del 1986. Il periodo che ne segue viene definito della “svolta”: cambiano le caratteristiche e la portata dei flussi dopo la caduta del muro di Berlino, si verificano le prime manifestazioni della società civile su temi legati al razzismo e alle migrazioni, vengono introdotte nuove normative (come la legge Martelli del 1990 e la nuova legge di cittadinanza del 1992), iniziano i primi sbarchi dall’Albania, che ebbero un impatto molto forte sull’opinione pubblica e sul governo (Colucci, 2018).

Nel corso degli anni Novanta i flussi continuano a crescere e assumono una consistenza più variegata: ci sono gruppi e comunità di stranieri ormai stabilizzati in modo duraturo in Italia, aumentano gli ingressi per motivi di lavoro, cambia e si ramifica la geografia dei profughi, spinti alla fuga dalle guerre balcaniche e dal conflitto in Somalia (Colucci, 2018). Tutti fattori che portano la questione migratoria al centro del discorso pubblico e dell’agenda politica: nel 1998 viene approvata una nuova legge, la cosiddetta Turco-Napolitano, che sarà poi ulteriormente modificata - in senso restrittivo - nel 2002 dalla legge Bossi-Fini.

8 Il Centro Studi Investimenti Sociali (Censis) è un istituto di ricerca socio-economica che si occupa di realizzare studi sul sociale, l’economia e l’evoluzione territoriale in Italia.

9 Dati aggiornati al 1° gennaio 2018 (Fonte Istat).

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Il 2001 è un altro anno chiave: il censimento registra per la prima volta il superamento del milione di stranieri residenti e le elezioni politiche sono dominate per la prima volta dal tema dell’immigrazione, entrato ormai stabilmente nel dibattito pubblico (Colucci, 2018). La crescita sembra subire un arresto a seguito della crisi economica internazionale scoppiata nel 2008, anche se le conseguenze dell’immigrazione continuano a incidere sull’assetto politico, sociale ed economico dell’Italia. In questi anni, tra l’altro, si verificano alcuni cambiamenti nel fenomeno immigratorio, come l’aumento dei flussi di rifugiati e l’affermazione dell’Italia come paese di transito della migrazione. Infine, gli ultimi anni sono caratterizzati da un notevole aumento quantitativo dei residenti stranieri registrati in Italia, che nel 2017 superano ormai i 5 milioni, sancendo una crescita di circa 4 milioni nel giro di 25 anni (Colucci, 2018). Nell’arco di qualche decennio, la società e il governo italiani si sono quindi trovati a dover gestire il passaggio – culturale, sociale ed economico – da essere un Paese di emigrazione a un Paese di immigrazione, sia temporanea sia permanente.

L’Italia non è dunque più classificabile come un Paese di recente immigrazione, essendo il fenomeno ormai presente in misura significativa a partire dagli anni Settanta. Certamente, la crescita esponenziale dei flussi di stranieri in entrata è databile agli ultimi due decenni, ma per comprendere la situazione migratoria italiana a fondo è necessario tenere in considerazione non solo la situazione attuale e le sue caratteristiche ma anche le linee essenziali dello sviluppo storico del fenomeno.

Al fine di una chiara visione di tale sviluppo, è inoltre necessario iniziare a guardare alla dimensione strutturale che ha assunto l’immigrazione nel nostro Paese, eliminando quell’atteggiamento di eccezione ed emergenza che ha per lungo tempo caratterizzato l’approccio del governo e dell’opinione pubblica italiane alla questione migratoria degli ultimi anni (Colucci, 2018).

1.1.1. La popolazione straniera in Italia

1.1.1.1. I dati di contesto

Quello delle migrazioni è un fenomeno molto complesso, che i dati permettono di analizzare e comprendere solo in parte. I flussi migratori, in entrata e in uscita, e le conseguenze che ne derivano caratterizzano nel profondo la storia del nostro Paese – così come dell’Europa – e la sua situazione attuale e contribuiscono nel profondo a

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determinarne la struttura non solo demografica ma anche sociale, culturale ed economica. Come sostenuto da due autorevoli esperti del tema, Stephen Castles e Mark J. Miller, l’immigrazione è il fenomeno più rilevante di questo secolo (Castles e Miller, 2009). Affermazione vera, anzitutto, per le dimensioni quantitative del fenomeno: nel dicembre 2017 il numero di migranti internazionali stimato dall’agenzia UNDESA10 delle Nazioni Unite corrispondeva ad un totale di 258 milioni di individui. In altri termini, il 3,4% della popolazione mondiale11 nel corso del 2017 si è trovato nella condizione di non abitare nel proprio Paese di origine o di residenza abituale. Inoltre, ben l’81,6% di tale cifra è rappresentato da individui provenienti da Paesi in via di sviluppo e la maggior parte di essi (circa 230 milioni) è costituita da cosiddetti migranti “economici”, ovvero persone che decidono di migrare per ragioni economiche. Il medesimo rapporto evidenzia poi che nel periodo trascorso tra il 2000 e il 2017, il numero di migranti internazionali è cresciuto del 49%, passando da 171 a 258 milioni di persone in meno di un decennio.

Tuttavia, l’aspetto quantitativo costituisce solo uno dei tanti elementi da tenere in considerazione quando si parla di immigrazione. Esistono infatti altri fattori assai più difficili da rilevare, ma che sono parte integrante del fenomeno. L’immigrazione può, ad esempio, avere un forte impatto anche sul dinamismo economico, sull’assetto sociale e sulle dimensioni culturali, nonché sul dibattito politico e sugli orientamenti dell’opinione pubblica dei singoli Paesi (Fondazione Leone Moressa, 2017).

Tornando alle cifre, necessarie nel restituire un’idea dell’entità del fenomeno, per quanto riguarda il contesto europeo, in base ai dati Eurostat aggiornati al 1°

gennaio 2017, i cittadini stranieri presenti in UE sono 38,6 milioni e incidono per il 7,5% sulla popolazione complessiva. In tale quadro, l’Italia – con i suoi circa 5 milioni di residenti stranieri – viene dopo Germania e Regno unito, che nel 2017 ne contavano rispettivamente 9,2 e 6,1 milioni, e supera di poco Francia e Spagna, con i loro 4,6 e 4,4 milioni di residenti stranieri.

10 United Nations, Department of Economic and Social Affairs, Population Division.

11 Cifra che al momento della rilevazione dei dati presi in considerazione corrispondeva a 7 miliardi e 600 milioni di persone.

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Figura 1 - Percentuale di stranieri sul totale dei residenti. Dati Eurostat, 2016.

Contrariamente alle polemiche – mediatiche e politiche – che negli ultimi anni vorrebbero l’Italia “invasa” dagli immigrati, l’edizione 2018 del “Dossier Statistico Immigrazione”, realizzata dal Centro Studi e Ricerche Idos ed elaborato sui dati forniti dal Ministero dell’Interno, fornendo numeri e dati statistici aggiornati su diversi fattori legati al fenomeno migratorio in Italia, restituisce l’immagine di un fenomeno stabile ormai da oltre un quinquennio.

Se tra gli anni Novanta e l’inizio del nuovo millennio l’incidenza della popolazione straniera sulla popolazione italiana totale risultava essere un dato in continuo aumento (si pensi che nel 1990 gli stranieri erano lo 0,8% della popolazione, e solo nel 2006 avevano superato il 5%), al contrario, negli ultimi anni, il tasso di crescita ha rallentato, e tra il 1° gennaio 2015 e il 1° gennaio 2017 è aumentato solo dello 0,2%.

Nel rapporto troviamo quindi conferma che, al netto dei movimenti interni, il numero di stranieri residenti è rimasto pressoché invariato (e stabile intorno ai 5 milioni) dal 2013 e la loro incidenza aumenta ormai di pochissimi decimali l’anno, restando sempre nell’ordine dell’8%. Ciò soprattutto a causa della costante diminuzione della popolazione italiana, che risulta essere sempre più anziana (tra gli italiani si conta 1 over 65 ogni 4 persone, tra gli stranieri il rapporto è di 1 ogni 25), meno feconda (1,27 figli per donna italiana fertile, contro 1,97 tra le straniere) e caratterizzata da una

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nuova fase di emigrazione. Continua infatti a crescere il numero di persone che decidono di lasciare l’Italia per trasferirsi all’estero: secondo i dati AIRE12 sono quasi 115.000 gli espatriati del 2017, e tra questi troviamo non solo cittadini italiani ma anche stranieri (41 mila nel 2017) o italiani di origine straniera (32 mila).

Il Dossier riporta poi alcuni dati interessanti riguardo gli stranieri naturalizzati e le seconde generazioni. Dall’analisi degli ultimi quarantacinque anni di immigrazione in Italia, i dati rilevati mostrano come la popolazione straniera si sia inserita nel tessuto sociale in maniera sempre più strutturale: in questo lasso di tempo circa un milione e mezzo di stranieri sono diventati cittadini italiani, dei quali 147 mila solo nel corso del 2017 (-27,3% rispetto agli oltre 201 mila dell’anno precedente). Inoltre, sarebbero circa un milione e 300 mila gli stranieri nati in Italia, le cosiddette seconde generazioni; cifra che corrisponde a oltre un quarto del totale dei residenti stranieri. Sempre parlando di seconde generazioni, è interessante notare che oltre mezzo milione di questi ragazzi frequenta le scuole italiane: si tratta dei due terzi degli 826 mila alunni stranieri presenti in Italia, che rappresentano quasi un decimo (9,4%) di tutti gli scolari del sistema scolastico italiano.

Per quanto riguarda le cifre relative esclusivamente agli stranieri non comunitari13 regolarmente presenti in Italia, è interessante sottolineare come ben due terzi (ovvero 2 milioni e 390 mila) sono titolari di un permesso permanentemente valido, garantito da un soggiorno regolare e ininterrotto di 5 anni o da vincoli parentali con un cittadino italiano o comunitario già residente in Italia. Il restante terzo (un milione e 325 mila) è invece titolare di un più precario permesso a termine, di questi tre su quattro dichiarano di trovarsi in Italia per motivi familiari (39,3%) o di lavoro (35,2%).

Parlando di flussi in entrata è poi necessario aprire una parentesi per la categoria dei rifugiati e dei richiedenti asilo. Un’analisi particolare va infatti dedicata a coloro che richiedono l’asilo o la protezione umanitaria e internazionale: fenomeno in aumento a cui i governi europei pongono la loro attenzione per trovare modo di regolamentarlo e gestirlo. Secondo il rapporto annuale “Global Trends” dell’UNHCR, che traccia le migrazioni forzate nel mondo basandosi sui dati forniti dai governi, dalle agenzie partner e dai rapporti dell’organizzazione stessa, risulta che nel corso del 2017 sono stati 68,5 milioni i cosiddetti migranti forzati, di cui circa 40 milioni di

12 Anagrafe degli Italiani residenti all’estero.

13 Non provenienti cioè da uno degli Stati dello spazio Schengen.

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sfollati interni, 25,4 milioni di rifugiati e 3,1 milioni di richiedenti asilo. Per quanto riguarda il contesto italiano, sempre secondo l’UNHCR14, sono 354 mila i richiedenti asilo e i titolari di protezione internazionale o umanitaria attualmente presenti nel nostro Paese15, corrispondenti allo 0,6% dell’intera popolazione. Prendendo in considerazione il numero assoluto, possiamo collocare l’Italia al terzo posto tra i paesi UE, dopo la Germania che ne ospita 1,4 milioni e la Francia, con i suoi 400 mila.

Tuttavia, se si guarda invece all’incidenza di tale numero sulla totalità degli abitanti, si può notare come l’Italia sia perfettamente in linea con la media comunitaria: si posiziona al pari di Francia e Paesi Bassi ed è preceduta da vari Paesi, come la Svezia (2,9%), l’Austria e Malta (1,9%), la Germania e Cipro (1,7%), la Grecia (0,8%).

Infine, il Dossier Statistico dell’Immigrazione dedica un’attenzione particolare ai dati relativi all’accoglienza. In particolare, riporta che, alla fine del 2017, dei 239 mila titolari di un permesso inerente alla richiesta di asilo o alla protezione internazionale o umanitaria, solo 187 mila vennero effettivamente inseriti nel sistema nazionale di accoglienza, di cui la stragrande maggioranza (81%) nei Centri straordinari (Cas). D’altra parte, i dati mostrano che è di appena il 13,2% la quota di richiedenti e titolari di protezione ospitata nei centri Sprar16, mentre i restanti si trovano o nei Centri di prima accoglienza (5,7%) o negli hotspot (0,2%).

1.1.1.2. Le comunità straniere: demografia e distribuzione geografica

Nelle prime pagine dell’edizione 2018 del rapporto annuale sulla geopolitica delle migrazioni, redatto dalla Società Geografica Italiana, troviamo scritto: “Fin dall’esordio del ventunesimo secolo, il principale fattore delle dinamiche che riguardano lo spazio geografico italiano è da individuare nei flussi migratori. Pur non dovendosi trascurare il ruolo che, nella recente trasformazione del quadro delle relazioni territoriali del paese e nelle prospettive di scenario delle stesse, svolgono i flussi di capitale, di innovazione, di capacità di impresa, è senza dubbio nella dinamica migratoria che può essere individuata la componente primaziale della proiezione territoriale delle evoluzioni demografiche, insediative, economiche, sociali e politiche che riguardano l’Italia” (Meini, 2018). Quello geografico è uno degli aspetti più importanti nello studio della composizione delle comunità straniere

14 L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.

15 La cifra comprende anche i soggetti che al momento della rilevazione risultavano ancora privi di titolo formale o la cui domanda era sotto esame.

16 Il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) è il servizio che in Italia gestisce i progetti di seconda accoglienza, assistenza e integrazione dei richiedenti asilo a livello locale.

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residenti in un paese, sia per quanto riguarda la loro provenienza di origine, sia per quanto riguarda invece le aree o regioni dove decidono di insediarsi.

Volendo continuare l’analisi del contesto italiano, i dati raccolti dal Centro Studi e Ricerche Idos nel Dossier del 2018 ci mostrano che gli immigrati residenti in Italia provengano da quasi 200 diversi Paesi: per metà (2,6 milioni) sono cittadini di un Paese europeo, mentre la restante metà si divide tra un milione di stranieri dall’Africa, una quota leggermente inferiore dall’Asia, e circa 370 mila (7,2%) dal continente americano, di cui la maggior parte sono latino-americani (6,9%).

Per quanto riguarda, invece, le comunità insediate sul suolo italiano la più numerosa è quella romena (un milione e 190 mila, pari al 23,1% del totale dei residenti stranieri), seguita da quella albanese (440 mila e 8,6%), marocchina (417 mila e 8,1%), cinese (291 mila e 5,7%) e ucraina (237 mila e 4,6%). Queste prime cinque collettività insieme costituiscono la metà (50,1%) dell’intera presenza straniera in Italia.

Aggiungendo poi le comunità provenienti da Filippine, India, Bangladesh, Moldavia ed Egitto si arriva a poco meno dei due terzi (63,7%)17. Comparando i dati degli ultimi anni si può notare come le comunità straniere in crescita siano principalmente quelle provenienti da Paesi asiatici, come la Cina, il Bangladesh e il Pakistan. Risultano in crescita anche le comunità di alcuni Paesi dell’Africa occidentale, come Senegal e Nigeria, che però restano ancora fuori dalle prime dieci posizioni.

Figura 2 - Provenienza degli stranieri residenti in Italia. Dati Istat, 2018.

17 Dati Istat aggiornati al 1° gennaio 2018.

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Altro aspetto interessante da tenere in considerazione è poi la distribuzione geografica degli immigrati all’interno del Paese, che non risulta essere né omogenea né casuale, ma ricalca invece quella delle opportunità economiche, essendo la ricerca di un lavoro uno dei motori principali delle migrazioni verso l’Italia. Le comunità straniere tendono dunque a distribuirsi dove la domanda di lavoro è maggiore e le retribuzioni medie più alte. La geografia degli insediamenti stranieri oltre ad essere condizionata dalle dimensioni delle diverse aree e regioni e dal numero di cittadini autoctoni già presenti, può anche riflettere le diverse capacità attrattive – soprattutto a livello di opportunità occupazionali – che il territorio stesso può offrire.

La distribuzione territoriale, inoltre, cambia nel tempo. La situazione nel 2007 vedeva il 63% della popolazione straniera insediata nelle regioni del Nord e il restante 12% distribuito tra Centro, Sud e Isole. Nel 2017 la situazione sembra, invece, leggermente variata: nonostante l’83,1% di tutti i residenti stranieri continui ad essere ospitato nelle aree settentrionali del Paese con la percentuale più elevata registrata nel Nord-Ovest (33,6%) – si riscontra allo stesso tempo un aumento dei residenti nel Centro-Italia, che corrispondono ora al 25,4%, percentuale invece diminuita per quanto riguarda le regioni meridionali, che contano il 14,6% dei residenti stranieri totali.

In particolare, la regione che conta la presenza più numerosa è la Lombardia (un milione e 154 mila residenti stranieri, il 22,9% del totale

nazionale), seguita da Lazio (oltre 679 mila e 13,5%), Emilia Romagna (536 mila e 10,6%, cui si aggiunge il primato della incidenza più alta, a livello nazionale, sulla popolazione complessiva: 12%), Veneto (più di 487 mila e 9,7%) e Piemonte (circa 424 mila e 8,4%).

Tuttavia, è nelle grandi città – e relative periferie – che si riscontrano le aree con il maggior numero di residenti stranieri. Nella sola città metropolitana di Roma si concentra il 10,8% di tutti gli stranieri residenti in Italia (557 mila persone), a Milano l’8,9% (459 mila), a Torino il 4,3% (220 mila). Altre zone ad alta

concentrazione sono poi le aree produttive di Emilia-Romagna e Lombardia, oltre che quelle venete e piemontesi seppure con numeri inferiori.

Le regioni del Meridione, fatta eccezione per la Campania, risultano ospitare il numero minore di stranieri, con la Basilicata e il Molise che registrano

rispettivamente lo 0,30% e 0,20%. Tuttavia, è proprio al Sud che negli ultimi anni si sono registrati i tassi di incremento maggiori. Secondo le rilevazioni Istat, nel

periodo che va dal 2012 al 2016, tra i capoluoghi di provincia a livello nazionale sono state le città di Crotone, Foggia e Caltanissetta a registrare un raddoppio della presenza straniera; nello stesso

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lasso di tempo la popolazione straniera residente a Napoli è cresciuta del 67%, portando così il capoluogo partenopeo a superare le metropoli di Roma, che ha registrato una crescita del 62%, e Milano, con il suo aumento del 45% (Gianotti, 2017).

Figura 3 - Percentuale degli stranieri residenti sulla popolazione totale in Italia. Dati Istat, 2018.

Infine, per meglio comprendere quali siano le implicazioni culturali e sociologiche dovute alla presenza di residenti stranieri sul territorio, è opportuno osservare anche come tali comunità siano composte per sesso e per età. Ovviamente, occorre tenere in conto che si tratta di un’analisi statistica, essendo i dati rilevati riguardanti un aggregato di diversi gruppi e non un’unica comunità. Dunque, guardando alla divisione per sesso, i dati Istat mostrano come nel 2017 fossero le donne a essere in maggioranza, componendo il 52,36% sul totale dei residenti

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stranieri. A tal proposito, è interessante sottolineare come questo equilibrio sia molto vicino a quello italiano complessivo.

Tuttavia, con un’analisi più approfondita, notiamo che il rapporto tra uomini e donne vari molto a seconda delle zone di provenienza: ad esempio tra i cittadini europei e americani è nettissima la predominanza delle donne, mentre per le comunità provenienti da Africa e Asia notiamo che sono stati soprattutto uomini a decidere di insediarsi in Italia. Possiamo dedurre che questa differenza sia dovuta soprattutto alle opportunità di lavoro che il Paese offre agli stranieri (Idos, 2018). Volendo poi approfondire ulteriormente l’analisi si può aggiungere la variabile dell’età e scomporre la popolazione straniera in fasce, notando così come la distribuzione demografia sia abbastanza equilibrata, con una leggera predominanza di sesso maschile nelle fasce più basse (giovani e bambini) e una di sesso femminile in quelle più alte (adulti e anziani).

1.2. Lo sviluppo giuridico in tema di immigrazione

Come si può evincere dai dati appena illustrati, l’immigrazione nel nostro Paese è un fenomeno in continuo divenire, che si modifica nel tempo sia a causa di situazioni ed eventi contingenti che ne condizionano l’andamento, sia come diretta conseguenza delle disposizioni giuridiche che intervengono non solo a regolare e regolamentare i flussi ma anche a controllare e creare servizi e possibilità di integrazione. L’aspetto normativo è infatti fondamentale nella determinazione del fenomeno migratorio ed è quindi un elemento non trascurabile, che va preso in considerazione anzitutto per le conseguenze che un dato mutamento legislativo può avere, sia a livello statistico che di impatto sociale ed economico.

La Costituzione italiana all’art.10 comma 2 dispone che “La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali”.

Il medesimo articolo, al comma 3, dedica poi un’attenzione particolare ai rifugiati, secondo tali termini: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge”. Dunque, nonostante la Costituzione Repubblicana veda inserito tra i suoi principi fondamentali un articolo dedicato agli stranieri e ai diritti che quest’ultimi hanno su suolo italiano, fino al 1986 lo Stato ha continuato a regolare l’afflusso di cittadini stranieri sui propri territori secondo quanto stabilito dalle norme contenute nel Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (R.D. del 18 giugno 1931, n. 773), con la conseguenza che molti

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aspetti in materia di soggiorno e di collocamento venivano nella pratica regolati da circolari ministeriali, rischiando così di essere soggetti alla totale discrezionalità amministrativa.

Come precedentemente accennato, a partire dalla fine degli anni Sessanta, l’Italia ha iniziato a trasformarsi in un Paese di arrivo della migrazione. Tuttavia, almeno in una fase iniziale, tale trasformazione venne percepita solo marginalmente, con la conseguenza di una scarsa gestione e regolamentazione del fenomeno (Idos, 2011). Il sistema politico italiano, infatti, iniziò a interessarsi al fenomeno immigratorio solo verso l’inizio degli anni Ottanta, senza però che venisse approvata alcuna normativa fino al 1986, anno della legge Foschi. Inizialmente, la situazione fu quindi gestita tramite interventi ad hoc e continue sanatorie, in mancanza di una reale visione d’insieme. Tale approccio, aggiunto alla prorompente crisi economica e alla crescente disoccupazione dell’epoca, portò al blocco totale degli ingressi per lavoro varato nel 1982 (Idos, 2011).

Dagli anni Ottanta fino ad oggi, il sistema politico italiano ha sperimentato vari approcci alle politiche d’immigrazione, passando per forme sia di apertura sia di chiusura, la maggior parte delle quali sono accumunate da una generale politicizzazione del fenomeno a dispetto della sua natura strutturale. Elenchiamo di seguito le tappe più rilevanti.

Legge Foschi. La legge n. 943 del 1986 fu la prima a regolare diverse questioni legate al fenomeno immigratorio non ancora affrontate dal quadro legislativo italiano, come ad esempio l’introduzione di una norma sul ricongiungimento familiare e di alcune disposizioni in materia di soggiorno turistico e per motivi di studio. Altro aspetto importante è la dichiarazione solenne di piena uguaglianza fra lavorati italiani e stranieri. Una delle ragioni che portarono alla definizione di tale normativa fu la necessità di attuare la Convenzione ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro) sui diritti dei lavoratori stranieri (n. 143 del 1975). Inoltre, la Legge Foschi è stata la prima a definire la regolarizzazione delle posizioni lavorative e dei soggiorni illegali tramite una consistente sanatoria, che durò fino al 1988 e coinvolse oltre 100.000 immigrati. Tuttavia, la legge rimase inattuata in molte sue parti (Idos, 2011).

La legge Martelli. La legge n. 39 del 1990 venne proposta nel tentativo di risolvere le sempre maggiori contraddizioni delle politiche migratorie dell’Italia.

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Insieme al rispettivo regolamento di attuazione approvato con il D.P.R. n. 136 del 1990, tale legge rappresenta il primo tentativo di disciplina organica in materia. Si tratta infatti di un testo legislativo provvisto di una certa sistematicità, ma anch’esso creato per rispondere a una situazione considerata emergenziale e non strutturale.

Una delle novità più importanti è stata l’introduzione di un meccanismo preventivo riguardante l’ingresso di lavoratori extracomunitari, i cosiddetti immigrati economici. Si tratta di una programmazione quantitativa dei flussi di ingresso stabilita in base alle necessità del mercato del lavoro e attuata mediante il rilascio di un apposito permesso di soggiorno. Altro aspetto interessante della legge Martelli è legato all’introduzione di una procedura per l’espulsione degli stranieri considerati socialmente pericolosi e pensata anche come strumento di contrasto dell’immigrazione irregolare. La legge, infine, prevede la creazione di alcuni strumenti volti a facilitare l’integrazione, come il Fondo per le politiche dell’immigrazione e i centri di accoglienza, e, anche in questo caso, fu accompagnata da una sanatoria per gli stranieri irregolari presenti sul territorio (Idos, 2011).

La chiara impostazione restrittiva rispetto alle condizioni d’ingresso degli stranieri della legge Martelli può essere interpretata come la risposta del governo italiano alle richieste degli altri Stati europei, che con l’adesione dell’Italia alla Convenzione di Schengen18 – avvenuta per l’appunto nel 1990 – temevano un notevole afflusso di lavoratori stranieri. È proprio in questi anni, infatti, che in Europa – e in Italia in particolar modo – si verifica un significativo mutamento della percezione dei flussi migratori. Anche in seguito al crollo del regime sovietico e all’afflusso dei suoi cittadini negli Stati europei, a partire dagli anni Novanta, la maggior parte delle politiche saranno condizionate da un generale orientamento negativo dell’opinione pubblica nei confronti degli immigrati (Bernard, 2007). Nel decennio che seguì la legge Martelli, vennero varate una serie di leggi e decreti mirati a sanare le lacune esistenti. Tra questi citiamo la legge di cittadinanza del 1992, che portò a 10 anni il periodo di residenza continua necessaria per la naturalizzazione di cittadini stranieri, la legge Mancino del 1993, mirata a contrastare i sentimenti di xenofobia e discriminazione nascenti, e il decreto Conso – approvato anch’esso nel 1993 – che modificava le procedure di espulsione. Importante è poi stata la cosiddetta “Sanatoria

18La convenzione di Schengen è un accordo internazionale che stabilisce l’istituzione di uno spazio di libera circolazione. L’accordo iniziale, firmato il 14 giugno 1985 da Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi prevedeva l’eliminazione progressiva dei controlli alle frontiere interne e l’introduzione della libertà di circolazione per tutti i cittadini dei Paesi firmatari. Lo spazio Schengen è attualmente composto da 26 paesi, di cui 22 membri dell’Unione Europea e quattro non membri (Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera).

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