accademianazionaledisanluca
Quaderni della didattica
serie diretta da Francesco Moschini
Guido Strazza
Il segno e il colore negli occhi
accademia nazionaledisanluca
Indice
La costruzione del cestino 1o I mezzi di cui disponiamo
13 Il segno
23 Lo spazio
31 Il tempo
37 Il colore
41 Piccolo dialogo per concludere senza conclusioni
Corso
Primo Segnare
curatore Guido Strazza
Accademia Nazionale di San Luca, Roma 7-18 novembre 2011
Questi appunti didattici sono stati scritti in dispense nel 1974.
Pubblicati nel 1993 dalle edizioni Il Ponte, Firenze, sono qui riproposti e riveduti per il corso “Primo Segnare”.
Cura redazionale di Laura Bertolaccini.
Disegnare, dipingere
è come costruire un cestino per qualcosa.
Allora: prima la cosa poi il cestino?
Ma, cos’è questa cosa?
Questa cosa è un cestino.
La costruzione del cestino
i mezzidi cui disponiamo
noi stessi
l’imporre, l’accettare
il segnocon qualunque mezzo
su qualunque mezzo
lo spaziole due dimensioni
le tre dimensioni
il tempola quarta dimensione
il colorecon qualunque mezzo
su qualunque mezzo
Il segno
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Disegnare
Disegnare è come parlare.
Non è possibile esprimersi senza aver riconosciuto i rapporti tra i termini in giuoco: noi stessi, gli altri, le cose. C’è un’anima portante di questi rapporti: la chiamerò geometria.
Non pensare a Euclide, quella è solo una geometria.
Diciamo geometria in senso esteso e drammatico: la nostra verticalità, la nostra orizzontalità, la simmetria del nostro corpo, il nostro andare qua e là, il sì e il no, il su e giù, sono tutti segni della geometria di cui parlo e di cui noi siamo e lasciamo traccia da decifrare, da riconoscere, da nominare.
Geometria sostegno e rifugio, non gabbia, né scusa per l’ovvietà.
Non stancarti, dunque, dell’apparente monotonia delle trame, della ripetizione dei testi, dei temi.
È necessario che tu rompa la prigione del tempo e dello spazio comuni.
Non tutto è volontario in questo unico senso.
C’è anche il senso contrario, c’è il lasciarsi andare, ma né dovunque né comunque.
Lasciarsi andare, per te che vuoi “parlare”, vuole anche dire identificarti con i tuoi mezzi e i tuoi fini: con le dita che si prolungano nella penna e sulla carta che è anche tavolo, stanza, mondo.
Identificarsi con il mondo non vuol dire perdersi nel mondo, vuol dire esserci; per esserci senza perdersi bisogna tracciarsi un sentiero, riconoscerlo, avergli dato un nome.
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Primo esercizio: conoscere la mano
Sulle pagine che seguono vedi dei segni. Quando ne avrai capito la struttura (la maniera di curvarsi, di addensarsi, di rarefarsi) cerca di ricopiarli liberamente, più volte, finché la mano non corra via leggera e sicura.
Non ti chiedo di riprodurli meccanicamente, ma di imitarli con scioltezza, senza cancellature né ritocchi. Gli “errori” si lasciano. Si ripete il disegno.
Lasciati andare, adattati ai segni, non cercare di importi o di accettare le incertezze del gesto e del segno come “apporto personale”.
Disegna con tutto il corpo, con la testa e con il respiro: la mano ne è il prolungamento.
Trova perciò la posizione che lascia liberi i tuoi movimenti.
Non appoggiarti.
Trova la giusta tensione.
Il vestito comodo, la radio spenta.
Usa una matita dura, o una penna: un mezzo che lasci poco spazio a risultati casuali.
Secondo esercizio: conoscere il segno
Riconsidera i disegni del primo esercizio, osservali attentamente e scegli fra le varie copie che hai fatto quella di ogni esemplare che ti sembra la migliore: quella che “ti piace” di più.
Così avrai una serie completa scelta da te.
Analizza ogni disegno criticamente, confronta i segni fra loro, singolarmente e per gruppi di affinità. Bada per questo alle curvature, alle densificazioni, alle rarefazioni ecc.
Vedi il loro insieme come momento di qualcosa che cambia.
Lasciati andare in questo scorrere come in una realtà naturale.
Ora devi rifare liberamente alcuni disegni, pochi, quelli che preferisci, con diversi mezzi: matita, penna, carbone ecc., su carte diverse, a tua scelta, un po’ a caso, un po’ cercando di capire le relazioni tra segni, strutture e mezzi per farli.
La vera espressione è là.
Ma non cercare l’“espressione”, l’effetto.
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Lo spazio
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Conoscere la dimensione
Se ti chiedessi come giudichi la tua mano, se piccola o grande, non avresti esitazione nel rispondere, perché la mano è in un rapporto conosciuto col resto del corpo e con le cose.
Questa maniera di giudicare “la giusta misura” (vuol dire: riconoscere il rapporto tra le cose) vale anche per le immagini astratte?
Possiamo dire: questo punto, questa linea, sono grandi? O piccoli?
In senso assoluto no - ma ha un senso questo assoluto?
Direi ancora di no, perché se è impensabile un vero assoluto, quello che chiamiamo assoluto non è che un contraltare dell’ambiguità, dell’approssimazione percettiva della realtà.
Dunque:
qualunque valutazione di rapporti spaziali tra le cose è legata a un istintivo e automatico confronto con i dati dell’esperienza.
Le due dimensioni
Torniamo al nostro punto e alla nostra linea e diciamo che se, come astrazione geometrica, non sono né grandi né piccoli, quando vengono disegnati assumono un’altra natura e rientrano nel sistema di rapporti di cui abbiamo parlato.
Si fanno grandi o piccoli a seconda del “punto di vista”.
Il “punto di vista” tu lo stabilisci con la scelta della dimensione del segno e della superficie su cui lo tracci, stabilendo un rapporto.
E allora diremo:
Sono questi il momento e la scelta determinanti di ogni sviluppo ulteriore. Cade il diaframma che proteggeva i tuoi progetti dalla forza delle cose.
D’ora in poi imporranno la legge, il nome, che tu dirai per loro ogni volta, col tuo.
Così, ogni immagine ha una sua dimensione, non altre, ma la ha in rapporto a te, che la pensi e la disegni.
Nell’esempio del disco l’immagine non è il disco, ma l’insieme disco-quadrato.
Scegliere l’una o l’altra immagine non vuol dire rimpicciolire o ingrandire la stessa cosa, ma scegliere tra due immagini diverse, tra due cose diverse.
Ecco un primo preciso incontro con quella che ho chiamato geometria.
Pensa, prima di decidere, precisa mentalmente, come se volessi fissarlo nella memoria fino a poterlo descrivere, quello che stai immaginando.
questo disco è grande questo disco è piccolo
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Geometria - qualità
Per esercizio, prova a immaginare un segno disegnato.
Sarà naturale che tu pensi, per esempio, a un segno di matita e non di pennello.
Questo segno di matita, ancora astratto e indefinito, troverà (per te, ora, nella tua memoria) i suoi collegamenti col mondo e diventerà, mettiamo, un segno nero e grosso.
Ecco una presenza fisica che impone le sue caratteristiche. Ecco che invece di essere, ad esempio, un fine tratto di matita dura che incide appena la carta, è un segno grosso e violento, che sporca la carta di cui mostra la granitura; ecco ancora che se prima potevi pensare alla carta come campo ideale per un segno ideale, ora il tuo segno concreto fa concreta anche la carta.
Tutto incomincia a legarsi.
L’equilibrio è precario, ma ci sono tanti equilibri in tanti istanti.
Ogni istante: un’immagine, una decisione.
Molti istanti: un’immagine finale che accetti, supporti, infine comprenda quelle di ogni istante.
Esercizio due dimensioni - Partitura
Disegna una serie di piccoli quadrati (es. 3 x 3 cm) e dividili in due, liberamente, al limite della fantasia. È importante una sostanziale differenza tra le soluzioni.
Es.
ecc.
Intervieni su qualcuna delle partiture in due e dividile in cinque parti.
Es.
ecc.
Intervieni ancora sulle partiture eseguite e di qualcuna scurisci una o più zone.
Vedi come questi interventi alterano la percezione qualitativa e geometrica della stessa composizione.
Es.
ecc.
La terza dimensione
La definizione “terza dimensione” suggerisce una rappresentazione dello spazio che non è del segno bidimensionale, ma che lo stesso segno, anche solo per minime varianti o aggiunte, può indurre a percepire.
Analizziamo questa immagine:
Le letture più probabili sono:
1) Una superficie divisa in due zone.
2) Un triangolo in un quadrato.
3) Un triangolo oggetto, sopra un piano quadrato visto dall’alto (lettura improbabile ma possibile).
4) Un quadrato oggetto con un buco visto dall’alto triangolare (lettura improbabile ma possibile).
5) Una porzione di piano in prospettiva (lettura improbabile ma possibile).
Basta che aggiungiamo un altro segno fra gli infiniti possibili perché le letture che erano più probabili diventino improbabili e le improbabili diventino più che probabili,“normali”.
Un altro esempio
così diventa “naturale” la lettura 4 (un quadrato oggetto, con un buco triangolare) - impossibili le altre.
alla stessa immagine ho aggiunto un trapezio.
Sono ancora possibili le letture del tipo 1, 2, 3, 4, ma se ne impongono altre come più probabili:
p. es. la prospettiva di una strada.
26 27 2) Rettangoli uguali riuniti per formarme uno più grande.
Se li dimezziamo progressivamente fino al possibile, avremo cambiato solo la dimensione dei rettangoli e il loro numero complessivo.
La lettura dell’insieme sarà però radicalmente cambiata: le letture 1, 2 diventano molto improbabili per lasciare il posto a una nuova lettura più probabile e “naturale”: una superficie ondulata.
Cosa è successo?
Perché questo passaggio da una lettura bidimensionale ad una tridimensionale?
Come mai un così facile ribaltamento da un significato all’altro?
Ciò che sappiamo sulla percezione è poco utile ai nostri fini che mirano oltre le misure della scienza e tengono conto dei nostri eventuali “mal di testa”.
Per orientarci dobbiamo guardare altrove, dove il terreno è minato (il mal di testa) perche là si risolvono le cose. Il terreno minato sono le contraddizioni della nostra esperienza di percezione e interpretazione.
Da questa abbiamo dedotto e continuiamo a dedure i codici di lettura e di riconoscimento che servono per vivere e sopravvivere.
La situazione dunque è questa:
viviamo in un mondo che non ci è estraneo solo per quanto possiamo collegarlo alla nostra es- istenza.
Lo leggiamo, valutiamo e traduciamo in immagini intellegibili (segni, parole, gesti, ecc.) solo nel grado in cui lo abbiamo riconosciuto (ci siamo riconosciuti in lui).
Per tornare ai nostri segni, alle nostre figure, essi ci dicono qualcosa solo per quanto li possiamo far rientrare, come simboli o in sé, in un sistema di rapporti conosciuti.
Questo sistema, nel suo insieme, possiamo pensarlo invariabile (vuol dire di lunga durata o, meglio, di lenta mutazione), ma nei particolari è estremamente mutevole e cangiante, pieno di sorprese che impongono ad ogni istante nuove decifrazioni e soluzioni.
Le stesse cose, gli stessi segni, possono cambiare significato sotto i nostri occhi, sembrare altri, addirittura scomparire, non essere visti. Se li riconosciamo, confermano il nostro equilibrio, ci confortano, ecc.
Basta dunque un niente perché un segno passi da un significato all’altro, una cosa da estranea o nemica diventi amica, da indecifrabile decifrata e viceversa.
In questi “niente” sta l’unica possibile risposta alle domande che ci eravamo posti.
È necessario saperlo per riconoscere quei “niente”, per vedere quello che non si vedeva, per rac- cogliere quello che si buttava, o buttare quello che si conservava, per dire quello che, forse, non si sapeva di volere e poter dire.
Bisogna saper cercare per riconoscere, saper vedere per poter ricercare.
Un altro esempio ancora
possiamo leggere:
1) Un rettangolo diviso in rettangoli minori.
Un po’ di teatro
E vedi anche come, con poche linee in più, puoi dare una terza dimensione a queste figure Ma ecco, con poche linee in più, puoi definire un significato. Per esempio:
un disco
una faccia
ecc. ecc.
un’ellisse?
un cerchio in prospettiva?
un uovo?
un sasso?
solo un segno?
una pallina da tennis che fila via?
ecc. ecc.
Il tempo
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La quarta dimensione
Tu prendi la penna, cominci a tracciare un segno.
Da quell’istante la carta bianca è altra e tu sei altro.
Il segno, qualunque fosse il tuo progetto, non è più pura immaginazione, ma presenza concreta dalla quale ormai non puoi prescindere.
Frattanto l’ora trascorre, la luce cambia, il tuo respiro è un altro.
Cresce il segno come chi si presenti con sempre nuovi nomi.
Alla fine, cosa è finito? Perché fine?
Perché far apparire, alla luce, ora e non domani, in due minuti e non in tre, quel segno che sotterraneo potrebbe essere lì da sempre?
Non è, di nuovo, un riconoscimento, l’avverarsi di un incontro che ha un prima, un farsi, un dopo?
Questa è la quarta dimensione.
Quando hai finito il disegno, la traccia è compiuta, hai staccato la mano dal foglio.
Quello che “vedi” è un insieme istantaneo: te stesso, nella stanza, il tavolo, la mano, la penna, il segno sul foglio, tutto. Poi, l’occhio si concentra, ora su questo, ora su quel particolare del disegno, collega, legge, decifra. Ripercorre all’inverso i segni che hai tracciato, forse in altro modo, certo in qualche modo, come chiunque lo vedrà realizzando a sua volta un incontro, con un prima, un durante, un dopo.
Questa è la quarta dimensione.
Puoi decifrare qualcosa senza memoria?
Questa rappresentazione di una casa indica che tu l’hai “vista”
in cinque momenti diversi, da cinque punti di vista diversi.
e ancora:
tu giri attorno alla casa - ogni nuovo istante una nuova visione.
Come potresti averla completa negli occhi senza memoria?
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Esercizi sulla quarta dimensione
Questi disegni in sequenza non ti raccontano anche il progredire di una linea nello spazio di un quadrato?
Questi disegni non ti propongono anche diversi ritmi di scansione dello stesso rettangolo?
Anche questa è la quarta dimensione.
Analizza e commenta a parole i disegni che vedi nella pagina accanto dal punto di vista dei:
- tempi del fare velocità, ritmo, gesto
- tempi del leggere velocità, ritmo, percorsi dello sguardo
Prova tu stesso a fare dei segni semplici dandoti dei temi temporali.
Es.
Descrivili e commentali a parole.
Es.
accelerazione segni paralleli decelerazione disuguali
cambio direzione ritmo 3 tempi
ecc. ecc.
velocità ritmo
Il colore
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Il colore
Parlando di segni traccia di gesti parliamo di tempo e geometria; e di colore, perchè un segno è confine tra diversi colori, anche al limite di infinitesime scansioni dello sfumato. Un confine che al massimo contrasto bianco/nero si fa assoluta alterità del colore.
Per questo ragioniamo e disegnamo in bianco/nero.
Del colore, segno senza dimensioni, darò solo dati di esperienza e lavoro, sul suo farsi segno-confine e, all’interno del confine, segno-colore con forma e dimensione.
Cosa vuol dire: verde?
Cosa vuol dire: il rosso contrasta bene con il verde?
Cosa vuol dire: questo colore è “caldo”, questo “freddo”?
Ecco le domande alle quali non può rispondere per noi un fisico. Le sue lunghezze d’onda, le sue frequenze, ci saranno di pochissimo aiuto.
Il colore è per noi l’emozione, il “significato”; è questo colore che vediamo in questo momento, in questa materia, in questa dimensione, vicino a questi altri colori; o quello che non vediamo, ma viviamo come presentimento, predisposizione, ricordo.
Colori non puri, non soli, legati alle cose e alle situazioni - attimi dell’esperienza.
Alcuni dati
Colore materia (dipingere)
colori primari rosso - giallo - blu
(tutti insieme = massimo scuro) derivati arancio (rosso + giallo)
verde (blu + giallo) viola (rosso + blu)
complementari rosso/verde; giallo/viola;
blu/arancio
(coppie di massimo contrasto)
Colore luce (proiezione)
colori primari rosso - verde - blu
(tutti insieme = bianco)
derivati giallo (rosso + verde)
turchese (blu + verde) viola (rosso + blu)
complementari rosso/turchese; verde/viola;
giallo/blu (ogni coppia = bianco)
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Osservazioni di lavoro
Colore / geometria
Analizza cromaticamente ciò che vedi del mondo: lo scoprirai composto di colori difficilmente definibili, gli uni sugli altri, dentro gli altri, tesi ad essere altri, nel continuo contrarsi e dilatarsi in infiniti, mutevoli rapporti.
Colori che hanno la loro forza nell’annunciarsi più che nell’essere definiti.
Se dividi con una linea una superficie in due parti, avrai determinato un rapporto spaziale univoco.
Colorale diversamente: l’univocità del rapporto geometrico sarà percettivamente sopraffatta dal diverso rapporto cromatico.
Tutto è rimesso in discussione.
Il colore spinge a una lettura che coinvolge l’irrazionale. Il suo “ordine” non si dà come quello geometrico col quale, inevitabilmente, si confronta. Ne è il complementare: quello che uno apre l’altro chiude.
Schematizzando, possiamo vedere nella geometria di una qualunque immagine la nostra proiezione progettuale, tesa al definibile, il “vedere da fuori”; nel colore quella emotiva, tesa all’indefinibile,
“l’essere dentro”.
Colore / evocazione
Vediamo con la luce - non vediamo al buio.
Allora:
luce chiaro, giorno, attività, vita ecc.
buio oscurità, notte, riposo, morte ecc.
e anche
rosso forza, presenza, energia ecc.
blu calma, infinito, sogno ecc.
Sono correlazioni discutibili nei termini, ma intrinseche alla realtà vissuta come convergenza di percezioni e decifrazioni.
Non intendo assolutamente dire che, ad esempio, la tristezza abbia come simbolo univoco e naturale il viola, colore d’ombra, o l’allegria il giallo, perché colore del sole, ma voglio dire che il colore ha in noi risonanze automatiche legate alla nostra esperienza e alla nostra maniera di vivere, esattamente, come per i segni, una linea orizzontale è per noi diversa da una verticale perché c’è la gravità e dormiamo orizzontali, camminiamo verticali ecc.
Non esiste una significazione cromatica che possa prescindere da simili concatenazioni.
Il vero problema consiste nel riconoscere quelle vere, perché sostanziali e generali, e di considerarle e usarle per quello che sono: imprescindibili indicazioni, prime di significati che devono essere precisati ogni volta.
Colori chiari / colori scuri
Questa contrapposizione ignora in un certo qual modo il vero carattere del colore perché ne valuta principalmente la luminosità riferita al grigio come rapporto tra bianco e nero.
Accettiamo dunque le astrazioni bianco e nero come espressione di massima e minima luminosità, ma anche per metterci al riparo dagli equivoci nei quali potremmo cadere se dicessimo, ad esempio, che il giallo è per definizione più chiaro del blu; può essere vero, ma non sempre.
Così non si tratta di valori assoluti, ma di rapporti per i quali un colore appare più chiaro o più scuro di un altro e una qualunque estensione di colore si propone in zone di tensione verso il più chiaro e verso il più scuro.
Questa valutazione spontanea del rapporto di luminosità evoca “sentimenti” contrapposti.
Chiaro
Il colore che vicino ad un altro è “più luce”; non può essere ombra attività, estroversione ecc.
Scuro
Il colore che vicino ad un altro è “meno luce”; è ombra riposo, riflessione, ecc.
Colori caldi / colori freddi
Se vediamo un rosso e lo chiamiamo “caldo”, o un verdeturchese e lo chiamiamo “freddo”, non apriamo le porte al più incontrollato soggettivismo ma fondiamo il giudizio su istintive, istantanee, universali evocazioni: di caldo per terrestre, accogliente ecc.; di freddo per siderale, lontano ecc., esattamente come un segno orizzontale evoca universalmente equilibrio e un segno diagonale non equilibrio.
Perciò definiamo:
colori caldi quelli che evocano il rosso
colori freddi quelli che evocano il verdeturchese
Qualche esempio:
il giallo uovo, il colore terra, il blu cobalto sono colori caldi;
il giallo limone, il verde smeraldo, il blu turchese sono colori freddi.
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La materia e il colore
Immagina di vedere un oggetto.
Basta uno sguardo: il profilo come limite di contrasti cromatici, la forma come geometria e colore lo fanno subito riconoscere.
Questo vuol dire, automaticamente, certi significati, certi giudizi ecc.; in breve, una tua personale, ma non solo personale, relazione con quel colore in quella forma.
Tuttavia, la percezione d’impatto che si è risolta nel suo riconoscimento, si arricchisce ben presto di altre informazioni, che vanno oltre la pura valutazione cromatica (per esempio, lucido, opaco ecc.).
Dunque il colore non si dà solo come tale, ma anche come stato della materia e significato.
In qualche modo è le cose.
Rivela ed è rivelato, condiziona ed è condizionato, è indefinibile e definisce.
Ne devi tener conto per non credere che un blu sia cielo, o un verde prato.
Esercizi sul colore
Su tre fogli uguali dipingi e disegna:
- una macchia di colore
- il profilo della stessa macchia senza colore
- lo stesso profilo con l’interno bianco e l’esterno con il colore della macchia
Per esempio:
Hai così tre immagini di uguale geometria.
Hanno anche uguale impatto espressivo? Uguale significato spaziale?
Considera questi interrogativi e ripeti l’esperienza in diverse dimensioni, vari rapporti, vari colori.
Chiaro / scuro - caldo / freddo
Dipingi un foglio intero con un colore qualunque.
Confronta quel colore con quelli che vedi intorno: la carta, il tavolo, la mano, la manica, le pareti della stanza ecc.
Come lo giudichi? Più chiaro, più scuro, più caldo, più freddo?
Su fogli diversi dipingi macchie di vari colore e cerca di contrapporre ad ogni colore, con pezzetti di carta dipinti, colori più chiari e più scuri, più caldi e più freddi.
Colore / materia
Dipingi forme uguali, per esempio rettangoli, con uno stesso colore di materie diverse (tempera, pastello ecc.) su supporti diversi della stessa dimensione (carta, tela, legno ecc.).
Nota la sostanziale diversità di percezione cromatica e dimensionale di quello stesso colore dipinto in forme uguali con e su diverse stesure.
Piccolo dialogo per concludere senza conclusioni
- Se noi siamo le cose che vediamo, se le cose sono noi, dove si spezza il cerchio?
Se realtà è sforzo di riconoscersi, certezza della mutabilità, a che punto fermarsi?
- Non c’è punto finale.
- Dunque, nessuna risposta?
- Quella.
- Allora?
- Metti un cestino nel cestino.
Finito di stampare nel mese di novembre 2011 da Beniamini GD&P - Roma
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