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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI VERONA DIPARTIMENTO DI SCIENZE GIURIDICHE CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN GIURISPRUDENZA TESI DI LAUREA

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI VERONA DIPARTIMENTO DI SCIENZE GIURIDICHE

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN GIURISPRUDENZA

TESI DI LAUREA

LA TUTELA GIURISDIZIONALE DEL MADE IN ITALY NEL SETTORE AGROALIMENTARE E GLI SPECIFICI RIMEDI DEL PROCESSO INDUSTRIALE: RIFLESSIONI SULLA SALVAGUARDIA DELLA DOCG AMARONE NELLE

RECENTI PRONUNCE DEL TRIBUNALE E DELLA CORTE D’APPELLO DI VENEZIA

Relatore: Professor Alberto Maria Tedoldi

Laureanda: Alessia Gasparini n. VR356442

ANNO ACCADEMICO 2019-2020

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RINGRAZIAMENTI

Alla mia Famiglia, A Nicola

«E dunque che la giustizia consista nel fare le proprie cose senza moltiplicare le proprie attività […] quel che resta

nella città dopo le tre qualità che abbiamo esaminato, moderazione coraggio intelligenza, sia ciò che assicura a tutte loro la possibilità di svilupparsi, e una volta sviluppate ne garantisce la salvaguardia finché è presente.»

(Platone, La Repubblica)

«Io mi costruisco di continuo e vi costruisco, e voi fate altrettanto.

E la costruzione dura finché non si sgretoli il materiale dei nostri sentimenti e finché duri il cemento della nostra volontà»

(Pirandello, Uno, nessuno e centomila)

Giunta al termine di questo mio percorso di studi, fatto di tanta tenacia e impegno, non posso che ringraziare di cuore tutti coloro che sono stati al mio fianco, cre- dendo nelle mie capacità e incoraggiandomi in vista delle mie aspettative per il futuro. In primo luogo, un grazie sincero alla mia Famiglia, che ha saputo accompagnarmi in questo viaggio, tra momenti di gioia e difficoltà, nonché insegnarmi che inseguire un sogno signi- fica «tirar fuori la grinta e stringere i denti». Un pensiero va con immensa gratitudine ai miei Nonni, portatori di un sapere contadino fatto di parole semplici, ma allo stesso tempo capaci di tramandare preziosi insegnamenti, fondati sui valori della costanza e dello spirito di sacrificio nel lavoro. La dedica di questo elaborato va a Nicola, per l’amorevole soste- gno e la fiducia di chi sa, come diceva Saint-Exupery, che «non si vede bene che col cuore.

L’essenziale è invisibile agli occhi». Desidero, infine, ringraziare coloro che con profes- sionalità e disponibilità hanno dedicato la loro attenzione al presente lavoro di tesi e mi riferisco, in particolare, al mio relatore, il Professor Alberto Maria Tedoldi, che ha il grande merito di avermi fatta appassionare alla materia del diritto processuale civile e all'Avvocato Giuliano Stasio, che come esperto di diritto commerciale e diritto vitivinicolo ha fornito il suo importante supporto per la stesura dell’elaborato.

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Indice

Introduzione……….1

Capitolo I

1.1 La caratterizzazione del marchio Made in Italy……….5

1.2 Il rilevante patrimonio agroalimentare italiano come insieme di valori e collettore di ric- chezza………..8

1.3 L’evoluzione della normativa sovranazionale: cenni sulla disciplina del "Made in" in ambito internazionale ed excursus della disciplina comunitaria sull’origine e la

provenienza………..………..……….10

1.3 Gli interventi del legislatore italiano volti a rafforzare il “Made in Italy”: tra lodevoli intenzioni e approssimativa organicità……….………..18

1.4 Il recente impegno normativo nella lotta alla contraffazione si specifica ulteriormente nel contrasto al fenomeno dell’Italian Sounding, come definito dall’art 144 c.p.i.……….23

Capitolo II

2.1 I marchi in generale secondo il Codice di Proprietà Industriale………..29

2.2 Focus sulla protezione fornita dai marchi collettivi e sulle principali differenze con le indicazioni geografiche….………..35 2.3 Le specificità dei due segni “sui generis”, DOP e IGP….………42 2.4 I rapporti di interferenza tra le indicazioni geografiche e i marchi………..46

2.5 Discordanti standard di tutela tra normativa europea sulle indicazioni geografiche e la disciplina internazionale……….………51 2.6 La genesi delle indicazioni geografiche: un sistema primariamente riferito al settore vitivi- nicolo………..56

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Capitolo III

3.1 La tutela giurisdizionale del marchio nel c.p.i. e le peculiarità del processo industriale: le Sezioni specializzate..……….65

3.2 La tutela giudiziaria ordinaria : i principali rimedi forniti dall’azione di nullità e

decadenza del marchio………69

3.3 Analisi della specificità degli strumenti di tutela del marchio come l’azione di contraffazio- ne e i procedimenti cautelari.………..75

3.4 Le sanzioni penali e amministrative ad effetto deterrente della reiterazione della violazione del marchio……….94

Capitolo IV

4.1 Le recenti pronunce del Tribunale e della Corte d'Appello di Venezia sulla tutela della de- nominazione d'origine del vino Amarone della Valpolicella ………97

4.2 Il ruolo centrale di una questione ritenuta marginale: la tutela delle menzioni tradizionali nel sistema della disciplina delle indicazioni geografiche e il rapporto con disciplinari di pro- duzione più restrittivi……….………..105

4.3 Focus sul ruolo di legittimato attivo del Consorzio di Tutela della Valpolicella, come sog- getto preposto all'organizzazione e alla salvaguardia delle denominazioni d'origine dei vini Valpolicella, Amarone, Recioto………113

4.4 L'azione di concorrenza sleale nel rapporto tra l'individualismo del singolo imprenditore e la collegialità del Consorzio: un'autonoma legittimazione ad agire per il risarcimento del danno residua in capo ai singoli………..119

Conclusioni ..………124 Bibliografia ………..139

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INTRODUZIONE

Nell’attuale contesto economico globalizzato si assiste, a livello industriale, da una parte ad una sempre maggior standardizzazione e omologazione nella produzione; dall’altra ad una differenziazione del prodotto ricreata soprattutto attraverso campagne pubblicitarie e di marketing.

In tale contesto generale in continua evoluzione, il sistema di produzione italiano mostra invece di conservare un particolare valore identitario, evocativo e di innegabile capacità distintiva all’interno di un settore merceologico, quello dell’agroalimentare, che presenta un ineludibile legame col territorio di provenienza, un immutato collegamento con la pro- pria tradizione secolare e, non da ultimo, un irresistibile fascino attrattivo a livello interna- zionale.

Da questo punto di vista il presente lavoro si prefigge l’obiettivo di analizzare, quindi, un settore economicamente tra i più trainanti a livello italiano e di mettere in luce in quale modo il legislatore italiano e, seppur in parte, quello sovranazionale abbiano predisposto una tutela, per quel marchio evocativo di qualità e artigianalità, che è da sempre il Made in Italy.

In particolare si intende porre al vaglio la panoramica dei rischi a cui sono esposti i prodot- ti italiani, individuando come la normativa intenda prevenirli, anche alla luce di recenti in- terventi in tema di Italian Sounding, uno dei più pericolosi e insidiosi fenomeni di imita- zione del nostro prodotto.

L’analisi di tale fenomeno porta ad evidenziare l’importanza di soluzioni che implementino una tutela della provenienza del prodotto e in particolar modo conduce all’analisi della di- sciplina dei marchi prevista dal Codice di Proprietà Industriale per poi, in sede di conclu- sioni, operare un tentativo, seppur ipotetico, di collegamento tra discipline: quella dell’in- dicazione d’origine e quella delle indicazioni geografiche DOP e IGP.

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Il focus sulla materia si orienta in maniera predominante sulla figura dei marchi collettivi e di certificazione , i quali, differentemente da quello individuale, apprestano una tutela più ampia, garantita anche da eventuali titolari di natura pubblica e usufruibile da una più este- sa platea di soggetti, per poi, proseguire alla disamina di altri segni sempre propri di un regime di qualità delineato dalla normativa multilivello, come le indicazioni geografiche, espressione di un legame tra caratteristiche specifiche del prodotto e il territorio di produ- zione, in grado, come segni di natura pubblica, di salvaguardare non solo il settore vitivini- colo, da cui questa tutela ha preso avvio, bensì l’intero comparto agroalimentare.

Auspicando che la trattazione giunga ad un esauriente inquadramento della normativa di carattere sostanziale, si passa al piano processuale, individuando le peculiarità della disci- plina speciale predisposta dal Codice della Proprietà Industriale e concentrandosi, quanto ai rimedi a tutela dei marchi, sull’azione di nullità e sull’azione di contraffazione.

L’intenzione è quella di porre l’attenzione sulla via “privilegiata” creata dal legislatore per le controversie in materia di proprietà industriale e intellettuale per un processo, quello in- dustriale, che si attesta come processo sui iuris, in un’ottica certamente di discontinuità ri- spetto alla tendenza del processo civile a vedere una semplificazione dei riti e riduzione dei riti speciali, come si evince dalla ratio del decreto legislativo n.150 del 2011.

La prospettiva di analisi infatti affronta le peculiarità di questa tutela, resa quanto mai effi- ciente e celere grazie alla costituzione di sezioni specializzate d’impresa, in grado di af- francare i procedimenti per nullità o decadenza del marchio, piuttosto che i più frequenti procedimenti per contraffazione dalle lungaggini del processo civile italiano.

Il presente lavoro si propone come contributo scientifico nell’ambito della ricerca in mate- ria di processo industriale ed inoltre è volto a comunicare a quanti, quali operatori econo- mici, si affaccino concretamente ad uno dei settori decisivi della nostra economia, quali siano le effettive potenzialità di tale tutela, in termini di efficacia.

Se è vero che lo stato della giustizia italiana è sempre più contraddistinto da quel triste primato di lungaggini processuali e inefficienze a cui la Legge Pinto del 2001 si prefiggeva

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di porre un freno, ma che ciò nonostante, ha portato il nostro paese al 150esimo posto su 181 paesi in classifica, come attestava nel 2009 un articolo del Corriere della Sera, intitola- to in maniera decisamente poco celebrativa “Giustizia, tempi da terzo mondo”; è tuttavia nostra cura mostrare, orgogliosamente, una diversa fotografia del nostro sistema giudizia- rio per quanto attiene al processo industriale.

Giunti a questo punto l’attenzione si sposta poi verso una dimensione di interesse territo- riale maggiormente circostanziata, al fine di rendere omaggio a quella tradizione vitivini- cola che risulta tra le eccellenze della nostra Regione, contraddistinta dalla terra della Val- policella e da una delle produzioni maggiormente di nicchia, quella del vino Amarone, il quale risulta il vino rosso veneto più conosciuto e apprezzato a livello mondiale, ma anche un vino che è portavoce di una lunga tradizione vitivinicola proveniente dal passato e pro- dotto con l’antica tecnica dell’ appassimento delle uve sulle tradizionali arèle veronesi.

In particolare si intende proporre un caso di studio pratico che ha coinvolto una nota indi- cazione geografica, rappresentativa di uno dei settori merceologici più trainanti a livello italiano, il comparto enologico: la DOCG dell’Amarone della Valpolicella, già previamente riconosciuta come DOC nel 1968. Le parole chiave delle due pronunce del Tribunale e del- la Corte d’Appello di Venezia, nella controversia tra Consorzio della Valpolicella e "Fami- glie dell’Amarone d’arte", sono tutela dell'indicazione geografica e più nello specifico del- la menzione tradizionale "Amarone della Valpolicella", rispetto dei disciplinari di produ- zione, illegittimità di eventuali specificazioni aggiuntive che risultino laudative o inganna- torie nei confronti del consumatore, nesso tra rappresentanza e attribuzioni del Consorzio.

Infatti è interessante mettere in luce l’importanza di tale sentenza sotto tre aspetti: in primo luogo perché oggetto della tutela è una delle più rilevanti DOCG del Veneto, in secondo luogo poiché dal punto di vista processuale la particolarità del ruolo di legittimato attivo del Consorzio di Tutela della Valpolicella fornisce il presupposto per mettere in luce la dif- ferenza operata dal giudice tra azione di concorrenza sleale e risarcimento del danno a se- guito degli atti di sleale concorrenzialità. infine sembra opportuno dare il nostro contributo ne l’enucleazione dei risultanti e rinnovati confini di salvaguardia chiariti dalle pronunce in oggetto.

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A fare da cornice a tutte queste tematiche vi è la particolare attenzione, riservata dalla normativa multilivello ad un pregiato prodotto dell’agroalimentare italiano, apprezzato primariamente per il proprio legame con il territorio di produzione delle uve, laddove il clima, il terroir, la sapienza dell'uomo plasmano il prodotto in modo tale che le qualità or- ganolettiche seguano i segni e le caratteristiche identitarie di un territorio. Se nella mitolo- gia l'invenzione del vino fruttò una divina promozione , nel panorama della normativa eu1 - ropea l'introduzione delle indicazioni geografiche del vino hanno procurato la creazione di un regime di tutela "illuminata" anche per il resto dei prodotti agroalimentari.

Con la padronanza della complessità delle nozioni fino a qui ordinate, ci prefiguriamo che tale pronuncia possa essere un riferimento giurisprudenziale per i cultori della materia e un utile strumento interpretativo per gli operatori del settore.

Al termine dell'iter di analisi, si propone in sede di conclusioni, nuovamente il tema delle indicazioni d'origine, prospettando per il Made in Italy nuove prospettive di valorizzazione, a seguito anche di tre recenti pronunce della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, dove si prospetterebbe un abbozzato superamento della visione restrittiva che in sede europea ha da sempre richiesto che eventuali normative nazionali sul punto siano basate su un nesso oggettivo, materiale e verificabile tra caratteristiche del prodotto e la sua indicazione d'ori- gine da uno specifico paese. Il beneficio di un simile cambiamento di prospettiva sarebbe la concreta valorizzazione di un nesso soggettivo tra caratteristiche del prodotto e perce- zione del consumatore e avrebbe come auspicabile conseguenza quella di restituire centra- lità alla figura del consumatore e alla sua libera scelta consapevole.

Si narra infatti che Bacco, figlio di Giove e della mortale Semele fosse nato come semidio, ma fosse stato

1

poi promosso a divinità da Giove, dopo aver inventato il vino.

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CAPITOLO I

1.1 LA CARATTERIZZAZIONE DEL MARCHIO MADE IN ITALY

Chiunque desideri individuare in modo netto cosa si intenda con l’espres- sione Made in Italy, dovrà, anzitutto, tenere in considerazione che si tratta di un’operazione non semplice, vista la difficoltà nel definirne il significato.

La materia ha infatti una spiccata natura multidisciplinare, a cavallo tra di- scipline economiche, come il marketing, e giuridiche, come il diritto del commercio inter- nazionale e le indicazioni di provenienza, che più da vicino interessano la presente ricerca, il cui scopo è quello di analizzare la tutela apprestata dal nostro ordinamento al prodotto agroalimentare italiano.

Il lavoro, allora, si strutturerà prendendo in esame le normative in vigore, iniziando da quella più generale riguardante il Made in Italy, per poi procedere nell'analisi di quella più settoriale e di natura privatistica che riguarda i segni distintivi e infine vaglia- re quelli che sono i rimedi giurisdizionali apprestati dal Codice della Proprietà Industriale a protezione dell’identità del prodotto.

Il fatto che non esista una definizione generalmente accettata di Made in Italy deve ricercarsi nella continua evoluzione della materia: mentre in passato si poteva collegare l’espressione all’origine del prodotto, intesa come origine unitaria della sua pro- gettazione e fabbricazione, negli ultimi tempi il fenomeno della globalizzazione ha fram- mentato l’origine del prodotto in ulteriori fasi, quali «assembled in», «designed in», «engi- neered in», «manufactured in», «parts supplied by», che hanno portato a privilegiare l’in- dicazione dei luoghi di assemblaggio, progettazione, costruzione, fabbricazione; se non addirittura l’indicazione dell’origine della semplice fornitura delle parti che compongono il prodotto. 2

Il concetto di Made in Italy – letteralmente «prodotto in Italia» – presenta una certa complessità, data prevalentemente dalle svariate interpretazioni a cui si presta il termine, che arriva a comprendere il complesso insieme di caratteristiche e valori che con- traddistinguono il Bel Paese. Ciò che è prodotto in Italia genera infatti uno straordinario

M. GINANNESCHI, Made in Italy agroalimentare e origine dell’ingrediente primario, in Micro & Macro

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Marketing, 1, 2020, p. 171.

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appeal, in quanto rimanda inevitabilmente alla storia, all’arte, all’architettura, alla cultura, all’eleganza, nonché alla geografia e agli abitanti del nostro Paese, tanto che il marchio Made in Italy trascende ormai il mero concetto di provenienza geografica o di indicazione d’origine , ma rimanda ad un Paese caratterizzato da «grandi diversità territoriali e climati3 - che che si sono plasmate in culture, storie e tradizioni, eccezionalmente varie e uniche» . 4 Queste connotazioni, riassumibili nel termine inglese Italian way of Life, evocano nel con- sumatore una serie di caratteristiche (estetiche, qualitative, di stile, ecc.) e suggestioni che danno un valore aggiunto al prodotto, tali da generare un’elevata appetibilità commerciale e, di conseguenza, un vantaggio concorrenziale.

L’immagine del nostro Paese rappresenta, infatti, una delle principali leve di competitività dell’Italia e, come rileva uno studio a cura del Centro di ricerca sul Made in Italy dell’Università degli Studi Internazionali di Roma e dell’Università di Napoli, la per- cezione estera dell’immagine paese italiana si polarizza «verso gli attributi di tipo affettivo, ossia quelle componenti emozionali e relazionali che, come evidenziato dalla letteratura sul tema, sono strettamente correlate alla formazione delle intenzioni di acquisto: in parti- colare, il giudizio più elevato si riscontra per l’attributo paese emozionante e per l’alta qualità della vita». In tale studio sull’immagine del Made in Italy sono state poste al cam5 - pione intervistato delle domande riguardanti l’acquisto del prodotto italiano e il grado di soddisfazione, ed è emerso anche in questo caso una «prevalenza degli attributi di tipo af- fettivo rispetto a quelli di carattere funzionale (alla stregua di quelli relativi all’immagine generale), ed un valore aggiunto connesso prioritariamente all’accesso ad un sistema di offerta che ha nell’esclusività, nella bellezza e nello stile il suo tratto caratterizzante princi- pale», a fianco ad un attributo generico di «qualità». Tale studio conferma, quindi, quel6 - l’insieme di key-words precedentemente individuate come caratteri ontologicamente fon-

A. FITTANTE, Brand, Industrial design e Made in Italy: la tutela giuridica, Milano, Giuffrè, 2017, p. 209.

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A. BRANDOSIO, Il fenomeno dell’Italian Sounding e la tutela dell’agroalimentare italiano, in Cultura e

4

diritti, 2019, 1, p. 101.

A. DE NISCO, M.R. NAPOLITANO, A. D’AVINO, Immagine e immaginario dell’Italia e del Made in

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Italy in alcuni mercati emergenti, in Micro &Macro Marketing, 2, 2020, p. 336.

Ibid., p. 339.

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danti il Made in Italy, il quale col tempo ha assunto una propria identità distintiva al punto da essere parificato al concetto di marchio , o, più propriamente, macro-brand. 7

Sintetizzando quanto scritto finora, si potrebbe definire il Made in Italy come un marchio d’origine, ossia un’indicazione che attribuisce un’origine italiana al pro- dotto sulla cui etichetta è apposta. Infatti, siccome la funzione principale del marchio d’origine Made in Italy è quella di tutelare il consumatore in riferimento alla provenienza del prodotto, non si tratta né di un marchio individuale o collettivo, né di un’indicazione geografica o di una denominazione di origine protetta, bensì più semplicemente di un’indi- cazione che attribuisce l’origine nazionale del prodotto, permettendo di distinguerlo dai beni di importazione da altri paesi . 8

I principali campi in cui storicamente si esprime il Made in Italy sono stati felicemente schematizzati con le quattro “A”: Alimentare, Abbigliamento e moda, Arredo, Automazione e meccanica di precisione, tutte caratterizzate da un comune denominatore:

l’elevata qualità del prodotto finito e la straordinaria competenza artigianale del processo produttivo, quale valore aggiunto del prodotto italiano.

Il presente scritto si concentrerà sul settore agroalimentare, che ricopre at- tualmente uno dei ruoli più importanti nel paniere del Made in Italy ed è costituito non solo dai prodotti freschi quali frutta e verdura prodotti in Italia, ma anche da prodotti trasforma- ti, sia che si utilizzino materie prime provenienti dall’agricoltura nazionale, sia che si im- pieghino materie prime di importazione, e in tal caso «la sua tipicità può comunque legarsi ad uno specifico know how che combina tradizione e sviluppo tecnologico» . Durante il 9 prosieguo di questo scritto si porrà l’attenzione sulla portata attuale dell’identità distintiva del Made in Italy, che sembra essere scalfita dalle recenti modifiche normative di settore, indirizzate sempre più ad avallare la tendenza industriale volta ad una produzione ormai quasi interamente standardizzata.

A. BRANDOSIO, Il fenomeno dell’Italian Sounding e la tutela dell’agroalimentare italiano, in Cultura e

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diritti, 2019, 1, p. 101.

Ibid., p.102.

8

Ibid., p.102.

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1.2 IL RILEVANTE PATRIMONIO AGROALIMENTARE ITALIANO COME IN- SIEME DI VALORI E COLLETTORE DI RICCHEZZA

Dei quattro settori merceologici storicamente caratterizzanti il Made in Italy, quello Agroalimentare risulta pubblicizzato dai mezzi di comunicazione ancora in misura ridotta, tanto che l’attenzione che ad esso si riserva ha portato alcuni autori a definirlo come la quarta gamba del Made in Italy o, peggio, la «Cenerentola del settore manifatturie- ro» . 10

Ciò nonostante, è indubbio che «il food rappresenta uno degli asset fonda- mentali dell’economia nazionale, nonostante la competizione scorretta legata al fenomeno dell’Italian sounding ed è un settore volano di sviluppo per i territori, per il turismo, per la cultura, per la ricerca oltre che per il manifatturiero» . Basti pensare che durante il periodo 11 di crisi dal 2008 al 2011 i prodotti del Made in Italy hanno raggiunto un tasso medio di crescita del 6%, contro la crescita dell’1,5% del settore manifatturiero . Questo comparto 12 ha saputo, infatti, affrontare «molto efficacemente la crisi mostrando, allo stesso tempo, la capacità di rinnovarsi e adeguarsi alle sfide emergenti» , crescendo per l’export ad una 13 velocità doppia rispetto alle esportazioni degli altri settori.

I dati confermano che la competenza, la creatività volta al continuo perfe- zionamento e la tecnica di tipo artigianale, valori che contraddistinguono il marchio Made in Italy, creano ricchezza anche in periodi di crisi. La spiegazione di ciò risiede nel fatto che «un aspetto distintivo del patrimonio agroalimentare italiano è la presenza di un porta- foglio di prodotti altamente differenziato, a forte contenuto di tipicità» . 14

Non vi è dubbio che questi valori si ritrovano anche nel settore agroalimen- tare, pur specificandosi per il food come tipicità, ossia come legame tra il prodotto e l’ori- gine da un determinato territorio e come tradizioni enogastronomiche, che rappresentano il risultato di una «τέχνη», intesa come saper fare insieme tecnico e artistico tramandato di

D. MARINI, L’industria agroalimentare in Italia: policy e strategie, in Amministrare, 2-3, 2015, p. 235.

10

Ibid., p. 235.

11

Ibid., p. 235.

12

A. BRANDOSIO, Il fenomeno dell’Italian Sounding e la tutela dell’agroalimentare italiano, in Cultura e

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diritti, 1, 2019, p. 101.

Ibid., p. 101.

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generazione in generazione. I termini tipicità e tradizione si legano inevitabilmente al con- cetto chiave precedentemente enucleato di qualità e non a caso la qualità insieme alla sicu- rezza del cibo figuravano tra le linee guida dell’Esposizione Universale Expo 2015 di Mi- lano, che, con il suo tema ambizioso «Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita» ha costituito sicuramente un’importante vetrina promozionale per il comparto del cibo italiano , da 15 sempre riconosciuto in ambito internazionale come sinonimo di qualità, sicurezza e salu- brità.

Tutto ciò che abbiamo delineato sino a qui potrebbe essere efficacemente riassunto con la definizione, derivata dalla disciplina del marketing, «di Made in Italy per- cepito» , inteso come fattore di riconoscimento che indirizza la scelta dei consumatori, in 16 quanto sintesi di valori in grado di attrarre ricchezza, dato il sovrapprezzo che il consuma- tore è disposto a pagare per un prodotto di origine Made in Italy.

A riprova che i confini del Made in Italy percepito e poi pubblicizzato nel mondo siano talvolta più ampi di quanto esso sia realmente, è il fatto che su di un immagi- nario podio internazionale si trovino in rappresentanza dell’agroalimentare italiano l’azienda Ferrero e, al secondo e terzo posto, le due aziende Barilla e Lavazza, sebbene ormai siano in tutto e per tutto delle multinazionali . Tralasciando alcuni sporadici para17 - dossi, spesso frutto di fraintendimenti od errori comunicativi, è bene comprendere meglio l’importanza del settore agroalimentare per l’economia italiana, osservando che l'Italia esporta prodotti agroalimentari per un valore 44 miliardi (Ismea, Report AgrOsserva 2019) e i principali prodotti per cui il Made in Italy è conosciuto nel mondo sono: pasta e conser- ve di pomodoro (per i quali l’Italia è primo paese esportatore in Europa), vino e olio d’oli- va (per i quali è il secondo paese esportatore in Europa), formaggi e latticini, frutta, prepa- razioni di ortaggi e legumi e infine, a seguire, una serie di prodotti di nicchia, anche di se- conda trasformazione.

Al fine di aggiungere un’ulteriore chiave di lettura critica alla materia, in vista del successivo paragrafo dedicato ad un excursus normativo, è doveroso tener presen- te che i dati statistici del commercio internazionale non distinguono tra esportazioni di

Ibid., p.266.

15

M. GINANNESCHI, Made in Italy agroalimentare e origine dell’ingrediente primario, in Micro & Macro

16

Marketing, 1, 2020, p. 173.

Ibid., pp. 175.

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prodotti interamente realizzati in Italia e di prodotti, invece, solo trasformati in Italia a fronte di materie prime o semi-lavorati di importazione e tale dettaglio è sicuramente da osservare come il risultato di una certa visione economico-commerciale, pianificata a livel- lo sovranazionale per il tramite dell’impianto normativo, soprattutto in ambito doganale europeo, che nel prossimo capitolo verrà presentato.

1.3 L’EVOLUZIONE DELLA NORMATIVA SOVRANAZIONALE: CENNI SULLA DISCIPLINA DEL "MADE IN" IN AMBITO INTERNAZIONALE ED EXCURSUS DELLA DISCIPLINA COMUNITARIA SULL’ORIGINE E LA PROVENIENZA

Nell’analisi del significato di Made in Italy è bene soffermarsi qualche riga sulla normativa di riferimento.

Dal punto di vista internazionale rilevano innanzitutto i diversi accordi mul- tilaterali che hanno dato protezione alle indicazioni d’origine. In ordine temporale si trova inizialmente la Convenzione di Parigi, approvata nel 1883, che ha per prima dato tutela alle «indicazioni di provenienza», stabilendo però che fossero i singoli paesi aderenti ad adottare norme che tutelassero le proprietà industriali nazionali. Tale Convenzione ha elen- cato anche le «denominazioni di origine», che si tratteranno nei prossimi capitoli. Va nota- to che la tutela era poco efficace in quanto demandata agli Stati e, soprattutto, volta a per- seguire soltanto la falsa indicazione d’origine conseguente ad uso indebito o fraudolento del nome commerciale (es. uso di nomi fittizi o inesistenti).

Il successivo Accordo di Madrid del 1891 si è occupato, invece, con mag- giore rigore della disciplina delle indicazioni d’origine. Tale Accordo ha disciplinato non solo la repressione delle false indicazioni di provenienza, come il precedente, ma anche delle fallaci indicazioni di provenienza, quindi percepite dal consumatore come ingannevo- li e fuorvianti (es. un nome geografico è utilizzato in due Paesi, ma soltanto in uno dei due è usato come indicazione di origine). L’Accordo di Madrid è stato recepito in Italia dal D.P.R. n. 656/1968, ma il nostro legislatore non si è preoccupato di istituire un obbligo di indicazione «del paese o del luogo di fabbricazione o di produzione, o un’altra indicazione sufficiente ad evitare ogni errore sull’origine effettiva, sotto pena di sequestro», come pre- visto dall’Accordo di Madrid. Sicché, per sopperire a tale lacuna, in sede di giudizio si

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sanzionava la pirateria operata con segni distintivi – e quindi anche l’uso ingannevole della formula Made in Italy – con la sanzione prevista dall’articolo 517 del codice penale.

Con l’avvento della Comunità Europea è nato un nuovo livello normativo, che trova origine nel generale principio di libera circolazione delle merci, sancito dai primi articoli del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. L’art 3 di tale Trattato istitui- sce infatti in capo all’Unione Europea (in precedenza Comunità) una competenza esclusiva per quanto riguarda l’unione doganale, la politica commerciale comune, le regole della concorrenza e il funzionamento del mercato interno. Proprio in virtù di ciò l’Unione ha predisposto il Codice Doganale dell’Unione Europea (CDUE del 2013), che, sulla scorta 18 del precedente Codice CDCA del 1998, supera le finalità prettamente doganali dell’iniziale Codice CDC del 1992. Infatti va precisato che, se da un lato, come si è detto, in generale l’origine del prodotto indica il luogo in cui la materia prima è nata oppure è stata allevata, coltivata e pescata, dall’altro l’origine del prodotto in ambito doganale era stata pensata, inizialmente, soltanto al fine del pagamento del dazio, sulla base di accordi doganali prefe- renziali dell’Unione Europea, dove essa riconosce dei benefici daziari al fine di premiare i soli prodotti effettivamente fabbricati nel territorio dei paesi aderenti all'accordo e accordi doganali non preferenziali, dove l’Unione Europea non riconosce benefici ai Paesi Terzi . 19

In particolare, a partire dal 2008 l’ambito applicativo del Codice doganale ha subito un rilevante ampliamento, tanto che le disposizioni in tema di origine dell’attuale Codice CDUE si applicano anche alle «altre misure comunitarie relative all’origine delle merci» , in modo tale da assumere portata di regola generale d’origine all’interno dell’U20 - nione, non soltanto all’esterno. Le modalità di concreta determinazione dell’origine ven- gono individuate con una certa genericità e all’art 60 del CDUE viene fissato il criterio ge- nerale per cui le merci ottenute interamente in un unico paese sono considerate da esso ori- ginarie, mentre le merci alla cui produzione hanno contribuito due o più paesi sono consi- derate originarie del paese dove hanno ricevuto «l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale ed economicamente giustificata, effettuata presso un’impresa attrezzata a tale

Regolamento 2013/952/UE del Parlamento e del Consiglio del 9 ottobre 2013, che istituisce il codice do

18 -

ganale dell'Unione, in GUUE L 269 del 10 ottobre 2013, pp. 1-101.

A. BRANDOSIO, Il fenomeno dell’Italian Sounding e la tutela dell’agroalimentare italiano, in Cultura e

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diritti, 1, 2019, p. 102.

Art. 59, CDUE.

20

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scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o che abbia rappre- sentato una fase importante del processo di fabbricazione», il c.d. criterio dell’origine do- ganale non preferenziale. Sebbene le recenti modifiche della normativa doganale creino una generale incertezza sul significato da attribuire al concetto di origine della merce, va fatto notare che il vigente Regolamento n.1169/2011, in tema di individuazione dell’origi- ne dei prodotti da dichiarare in etichetta, ha fatto proprie le disposizioni del Codice doga- nale comunitario CDC, il quale predisponeva degli strumenti classificatori, indicando per i prodotti agroalimentari, da un lato il luogo di raccolta come indicazione d’origine del pro- dotto agricolo, dall’altro il luogo di ultima trasformazione o lavorazione sostanziale del prodotto nel caso di produzione avvenuta in due o più Paesi.

Passando quindi all’applicazione di tali principi doganali al marchio Made in Italy: nella prima ipotesi, seguendo il criterio dell’origine preferenziale delle merci, l’imprenditore che avrà prodotto interamente in Italia potrà legittimamente apporre il mar- chio «prodotto in Italia», nella seconda ipotesi invece, seguendo il criterio dell’origine non preferenziale, il prodotto realizzato in parte nel nostro Paese e in parte in Paesi diversi po- trà apporre il marchio «prodotto in Italia» soltanto se il prodotto ha ricevuto l’ultima tra- sformazione o lavorazione sostanziale ed economicamente giustificata in Italia.

Il recepimento di tali principi nel nostro Paese avviene attraverso la Legge finanziaria del 2004, la quale all’art. 4, comma 49 dispone che «costituisce falsa indicazio- ne la stampigliatura Made in Italy su prodotti o merci non originari dell’Italia ai sensi della normativa europea sull’origine» e considera reato ai sensi dell’art. 517 del codice penale la commercializzazione di prodotti con false o fallaci indicazioni di provenienza o di origine.

Inoltre, in tale articolo, al fine di combattere con forza il diffuso fenomeno dell’Italian Sounding , è sanzionata come falsa o fallace indicazione anche l’uso di segni, figure o 21 quant’altro possa indurre il consumatore a ritenere che la merce sia di origine italiana, seb- bene vi sia indicata in etichetta l’origine e la provenienza estera dei prodotti, che sulla base alla normativa europea significa prodotti esteri rispetto all’origine comunitaria. Va puntua- lizzato che nella legge finanziaria l’aggettivo «fallace» indica una fattispecie decettiva del segno distintivo più generica rispetto a quella indicata con l’aggettivo «falsa», anche se in entrambe le fattispecie l’intento comune del legislatore italiano è quello di reprimere l’uso

L’Italian Sounding, rappresenta uno specifico fenomeno di pirateria che si fonda sull’utilizzo di segni di

21 -

stintivi che evocano l’origine italiana, nonostante la sua ineludibile origine estera.

(17)

ingannevole per il consumatore della formula made in Italy o di altre espressioni di signifi- cato equivalente riferite a prodotti realizzati all’estero.

Come scritto in precedenza, un’ulteriore difficoltà nell’interpretazione della materia in tema di origine della merce deriva dal fatto che il Codice Doganale e il Regola- mento di attuazione non rappresentano le uniche fonti normative, ma è necessario verifica- re anche l’esistenza di possibili accordi bilaterali o multilaterali in materia di origine, con- clusi dall’Unione Europea con Paesi terzi o gruppi di essi, i c.d. «accordi in materia di ori- gine», i quali prevalgono in quanto disposizioni speciali. Eventuali dubbi circa l’origine attribuibile ai prodotti possono essere risolti dagli operatori economici facendo istanza al- l’Agenzia delle Dogane, ricorrendo all’istituto dell’Informazione Vincolante in materia di Origine (I.V.O.), la quale, una volta rilasciata, ha natura vincolante per la stessa Dogana che non può poi contestare la falsa dichiarazione dell’origine.

Infine, in forza dell’art. 4 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Euro- pea, c.d. TFUE, le materie dell’agricoltura e della protezione dei consumatori sono destina- te alla competenza concorrente tra Unione e Stati membri, cosicché il diritto comunitario si occupa oltre che della tematica dell’origine del prodotto, anche della questione ad essa cor- relata relativa alla qualità del prodotto e della sua comunicazione al consumatore attraverso l’etichetta. Il Regolamento di riferimento in materia di fornitura di informazioni sugli ali- menti ai consumatori (normativa Fic) è rappresentato dal suddetto Reg. n. 1169/2011 , il 22 quale in tema di origine riconosce l’inderogabilità del Codice Doganale. Si noti che al23 - l’art. 26, par.2, del presente Regolamento non viene sancita l’obbligatorietà tout court del- l’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza, bensì l’obbligatorietà ogni- qualvolta la sua omissione rischi di indurre in errore il consumatore.

Nell’applicazione pratica all’operatore economico risulta quindi possibile scegliere se omettere l’indicazione d’origine, se dichiararla in base alle indicazioni concor- danti espresse sulla confezione, oppure se dichiararla, sulla base del principio di origine non preferenziale, qualora vi siano indicazioni contrastanti sulla confezione. In sintesi, per un prodotto la cui etichetta non rechi alcun marchio, denominazione, raffigurazione o altro segno o indicazione che possa evocare un determinato luogo, l’indicazione d’origine può

Regolamento UE n. 1169/2011 del Parlamento e del Consiglio del 25 ottobre 2011 concernente la fornitura

22

di informazioni sugli alimenti ai consumatori, in GUUE L 304 del 22 novembre 2011, pp. 18-63.

Art. 2, lett. g Reg. 1169/2011.

23

(18)

essere omessa, non essendoci rischio di un fraintendimento da parte del consumatore. Il Reg. n. 1169/2011, nell’occuparsi della comunicazione al consumatore, ha inoltre distinto fra «paese d’origine» di un alimento, da intendersi come definito nel Codice doganale co- munitario CDC, e «luogo di provenienza», da intendersi, a contrariis, come qualunque luogo indicato come luogo di provenienza, ma che non è il paese d’origine. Nonostante lo sforzo di un tentativo definitorio dei termini «origine» e «provenienza», si può affermare che ad oggi non vi sia un significato univocamente circoscritto, bensì una perdurante incer- tezza definitoria. Se si dovesse indagare quelle che sono le ragioni di tale incertezza, si do- vrebbe prendere in considerazione prima di tutto quelle finalità, citate in apertura del para- grafo, perseguite dalla normativa sull’etichettatura: la volontà di informare il consumatore, salvaguardando il suo diritto di informazione da eventuali indicazioni atte a trarlo in in- ganno. A fronte di ciò «risulta palese la scelta del legislatore europeo, tesa a privilegiare nella disciplina del mercato elementi corrispondenti alla c.d. ‹qualità obiettiva› o ‹sostan- ziale›, con la tendenziale assegnazione ai prodotti alimentari del carattere di commodities tra loro fungibili e indifferenziate». Il tentativo sembra quello di dare vita ad un comples24 - so normativo applicabile alla generalità dei prodotti alimentari. Da una prospettiva critica si potrebbero intravedere le estreme conseguenze di tale interpretazione nel fatto che tale impostazione potrebbe far risultare illegittimo, per contrasto alla libera circolazione e alla concorrenza, «ogni normativa nazionale che in ipotesi preveda l’indicazione in etichetta di elementi che rinviano a caratteristiche non materiali, (ivi incluse indicazioni di origine ter- ritoriale) in assenza di caratteristiche intrinseche del prodotto materialmente accertabili», e così si comprenderebbe l’essenza di una normativa che «vede l’indicazione obbligatoria in etichetta dell’origine territoriale dei prodotti alimentari, come una norma di eccezione giu- stificabile solo per casi specificamente normati e regolati, e non una generale regola di mercato» . Ci si riserva quindi di ritornare su questo profilo di criticità anche successiva25 - mente all’analisi della normativa italiana in tema di Made in Italy, per verificare la coesi- stenza delle discipline e il bilanciamento di interessi dalle stesse operato.

Proseguendo nella disamina del Regolamento n. 1169/2011, vale la pena soffermarsi sulla previsione contenuta nell’art 26, par.3, la previsione dell’«obbligo di in-

F. ALBISINNI, Strumentario di diritto alimentare europeo, Milano, UTET giuridica, 2020, p. 347.

24

Ibid., p. 348.

25

(19)

dicare il luogo d’origine dell’ingrediente primario» o, in alternativa, dell’«obbligo di indi- care il luogo d’origine dell’ingrediente primario, come diverso da quello dell’alimento in questione». Inutile sottolineare che la costituzione di tale obbligo a livello europeo non tocca i prodotti alimentari maggiormente presenti nella grande distribuzione, i quali, es- sendo preparati con una moltitudine di ingredienti spesso non in proporzione superiore al 50%, non hanno alcun “ingrediente primario”. Il Regolamento di esecuzione (UE) n. 775 del 2018 – che ha applicato l’art. 26, par. 3 del Regolamento (UE) n. 1169/2011 – preve26 - de all’art 2 che, laddove risulti indicato il paese di origine del prodotto, sia indicata sulla confezione anche la diversa origine dell’ingrediente primario, ossia quell’ingrediente o in- gredienti di cui l’alimento è composto per più del 50% o comunque associati abitualmente dal consumatore a tale alimento. Ciò che immediatamente suscita attenzione, soprattutto 27 in vista del proseguo del presente lavoro, è rappresentato dall’ambito di applicazione del Regolamento n. 775 del 2018, che, come esposto all’art 1, prevede una serie di eccezioni all’applicazione dell’obbligo di indicazione dell’ingrediente primario, come nel caso dei prodotti alimentari protetti da indicazioni geografiche (vedi infra Reg. UE 1151/2012 , 28 Reg. UE 1308/2013 , Reg. CE 110/2008 o Reg. UE 251/2014 per i vini), oppure pro29 30 31 - dotti alimentari protetti in virtù di accordi internazionali, marchi d’impresa registrati con- tenenti indicazioni d’origine oppure termini geografici figuranti in denominazioni usuali (es: Pesto alla Genovese).

L’art. 2 del Regolamento n. 775 del 2018 ha suscitato qualche perplessità, in quanto stabilisce due modalità di indicazione dell’origine: la prima prevede di riportare in

Regolamento di esecuzione UE n. 775/2018 della Commissione del 28 maggio 2018 concernente modalità

26

di applicazione dell’art. 26, paragrafo 3, del Regolamento UE n. 1169/2011 del Parlamento e del Consiglio relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, per quanto riguarda le norme sulla’indi- cazione del paese d’origine o del luogo di provenienza dell’ingrediente primario, in GUUE L 131 del 29 maggio 2018, pp. 8-11.

Art.1, lett. q del Reg. Ue 1169/2011.

27

Regolamento UE n. 1151/2012 del Parlamento e del Consiglio del 21 novembre 2012 sui regimi di qualità

28

dei prodotti agricoli e alimentari, in GUUE L 343 del 14 dicembre 2012, pp. 1-29.

Regolamento UE n. 1308/2013 del Parlamento e del Consiglio del 17 dicembre 2013 concernente l’orga

29 -

nizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli, in GUUE L 347 del 20 dicembre 2013, pp. 671-854.

Regolamento CE n. 110/2008 del Parlamento e del Consiglio del 15 gennaio 2008 concernente la defini

30 -

zione, designazione, presentazione, etichettatura, protezione delle indicazioni geografiche delle bevande spi- ritose, in GUCE L 39 del 13 febbraio 2008, pp. 16-54.

Regolamento UE n.251/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la definizione, la desi

31 -

gnazione, la presentazione, l’etichettatura e la protezione delle indicazioni geografiche dei prodotti vitivini- coli aromatizzati, in GUUE L 84 del 20 marzo 2014, pp. 14-34.

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etichetta una delle seguenti zone geografiche: «UE», «non UE», oppure addirittura «UE e non UE», quindi utilizzando un criterio che non corrisponde né al paese d’origine, come Stato membro, né al luogo di provenienza, come luogo effettivo e specifico, pur essendoci comunque la possibilità discrezionale di indicare anche lo stato, la regione d’origine o di provenienza. All’art. 2 lett. b vi è la seconda possibilità, ovvero indicare che il paese d’ori- gine o il luogo di provenienza è semplicemente diverso, come ad es. «prodotto in Italia con farina non italiana». Scendendo infatti nel campo di applicazione del Regolamento di ese- cuzione si potrebbero verificare tre casi in cui è obbligatorio indicare l’origine dell’ingre- diente primario: il primo caso si verifica quando l’indicazione d’origine è obbligatoria in quanto la sua omissione trarrebbe in inganno il consumatore e tale origine sia diversa da quella dell’ingrediente primario (art 26, par. 2, lett. a), il secondo caso si verifica quando l’origine del prodotto è facoltativa, essa è diversa da quella dell’ingrediente primario e il produttore indica tale origine del prodotto, il terzo caso si verifica quando l’origine del prodotto è sempre facoltativa e diversa da quella dell’ingrediente primario e il produttore indica in modo implicito tale indicazione d’origine del prodotto. La scelta del Regolamento di esecuzione mostra quindi di prendere le distanze dal Regolamento n. 1169/2011, a cui dovrebbe dare esecuzione, facendo venire meno in parte l’effettività delle varie normative verticali di settore che prescriverebbero indicazioni molto precise, si pensi al caso dell’in- dicazione del luogo di raccolta per frutta e verdura e il luogo di pesca per il pesce.

Si tratta di quelle precise indicazioni d’origine imposte per diverse categorie di prodotti, e già introdotte prima del Reg. n. 1169/2011, in quanto prescritte dal Reg. CE n. 820/97 (poi Reg. CE 1760/2000 ) del Consiglio che ha istituito l’obbligo dell’etichetta32 - tura di origine da area vasta per le carni bovine, richiedendo la dichiarazione in etichetta dello Stato membro o paese terzo di nascita, allevamento e macellazione. Lo stesso iter di introduzione dell’obbligo di indicazione d’origine in etichetta è stato promosso con il Re- golamento (CE) n. 1019/2002 (abrogato dal Regolamento di esecuzione (CE) 29/2012 ) 33 per quanto riguarda l’olio d’oliva. Anche per altre classi di prodotti è stato adottato un cri- terio obbligatorio di etichettatura di origine da area vasta, come nel caso dei prodotti del-

Regolamento CE n. 1760/2000 del Parlamento e Consiglio del 17 luglio 2000 concernente l’istituzione di

32

un sistema di identificazione e di registrazione dei bovini e relativo all’etichettatura delle carni bovine e dei prodotti a base di carni bovine, in GUCE L 204 dell’11 agosto 2000, pp. 1-10.

Regolamento di esecuzione UE n. 29/2012 del Parlamento e del Consiglio del 25 ottobre 2012 concernente

33

le norme di commercializzazione dell’olio d’oliva, in GUUE L 12 del 14 gennaio 2012, pp. 14-21.

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l’ortofrutta , del pesce, dei molluschi e crostacei , per i quali viene imposto di indicare un 34 35 preciso canone di origine come il luogo di coltivazione o raccolta, produzione o cattura.

Tali disposizioni relative all’etichettatura di origine da area vasta si collocano in un quadro di intervento che ricerca «una qualità di sistema, che costituisce elemento di leale concor- renza fra imprese e che risponde ad una domanda di qualità percepita, espressa dai consu- matori» . Vi sono poi altri prodotti agroalimentari per cui è prescritto l’obbligo d’indica36 - zione d’origine, quali il miele, le uova, i prodotti biologici e i prodotti DOP, tra i quali figu- ra chiaramente anche il comparto dei vini a denominazione.

Recentemente la Commissione Europea ha adottato il Regolamento di Ese- cuzione (UE) n. 1337/2013, che, come richiesto dal Regolamento n. 1169/2011, dà attua- zione al canone di obbligatorietà dell’indicazione d’origine per le carni suine, ovine, capri- ne e di volatili, richiedendo ad esempio l’indicazione del solo paese dove è stato allevato il suino negli ultimi quattro mesi e del solo paese dove si è svolto l’ultimo mese di alleva- mento del volatile, oppure, l’ancora più semplicistica previsione, dell’utilizzo in etichetta della generica «Origine: Unione Europea» per le carni macinate o a pezzi. Tale regolamen- to di esecuzione non appare quindi coerente con le finalità di trasparenza della comunica- zione prescritte dal Reg. n. 1169/2011 sia per la mancata indicazione del paese di nascita e di tutti i paesi di allevamento, sia per la genericità di indicazione d’origine della carne ma- cinata, la quale «appariva inadeguata a prevenire l’insorgere di nuove crisi di mercato, qua- le quella conseguente al rinvenimento di carne di cavallo nei prodotti contenenti carne ma- cinata» . 37

A fronte di tale complesso normativo ne risulta un intreccio di disposizioni, la cui applicazione richiede una dispendiosa analisi preventiva da parte dell’operatore del settore agroalimentare, il quale potrebbe in questa prima fase attuativa del Regolamento esecutivo della Commissione essere spinto, soprattutto nel caso di piccole e medie impre- se, a rinunciare ad una chiara o implicita indicazione dell’origine «Made in Italy», qualora essa fosse facoltativa ai sensi del Reg. n. 1169/2011, al fine di non incorrere nell’ulteriore

Art 6 del Reg. CE 2200/96 del Consiglio, oggi trasferito nell’art.76 del Reg. UE 1308/2013 (OCM unica),

34

cit.

Reg. CE 104/2000 del Consiglio, oggi abrogato.

35

F. ALBISSINI, Strumentario di diritto alimentare europeo, Milano, UTET giuridica, 2020, p. 315.

36

Ibid., p. 69.

37

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obbligo di indicazione dell’ingrediente primario, che ancora sconta il limite di alcuni pro- blemi interpretativi nella coordinazione delle varie discipline. Dall’altra si fa invece pre- sente che l’obbligatorietà dell’indicazione dell’ingrediente primario non si applica qualora si tratti di prodotti frutto di complessa trasformazione, tale da comportare che nessun in- grediente sia presente nella misura del 50% e si dà il caso che proprio questi prodotti siano ormai presenti in misura preponderante nella grande distribuzione, spesso prodotti ad opera di grandi imprese multinazionali; ed è chiaro che, laddove il consumatore avrebbe più bi- sogno di informazioni, come in questi casi, la recente normativa ha ben poca efficacia. Si rifletta poi che la stessa finestra di discrezionalità lasciata in capo al produttore risulta ef- fettivamente troppo ampia e tale da permettere una generica indicazione d’origine «UE»,

«non UE» oppure «UE e non UE» che sortisce più un effetto distorsivo, piuttosto che in- formativo, sul consumatore finale. Per dare completezza a quest’ultima considerazione va tenuto presente che il consumatore è più precisamente tutelato da un altro filone normati- vo, quello del Codice del Consumo, secondo il quale le confezioni dei prodotti devono ri- portare un contenuto minimo di informazioni, tra le quali figurano il nome e la sede legale del produttore o di un importatore stabilito in Unione Europea, nonché il paese di origine se situato fuori dall’Unione Europea. Si precisa che un’eventuale violazione del contenuto espresso in etichetta comporterà soltanto sanzioni amministrativa di natura pecuniaria . 38

1.4 GLI INTERVENTI DEL LEGISLATORE ITALIANO VOLTI A RAFFORZARE IL "MADE IN ITALY": TRA LODEVOLI INTENZIONI E APPROSSIMATIVA ORGANICITÀ

In forza del principio di sussidiarietà e nell’attesa che la Commissione adot- tasse i regolamenti di esecuzione previsti dall’art. 26 del Regolamento 1169/2011, l’Italia – insieme ad altri sette Stati membri – ha adottato normative statali sull’indicazione d’origi- ne per alimenti quali il latte e i derivati, la pasta, il riso e i pomodori, istituendo l’obbligo di indicare il paese di coltivazione/allevamento, quello di trasformazione e nel caso del riso, anche quello di confezionamento. A fronte di tali interventi, sebbene nella cornice ge- nerale dettata dal Reg. UE 1169/2011 l’indicazione d’origine o provenienza sia obbligato- ria nel caso in cui l’omissione possa indurre in errore il consumatore o nel caso di normati-

Si vedano gli artt. 11 e 12 del d. Lgs n. 206 del 2005, c.d. Codice del consumo.

38

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ve verticali e altri casi settoriali previsti, ci si accorge tuttavia, che le normative nazionali intendono prescrivere, almeno per il nostro paese, un’estensione dell’obbligo di indicazio- ne d’origine ad ulteriori alimenti.

Tra questi decreti interministeriali di attuazione si annovera quello dell’eti- chettatura del latte e i prodotti lattieri caseari del 2016, che richiede l'indicazione del paese di mungitura e quello di condizionamento o trasformazione. Inoltre sono riconducibili allo stesso intento i decreti interministeriali del 2017, in particolare quello dell’etichettatura del grano per la pasta, che richiede l’indicazione dei paesi di coltivazione del grano e di moli- tura, quello dell’etichettatura del riso, che richiede l’indicazione dei paesi di coltivazione, lavorazione e confezionamento e infine il decreto sull’etichettatura delle conserve di po- modoro, che richiede l’indicazione dei paesi di coltivazione e di trasformazione del pomo- doro.

L’efficacia di tali decreti è stata prorogata fino al 31 dicembre 2021, ma dal punto di vista dell’efficienza va fatta qualche precisazione. I decreti, infatti, permettono di utilizzare le diciture «Paesi UE», «Paesi NON UE», «Paesi UE E NON UE» qualora le di- verse fasi di produzione o lavorazione siano frammentate in diversi paesi, così da tollerare un’indicazione di provenienza che risulta essere indefinita poco chiara. Lo stesso dicasi per il caso in cui sia apposta sulla confezione di pasta la dicitura «Italia e altri paesi UE e/o NON UE», qualora, come si evince dal decreto, il grano duro sia coltivato per almeno il 50% ad esempio nel nostro paese. Il Regolamento europeo del 2011 è stato così utilizzato come presupposto per dare vita a diversi provvedimenti normativi italiani, volti a interveni- re sulle categorie di prodotti citate al fine di creare una generale disciplina sull’etichettatu- ra di origine dei prodotti alimentari e sul Made in Italy, tentativo però rimasto più nelle in- tenzioni che sulla carta.

Proprio per tale motivo gli operatori del settore hanno manifestato delle per- plessità dato lo «scetticismo globale sulla reale efficienza di tale misura a protezione dei consumatori e della produzione aziendale con il rischio di un ingente aumento dei costi di produzione e dei relativi prodotti» . 39

A. FITTANTE, Brand, Industrial design e Made in Italy: la tutela giuridica, Milano, Giuffrè, 2017, p. 238.

39

(24)

Al fine di vagliare come il diritto domestico abbia, con vari interventi auto- nomi, tentato di rafforzare il Made in Italy, giova riprendere la legge finanziaria del 2004 40 che all’art 4, comma 49, che richiamava la normativa europea sull’origine e si prefiggeva di sanzionare le «false e fallaci indicazioni di provenienza», utilizzando una formula in- completa; incompletezza a cui ha posto rimedio la legge n. 80 del 2005, estendendo il si- stema di sanzioni penali relative all’uso improprio della indicazione d’origine anche alle

«false o fallaci indicazioni di origine Made in Italy». La presente legge sulla competitività del 2005 intendeva estendere la sfera di operatività dell’art 517 del codice penale, il quale punisce il reato di vendita dei prodotti industriali con segni mendaci, da intendersi come nomi, marchi, segni distintivi atti a indurre in inganno sull’origine, la provenienza o qualità del prodotto. Tale finalità viene realizzata nell’art 4, comma 49, che si occupa esplicita- mente di adottare misure per la tutela del marchio «Made in Italy», considerando «falsa indicazione» tale dicitura apposta su prodotti non originari dell’Italia ai sensi della norma- tiva europea sull’origine; mentre invece reputa «fallace indicazione», pur indicando l’ori- gine e provenienza estera dei prodotti, l’uso di segni, figure, marchi aziendali o quant’altro induca il consumatore a ritenere l’origine italiana.

Successivamente la legge n. 166/2009 ha aggiunto all’art. 4 della suddetta legge finanziaria del 2004 il comma 49 bis che istituisce una sanzione amministrativa pe- cuniaria per l’uso del marchio «con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia italiana ai sensi della normativa europea sull’origine, senza che gli stessi siano accompagnati da indicazioni precise ed evidenti sull’origine o provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull’ef- fettiva origine del prodotto».

Inoltre, all’art 16, comma 1, è stato istituito un nuovo tipo di Made in Italy per il prodotto realizzato interamente in Italia, definito come quel prodotto «classificabile come made in Italy ai sensi della normativa vigente, e per il quale il disegno, la progetta- zione, la lavorazione ed il confezionamento sono compiuti esclusivamente sul territorio italiano», potendo in questo caso utilizzare legittimamente la dicitura «100% Made in Ita- ly», «100% Italia», «tutto italiano». Si precisa che una fallace indicazione della provenien- za interamente italiana va sanzionata a livello penale con la pena prevista dall’art 517 c.p.

Legge n. 350 del 2003, c.d. Legge finanziaria 2004.

40

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aumentata di un terzo. Tale legge, nel rispetto delle due facoltà di utilizzo della dicitura Made in Italy accordate anche dalla normativa doganale europea , si prefigge di dare vita 41 ad un secondo binario in tema di Made in Italy dando merito della mancata delocalizzazio- ne imprenditoriale a chi produce esclusivamente in Italia e conferendo a questi il premio di un marchio di sicuro appeal sul mercato, il «tutto italiano» . Nonostante il legislatore ita42 - liano fosse mosso da buone e lodevoli intenzioni ne risulta un disegno disorganico che ha costretto le imprese ad adeguarsi ad una normativa poco chiara e in qualche punto in con- trasto con la normativa sovranazionale.

Recentemente, nel 2017, è stato approvato il Decreto legislativo n. 145/2017 sull’indicazione in etichetta dello stabilimento di produzione, il quale richiama sempre il Reg. EU n 1169/2011 e ristabilisce l’obbligo di indicazione dello stabilimento di produ43 - zione o confezionamento per tutti i prodotti alimentari preimballati, ad esclusione dei vini a cui si applicano le regole di etichettatura dell’OCM unica. Tale intervento normativo, seppur abbia suscitato qualche dubbio sulla compatibilità con le regole europee sulla libera circolazione, non è comunque stato oggetto di pareri negativi da parte della Commissione europea, e può quindi considerarsi un’utile iniziativa per il ripristino di un’indicazione che il consumatore italiano è da sempre abituato a trovare in etichetta, anche perché può riac- quisire importanza, come extrema ratio , di un diritto all’informazione del consumatore e 44 di un’esigenza di rintracciabilità del prodotto. Tuttavia, va aggiunto che tale indicazione non è oggetto di grande attenzione da parte del consumatore e pare non essere determinan- te nella scelta di acquisto, così come essa non è considerata indice di indicazione d’origine del prodotto ai fini dell’applicazione dell’obbligo di indicazione dell’origine dell’ingre- diente primario ai sensi della normativa europea.

Le due opzioni di indicazione permesse dalla normativa doganale europea sono: la dicitura «prodotto in

41

Italia» se la produzione è avvenuta interamente in quel dato paese oppure «prodotto in Italia» se l’ultima tra- sformazione economicamente rilevante è avvenuta in tale paese.

A. FITTANTE, Brand, Industrial design e Made in Italy: la tutela giuridica, Milano, Giuffrè, 2017, p. 228.

42

L’obbligo di indicazione in etichetta dello stabilimento di produzione o confezionamento era vigente dal

43

1963, ma era venuto meno in seguito all’adozione del Reg. n. 1168/2011.

Art. 4, comma 2 e 3 indica che l’indicazione dello stabilimento può essere omessa quando esso sia di age

44 -

vole identificazione oppure quando la sua sede coincida con la sede già indicata in etichetta ai sensi del reg.

1169/2011 oppure quando riportino il marchio di identificazione ai sensi del reg. CE 853/2004 o la bollatura sanitaria di cui al Reg. CE 854/2004, oppure quando il marchio contenga l’indicazione della sede dello stabi- limento.

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Il tentativo di questo percorso di analisi si arricchisce di un ulteriore interro- gativo critico, inducendo a domandarsi quale tipo di impatto avranno tali normative sui country brand e sul Made in Italy agroalimentare. Va ribadito infatti che, sebbene l’intro- duzione di tali normative nazionali sia volta a dare prevalenza all’informazione dei consu- matori e alla tutela degli agricoltori per valorizzazione dell’origine italiana del prodotto, nella prassi l’operatore economico italiano dovrà sempre più fare i conti con diverse diffi- coltà, come l’aumento dei costi della materia prima – influenzato sia dal Regolamento sul- l’origine dell’ingrediente primario, sia dalla ridotta capacità produttiva dell’Italia, sia dal- l’aumento dei costi dell’etichettatura del prodotto – e una generalizzata perdita della com- petitività rispetto a produttori non comunitari . 45

Il timore è che questo legal framework del tutto disorganico comporti da una parte, un interesse decrescente a fornire le informazioni circa l’origine del prodotto, dall’altra una penuria di materie prime nazionali che costringerà le imprese a immettere in commercio prodotti senza indicazione di origine, oppure indicando soltanto l’origine extra- Ue dell’ingrediente primario. Di conseguenza vi è il rischio di una riduzione della disponi- bilità dei consumatori esteri e nazionali a pagare un surplus «per un Made in Italy più sfu- mato, meno riconoscibile o diluito nella misura in cui il suo ingrediente principale non è italiano». A fronte di ciò l’impatto della recente normativa sull’origine rischia di minare 46 l’economia del Made in Italy, inibendo anche una legittima pubblicizzazione del Made in Italy e portando il consumatore a credere nell’equivalenza tra origine di un alimento e ori- gine dei suoi ingredienti, a danno dell’Italia, paese prevalentemente trasformatore.

In conclusione, di questa panoramica sulla normativa in materia di indica- zione d’origine sembra di potersi affermare che le premesse svolte in precedenza sull’im- portanza del Made in Italy siano condivise dal legislatore, consapevole dell’importanza del tema, ma ad oggi incapace di dotarsi di un impianto normativo organico, complici anche le scelte normative dell’Unione Europea, che hanno subito diverse influenze dai paesi eco- nomicamente leader dell’Unione.

Bisogna infine considerare che una normativa chiara ed efficace avrebbe non soltanto il pregio di garantire una tutela più penetrante, ma anche quello di ridurre i

M. GINANNESCHI, Made in Italy agroalimentare e origine dell’ingrediente primario, in Micro & Macro

45

Marketing,1, 2020, p. 183.

Ibid., p. 183.

46

(27)

costi a carico delle imprese per garantire la conformità normativa dei propri prodotti, at- tualmente molto elevati a causa del susseguirsi di regolamentazioni complesse e disorgani- che.

Emerge pertanto che l’obbligatorietà dell’indicazione d’origine dovrebbe essere affrontata con maggiore decisione e omogeneità dal legislatore europeo e – in via gradata e conforme – da quello nazionale, non soltanto in un’ottica di crescente trasparenza nei rapporti col consumatore (principio su cui è basata tutta la normativa in materia); ma soprattutto per comunicare certe qualità del prodotto intrinseche e la garanzia del rispetto di determinati standard sociali e ambientali , elementi vanto della produzione italiana. 47

1.5 IL RECENTE IMPEGNO NORMATIVO NELLA LOTTA ALLA CONTRAF- FAZIONE SI SPECIFICA ULTERIORMENTE NEL CONTRASTO AL FENOME- NO DELL’ITALIAN SOUNDING COME DEFINITO DALL’ART 144 CPI

Si stima che il business della contraffazione dei prodotti agroalimentari (det- ta anche «agripirateria» ) abbia, a danno dell'Italia, dei ricavi che superano più del doppio 48 i ricavi dell’export agroalimentare nazionale: si parla di cifre attorno ai 100 miliardi di euro per il falso Made in Italy, contro i 42 miliardi per l’esportazione dell’autentico agroa- limentare italiano . 49

L’attività di contraffazione ha dato vita «al più importante antagonista, per peso economico e carenza di strumenti giuridici, della diffusione delle specialità agroali- mentari nel mondo» , ossia il fenomeno conosciuto come Italian sounding, da intendersi 50 come quella pratica che tramite l’uso di una falsa evocazione dell’origine italiana di pro-

G. BERTOLI Editoriale: Made in e Made in Italy, in Micro & Macro Marketing, 2, 2015, p. 175.

47

La contraffazione alimentare – detta anche «agripirateria» – viene generalmente distinta in due sottocate

48 -

gorie: la falsificazione degli alimenti o sofisticazione, detta anche «frode sulla qualità», da intendersi come produzione di un alimento con sostanze diverse per qualità e/o quantità da quelle che solitamente lo formano, sostituendo, sottraendo e/o integrando gli elementi; e la falsificazione del marchio o dell’indicazione di pro- venienza geografica o della denominazione d’origine e perciò detta anche «frode sull’origine», da intendersi come riproduzione abusiva del marchio registrato, delle denominazioni di origine, del logo, fino poi ad arri- vare alla falsificazione del prodotto stesso.

L. MONTAGNOLI, Il business del falso made in Italy agroalimentare, che oggi vale più del doppio della

49

filiera autentica, in Gambero Rosso, 2020, consultabile alla pagina web:<https://www.google.com/amp/s/

www.gamberorosso.it/notizie/falso-made-in-italy-alimentare-un-business-da-60-miliardi-di-euro-ma-negli- usa-arriva-l-autentico-culatello-di-zibello/amp/> (ultimo accesso in data 10.09.20).

A. BRANDOSIO, Il fenomeno dell’Italian Sounding e la tutela dell’agroalimentare italiano, in Cultura e

50

diritti, 2019, fasc.1, p. 103.

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