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Il fallimento: come si svolge la procedura fallimentare

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Il fallimento: come si svolge la procedura fallimentare

written by Edizioni Simone | 15/08/2016

Conservazione e amministrazione del patrimonio del fallito, esercizio provvisorio dell’impresa, accertamento e liquidazione dell’attivo, l’ammissione al passivo.

La procedura fallimentare si svolge attraverso fasi distinte e successive, coordinate

al raggiungimento del medesimo fine. Tali fasi, in ordine progressivo, sono le seguenti:

— la conservazione e l’amministrazione del patrimonio del fallito;

— l’accertamento del passivo;

— l’accertamento dell’attivo;

— la liquidazione dell’attivo;

— il riparto dell’attivo;

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— la chiusura del fallimento.

Conservazione e amministrazione del patrimonio

La conservazione del patrimonio comprende tutte quelle operazioni (apposizione di sigilli, inventario dei beni e presa in consegna, da parte del curatore, dei beni stessi) necessarie per dare inizio alla procedura.

Nella fase di amministrazione il curatore subentra al fallito nella gestione dei suoi beni e, pertanto:

— può compiere liberamente tutti gli atti di ordinaria amministrazione;

— può compiere atti di straordinaria amministrazione solo a seguito di autorizzazione del comitato dei creditori.

La mancanza di autorizzazione rende l’atto annullabile ad istanza degli organi fallimentari.

La continuazione dell’impresa del fallito

La riforma ha riscritto completamente la disciplina dell’esercizio provvisorio, vale a dire la possibilità dell’ufficio fallimentare di continuare l’attività di impresa del fallito durante la procedura fallimentare.

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La continuazione dell’impresa del fallito è consentita in due ipotesi nettamente distinte tra loro e cioè (art. 104 L.F.):

con la dichiarazione di fallimento, quando dall’improvvisa interruzione può derivare un danno grave ed irreparabile, nel qual caso il Tribunale può autorizzare la continuazione temporanea dell’esercizio dell’impresa del fallito, purché non arrechi pregiudizio ai creditori;

successivamente, quando nominato il comitato dei creditori, quest’ultimo ritenga opportuno riprendere in tutto o in parte l’esercizio dell’impresa. In tal caso l’esercizio provvisorio è disposto dal giudice delegato, previo parere favorevole del comitato, su proposta del curatore.

In ogni caso, comunque, la continuazione ha carattere provvisorio e può sempre ordinarsene la cessazione da parte del Tribunale.

All’esercizio provvisorio dell’impresa provvede il curatore, mentre il comitato dei creditori deve essere tenuto al corrente di tale esercizio ed informato del suo andamento, a mezzo di convocazioni e rendiconti periodici.

Accertamento del passivo e dell’attivo

La fase dell’accertamento del passivo serve ad individuare i singoli creditori ammessi al concorso: ammessi cioè a partecipare, in ragione dei propri crediti ed alla pari (salvo le cause legittime di prelazione), al riparto dei beni del debitore. In tale fase devono essere determinati anche l’ammontare di ciascun credito vantato e gli eventuali diritti di prelazione.

Stessa procedura devono seguire i terzi titolari di diritti reali o personali sui beni in possesso o in proprietà del fallito, mobili ed immobili.

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Essa ha inizio con le domande di ammissione al passivo che i creditori ed i titolari di diritti reali o personali sui beni mobili ed immobili in possesso del fallito debbono presentare entro 30 giorni prima dell’udienza fissata per la verifica dello stato passivo.

Il decreto crescita bis (D.L. 179/2012, conv. in L. 221/2012) ha introdotto l’obbligo di presentare la domanda di ammissione al passivo in via telematica, inoltrandola direttamente al curatore.

Il ricorso deve essere accompagnato dalle ragioni di prelazione nonché dai documenti giustificativi del credito. In mancanza, i creditori (o i terzi) possono depositare i documenti fino al giorno dell’udienza di verifica. Il D.L. 179/2012, conv.

in L. 221/2012 ha reintrodotto il termine di 5 giorni prima dell’udienza (termine in precedenza abrogato dal D.Lgs. 169/2007) per la presentazione di osservazioni scritte e documenti integrativi da parte dei creditori.

La disciplina è stata notevolmente modificata dalla riforma del 2006, che l’ha resa più veloce e più snella e ha attribuito più poteri al curatore e, successivamente, dal D.Lgs. 169/2007 (correttivo alla riforma).

Le domande sono esaminate dal curatore il quale, dopo aver predisposto elenchi separati dei creditori e dei terzi, rassegnando per ciascuno le sue conclusioni, deposita il progetto di stato passivo in cancelleria.

All’udienza di verifica, il giudice delegato decide su ciascuna domanda con decreto, accogliendola, respingendola, o dichiarandola inammissibile. Secondo le precisazioni inserite in proposito dal decreto correttivo (D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169), il decreto con cui il giudice delegato accoglie o rigetta il credito deve essere sempre succintamente motivato. Il giudice può altresì ammettere con riserva i crediti sottoposti a condizione o privi del titolo giustificativo, o accertati

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con sentenza pronunziata prima della dichiarazione di fallimento ma non ancora passata in giudicato.

Terminato l’esame, il giudice rende esecutivo lo stato passivo con decreto.

Il decreto crescita bis (D.L. 179/2012, conv. in L. 221/2012) ha previsto che la comunicazione dell’esito dell’accertamento del passivo deve essere data a mezzo posta elettronica certificata.

Il curatore non dovrà più informare, con apposita comunicazione, ciascun creditore circa l’esito della domanda di insinuazione allo stato passivo, ma si dovrà limitare ad inviare copia a ciascun creditore dello stato passivo reso esecutivo avvertendo gli stessi che, in caso di mancato accoglimento della domanda, potranno proporre opposizione.

La definitività dello stato passivo non pregiudica in ogni caso i creditori negligenti; infatti coloro che non abbiano proposto domanda di ammissione nei termini possono presentare domanda tardiva, fino ai 12 mesi successivi al deposito del decreto di esecutività dello stato passivo. Decorso tale termine, e comunque fino a quando non siano esaurite tutte le ripartizioni dell’attivo, le domande tardive sono ammissibili solo se l’istante prova che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile (art. 101 L.F.). Quindi il termine massimo di 12 mesi vale solo per il ritardo colposo del creditore.

Il decreto correttivo alla riforma (D.Lgs. 169/2007) ha previsto che il giudice delegato debba fissare ogni quattro mesi, o anche prima se sussistono motivi d’urgenza, un’udienza ad hoc per l’esame delle domande tardive.

Le domande di insinuazione tardiva, a seguito dell’intervento del D.L.

179/2012, conv. in L. 221/2012, devono essere trasmesse al curatore (e non depositate in cancelleria come previsto in precedena).

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I creditori (o i terzi titolari di diritti su beni del fallito) tardivi, che non vantino un diritto di prelazione, partecipano solo alla ripartizione dell’eventuale residuo dopo il riparto tra i creditori intervenuti tempestivamente, se il ritardo è ad essi imputabile.

Qualora invece siano privilegiati o non abbiano responsabilità nel deposito tardivo, hanno diritto di prelevare le quote che gli sarebbero spettate nelle precedenti ripartizioni (art. 112 L.F.).

I creditori che hanno proposto domanda di ammissione del credito possono opporsi alle decisioni del giudice delegato attraverso tre forme di impugnazione dello stato passivo (art. 98 L.F.):

l’opposizione allo stato passivo stesso, per essere ammessi al passivo o per vedersi riconoscere un diritto di prelazione che è stato escluso dal giudice delegato;

l’impugnazione dei crediti altrui, con cui possono contestare che la domanda di un creditore o di altro concorrente sia stata accolta;

la revocazione, qualora, prima della chiusura del fallimento si scopra che l’ammissione di un credito o di una garanzia è stata determinata da falsità, dolo o errore essenziale di fatto, oppure qualora si rinvengano documenti decisivi prima ignorati.

Accertato il passivo, si verifica la consistenza dello stato attivo del fallimento, costituito da tutti i beni del fallito e da quei beni che, per effetto della revocatoria, sono ritornati, ai soli fini della procedura fallimentare, nel suo patrimonio.

L’accertamento di tale stato avviene mediante la redazione dell’inventario e la presa in consegna da parte del curatore dei beni inventariati.

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La liquidazione dell’attivo fallimentare

Con la liquidazione dell’attivo i beni del fallito vengono convertiti in danaro, ai fini del soddisfacimento dei creditori.

La riforma del 2006 ha cercato di semplificare e di dare maggiore efficienza alla procedura di liquidazione, riscrivendo l’intera disciplina. La novità più rilevante introdotta dal D.Lgs. 5/2006, successivamente modificata nel punto dal decreto correttivo (D.Lgs. 169/2007), consiste nel fatto che l’attività di liquidazione dovrà avvenire non più con operazioni diversificate e non coordinate bensì all’interno di un programma di liquidazione, predisposto dal curatore ed approvato dal comitato dei creditori (art. 104ter L.F.).

Il piano deve essere formato entro 60 giorni dalla redazione dell’inventario, quindi ancor prima dell’emanazione del decreto di esecutività dello stato passivo (termine iniziale della liquidazione nella precedente disciplina): ciò significa che le operazioni di liquidazione potranno iniziare anche prima della fase di accertamento del passivo.

Ai sensi del D.Lgs. 169/2007, l’approvazione del programma spetta al comitato dei creditori, mentre il giudice delegato dovrà autorizzare i singoli atti di esso previa una mera verifica formale della loro conformità al piano di liquidazione.

Come ha precisato il decreto correttivo il programma costituisce «l’atto di pianificazione e di indirizzo» delle modalità e dei termini previsti per la realizzazione dell’attivo, e deve indicare:

l’opportunità di disporre l’esercizio provvisorio dell’impresa, o di singoli rami di azienda, o di autorizzarne l’affitto a terzi;

l’esistenza di proposte di concordato ed il loro contenuto;

le azioni risarcitorie, recuperatorie o revocatorie da esercitare;

le possibilità di cessione unitaria dell’azienda, di singoli rami, di beni o di

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rapporti giuridici individuabili in blocco;

le condizioni di vendita dei singoli cespiti.

Prima dell’approvazione del programma, il curatore può procedere alla liquidazione di beni, previa autorizzazione del giudice delegato e sentito il comitato dei creditori, solo quando dal ritardo può derivare pregiudizio all’interesse dei creditori.

Circa le singole ipotesi di liquidazione, la legge distingue tra:

— vendite di beni mobili;

— vendite di beni immobili;

— vendita di azienda;

— realizzo di crediti.

A differenza della precedente disciplina, le vendite dei beni (mobili od immobili) devono essere effettuate tramite procedure competitive. È stata quindi adottata la significativa novità dell’utilizzabilità, anche nella vendita di immobili, della modalità delle offerte private, se ritenute più vantaggiose. Il curatore può decidere, nel programma di liquidazione, la modalità di vendita più conveniente ai fini del maggior realizzo possibile; potrà, quindi, prevedere nel piano qualsiasi forma di vendita (all’incanto, senza incanto, a trattativa privata), sulla base del solo giudizio di convenienza per la procedura.

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Il riparto dell’attivo fallimentare

Effettuata la liquidazione, si provvede ad attribuire il ricavato ai singoli creditori.

Le somme disponibili debbono essere ripartite secondo il seguente ordine preferenziale:

— le spese incontrate nel corso della procedura ed i debiti contratti dal curatore per la procedura stessa hanno precedenza assoluta;

— vanno poi soddisfatti i creditori privilegiati, secondo l’ordine previsto dalla legge;

— infine si provvede a soddisfare i creditori chirografari (quelli cioè che non hanno titolo per esser considerati privilegiati e che sono soddisfatti per ultimi).

La distribuzione delle somme avviene periodicamente con ripartizioni parziali. A tal fine il curatore presenta al giudice delegato ogni 4 mesi un progetto di riparto delle somme disponibili, che è reso esecutivo con decreto del giudice delegato.

Una volta approvato il piano, si provvede alla liquidazione definitiva o riparto finale, che avviene dopo l’approvazione del rendiconto del curatore, il quale deve essere depositato in cancelleria per le eventuali contestazioni.

La chiusura del fallimento

Il fallimento si chiude per:

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— ripartizione finale dell’attivo senza soddisfacimento integrale dei creditori;

— impossibilità di ripartizioni per mancanza dell’attivo;

— mancanza di domande di ammissione al passivo nei termini prescritti;

— estinzione di tutte le passività.

La chiusura del fallimento va dichiarata dal Tribunale con decreto motivato, su istanza del curatore, del debitore o anche d’ufficio, in osservanza delle stesse forme di

pubblicità previste per la sentenza dichiarativa di fallimento (art. 119 L.F.). Con la chiusura del fallimento cessano dalle funzioni gli organi fallimentari, ed il debitore è reintegrato nei suoi diritti patrimoniali; i creditori riacquistano tutti i loro diritti nei confronti del debitore per ottenere l’eventuale parte dei propri crediti non soddisfatti per intero, salvi gli effetti dell’eventuale esdebitazione del fallito.

La riapertura del fallimento

L’art. 121 L.F. limita la possibilità di dichiarare la riapertura del fallimento solo alle ipotesi seguenti (numeri 3 e 4 dell’art. 118 L.F.):

1) chiusura per ripartizione finale dell’attivo senza integrale soddisfazione dei creditori ammessi;

2) chiusura per mancanza di attivo.

In tali casi il Tribunale può dichiarare la riapertura del fallimento con sentenza

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in

camera di consiglio quando si verifichi una delle seguenti situazioni:

— nel patrimonio del fallito esistono attività in misura tale da rendere utile il provvedimento;

— il fallito offre garanzia di pagare almeno il 10% ai creditori vecchi e nuovi.

È comunque necessario che non siano trascorsi cinque anni dal decreto di chiusura.

La riapertura del fallimento può avvenire su espressa domanda del debitore o di

uno dei creditori.

Per ciò che concerne gli organi fallimentari, mentre il giudice delegato e il curatore rimangono i medesimi del fallimento originario (se ciò è possibile), il comitato dei creditori è nominato dal giudice delegato, tenendo conto nella scelta anche dei nuovi creditori.

Con la sentenza di riapertura ricomincia la procedura fallimentare, secondo le norme ordinarie, fatta eccezione per i termini che possono essere ridotti fino alla metà.

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